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Una verità sui consumi energetici
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Domanda: qual’è il fattore determinante della crescita economica? Risposta: la quantità di energia che si immette nel sistema economico.

Sembra una verità auto-evidente: nei millenni in cui il flusso energetico veniva dai muscoli umani o animali, o dal legname da ardere, la crescita economica stagnò. I mulini ad acqua e a vento migliorarono la situazione con aumento della produzione, e dunque della popolazione e del suo benessere (nel medio evo). L’invenzione della macchina a vapore e l’uso del carbone fece aumentare l’esponenzialmente il flusso energetico, e ancor più ha fatto il petrolio e, da ultimo, l’energia atomica.

William Boykin
   Tim Garrett
Sembra logico e semplice. Eppure il professor Tim Garrett, matematico e associato di scienze dell’atmosfera all’università dello Utah s’è visto rifiutare da parecchie pubblicazioni scientifiche il suo studio su questo tema, che ora è stato finalmente accettato da «Climate Change», rivista della Stanford University.

Il motivo è uno sgradevole corollario delle relazione fra energia ed economia: la riduzione dei flussi energetici nei sistemi economici, raccomandata dai teorici del riscaldamento globale, porterà al collasso della civiltà materiale quale la conosciamo.

«Non sono un economista, e affronto l’economia come un problema di fisica», dice Garrett: più precisamente, considera la civilizzazione materiale come un motore a conbustione interna, che consuma energia e produce «lavoro» in senso di produzione economica.

L’aspetto rivoluzionario dello studio di Garrett è che non solo egli stabilisce una relazione diretta fra consumo di energia e crescita economica; è giunto a deterinare la «costante» nel rapporto.

La costante di Garrett è 9,7. Significa che occorrono 9,7 milliwatts per produrre un valore economico pari a un dollaro del 1990 depurato dall’inflazione, sia questo «valore» una merce industriale o un alimento agricolo, sia un tessuto oun computer. E ciò vale sia nelle economie ad alto consumo energetico come quelle attuali, sia nell’economia di 2 mila anni fa. Sia che si usino buoi ed asini, sia che si abbia a disposizione elettricità ottenuta da centrali idroelettriche, a carbone o atomiche, il risultato è sempre lo stesso: si produce un dollaro del 1990 per 9,7 milliwatts, con minime variazioni (più o meno 0,3 milliwats).

Questo dato comporta dei corollari altrettanto rivoluzionari. Anzitutto, che non occorre prendere in considerazione la crescita della popolazione e i cambiamenti nei livelli di vita e benessere (come fanno gli economisti), perchè questi due fattori crescono in funzione con la disponibilità di energia.

«E’ un sistema di feedback spontaneo, che si mantiene esclusivamente con il consumo energetico».

I progetti tecnocratici di riduzione della popolazione, o di abbassamento dei livelli di vita, per mantenere una crescita «sostenibile», non servono allo scopo. La popolazione diminuisce se cala il flusso di energia, e così il livello di benessere materiale.

Il che è intuitivo: le civiltà agricole basate sulla fatica umana e animale potevano mantenere sul pianeta solo poche decine di milioni di esseri umani. Ogni aumento del flusso energetico, ogni scoperta di una nuova fonte di energia più calorica, ha prodotto aumenti della popolazione insieme a maggior benessere.

Altro corollario sgradito ai fanatici del riscaldamento globale: il risparmio energetico imposto, o la ricerca di una maggiore efficienza nel consumo dell’energia, non risolvono il problema. Nel caso migliore, l’efficienza energetica accelera la crescita dell’economia, e alla fine, risulta in un più intenso consumo energetico.

E’ già avvenuto nella storia, ed è stato descritto in un saggio del 1865, «The Coal question» (la questione del carbone) a firma di un economista chiamato William Stanley Jevons; il quale notò che con la migliorata efficienza delle macchine a vapore, il prezzo del carbone calò, e dunque il consumo del carbone aumentò (1).

Le implicazioni per l’utopica «riduzione delle emissioni di carbonio» o dell’«effetto serra» a livello globale sono evidenti: servono a poco o nulla (Researcher says climate change likely unstoppable / Is Global Warming Unstoppable?).

«Non è possibile un significativo risparmio energetico, perchè il tasso di consumo dell’energia è determinato dalla produzione economica del passato. E il passato non si può cambiare. Se il risparmio energetico ci fa sentire ‘a posto’ con noi stessi d’accordo, ma non si pretenda di fare una qualunque differenza», dice Garrett.

Secondo i suoi calcoli, per stabilizzare le emissioni di CO2 (nemmeno per ridurle) occorrerebbe passare a fonti di energia non-produtttrice di carbonio ad un tirmo del 2,1% ogni anno. Il che significa costruire una nuova centrale nucleare da 300 gigawatts ogni giorno.

Per quanti anni? «Fino a quando non si troverà una  nuova fonte di energia».

Dal punto di vista fisico, non ci sono altri mezzi, «senza uccidere l’economia» mondiale. Il che significa che se davvero il petrolio è vicino al suo picco produttivo (peak oil) e stiamo finendo il carburante, «la civiltà collasserà, insieme coi suoi valori economici: è solo col consumo di energia che la civiltà riesce a mantenere le attività umane che danno ad essa il suo valore economico».

Ovviamente, Garrett intende la civiltà materiale a cui siamo assuefatti, con le sue incredibili abbondanze e i lussi «alla portata di tutti». Per millenni, civiltà senza grandi fonti energetiche sono rimaste per secoli stagnanti in senso materiale (con le conseguenti scarsità, fatiche), ma ciò non ha impedito la «produzione» di alti valori spirituali. Quelli che tralucono nel Partenone, nel diritto romano, come nel mondo rituale dei pellerossa, nei monumenti delle culture sacrali tradizionali; la povertà estrema del Giappone non ha impedito la nascita dello Zen nè dell’etica cavalleresca dei samurai. La grande pittura, la visione mistica, la ricerca del divino e il pensiero sono fioriti nei tempi di scarsità, ed oggi deperiscono nell’abbondanza.

L’abnegazione di sè, lo spirito di sacrificio, la «vittoria» sui propri  bisogni è stata la grande, invisibile risorsa che le civiltà della scarsità hanno prodotto: nella scarsità dei mezzi di sussistenza, l’umanità è stata capace di aumentare le ragioni per vivere, sotto qualunque condizione  materialmente sfavorevole. E’ proprio questa «risorsa» che oggi ci manca, che è stata disseccata dall’avere e dall’acquistare.

Il collasso della civiltà materiale, dell’abbondanza, può significare dunque davvero la morta dell’uomo.




1) Jevons, da britannico malthusiano, ne traeva auspici sinistri sul prossimo esaurimento delle miniere di carbone inglesi, nerbo della prima rivoluzione industriale. Ben prima della fine del carbone, altre fonti di energia sono state scoperte e messe in opera, dall’idroelettrico al petrolio al nucleare. Ciò  grazie a scoperte che, anch’esse, sono il prodotto di valori spirituali - non foss’altro, l’ottimismo umanitario e scientifico che fu il lato buono del positivismo. Adesso, la scienza, governata dal mondo degli affari, poggia ancora su valori spirituali?
La riduzione dei flussi energetici nei sistemi economici, raccomandata dai teorici del riscaldamento globale, porterà al collasso della civiltà materiale. La popolazione diminuisce solo se cala il flusso di energia, ma con esso anche il livello di benessere materiale. Nei tempi di scarsità, l’umanità è stata capace di aumentare le ragioni per vivere e per sognare. E’ proprio questa «risorsa» che oggi ci manca.


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