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Risparmio, che fare? (parte III)
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Oggi ho fatto questa riflessione: guardavo la colonna delle ultime notizie nella pagina economica di EFFEDIEFFE e ho confrontato l’ampiezza dei temi trattati da Blondet con la visione concentrata su un solo argomento di quello che ho scritto io. Mi sono accorto così di quanto poco legame ci sia tra ciò che i lettori leggono in tema di scenari economico - politico mondiali e quanto poi possono fare nella pratica. In sostanza di quanto i prodotti finanziari siano mediati rispetto alla realtà. Credo perciò che valga la pena soffermarsi su questo aspetto per capire come si possano tradurre in azioni individuali delle visioni che hanno un respiro planetario.

Volevo prima sgombrare l’argomento da un possibile fraintendimento: il mio campo professionale, se ci fosse ancora qualche dubbio, è quello della consulenza finanziaria indipendente e quello che dirò lo riferisco a questa particolare attività. Il fraintendimento può essere quello di pensare che il consulente in questo campo sia un professionista che non ha dubbi oppure, se ne ha uno, prende un bel manuale tecnico e ci trova la risposta.

Niente di tutto ciò: egli ha gli stessi dubbi di chiunque, solo che li affronta, o dovrebbe affrontarli, in modo professionale. Leghiamo ora questa precisazione al tema di prima.

Di fronte a scenari, visioni e previsioni strategiche c’è una sola certezza, ovvero che il futuro non è pronosticabile. Di queste ovvietà sarà molto ricco l’articolo di oggi, ma credo si debba far ricorso a queste banalità per cercare di trovare un filo conduttore nella prassi quotidiana. Come ho già detto, un consulente deve guidare il suo cliente nella salvaguardia del suo patrimonio e per fare ciò deve avere solide conoscenze tecniche che gli permettano di capire quale sarà la catena di conseguenze sugli investimenti finali del suo cliente causata da decisioni o aspetti di livello globale. Semplice no?

Ognuno può ben capire che questi famosi scenari sono quello che i fisici subatomici chiamano «nuvole di probabilità» e che quindi per renderli utilizzabili, devo associare ad ogni evento una probabilità di accadimento rispetto ad un determinato arco temporale: quanto è probabile che la Grecia faccia flop e le sue obbligazioni non valgano più niente? Quanto questo influirà realmente sugli altri Stati europei con bilanci traballanti? E nel caso di difficoltà delle maggiori banche europee quali saranno le ripercussioni sulle banche e sulla Borsa americana? Quanto si degraderà la situazione economico-finanziaria mondiale in modo che sia opportuno detenere quantità di oro fisico anziché titoli? Quali sono i rischi connessi alla sua detenzione?

In sostanza stiamo trattando la valutazione del rischio in primis in modo oggettivo e a questa prima valutazione andrà aggiunta quella soggettiva: se e quanto per quel determinato cliente/investitore? Quanto è disposto a perdere del suo patrimonio investito in caso di evento negativo? Dove e quando fermarsi con le perdite? Per contro il rendimento, non in misura propriamente speculare, potrà essere un rendimento più alto.

A questo punto, nelle scelte di investimento, non è più in gioco un determinato strumento finanziario, considerato chissà perché «il migliore», ma una strategia di comportamento riferita al mercato, indipendente dai tanto a proposito e a sproposito sbandierati benchmark.

Lo voglio ripetere fino alla noia: i prodotti finanziari che ci vengono proposti in un atto di vendita (banche, assicurazioni, distribuzione) non hanno senso nella logica dell’investitore perché quasi mai tengono in considerazione la grande complessità delle variabili individuali e oggettive.

Quando sento decantare le virtù di questo o quel tipo di prodotto finanziario mi riecheggia nella mente il famoso aforisma attribuito ad Henry Ford I: «I clienti possono avere la Ford T del colore che desiderano, purché quel colore sia il nero».

Il seguire il benchmark o il capitale protetto, non sono di per sé elementi sufficienti per orientarci verso l’acquisto di un prodotto finanziario. La composizione di un portafoglio di investimento è una delicata combinazione di aspetti personali e di aspetti tecnici e come tale va valutata, caso per caso. Troppo spesso i prodotti finanziari sono diventati delle astrusità senza collegamento con i dati fondamentali (non per nulla si parla di economia virtuale o economia di carta) e questo argomento è stato ampiamente discusso da numerosi studiosi.

Quello che desidero sottolineare è che i mercati prima si muovono e poi ragionano, salvo poi smentirsi e contraddirsi. C’è una corsa affannosa verso la «prossima occasione» che fa buttare sul piatto della posta e dell’azzardo i propri denari anche quando si pensa di comportarsi in modo razionale o prudente. Quello che bisogna avere sempre presente è quali possano essere le conseguenze delle nostre decisioni, non viste in maniera singola, ma nel loro complesso, avere sempre presente tutto il quadro di riferimento ed applicare dei comportamenti corretti.

Quando gli obbiettivi dell’investimento sono nell’ordine:


1) proteggere il capitale

2) incrementare il capitale


il nodo cruciale non è certo la scelta di uno strumento di investimento o il nome di chi lo propone, ma il modo di interpretare la realtà e le evidenze statistiche in un ambiente che cambia rapidamente. Le strategie ed i comportamenti di investimento devono adeguarsi di conseguenza.

Questo è un compito che chi ha, o ritiene di avere, sufficienti competenze in materia può affrontare da solo; chi non le ha deve rivolgersi a qualcun altro che possibilmente gli dia indicazioni e consigli non in conflitto d’interesse, altrimenti sarà quest’ultimo elemento a determinare l’intera strategia.

Oppure può lasciare i soldi sotto la mattonella, che è anche questa una scelta strategica e del tutto rispettabile.

Giovanni Sicola

Risparmio, che fare? (parte I)
Risparmio, che fare? (parte II)


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