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Benedetto XVI nel mistero escatologico del Papato
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La domenica precedente il Venerdì di Passione, Nostro Signore Gesù Cristo entrò in Gerusalemme tra gli osanna del popolo. Un ingresso messianico che adempiva le profezie. Qualche giorno dopo Egli saliva - isaiano «Uomo dei dolori» - il Calvario, portando su di Sé la Croce per la redenzione dell’umanità, tra lo scherno della folla, flagellato, abbandonato persino dai suoi, rinnegato da Pietro e, probabilmente, ripudiato da molti di quelli che la domenica precedente lo avevano osannato.

Ci è stato rivelato che la storia della Chiesa deve, in ogni epoca, ricalcare le orme del Suo Signore e, come Lui, anche Essa deve essere di volta in volta osannata e poi crocifissa.

Non è una novità. Ne siamo stati avvertiti: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato Me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma Io vi ho scelto dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno anche voi» (Giovanni 15, 18-20).

Qualcosa ci dice che l’investitura di Pietro, cui Cristo consegnò le chiavi del Regno proclamandolo la Roccia sulla quale si sarebbe edificata e mantenuta la Chiesa, ha a che fare soprattutto con una prospettiva, in qualche modo, escatologica. Non per niente Cristo rivolgendosi a Pietro gli disse: «Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Luca 22, 31-38).

Sorge pertanto inevitabilmente la domanda: quando San Paolo, nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi, tratta del «Katéchon», ossia di ciò che trattiene la manifestazione dell’iniquo, la manifestazione del «figlio della perdizione», aveva presente l’investitura di Pietro?

La risposta, tra gli studiosi, non è univoca. Secondo la compianta Marta Sordi, l’apostolo si riferiva molto più concretamente alla funzione moderatrice che Seneca, con cui Paolo era in rapporti di amicizia, esercitava sul suo giovane allievo Nerone. Altri, come Carl Schmitt ed il nostro direttore Blondet, pensano che San Paolo si riferisse all’Impero Romano inteso come forza, politica e giuridica, ordinatrice che trionfa sul caos.

Da parte nostra, propendiamo per una prospettiva più profetica e riteniamo che San Paolo, cosciente o meno della portata non immediata delle sue parole, adombrasse, appunto profeticamente, la funzione escatologica del Papato, che si sarebbe rivelata nel corso dei secoli con particolare intensità nell’attuale epoca della scristianizzazione globale.

Naturalmente questo non significa che, su altri livelli, non abbiano ragione anche Marta Sordi, Carl Schmitt e Maurizio Blondet. Infatti l’una e l’altra esegesi lungi dall’opporsi si giustappongono senza elidersi. San Paolo pensava, nell’immediato, anche al ruolo di Seneca e, nel medio tempo, a quello dell’Impero Romano, come riflesso di un più alto ordine civile, ma finiremmo per limitarne la portata profetica se non ne accogliessimo una lettura che rinvia anche ad una prospettiva escatologica.

Il Papato è fondato sul Sacerdozio Universale al modo di Melchisedek che la Chiesa rivendica a Cristo (Lettera agli Ebrei e Salmo 110-4: «Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek»). Quello al modo di Melchisedek è il Sacerdozio Regale (in Genesi  14,18-20, Melchisedek, re di Salem e Sacerdote dell’Altissimo, benedice Abramo offrendogli i segni del Pane e del Vino ottenendo, mediante il pagamento della decima da parte del patriarca, il riconoscimento della superiorità del suo Sacerdozio Regale) e la Chiesa, che ha istituito la festa di Cristo Re, proclama Cristo «Leone della Tribù di Giuda». Questa tribù, a differenza di quella levitica addetta al culto del sacrificio animale, ora abolito, del Tempio, era tribù regale. Gesù Cristo appartiene a questa tribù discendendo dalla dinastia del re Davide che, nell’economia del Vecchio Testamento, costituiva la prefigurazione tipica della Regalità Messianica Universale. Cristo è, messianicamente, Rex et Sacerdos.

La coscienza cristiana, del resto, è da sempre consapevole che intorno al Papato si gioca, in ogni epoca, una partita fondamentale nel Disegno di Salvezza, come dimostrano persino alcune «leggende» sul tipo delle note «profezie di Malachia» riguardo i Papi a venire.

Alcuni cenni di storia della Chiesa

Nel corso dei secoli, in effetti, il Papato ha costituito davvero quell’inviolato, ed inviolabile, Bastione che ha sorretto la Chiesa, permettendo ad Essa di superare indenne la nota legge storica del progressivo deperimento, fino alla scomparsa, di ogni forma di organizzazione puramente umana. Nessun regno, nessuno Stato, nessun aggregato umano, nessuna dinastia, neppure l’Impero Romano, persino quello che assunse nel medioevo forma cristiana, ha superato, come la Chiesa, i due millenni (due millenni che sono, poi, l’ultima parte, quella finale, di una ben più che bimillenaria storia, prima adamitica e poi abramitica). Nonostante ogni aggressione spirituale o materiale, ereticale o politica, la Chiesa ha trovato nel Papato quella salda Roccia, promessa da Cristo, contro la quale le onde fragorose delle tempeste si sono puntualmente infrante, benché in certi momenti sembrasse che la loro furia dovesse abbattere il Bastione.

Le chiese orientali ortodosse e quelle non calcedoniensi, pur conservando una base apostolica, hanno finito per restare soggette al potere statuale di turno, e spesso per rinchiudersi nella forma limitata della «chiesa nazionale autocefala», proprio perché mancanti di un riferimento sovranazionale come il Papato che ne garantisse l’indipendenza dal potere statuale ed al tempo stesso la conservazione integra del dogma. I protestanti, poi, hanno perso, meglio: rifiutato, persino la base apostolica ed il sacerdozio ministeriale.

Chi ne conosce anche solo un poco le antiche vicende sa bene che la burrascosa storia dei concili della Chiesa è contrassegnata da interventi inattesi ed umanamente imprevedibili. Interventi che, in una prospettiva di fede, si rivelano provvidenziali. Non si creda che la storia dei concili, anche quelli precedenti il Vaticano II, sia una storia lineare, rose e fiori, caratterizzata dal corale ed unanime consenso. Tutto il contrario! Molti tradizionalisti dovrebbero andare a rileggersi quella storia per comprendere che gli scossoni attuali non sono affatto una novità, quasi che l’assalto all’integrità della fede fosse una cosa che ha avuto inizio soltanto negli anni sessanta del XX secolo.

In ogni concilio, tuttavia, proprio quando sembravano prevalere le tendenze più eterodosse, l’intervento dello Spirito si è manifestato in modo imprevedibile e spesso, come si diceva, per diretto intervento del Papa o attraverso la sanzione papale delle decisioni non conformi al Depositum Fidei. Ecco perché un po’ alla volta finì per imporsi, all’interno della Cristianità, perlomeno quella latina, la regola aurea, ricordata anche da Agostino, secondo la quale «Roma locuta, causa finita». Non si trattava di arroganza giurisdizionale ma di evidenza provvidenziale e profetica della funzione essenziale del Papato nella conservazione del Depositum Fidei.

Molti esempi potrebbero farsi in proposito. Ne ricordiamo, per erudizione dei nostri lettori, solo qualcuno.

Ad Efeso, nel  431, i legati papali, giunti in ritardo, consentirono con il loro intervento di ribaltare l’andamento del Concilio, che i nestoriani, dopo una iniziale predominanza degli alessandrini, erano riusciti, con l’arrivo degli antiocheni, a volgere in senso favorevole alle loro tesi. L’intervento di Roma sancì come più conforme al Deposito della Fede la posizione di Cirillo Patriarca di Alessandria che, contro Nestorio, Patriarca di Costantinopoli, sosteneva la legittimità dell’antico uso di chiamare la Vergine Maria «Madre di Dio» invece che, come voleva il Patriarca di Costantinopoli, di formazione antiochena, solamente «Madre di Cristo». La questione non era solo mariologica ma coinvolgeva direttamente le basi stesse della cristologia, perché Nestorio, per via di una cristologia troppo unilateralmente preoccupata, contro certe tendenze monofisite ed eccessivamente allegorizzanti, di difendere l’Umanità di Cristo, finiva però per porre seri problemi al dogma della Divino-Umanità del Signore.

A Trento, nel XVI secolo, fu l’intervento del Papa, mediante i suoi diretti legati, ad imprimere ad uno stanco concilio, che in un certo momento sembrò persino cedere a certe tesi luterane, una svolta in favore della restaurazione del dogma cattolico.

Tra gli esempi si può ricordare, checché se ne voglia dire o pensare, anche l’intervento di Paolo VI, durante il Vaticano II, che mediante la cosiddetta «Nota praevia» (così chiamata sebbene fosse apposta in calce al documento conciliare) ribadì, a fronte della tendenza unilateralmente favorevole alla collegialità, che si stava manifestando in seno all’assise conciliare, il primato del Papa. Papa Montini, con quell’intervento, ricordò che il collegio è partecipe della giurisdizione e dell’infallibilità solo in unione con il Pontefice, mentre quest’ultimo rimane nella pienezza della sua autorità e del suo potere anche in assenza del collegio. Del resto, subito dopo il Concilio, fu proprio Paolo VI, su sollecitazione provvidenziale del cardinal Ottaviani, a ritirare la prima formulazione della preghiera eucaristica consacratoria imposta dal Bugnini, che praticamente trasformava il canone della Messa in una cena protestante, sincopando l’effetto transustanziale per ridurre tutto ad un mero memoriale, ed a imporre una riformulazione che conservasse l’essenza sacrificale del rito eucaristico (la liturgia post-conciliare però, va detto, nel suo insieme rimase, nonostante l’intervento papale, alquanto «annacquata»: da qui i molti successivi problemi, non tanto legati alla lingua usata quanto alla sminuita «verticalità» del rito in favore di un eccesso di «orizzontalità»).
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Certamente non tutti i Papi sono stati, umanamente, all’altezza del loro ruolo. San Filippo Neri soleva dire che Dio alcuni Papi li sceglie direttamente, altri li consente ed altri ancora li tollera, ma che mai a nessun Papa Egli permette di attentare alla Rivelazione ed al dogma.

Un Alessandro Borgia, ad esempio, fu un grande peccatore, un uomo incontenibilmente incline alla lussuria, che tuttavia dal punto di vista della conservazione della Fede viene giudicato, dagli storici, senza dubbio un buon Pontefice.

Alcuni tra i Papi hanno poi confuso l’essenza spirituale della funzione pontificia con gli immediati, ma transeunti, interessi politici della Santa Sede. Quei Papi devono essere certamente giudicati nel contesto dei loro tempi e tenendo presente che nella storia spesso ciò che è essenziale alla fede e ciò che è per essa solo transeunte, perché legato a date circostanze storiche, si presentano talmente intrecciati che solo il tempo contribuisce a districare l’uno e l’altro. Il Cristianesimo è religione storica che vive nella storia e questo non andrebbe mai dimenticato quando si giudicano gli uomini di Chiesa. Ora, chi si accosta allo studio serio della storia può con facilità constatare che l’aiuto del Cielo non è mai giunto quando si trattava della tutela di quegli interessi mondani, oltre lo stretto necessario imposto dalle concrete circostanze del tempo, mentre quell’aiuto è sempre puntualmente arrivato quando si trattava della saldezza spirituale della Roccia Petrina.

Così, ad esempio, i sogni teocratici dei Papi medioevali si sono dimostrati del tutto transeunti, perché erano legati ad una visione limitata, come era, di necessità, quella medioevale, che non ancora conosceva la vastità universale del mondo. In tal senso il sogno teocratico del Papato medioevale oltre che impossibile a realizzarsi, ed oltretutto non legittimo laddove andando oltre la giusta difesa della Libertas Ecclesiae tendeva ad assorbire nel Sacerdotium anche la sfera che Nostro Signore in Persona aveva riservato alla naturalità del Regnum, non avrebbe mai potuto costituire lo scenario nel quale, secondo la profezia di Nostro Signore, il Vangelo sarebbe stato annunciato in tutto il mondo (Marco 13-10; 16-15; 14-9; Matteo 24-14; 26-13).

I Papi del XVI secolo esitarono a convocare un Concilio nonostante la catastrofe luterana in atto. Fu l’imperatore Carlo V ad ottenere, dopo aver fallito con i suoi predecessori, da Papa Paolo III, Farnese, nel 1545 la convocazione di quello che poi fu il Tridentino e che si concluse dopo diciotto anni sotto Paolo IV e dal quale la Chiesa uscì, in faccia alle eresie nordiche, rinnovata, rinvigorita e ringiovanita. Papa Clemente VII, nonostante la profonda religiosità di Carlo, sovrano di una Spagna che considerava se stessa «la gonfaloniera de la Iglesias» e che andava fiera di essere un «pueblo di teólogos y de soldados», preoccupato di un’eventuale egemonia asburgica in Europa, e nell’Italia contesa tra Francia e Spagna, che avrebbe potuto porre serie difficoltà all’indipendenza dello Stato della Chiesa, era avverso alla politica di Carlo (che dal canto suo mai avrebbe pensato di usare il suo potere contro la Chiesa della quale si riteneva devotissimo figlio). E così, pur imperversando Lutero, Papa Clemente era estremamente diffidente delle sollecitazioni imperiali per un Concilio che, anche di questo l’Imperatore legittimamente si preoccupava, procurasse la pace religiosa all’interno dell’Impero ed in tutta Europa. Quel Pontefice concluse patti con l’antagonista di Carlo V ossia Francesco I, re di Francia, che a sua volta, pur di creare difficoltà alla Spagna asburgica, stringeva accordi segreti con la Sublime Porta di Istanbul. Miopia politicamente motivata quella di Clemente VII, che, tra l’altro, provocò il sacco di Roma, perpetrato dai lanzichenecchi tedeschi per lo più luterani. Un sacco che l’Imperatore, cattolicissimo, ed al quale la situazione sfuggì di mano tanto che appresa la notizia ne pianse, non avrebbe mai voluto. Una miopia cui, tuttavia, la provvidenza alla fine rimediò mediante Paolo III, un vecchio Pontefice, riformatore della vita curiale, più preoccupato della Chiesa che della politica italiana ed europea.

La convinzione dei massoni, dei liberali e dei giacobini settecenteschi, prima, e risorgimentali, dopo, per i quali la Chiesa era solo uno strumento umano di dominio illiberale, era quella per la quale tolto al Papato il potere temporale, l’intero edificio della Chiesa si sarebbe afflosciato su se stesso, scomparendo per sempre dalla storia. I fatti hanno ampiamente dimostrato, tra 1796 e 1870, che il Papato è rimasto in piedi, e con esso la Chiesa intera, anche senza il potere temporale.

Quel potere che già Pio IX definiva una «seccatura» ma al quale non poteva rinunciare per evitare (questa, e non la cupidigia, la vera ragione della difesa pontificia dello Stato della Chiesa) che il Papa diventasse mero cittadino, o ospite, di uno Stato, al pari di qualunque presidente di una qualsiasi associazione, e quindi di derivare il diritto all’esistenza giuridica dall’unilaterale volontà statuale, sempre volubile. La Legge delle Guarentigie, offerta dal neonato Stato italiano a Pio IX, fu respinta dal Papa, insieme alla somma di denaro che essa stanziava in suo favore, proprio perché si trattava di un atto unilaterale che per nulla poteva garantire l’indipendenza spirituale del Pontefice. Fu, poi, Mussolini, in questo davvero «l’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare» come affermò Papa Ratti, a sanare la ferità riconoscendo le giuste ragioni di Pio XI che chiedeva fosse restituito alla Santa Sede un fazzoletto di terra, «grande - sosteneva quel Papa - quanto la mia scrivania».

Dunque, al di là delle umane deficienze di coloro che di volta in volta rivestono la tiara e delle circostanze storiche nelle quali si trovano ad operare e che possono anche comportare, da parte dei Papi, errori di valutazione politica, il Papato rimane, nella storia, un unicum: inspiegabile senza ammettere un’assistenza più alta, più che umana.

Se quindi è così, se cioè il Katechon è, in prospettiva escatologica, il Papato, e, come si è visto, abbiamo molte buone ragioni per pensare che sia così, è evidente che le aggressioni contro la Chiesa sono soprattutto aggressioni contro il Papato.

Negli ultimi due secoli l’attacco al Papato non a caso si è intensificato prima in termini politici e poi in termini sottilmente dottrinari.

Pio VI fu deportato da Napoleone a morire esule e prigioniero in Francia. Il suo successore, Pio VII, fu anch’esso deportato dall’Imperatore dei Francesi per essere umiliato e costretto a presenziare all’auto-incoronazione del Bonaparte. Ciononostante, più tardi, dopo la fine del sogno bonapartista, Pio VII fu l’unico sovrano in Europa a dare rifugio, in Roma, alla moglie ed al figlio dell’imperatore «giacobino», respinti persino dalla corte viennese (l’imperatrice decaduta era un’Asburgo). Pio IX, il Papa dell’Immacolata Concezione e dell’Infallibilità, nonostante le sue iniziali aperture liberali, vide scatenarsi contro il Papato tutta la massoneria europea ed italiana. Leone XIII fu preso di mira persino in casa sua quando la cricca massonica insediatasi a Roma «festeggiava» il Venerdì Santo con pubbliche ed abbondanti libagioni di carne proprio sotto i balconi pontifici di piazza San Pietro. Pio X dovette affrontare l’insidia, ormai interna alla Chiesa, del modernismo e fu per questo la «bestia nera» dell’intellighenzia dell’epoca. Benedetto XV si trovò di fronte l’«inutile strage» del primo conflitto mondiale che vide la fine dell’ultimo residuo del Sacro Romano Impero, ossia l’Impero Asburgico, e la Finis Europae, con la comparsa sulla scena della storia dei nuovi totalitarismi di massa. Furono poi Pio XI e Pio XII a doversi confrontare tragicamente con quei totalitarismi. Venne poi l’illusoria stagione conciliare e post-conciliare subito seguita dalle disillusioni montiniane ed oggi dai tentativi di raddrizzamento messi in atto da Benedetto XVI.

Per ricordare quanto è finora accaduto nel Pontificato di Benedetto XVI

Nessuno può, dunque, negare che il Papato stia proprio ora, negli ultimi duecento anni, svelando, in modo mai così evidente nella sua precedente storia, la prospettiva escatologica della propria missione.

La vicenda terrena di Nostro Signore, come si è detto, è il modello sul quale l’intera storia della Chiesa, che è il Suo Corpo Mistico, si modella nel corso dei secoli.

Anche oggi. Quando sembra che alla domenica dell’ingresso messianico, tra gli osanna, del pontificato di Giovanni Paolo II stia seguendo il Venerdì di Passione del Pontificato di Benedetto XVI.

Si potrà avere qualsiasi riserva sul regnante Pontefice ma è innegabile che egli, da quando siede sul trono di Pietro, è oggetto di ogni sorta di aggressioni, mediaticamente amplificate.
Ricordiamo, a beneficio dei lettori, quanto è accaduto dall’inizio del Pontificato di Benedetto XVI.

Non senza richiamare la memoria al fatto che già da cardinale Joseph Ratzinger è stato il bersaglio di un pervicace odio sia intra che extra-ecclesiale, come sa molto bene Vittorio Messori, autore dell’intervista all’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, intervista nella quale Ratzinger fece letteralmente le pulci al progressismo post-conciliare ponendo fine alla «ricreazione». Messori, per quella intervista, ricevette persino anonime minacce riguardo alla sua incolumità fisica.

La fronda contro Benedetto XVI è iniziata sin da subito all’indomani dell’elezione. Ed è iniziata all’interno della compagine ecclesiale. Così mentre all’esterno l’opinione pubblica veniva letteralmente stordita con le amenità di Dan Brown, degli Augias/Pesce e delle presunte sensazionali scoperte del «vangelo di Giuda», i cannoni dell’intellighenzia teologica progressista hanno iniziato a tuonare, all’interno, in modo preventivo, paventando il fatto che il nuovo Papa avrebbe dato una raddrizzata al timone della Barca di Pietro nel tentativo di riportarla saldamente nell’alveo della Tradizione.
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Cosa che Benedetto XVI in effetti sta cercando di fare ma in modo intelligente ossia senza cedere agli isterismi ed agli integralismi d’accatto di certi settori del tradizionalismo. Questa è l’essenza della tanto vituperata «ermeneutica della continuità» che molti tradizionalisti, e persino molti valenti teologi non progressisti, stentano a comprendere. L’apertura al mondo tradizionalista, che in parte sembra aver gradito ed ha iniziato un percorso di confronto con Roma, un percorso certamente difficile ma ormai irreversibile, è stata immediatamente vista come un vulnus al Concilio, e la grancassa mediatica ha subito preso le parti dell’intellighenzia «teologicamente corretta» portando al di fuori della Chiesa l’allarme lanciato all’interno dai Kung, dagli Alberto Melloni, dai Vito Mancuso e dai cardinali Martini.

E non appena se n’è presentata l’occasione, con la revoca della scomunica ai vescovi lefreviani, il media sistem ha imbastito la trappola dell’intervista «negazionista» di Williamson, con tanto di crisi diplomatica con la Germania e scandalo del benpensantismo globale, costringendo il Pontefice ad intervenire con una lettera mediante la quale, senza affatto cedere al ricatto, ha reso esplicite le ragioni di una scelta che era stata fatta nel segno della continuità della Tradizione, oltre che della misericordia verso alcuni vescovi sinceramente devoti alla Roma cristiana, e per, appunto, ricordare ai soloni del post-concilio che la Chiesa non è nata con il Vaticano II.

Il cerchio delle alleanze contro il «Papa restauratore» si è poi saldato con il sopraggiungere, nella schiera antiratzingheriana, della immancabile componente ebraica. Il Motu Proprio, per la liberalizzazione della Liturgia Tradizionale, è stato l’evento che ha suscitato le ire dell’intellighenzia rinfocolata dalle urla delle prefiche sinagogali. Questo nonostante Benedetto XVI avesse ritoccato la liturgia tradizionale nella parte, già modificata da Pio XII e Giovanni XXIII, relativa al «perfidis judaei». Ma la comunità ebraica, svelando apertamente le proprie pretese, si lagnò comunque di una rettifica liturgica che supponeva sempre una preghiera, benché modificata, per la conversione degli ebrei. La sinagoga non voleva che si pregasse per la sua conversione: questo era il punto. Benedetto XVI non ha ceduto ed ha tirato dritto.

Come ha tirato dritto in materia etica, tenendo fermo su temi quali l’eutanasia e le coppie gay, anche in tal caso raccogliendo l’ostilità dell’intellighenzia sia intra che extra-ecclesiale.

Qui, però il Papa ha rischiato di trovarsi accanto alleati molto interessati ad usarlo per i propri progetti politici volti a costruire una religione civile a stelle e strisce. Parliamo, evidentemente, dei catto-cons, dei neocons, dei teocons, e degli «atei devoti» sul tipo dei Marcello Pera, delle Oriana Fallaci e dei Giuliano Ferrara. Benedetto XVI, è doveroso dirlo, ha contribuito, riteniamo involontariamente, a dare l’impressione di una «santa alleanza» catto-atea in salsa occidentale. Il discorso di Ratisbona, che voleva essere un discorso squisitamente teologico, senza alcuna polemica anti-islamica e che citava il Paleologo solo per supportare il magistero cristiano sull’armonia di Fides et Ratio, che è diventato uno dei leit motiv del Pontificato di Benedetto XVI, lasciò, incautamente, uno spazio aperto nel quale si infilarono i teocons per proclamare il Papa guida della crociata bushista anti-islamica. Benedetto XVI è un eccelso teologo e per questo a volte sconta alcune ingenuità sul piano mediatico. Egli parla da teologo senza troppo preoccuparsi del fatto che i media non recepiscono affatto il suo magistero teologico ma ne divulgano una parodia politica.

Ma anche i presunti alleati conservatori hanno ben presto dovuto ricredersi. In più di un suo discorso, Benedetto XVI ha messo il dito sulla piaga nichilista occidentale, di matrici protestanti, confutando così la tesi di coloro che, con Russel Kirk, credono che la Chiesa sia l’anima di quel corpo che sarebbe l’Occidente o che gli Stati Uniti siano il nuovo impero romano che la Chiesa dovrebbe battezzare come suo braccio secolare.

Con il suo viaggio in Terra Santa, il Papa ha fatto cadere le speranze di coloro che lo volevano a capo della crociata occidentale. Durante quel viaggio, sebbene con prudenza, Benedetto XVI non si è lasciato strumentalizzare dalla propaganda dei media americani ed occidentali che si aspettavano dure prese di posizione contro l’islam ed incondizionati appoggi allo Stato sionista. Disattendendo tutte le attese filo-occidentali, il Papa non ha né «scomunicato» il mondo islamico, con il quale, lungi dal porsi sulla scia dello scontro di civiltà auspicato da Huntington, ha, anzi, mostrato di voler confrontarsi nel rispetto e tuttavia senza arretramenti teologici in salsa ecumenica, né «benedetto» il sionismo israeliano, provocando il disappunto dei vertici ebraici che hanno lamentato il silenzio del Papa sulle, presunte, «complicità» della Chiesa con il nazismo.

La questione dell’accelerazione dell’iter di canonizzazione di Pio XII ha, poi, ulteriormente fatto urlare l’intellighenzia modernista, che in Papa Pacelli vede il simbolo della Chiesa pre-conciliare da essa ritenuta eliminata dalla neo-chiesa post-conciliare. Ancora una volta, sulla questione di Pio XII, le urla progressiste si sono unite a quelle della sinagoga, fino a mettere in forse la visita del Pontefice in quella di Roma.

Se, quando ha ricordato, nei suoi giusti contorni storici, l’opera di evangelizzazione dell’America Latina, Benedetto XVI è stato osteggiato da Chavez, d’altro canto, quando ha pubblicato la «Caritas in Veritatem», sconfessando l’iper-liberismo, l’ostilità gli è arrivata dalla destra repubblicana americana e dai teologi del mercato, Novak, Weigel e Neuhaus, che, strumentalmente cavalcando e falsificando le encicliche sociali di Papa Wojtila, andavano forte negli anni ‘90.

Il magistero ratzingheriano su Fede e Ragione, che va incontrando sempre più il plauso della comunità scientifica davvero degna di tale nome, ha provocato la reazione dei nostrani Odifreddi, Pievani, Veronesi e dei «baroncini» della facoltà di fisica de La Sapienza, tutti attardati e provinciali emuli dei Dawkins e dei Gould, che hanno inscenato, aiutati dai quattro imbecilli dell’area anarchica e dei centri sociali che seguono le loro lezioni, la contestazione in occasione dell’invito del Rettore di quell’università al Papa, per l’inaugurazione dell’anno accademico, impedendo ad un professore, perché in tale veste il Papa si sarebbe presentato, di fare una lectio magistralis, come è costume in ambito accademico.

Come ha ricordato, su questo stesso sito, il direttore Blondet, persino il paterno accoglimento degli anglicani che chiedevano di rientrare in comunione con Roma ha provocato ostilità a Benedetto XVI. Tuttavia, l’intero mondo cristiano sembra guardare più da vicino alla Roma di Ratzinger se è vero, che morto Alessio II, l’ortodossia ha riaperto alla Chiesa cattolica come attesta il colloquio, riservato, tra il patriarca di Costantinopoli e Benedetto XVI, avvenuto in occasione della visita del Papa in Turchia, che pare abbia avuto come tema le strategie per riavvicinare Costantinopoli a Roma, senza più chiedere a quest’ultima di deporre il primato.

Questo, sperando di non aver dimenticato nulla, è stato fino ad oggi il percorso di Papa Benedetto XVI. Un percorso che senza dubbio ha avuto anche i suoi momenti di, apparente ed umanamente comprensibile, tentennamento, e molti lettori potranno inutilmente affaticarsi nel ricordare questo o quell’episodio che sembra in controtendenza rispetto al quadro sopra delineato. Ma è innegabile che, quello descritto, è l’itinerario seguito dal regnante Pontefice, nonostante la furia delle onde tempestose scatenatesi contro di lui che, oggi, incarna il Katéchon, il Bastione Petrino.

Del resto, alla luce di quanto è poi accaduto, appaiono ora profetiche, e non di circostanza, le parole dell’appena eletto Benedetto XVI che dal balcone in piazza San Pietro invocò l’aiuto della Vergine Maria affinché egli non indietreggiasse di fronte ai lupi. Papa Ratzinger, molto addentro da anni nelle questioni che bollono nella pentola ecclesiale e conscio per questo dell’odio del mondo, sapeva fin da quel momento che avrebbe incontrato lupi dantescamente crudeli sulla sua strada da Pontefice.

La questione dei preti pedofili

Può dunque far meraviglia il fatto che il «mondo», quello che prima di ciascuno di noi cristiani, e dunque prima dello stesso Papa, ha odiato, ed odia, Cristo, abbia adesso deciso di passare all’attacco direttamente contro la persona di Joseph Ratzinger per screditare Benedetto XVI?

E’ esattamente quello che sta avvenendo con la questione dei «preti pedofili».

Ed anche qui sembrano ora davvero profetiche le parole che il cardinale Ratzinger pronunciò durante la Via Crucis nel 2005, ancora vivo Giovanni Paolo II, ed in procinto di succedergli. Tutti ricordiamo quella addolorata preghiera che confessava al Signore che nella Chiesa vi è troppa sporcizia.

Diciamo, però, subito, ad onor del vero, che quella della pedofilia ecclesiastica è una questione che è stata largamente gonfiata riesumando casi vecchi di decenni, relativamente ai quali spesso sia i responsabili che le vittime sono morti, per imporre attraverso i media, analogamente a come si è fatto a proposito del fondamentalismo islamico e dell’11 Settembre, uno stato, per usare le parole del sociologo Philip Jenkins, di «panico morale» e far passare l’equazione prete = pedofilo.
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Qui, sia ben chiaro, non discutiamo dei casi di effettiva pedofilia ecclesiastica, che pur vi sono ma in misura ampiamente minore a quella che i media tendono ad accreditare e che non sono certo superiori al numero statisticamente riscontrabile anche nel rabbinato, nel clero islamico, tra i monaci buddisti, tra i pastori protestanti (pur sposati) e nelle «illuminate» scuole laiche. Infatti si tratta di un peccato presente ovunque nel mondo e non certo da oggi. Pedofili, se è per questo, o almeno, e sia detto per i gongolanti neo-pagani, efebofili, erano persino noti personaggi del mondo antico come Alessandro Magno e Giulio Cesare. Né diciamo che tale peccato sia un fenomeno recente all’interno anche della Chiesa. Una delle competenze della tanto vituperata Santa Inquisizione, a dimostrazione della secolare inflessibilità della Chiesa in tema, era proprio quelle dei crimini sessuali, anche omosessuali o pedofili, del clero. Affermiamo, tuttavia, che sulla questione della pedofilia si sta impostando una campagna di denigrazione rivolta ad abbattere, moralmente, l’Autorità del Pontefice.

Le ultime esternazioni del New York Times, e ciò, al di là delle tendenze liberal di tale giornale, sia di monito per i cattolici infatuati dagli Stati Uniti, mirano a colpire e coinvolgere direttamente il Papa.

A proposito del cristallino comportamento della Santa Sede, e di Ratzinger quando presiedeva la Congregazione per la Dottrina della Fede, cui competevano certi casi, rimandiamo a quanto Avvenire e l’Osservatore Romano, nonché direttamente il cosiddetto Pubblico Ministero Vaticano, hanno ampiamente spiegato all’opinione pubblica circa le procedure penali canoniche, molto più severe (pur senza mancare di misericordia, sia nell’evitare la giustizia spettacolo sia nell’attenuare la pena dei responsabili in ormai avanzata età) di quelle civili. Se si vuole vedere chiaro in questa materia canonistica basta informarsi e leggere quanto si è pubblicato in merito in questi giorni. Si comprenderebbe così che il «Crimen sollecitationis» non era un modo per coprire i responsabili di reati di pedofilia ma, al contrario, un modo più efficace di perseguitarli canoisticamente, senza ledere le prerogative della giustizia civile.

Come si comprenderebbe che nel caso del prete pedofilo di Milwaukee, denunciato dal New York Times come caso di copertura ordita dal cardinal Ratzinger, è stato proprio il dicastero romano a suo tempo presieduto dall’attuale Papa a volerne fino in fondo la persecuzione canonica, salvo, vista ormai l’età avanzata di quel prete, evitargli, dopo la sanzione della clausura e della sospensione dal ministero pastorale, anche l’umiliazione della riduzione allo stato laicale, come in altri consimili episodi, riguardanti preti giovani, si fa inesorabilmente.

Anche il caso del prete pedofilo reintegrato nella diocesi di Monaco, all’epoca presieduta da Ratzinger, è stato artatamente gonfiato imputando all’attuale Papa decisioni indipendentemente prese da altri suoi collaboratori dell’epoca.

Si è poi risaputo che l’attacco a Benedetto XVI sul New York Times è stato organizzato da un avvocato d’assalto americano, Jeff Anderson, da anni impegnato nelle cause contro i preti pedofili americani (cause che hanno spillato molti soldi alle diocesi americane che, per evitare l’impatto mediatico, finivano per cedere al ricatto e per patteggiare anche senza preventivo accertamento della fondatezza e verità delle accuse mosse da avvocati come quello in questione che dirigeva i suoi assistiti, vere o false vittime che fossero). Costui ha fatto filtrare al New York Times alcuni documenti circa il caso poi esploso ma in modo che da tali documenti sembrasse confermata la tesi del coinvolgimento del Papa.

L’obiettivo dichiarato di tale Jeff Anderson è infatti quello di portare in tribunale direttamente la Santa Sede, e quindi il Papa, sulla base di una singolare tesi. Quella per la quale la Chiesa, e per Essa la Santa Sede, altro non sarebbe che un azienda operante sul territorio degli Stati Uniti e che, quindi, i preti responsabili di abusi altro non sarebbero che dipendenti dell’«azienda Chiesa», sicché dei loro crimini deve rispondere il loro datore di lavoro, ovvero la Chiesa, nelle persona del suo «amministratore delegato» ossia il Pontefice. Sembrerebbe una tesi risibile, che finora è stata respinta da molti tribunali americani che hanno obiettato essere la Santa Sede uno Stato riconosciuto internazionalmente e non una azienda. Eppure pare che due tribunali americani stanno per accettare la tesi di Anderson sul presupposto che ci sono precedenti di società statali estere che sono state incriminate per abusi ambientali.

Anche questo aspetto della vicenda offre l’opportunità di una seria riflessione.

Non è possibile meravigliarsi di tesi del genere dal momento che l’opinione pubblica occidentale ha ormai tranquillamente accettato l’ideologia liberista secondo la quale gli Stati, e quindi le rispettive pubbliche amministrazioni, altro non sarebbero che aziende che, come quelle private, dovrebbero puntare sempre e solo all’efficienza ed all’efficacia, in termini di costi/benefici equivalenti del profitto in ambito privato, anche quando gli Stati hanno, invece, a che fare con ben altri valori di tipo superiore, da quelli costituzionali a quelli sociali.

Non a caso oggi i cittadini nella stessa legislazione non sono più chiamati in tal modo: il termine che attualmente si è sostituito a quello di «cittadinanza» è quello di «utenza», nell’ottica dell’azienda pubblica erogatrice di servizi.

Se dunque, secondo la filosofia di Adam Smith, gli Stati altro non sono che aziende, in competizione sul mercato globale, perché mai lo Stato Santa Sede dovrebbe fare eccezione? Da qui la logica che muove l’avvocato Anderson.

Una logica, però, di desacralizzazione di ogni forma di autorità, non solo quella spirituale ma anche quella che si fondava sulla «sacralità politica» un tempo propria dello Stato o comunque della comunità politica. Una logica, sia detto con chiarezza, riduzionista e nichilista che affonda le sue radici nel soggettivismo e nell’individualismo liberale. Su questo dovrebbero riflettere sia i catto-cons, infatuati dell’Occidente americano-centrico, sia tutti coloro che, quotidianamente martellati dai media, inneggiano, con troppa acritica facilità, alle strategie di «privatizzazione» e di «aziendalizzazione» dello Stato e degli altri enti pubblici che, ormai, da circa venti anni stanno imperversando, e destrutturando, la pubblica amministrazione, sulla scorta di proclami dal sapore demagogico cui certi ministri, da ultimo Renato Brunetta, ci hanno abituato. I risultati però, finora, sono stati del tutto in controtendenza rispetto alle attese, sicché l’efficienza della pubblica amministrazione è, dopo venti anni, notevolmente peggiorata, nonostante tutte le riforme ed i proclami ministeriali di turno. Un chiaro caso di eterogenesi dei fini.

Carl Schmitt, del resto, quando ancora era cattolico, aveva ben compreso, ed egli scriveva agli inizi del secondo decennio del XX secolo, come la logica aziendalistica avrebbe finito per coinvolgere anche la Chiesa. In un suo giovanile e poco noto saggio, riscoperto tuttavia in tempi a noi più vicini dalla critica che ne ha segnalato l’estrema importanza, il «grande vecchio» della filosofia politico-giuridica del secolo scorso scriveva: «Il razionalismo economico… si pone semplicemente al servizio di qualsivoglia bisogno. Nell’economia moderna, ad una produzione estremamente razionalizzata corrisponde un consumo completamente irrazionale (…). Il razionalismo del pensiero economico si è abituato a fare i conti con bisogni certi e a vedere soltanto quello che può ‘soddisfare’. Nella metropoli moderna il pensiero economico si è costruito un edificio in cui tutto procede in base a calcoli (…). La Chiesa è per quel pensiero uno strano fenomeno, ma non più strano di altre cose ‘irrazionali’. Ci sono uomini che hanno bisogni religiosi: bene, si tratta di soddisfarli adeguatamente. La religiosità non sembra più irrazionale di parecchi capricci insensati della moda, che vengono pur assecondati. Quando finalmente le lampade perpetue di tutti gli altari cattolici saranno alimentate dalla stessa centrale elettrica che fornisce energia ai teatri e alle sale da ballo della città, allora il cattolicesimo sarà diventato una faccenda comprensibile e del tutto evidente anche alla sensibilità del pensiero economico» (1).

Tutto questo svela la misura «metafisica» della virulenza dell’attacco diretto contro Benedetto XVI. Che non sarebbe tale se Joseph Ratzinger fosse oggi solo l’ex capo della Congregazione della Dottrina della Fede ed un professore di teologia a riposo. Si vuol colpire, in Ratzinger, l’essenza stessa del Papato. Questo è chiaro ed innegabile. E deve farci fare alcune ulteriori riflessioni.

Una lettura provvidenzialista del Pontificato attuale nell’ottica del mistero escatologico del Papato

«Oportet scandala eveniant» ci ha avvertito in anticipo il Signore.

Circa le rivelazioni cosiddette private bisogna distinguere tra quelle sancite e quelle non sancite dalla competente autorità ecclesiale ed in relazione a ciascuna di esse bisogna sempre procedere con prudenza, né misconoscendo a priori né accettando acriticamente ma tutto vagliando munendosi di sensus fidei. Orbene molte di queste rivelazioni attribuiscono al Papato un ruolo essenziale nei tempi critici dell’apostasia globale, quasi che, come si diceva all’inizio di queste nostre considerazioni, l’investitura di Pietro sia stata effettuata, a suo tempo, soprattutto in vista dei futuri tempi dell’apostasia mondiale.

Vogliamo ricordare qualcuna di queste rivelazioni, sempre con l’avvertenza della cautela al fine di evitare fraintendimenti millenaristici o fondamentalismi integristici e settarismi di vario genere. Il millenarismo, ossia l’idea per la quale Cristo regnerà «in virga ferrea» per mille anni sulla terra come un re politico, lo sappiano i lettori, è ereticale e non cattolica.
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Santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), ad esempio, nel suo «Scivias» ha lasciato scritto che durante la grande apostasia futura sul trono di Pietro siederà un Papa che assumerà il nome di due apostoli di Gesù. Ora è un fatto ormai realizzato che con l’elezione, nel 1978, di Papa Luciani e di Papa Wojtila, il Pontefice ha assunto per sé un doppio nome apostolico.

Su diverse scelte di Giovanni Paolo II anche chi scrive non nasconde le proprie riserve e tra esse in particolare quelle relative alla riunione di Assisi, che l’allora cardinal Ratzinger pare non abbia gradito ed abbia cercato di contenere in limiti «tollerabili» che impedissero esiti sincretistici verso i quali spingevano certi settori ecclesiali, al «mea culpa» sulla storia della Chiesa perché, come scrissero al Papa persino noti storici anche non cattolici, mancava di equilibrio nel giudizio appunto storiografico, alla preghiera al Muro del Pianto di Gerusalemme ossia ai resti sconsacrati del Tempio antico laddove, invece, cristianamente il Vero Tempio è solo Nostro Signore Gesù Cristo Risorto.

Tuttavia, nella prospettiva escatologica che abbiamo fatto nostra in questo intervento, bisogna ricordare che, qualunque sia il giudizio che ciascuno può avere su di lui, Giovanni Paolo II sembra sia stato chiamato a realizzare una profezia di Cristo rivelata a santa Faustina Kowalska, suora e mistica polacca, vissuta nella prima metà del XX secolo, canonizzata proprio da Papa Wojtila. Si tratta di una profezia riguardante quella particolare forma di culto detta della «Divina Misericordia», celebrata con la festa introdotta durante il pontificato wojtiliano fissata liturgicamente alla Domenica in albis, ossia alla prima domenica dopo Pasqua, ed accompagnata da una novena consistente nella recita della «coroncina» da Cristo in Persona dettata alla Kowalska. Questa particolare forma di culto è stata chiesta da Cristo a suor Faustina proprio in vista del tempo della Misericordia Divina, che precede quello della Giustizia. Nelle rivelazioni a suor Faustina, Cristo ha definito questo culto una tra le ultime «tavole di salvezza» offerte all’umanità dalla Bontà di Dio ed ha indicato nella Polonia la patria di colui che avrebbe dato l’impulso definitivo a questa forma di culto, preparando il popolo cristiano per i tempi duri a venire.

Giovanni Paolo II è stato, in effetti, il Papa che ha sbloccato l’iter di canonizzazione di suor Faustina, che da decenni era fermo presso l’ex Sant’Uffizio, per via del timore che i colori bianco e rosso dei raggi che partono dal Cuore di Cristo nell’immagine di Gesù Misericordioso, che è essa stessa parte della rivelazione in questione e del culto ad essa connesso, sottendessero quelli della bandiera polacca. Timore infondato perché in realtà quei raggi simboleggiano il Sangue e l’Acqua che sgorgarono dal Cuore Trafitto dal Colpo di Lancia sul Golgota.

Sarà pure un caso ma Giovanni Paolo II è morto, nel 2005, proprio la sera del sabato precedente la Domenica in albis, festa della Divina Misericordia. E’ noto che liturgicamente le feste canoniche, come quella in questione, iniziano dal tramonto del giorno precedente, sicché Papa Wojtila è morto proprio nella ricorrenza della festa della Divina Misericordia.

San Giovanni Bosco, che come è noto aveva carismi soprannaturali, ha tracciato in anticipo di un secolo e mezzo per grandi linee il futuro della Chiesa. Un futuro che, oggi, è per in buona parte già passato. Sicché ne possiamo constatare l’incredibile precisione profetica. Ci stiamo riferendo a quello che è noto come il sogno profetico, detto «delle due colonne», che il santo torinese ebbe nel 1862, poco prima del Concilio Vaticano I.

E’ bene, al fine di far toccare ai lettori la concretezza storica poi realizzatasi di quanto profetizzato, riportare il contenuto del sogno di don Bosco come da lui medesimo confidato ad un amico che poi ne rese testimonianza pubblica:

«Figuratevi - disse - di essere con me sulla spiaggia del mare, o meglio sopra uno scoglio isolato, e di non vedere attorno a voi altro che mare. In tutta quella vasta superficie di acque si vede una moltitudine innumerevole di navi ordinate a battaglia, che avanzano contro una nave molto più grande e alta di tutte, tentando di urtarla col rostro, di incendiarla e di farle ogni guasto  possibile. A quella maestosa nave, fanno scorta molte navicelle, ma il vento è loro contrario e il mare agitato sembra favorire i nemici. In mezzo all’immensa distesa del mare si elevano dalle onde due robuste colonne, altissime, poco distanti l’una dall’altra. Sopra di una vi è la statua della Vergine Immacolata, ai cui piedi pende un largo cartello con questa iscrizione ‘Auxilium Christianorum’; sull’altra che è molto più alta e grossa, sta un’Ostia di grandezza proporzionata alla colonna, e sotto un altro cartello con le parole ‘Salus credentium’. Il comandante supremo della nave, che è il Romano Pontefice, vedendo il furore dei nemici e il mal partito nel quale si trovano i suoi fedeli, convoca intorno a sé i piloti delle navi secondarie per tener consiglio e decidere sul da farsi. Tutti i piloti salgono e si adunano intorno al Papa. Tengono consesso, ma infuriando sempre più la tempesta, sono rimandati a governare le proprie navi. Fattasi un po’ di bonaccia, il Papa raduna intorno a sé i piloti per la seconda volta, mentre la nave capitana segue il suo corso. Ma la burrasca ritorna spaventosa. Il Papa sta al timone e tutti i suoi sforzi sono diretti a portare la nave in mezzo a quelle due colonne, dalla sommità delle quali tutto intorno pendono molte ancore e grossi ganci attaccati a catene. Le navi nemiche tentano di assalirla e farla sommergere: le une con gli scritti, con i libri, con materie incendiarie, che cercano di gettare a bordo; le altre con i cannoni, con i fucili, con i rostri. Il combattimento si fa sempre più accanito; ma inutili riescono i loro sforzi: la grande nave procede sicura e franca nel suo cammino. Frattanto i cannoni degli assalitori scoppiano; i fucili e ogni altra arma si spezzano; molte navi si sconquassano e sprofondano nel mare. Allora i nemici, furibondi, prendono a combattere ad armi corte: con le mani, con i pugni e con le bestemmie. A un tratto il Papa, colpito gravemente, cade. Subito è soccorso, ma cade una seconda volta e muore. Un grido di vittoria e di gioia risuona tra i nemici; sulle loro navi si scorge un indicibile tripudio. Sennonché, appena morto il Papa, un altro Papa sottentra al suo posto. I piloti radunati lo hanno eletto così rapidamente che la notizia della morte del Papa giunge con la notizia dell’elezione del suo successore. Gli avversari cominciano a perdersi di coraggio. Il nuovo Papa, superando ogni ostacolo, guida la nave in mezzo alle due colonne, quindi con una catenella che pende dalla prora la lega ad un’ancora della colonna su cui sta l’Ostia, e con un’altra catenella che pende a poppa la lega dalla parte opposta ad un’altra ancora che pende dalla colonna su cui è collocata la Vergine Immacolata. Allora succede un gran rivolgimento: tutte le navi nemiche fuggono, si disperdono, si urtano, si fracassano a vicenda. Le une si affondano e cercano di affondare le altre, mentre le navi che hanno combattuto valorosamente col Papa, vengono anch’esse a legarsi alle due colonne. Nel mare ora regna una grande calma».

Qui è descritta, con ampio anticipo, la storia dell’ultimo secolo e mezzo. Una storia che non si è ancora chiusa. La grande nave, guidata dal Papa, è la Chiesa Universale e quelle piccole le Chiese locali guidate dai loro vescovi, i piloti. Il primo raduno sulla grande nave dei piloti intorno al Papa è il Concilio Vaticano I del 1870 (don Bosco ebbe il sogno profetico nel 1862 quando il Vaticano I non era neanche ipotizzabile), che fu sospeso e non terminato proprio perché i piemontesi occuparono Roma. Il secondo raduno, convocato in un momento di apparente bonaccia, è il Concilio Vaticano II, del 1960, al quale non segue la calma ma una burrasca ancora più forte ed un assalto spaventoso da parte delle navi nemiche, che oltre alla violenza, le armi da fuoco, usano «scritti e libri» ossia la «nuova teologia», il «fumo di Satana» penetrato nel Tempio di cui si lamentava Paolo VI. Il Papa che cade ferito ma non muore è una profezia dell’attentato a Giovanni Paolo II. Ma poi si parla di una seconda caduta, questa volta mortale, del Papa. Finora nessun Papa è morto per un attentato. Questa parte della profezia, quindi, deve ancora avverarsi. La morte del Papa sembra la fine della grande nave, ossia della Chiesa, ma inopinatamente i piloti riescono ad eleggere un ultimo Papa che riesce a portare in salvo la grande nave della Chiesa ancorandola all’Eucarestia, e quindi alla liturgia che ritroverà la sua forma tradizionale, ad alla Vergine Maria, la Donna vestita di sole dell’Apocalisse giovannea.

Questo sogno profetico va ad incastrarsi alla perfezione con la profezia di La Salette, che precede nel 1846 quella di Lourdes del 1858. Anche ai due veggenti di La Salette, Massimino e Melania (2), la Madonna parlò dell’imminenza della grande apostasia e del prossimo scatenamento delle forze anticristiane nonché di sciagure che, a causa dell’apostasia dei cristiani, si sarebbero abbattute su tutta l’umanità. Secondo la rivelazione di La Salette la Chiesa sarebbe stata messa duramente alla prova ed in particolare il Papa avrebbe dovuto molto soffrire. Si sarebbe giunti al punto di sparare al Papa che però, assistito dalla Sua Materna protezione, non sarebbe morto. Ecco le precise parole della Madonna: «Il Santo Padre soffrirà molto. Io sarò con lui fino alla fine per ricevere il suo sacrificio. I cattivi attenteranno più volte alla sua vita senza però nuocere ai suoi giorni; ma né lui né il suo successore vedranno il trionfo della Chiesa».

Anche qui è impressionante la coincidenza con quanto è poi avvenuto. Vi è stato, infatti, un Papa che ha subito più di un attentato, uno più noto il 13 maggio 1981 ed un altro meno noto il 13 maggio 1982 (il 13 maggio è la ricorrenza delle apparizioni di Fatima). Si tratta, per l’appunto, di Giovanni Paolo II. Ed in effetti il Papa in quelle due occasioni, pur ferito, non è morto. E’ noto che l’esito non mortale del primo attentato, quello del 1981, come hanno riconosciuto i chirurghi che immediatamente operarono Wojtila, ha del miracoloso per il modo in cui la pallottola, zigzagando contro ogni legge fisica, non ha leso, nonostante la traiettoria impressale, organi mortali.
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Questa rivelazione di La Salette fa chiarezza su un fatto evidente ossia che la visione del cosiddetto terzo segreto di Fatima, quella nella quale il Papa invece muore in uno scenario apocalittico per l’umanità, non può riferirsi a Giovanni Paolo II né all’attentato che egli subì nel 1981. Quest’ultimo è stato profetizzato a La Salette e non a Fatima. L’interpretazione ufficiale data del cosiddetto terzo segreto, e che vorrebbe l’intera vicenda portoghese in quanto riferita al XX secolo ormai alle nostre spalle, non regge, a rigor di logica, di fronte all’evidenza del diverso esito dell’attentato a Papa Wojtila rispetto alla visione dei veggenti di Fatima. Sicché non può essere facilmente liquidata come peregrina la tesi che vuole che gli eventi del terzo segreto siano ancora davanti a noi (3).

Come davanti a noi e di là dal venire è il Papa che, nel sogno di don Bosco, salverà la Barca di Pietro legandola fermamente all’Eucarestia ed alla Vergine Maria. Si noti che, stando alla profezia in questione, questo Papa venturo arriverà dopo altri due dei quali uno cadrà ferito per essere soccorso e rialzarsi, mentre un altro cadrà per morire.

Se, dunque, Giovanni Paolo II corrisponde al Papa che cade ferito ma non muore, del suo successore, Benedetto XVI, è stato detto, dalla Madonna a La Salette, che, come il predecessore, non vedrà il trionfo finale della Chiesa, ossia l’adempimento della promessa poi dalla stessa Vergine Maria confermata a Fatima: «Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà».

Stando così le cose, Benedetto XVI non è il Papa restauratore ma senza dubbio si è posto nella tendenza storico-profetica che porterà al venturo Papa sotto il cui pontificato si adempirà la promessa di Fatima.

La presenza protettrice di Maria nella storia recente

Il proliferare delle apparizioni mariane, negli ultimi due secoli, con particolare intensificazione nei recenti decenni nei quali esse sono segnalate in molte parti del mondo, dalle più note e controverse alle meno note ma altrettanto significative, sembrano, del resto, rendere concretamente storica la visione giovannea della Donna vestita di sole chiamata a chiudere il ciclo iniziato all’alba dei tempi con la promessa di Colei la cui stirpe avrebbe schiacciato la testa alla Serpe antica. Questo proliferare di apparizioni confermano anche la profezia che nel XVIII secolo, incipiente l’illuminismo, San Luigi Maria Grignon de Montfort formulò a proposito della protettrice presenza della Madonna nei secoli futuri a svelare l’escatologico «segreto di Maria». Negli ultimi due secoli infatti la presenza mariana si è snodata lungo un vero e proprio percorso profetico del quale le tappe più note, ma solo quelle più note, sono Rue du Bac, La Salette, Lourdes, Fatima. Ma in realtà le apparizioni di Maria, negli ultimi duecento anni, sono molte di più.

Non solo a Fatima ma in molte altre apparizioni si è assistito al fenomeno del roteare del sole. Per altre, oltre al fenomeno solare, sono attestate scritte, di pace, luminose nel cielo notturno ed intorno alla luna. Si tratta di un segno evangelico: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle» (Luca 21,25).

Non a caso su questa fenomenologia, proprio perché di richiamo evangelico, si sono recentemente diretti gli strali scientisti di un ex seminaristi come Piergiorgio Odifreddi e di personaggi come Marco Corvaglia. Non potendo più sostenere la tesi dell’allucinazione collettiva, perché la scienza ha oggi dimostrato che le allucinazioni possono essere solo individuali, la tesi ora avanzata da costoro è quella per la quale la fenomenologia solare in questione rientrerebbe nel novero di fenomeni di «espansione» della luminosità solare del tutto naturali ed ampiamente attestati nella letteratura scientifica.

La tesi di questi saccenti della domenica non rende però ragione del perché mai quelli relativi a Fatima et similia sono fenomeni sempre stranamente connessi alle apparizioni mariane e del perché, a differenza dell’espansione naturale di luminosità solare, si tratta di fenomeni osservabili ad occhio nudo in quanto il sole, in quelle occasioni, si rende visibile senza danni alla vista. Nel caso portoghese tra l’altro il fenomeno del sole era stato annunciato e promesso mesi prima dalla Madonna sicché non si capisce, secondo la tesi odifreddiana, come avrebbero potuto dei poveri ed ignoranti pastorelli conoscere in anticipo la data e l’ora esatta di un eventuale fenomeno naturale che neanche gli astronomi sanno prevedere ed osservare ad occhi nudi.

Se si fosse trattato di un fenomeno naturale l’osservatorio astronomico di Lisbona lo avrebbe segnalato ed invece, come riportato dalla stampa il giorno dopo, il suo direttore, appositamente interpellato dai giornalisti, dichiarò che nessun fenomeno solare era stato registrato dai potenti telescopi e dalle altre macchine del centro astronomico della capitale. Il fenomeno, non registrato dai telescopi, fu al contrario osservato dalla gente anche in luoghi lontani chilometri dal piccolo villaggio portoghese.

Inoltre a Fatima, ma anche in altre apparizioni, il sole non ha semplicemente roteato su sé stesso ma ha addirittura danzato nel cielo per lo spavento della gente che assisteva, la quale, ad un certo punto, ha visto l’astro «cadere» su di essa (dopo lo spavento gli astanti si resero conto che gli abiti inzuppati dalla pioggia, che abbondante aveva preceduto il fenomeno, erano del tutto asciutti).

Non si spiegano invero, con la tesi naturalistica degli Odifreddi e dei Corvaglia, i repentini e radicali cambiamenti di colore nel sole come non si spiegano gli altri fenomeni, altrove attestati, relativi al cielo notturno ed alla luna. Solo una cieca e faziosa prevenzione, per niente razionale e scientifica, può chiudere l’intelligenza all’evidenza del soprannaturale quando esso si rende concretamente «toccabile» come nei casi in questione.

Qualunque cosa si voglia pensare del caso Medjugorie (chi scrive è sulle stesse posizioni attendiste della Chiesa e, in base ad esse, non si dichiara a priori «negazionista», ben rammentando come nella storia della Chiesa spesso i disegni divini, se tali sono, si svelano per tali solo con il passare del tempo, e tuttavia non esita a dichiarare tutto il proprio fastidio per il clima «millenaristico» che certi ambienti, come quelli facenti capo a padre Livio Fanzaga, per influsso di note congreghe catto-cons, hanno creato intorno al caso in questione, tra l’altro danneggiandone la reputazione, anche di recente, durante la presidenza Bush, piegandolo ad una lettura huntingtoniana dove le figure apocalittiche della «Donna» e del «drago» sono illegittimamente e, più o meno, implicitamente identificate, rispettivamente, con l’occidente, aggredito dal terrorismo, e con il «satanico» mondo islamico) vi è agli inizi della vicenda un episodio particolare che fa riflettere perché chiama in ballo un altro episodio, lontano nel tempo e che riguarda una profezia «leonina».

Nella relazione che l’allora parroco, francescano, della parrocchia all’epoca jugoslava, fece in Vaticano il 2 dicembre 1983 si afferma che la Madonna avrebbe, il condizionale è d’obbligo, rivelato ai veggenti che, per permissione divina, Satana, da circa un secolo con particolare virulenza, sta mettendo la Chiesa alla prova nel tentativo di distruggerla. Dio stesso avrebbe, però, ammonito l’Avversario che non riuscirà nel suo intento. La logica sottesa alla permissione divina concessa a Satana sarebbe quella della prova di fedeltà cui la Chiesa deve essere sottoposta per «risorgere» più forte di prima.

Alcuni mariologi di fama, come René Laurentin, hanno ricollegato questa rivelazione ad un poco noto episodio del pontificato di Leone XIII. Un giorno del 1886, mentre assisteva ad una Messa, Papa Leone XIII d’improvviso drizzò la testa per fissare intensamente qualcosa che evidentemente gli appariva sopra il capo del sacerdote celebrante: una visione, qualunque fosse, che lo terrorizzava. Riavutosi, il Pontefice si alzò bruscamente e allontanando tutti i presenti, preoccupati dal suo evidente turbamento, si chiuse nello studio e ne uscì mezz’ora dopo con un foglio che ordinò fosse copiato e diramato a tutti i vescovi del mondo: si trattava del testo della preghiera a San Michele Arcangelo, che fu recitata dai celebranti alla fine di ogni Messa fino a quando la riforma liturgica post-conciliare non travolse anche tale preghiera. Secondo il cardinale G.B. Nasalli Rocca, il Pontefice gli avrebbe confidato d’aver visto, quel giorno, gli spiriti infernali che si addensavano in Roma per cercare di abbattere «ciò che trattiene» l’aperta irruzione del mysterium iniquitatis (4).

Le debolezze dei cristiani e la santità immacolata della Chiesa

Se anche gli avvenimenti della cronaca quotidiana, come quella relativa al tam tam mediatico sui preti pedofili, venissero letti senza dimenticare la prospettiva escatologica, ma senza cedere ad isterici millenarismi, tra l’altro ereticali, molte cose ci apparirebbero chiare senza falsi scandalismi e ipocriti moralismi. Non ci si scandalizzerebbe di fronte alle campagne di stampa orchestrate nel vano tentativo di abbattere il Katéchon.

Non dovremmo, infatti, mai dimenticare che l’Avversario è sempre all’opera. Egli è l’Avversario di Dio sin da quando gli fu chiesto di adorare il Verbo Incarnato che venne mostrato agli angeli viatori per provarli. Lucifero rimase scandalizzato dall’umiltà di Dio che per Amore voleva, Lui l’Infinito e l’Onnipotente, assumere la «carne» di una creatura finita e debole come l’uomo. Nel suo orgoglio Lucifero si ritenne talmente superiore all’uomo da schifarne la carnalità fino a ritenerla immonda e in sé intrinsecamente ed ontologicamente peccaminosa, dimenticando che nulla di quanto esiste è male, per il semplice fatto che tutto quanto esiste è opera di Dio. Ecco perché per dimostrare l’ontologica malvagità della natura materiale, carnale, di cui sono fatti il mondo e l’uomo, egli doveva portare quest’ultimo al peccato, al ripudio dell’Alleanza con Dio Creatore, e far entrare nel mondo il male e la morte. Ma nonostante questo, Dio non ha rinunciato al Suo Disegno di incarnarsi che, ora, a causa del peccato, diventava anche mezzo salvifico per l’uomo caduto nella trappola dell’Angelo ribelle. E, tuttavia, da quel momento Lucifero fa leva proprio sulla debolezza umana, sulla natura ferita dell’uomo, per condurlo al peccato e poi «denunciarlo» come tale, agli occhi del mondo ed a quelli di Dio. Ma se il mondo non conosce misericordia per il peccatore, Dio e la Sua Chiesa distinguono tra il peccatore cui usare misericordia ed il peccato da odiare ed estirpare. 
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Questo ci porta ad un’ultima riflessione circa la debolezza dei cristiani e degli stessi uomini di Chiesa, esposti al peccato come tutti gli altri e come tutti gli altri bisognosi della Divina Misericordia.

Il cardinale Giacomo Biffi in una sua nota catechesi ebbe, anni fa, modo di spiegare il vero senso dell’incompresa espressione patristica sulla Chiesa come «Casta meretrix». Un’espressione che viene solitamente intesa come se volesse affermare che la Chiesa è ad un tempo santa e peccatrice. In realtà, spiegava il cardinale, nell’uso che i Padri della Chiesa facevano di questa espressione non era affatto adombrato il significato per cui la Chiesa è anche peccatrice. La Chiesa, nella Sua Divina Essenza, ricordava Biffi, non è affatto peccatrice, perché Essa è il Corpo Mistico di Cristo e Cristo ha assunto la natura umana in tutto fuorché nel peccato. Cristo, nella Sua Santa Umanità, è Immacolato come Sua Madre. Peccatori invece possono essere i battezzati, i cristiani ed anche i sacerdoti ed i consacrati, che però quando peccano «non sono» la Chiesa, «non esprimono» la Chiesa, ma, al contrario, nel peccato se ne separano preferendo sé stessi all’Amore di Dio ed alla Verità.

Ed allora come si spiega l’epiteto di «meretrix»? Semplicemente, ricordava Biffi, con il fatto che i Padri usando quell’espressione intendevano dire che la Chiesa, che rimane sempre santa nella sua essenza divina, è per missione tenuta ad accompagnarsi, appunto come le meretrici, a tutti gli uomini, chiunque essi siano, civili o barbari, giusti o peccatori, dotti o ignoranti, forti o deboli, ricchi o poveri, senza fare distinzioni. In tal senso, dicevano i Padri, la Chiesa è tenuta a comportarsi come una meretrice, e non disdegnare il contatto con nessuno, ma ciononostante, per divina promessa, rimane, nella sua essenza, sempre santa.

Questa verità è stata ampiamente compresa dai santi nel corso dei secoli ma non dagli eretici e dai detrattori del Cristianesimo sempre pronti ad utilizzare strumentalmente le debolezze umane dei cristiani ed in particolare della Gerarchia.

E’ una storia antica questa del «mistero» della persistenza del peccato anche tra i battezzati.

Di fronte allo scisma donatista ed alle conseguenti violenze intra-cristiane, Agostino capì che la salvezza della Chiesa non riposa sulla santità dei suoi vescovi, ma sulla santità di Gesù Cristo, il Vero Sacerdote. Agostino non voleva certo invitare al lassismo o al chiudersi gli occhi di fronte alla corruzione dei consacrati, ed anzi si preoccupava affinché i sacerdoti fossero di costumi integri. Tuttavia egli sapeva che non è la irreprensibilità del sacerdote a santificare ma Cristo che è santo ed i sacramenti, che sono opera di Cristo e non del sacerdote: ex operae operato.

Lo scisma donatista aveva messo Agostino di fronte al fatto che i cristiani si abbandonavano alle reciproche violenze passando da un’obbedienza all’altra con estrema facilità e per motivi tutt’altro che nobili. In ogni città si ergeva altare contro altare. Da qui Agostino dedusse che è la Grazia a rendere cristiani perché essa trasforma il cuore degli uomini, risanandolo. Non dunque il potere, compreso quello ecclesiale. Tuttavia Agostino sapeva bene anche che, nonostante ogni contraria apparenza causata dal peccato degli uomini, il luogo di quella Grazia, che si comunica solo sacramentalmente, è la Chiesa visibile. La quale non coincide del tutto perfettamente con la Chiesa escatologica, quella futura della fine dei tempi, ma è di Essa la necessaria, perché voluta dal Suo Fondatore, modalità nell’attuale tempo storico. Proprio per questo, per essere nel mondo anche se non del mondo, Essa rimane spesso vittima dei limiti umani dei suoi figli come anche dei peccati dei cristiani, persino degli ecclesiastici.

Francesco aveva capito perfettamente tutto questo quando invece di aizzare le folle contro i preti concubinari baciava loro le mani che consacravano il pane ed il vino trasformandoli in Corpo e Sangue di Cristo. Come lo hanno capito, lungo i secoli, tutti i santi che sono stati i primi fustigatori dei peccati dei cristiani ma senza, per questo, «demolire» la Chiesa che amavano profondamente nel suo mistero.

Non capì, invece, Lutero che, radicalizzando la posizione di Agostino, imprigionato dalla sua rabbia e pur facendo propria la giusta protesta contro i costumi mondani degli ecclesiastici, pervenne al rinnegamento della Chiesa visibile e quindi dei sacramenti ovvero della possibilità stessa di comunicare con il Cuore di Cristo (perché l’Eucarestia è proprio questo: reale unione mistica, mediante il Pane consacrato, del Cuore di Cristo con il nostro cuore e se il nostro cuore non ne resta sufficientemente trasformato è solo per colpa nostra che opponiamo il nostro orgoglio e le nostre chiusure; sicché comunicarsi in stato di peccato significa respingere il Suo Amore).

Sì, certo è un mistero d’iniquità questo persistere del peccato tra i cristiani e, sovente, dei cristiani verso gli altri. Ma vi è anche l’altro Mistero, quello della Presenza di Cristo tra i cristiani, ossia nella Chiesa sempre aperta verso i non cristiani. Sarebbe molto interessante se qualcuno che ne abbia le competenze ed il tempo scrivesse un’opera di ricostruzione storica della santità. Una storia della santità e della carità, ossia del rivelarsi di Cristo nella storia degli uomini ed in quella della Chiesa. Ma un’opera del genere sarebbe inevitabilmente incompleta nel senso che per comprendere quel Mistero d’Amore sarebbe necessario indagare in interiore homine ossia nel luogo segreto del cuore umano dove Dio alberga ed opera. E certe cose solo Dio le conosce e può vederle. Non gli storici. Chissà quante storie ignote, agli storici ed ai libri di storia, si svelerebbero se ci fosse possibile indagare nel segreto del cuore. Probabilmente potremmo conoscerle solo quando saremo nella Luce del Signore o, forse, solo nel Giorno del Giudizio, quando tutta la storia, come accade nel giudizio particolare del post-mortem per la vita vissuta da ciascuno, scorrerà davanti ai nostri occhi contestualmente svelando tutti i suoi recessi, anche i più intimi. In quel Giorno, quello del giudizio particolare e quello del giudizio universale, nessuno, neanche i cristiani peccatori, neanche i preti pedofili, potrà barare nell’assumersi le proprie responsabilità. E forse se i preti tornassero un po’ di più a ripensare a queste verità di fede, oltre che a predicarle, cercherebbero di ostacolare le proprie umane debolezze.

Con l’aiuto di Dio ossia intensificando la preghiera, troppo spesso da essi, e da molti, troppi, cristiani laici, oggi abbandonata.

Luigi Copertino




1) Confronta Carl Schmitt «Cattolicesimo romano e forma politica - la visibilità della Chiesa. Una riflessione scolastica», a cura di Carlo Galli, Giuffré, Milano, 1986, pagine 43-44. Il saggio in questione si apre con una constatazione che Schmitt pone ad incipit della sua riflessione sulla strumentalità parodistica della Trascendenza nel moderno pensiero giuridico, politico e tecnico, che ha presieduto alla nascita dello Stato moderno: «C’è un sentimento antiromano. Di esso si nutre quella lotta contro il papismo, il gesuitismo ed il clericalismo che àgita alcuni secoli di storia europea, con un gigantesco spiegamento di energie religiose e politiche». E’ notevole, poi, come il curatore dell’opera in questione spiega, sulla scorta dei contenuti della medesima, i motivi di tale odio antiromano ossia anticattolico: «… la concretezza spazio-temporale della Chiesa è opposta all’utopica progettualità della modernità (…). La Chiesa… è il segno di una ‘superiorità’ sulla semplificazione moderna, di una complessità irriducibile che si esprime nella coesistenza di forma e decisione, di rappresentanza e di presenza, di concretezza personale e trasfigurazione gloriosa (…). Nella Chiesa il trascendente è presente, e non… rappresentato come assente: la Chiesa, cioè, nella propria visibilità (è) realmente il corpo di Cristo… ciò che conta  è… nella Chiesa la Persona trascendente di Cristo (…). Ciò spiega anche la contrapposizione… fra l’unità complessa della Chiesa e l’unità scissa della modernità, fra ‘complexio’ e sintesi dialettica (ovvero dialogo liberale): infatti, la forza per attuare la ‘complexio’, per far coesistere forma e decisione, è data alla Chiesa da un ‘contenuto’ personale e concreto… cioè da Cristo stesso, la cui nascita e la cui morte, come eventi singolari ed irripetibili, non solo spezzano la ciclicità pagana…, ma interrompono anche, ove correttamente intesi in tutta la loro portata, la fuga ‘progettuale’ del tempo politico moderno. La ‘superiorità’ della Chiesa è così trascendenza e concretezza insieme, eccedenza e realismo ovvero  … ‘forma sostanziale’: proprio perché in Cristo conosce un ‘Herr’ personale, la Chiesa non esperisce le contraddizioni che caratterizzano la ‘Herrschaft’, la moderna impresa di dominio sulla natura e sull’uomo stesso; la Chiesa non ha bisogno, cioè, di separare materia e forma, apparenza ed essenza, mezzo e fine: il suo… è essenzialmente realismo, rispetto della realtà… : titolare della vera pubblicità - fondata sulla maestà della Persona, sul suo valore a un tempo concreto e trasfigurata - la Chiesa non entra nella dicotomia di pubblico e privato… così come, assumendo l’uomo nella sua integrale concretezza, non ha bisogno di decidersi per un’antropologia positiva o negativa» (C. Galli «Presentazione» a C. Schmitt opera citata pagine 12-15). Tutto questo perché, per dirla sempre con il curatore dell’opera schmittiana: «… il paradosso radicale della modernità (è) che… il Moderno, nella sua carenza di forma…, nella sua logica individualistica e strumentale, nel suo scivolare dal giuridico all’economico al tecnico, è sì immanenza, tendenza entropica, ma proprio per questo non è liquidazione del conflitto, (ben)sì il momento in cui questo si ‘libera’ da ogni ordine ed appare, in forma semplificata e potentissima, a determinare, e a destabilizzare, ogni ‘artificio’ politico» (C. Galli opera citata, pagina 10).
2) Come forse è noto ad alcuni, la storia dei due veggenti di La Salette è stata una storia controversa. La Chiesa ha riconosciuto ufficialmente le apparizioni ed il messaggio della Madonna ma le gerarchie del tempo infastidite dai toni un po’ troppo accesi di Melania e Massimino a proposito del malcostume ecclesiastico finirono per abbandonare i ragazzi lasciandoli senza appropriate cure pastorali. Essi finirono così irretiti da alcuni gruppi reazionari filo-monarchici propugnatori di un acceso millenarismo di stampo politico-apocalittico che interpretava la fine della monarchia francese come un tremendo evento escatologico e si faceva banditore dell’attesa di un re che avrebbe reinnalzato contro la Repubblica il trono ed il giglio di Francia. Lo scrittore gioachimita e monarchico Leon Bloy, che sarà uno dei preferiti dal giovane militante dell’Action Franςaise Jacques Maritain e da sua moglie Raissa, faceva parte di tali gruppi millenaristici ed utilizzò il messaggio di La Salette distorcendolo in senso teologico-politico. Dal momento che la Vergine, a differenza di certi prelati, non abbandona mai i suoi figli, e quindi neanche quelli tra essi da Lei scelti come suoi ambasciatori, Melania e Massimino furono salvati dal perdersi nel settarismo ereticale dall’intervento di padre Annibale di Francia, un canonizzato italiano meridionale, grande apostolo dei poveri, che prese sotto la sua protezione, e la sua cura pastorale, i due ragazzi, i quali in tal modo tornarono all’ortodossia piena.
3) Per tutto quel che riguarda La Salette e Fatima in rapporto all’attentato a Giovanni Paolo II rimandiamo ad Antonio Socci, «Il quarto segreto di Fatima», Rizzoli, Milano, 1996, pagine  62-71, dove è possibile trovare anche la relazione del sogno di don Bosco.
4) Il testo della preghiera composta da Papa Leone XIII è il seguente: «San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia. Sii tu il nostro sostegno contro le perfidie e le insidie del demonio. Dio eserciti il suo dominio su di lui, supplici ti preghiamo! E tu, Principe della Milizia Celeste, con la potenza divina ricaccia nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano nel mondo per la rovina delle anime. Amen». Il Pontefice con questa preghiera chiamava in causa direttamente colui che al «non serviam» luciferino oppose il suo «Chi è come Dio?!» traduzione dall’ebraico «Mi-Cha-El». L’eliminazione di questa preghiera dal canone della Messa è un fatto molto significativo della confusione oggi ingeneratasi nel Tempio «affumicato».
         

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