17 Aprile 2010
Una risposta al lettore Pirraki, che scrive:
Adolf von Harnack
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Il Papa e Neusner
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Il tema è adombrato nel passo più enigmatico del Genesi (14): Abramo, capostipite dell’ebraismo e delle religioni monoteistiche, incontra Melchisedek.
«17 Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaomer e dei re che erano con lui, il re di Sòdoma gli uscì incontro nella Valle di Save, cioè la Valle del re. 18 Intanto Melchisedek, re di Salem, fece portare pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo 19 e benedisse Abram con queste parole:
‘Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,
creatore del cielo e della terra,
20 e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici’.
Abram gli diede la decima di tutto ciò che aveva preso».
Questo misterioso personaggio compare di punto in bianco, e quasi fuori contesto, in mezzo a una scena di tensione bellica e di fretta; offre pane e vino e non certo ad Abramo, ma al Dio Altissimo di cui è sacerdote (la Chiesa vi vede da sempre una prefigurazione dell’Eucarestia); e Abramo, che ha appena sconfitto in guerra dei re locali, si sottomette a lui senza combattere, e gli dà la decima parte del suo bottino. Cioè si dichiara suo subordinato, e con ciò – lui che è devoto al Dio che chiama Shaddai, l’Onnipotente – subordinato all’Altissimo, El Elion.
Chi è questo Melchisedek lo spiega San Paolo, che è – non dimentichiamolo – uno studente del grande rabbino Gamaliele, dunque esperto dei significati nascosti delle Scritture. Melchisedek, significa, spiega nella Lettera agli Ebrei (7, 1-3) «Re di Giustizia». In quanto al re di Salem, significa «Re di Pace» (e non di Gerusalemme, che non esisteva ancora). Dunque il personaggio è Re di Pace e di Giustizia, che è la definizione stessa del sovrano universale mitico (o più precisamente archetipico), il re-sacerdote che esercita il Rigore (la giustizia del giudice supremo nell’ultimo giudizio) (1) e insieme la Clemenza e la Misericordia (la pace che spetta sulla terra «agli uomini di buona volontà»).
Paolo spiega molto chiaramente che qui non si sta parlando di un reuccio locale. Melchisedek è «senza padre, senza madre, senza genealogia, la cui vita non ha principio nè fine, ma che in tal modo è reso simile al Figlio di Dio; questo Melchisedk rimane sacerdote in eterno» (Ebrei, VII, 1-3).
Paolo dichiara che il sacerdozio dei Leviti ebrei è subordinato al sacerdozio secondo Melchisedk: «Levi stesso, che prende le decime (dal popolo ebraico) le ha pagate per così dire» per mezzo di Abramo, perchè «Levi era nei lombi di Abramo» quando il Re di Pace e Giustizia si fece incontro ad Abramo (VII, 9-10). E insiste: «Qui (nel sacerdozio levitico) sono uomini mortali che prendono le decime; ma là è un uomo di cui è attestato che è vivente» (VII, 8).
Attestato da chi? L’affermazione è sorprendente. Sorprendente come la risposta di Gesù ai sadducei che non credevano all’immortalità: «Non avete letto nel libro di Mosè (...) come Dio gli disse: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe?», e dopo aver elencato questi patriarchi tutti regolarmente defunti, conclude: «dunque, Egli non è Dio dei morti, ma dei viventi».
Ex opere operato
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1) Michele, che sta in eterno in faccia a Dio, è spesso rappresentato con la bilancia e la spada come Angelo del Giudizio (ultimo): sono i simboli più precisamente del Re di Gistizia.
2) Di qui si vede l’errore fatale dei genitori moderni, magari cristiani, che non battezzano i loro figli neonati perchè «lo faranno se vorranno, quando saranno in grado di capire». Qui non c’è nulla da capire. Si tratta di essere.
3) Riporto qui, anche se lungo, una interpretazione dell’icona di Rublev che ho trovato su internet e mi ha colpito. Specialmente bello il fatto che il Padre (la figura a sinistra) sia raffigurato giovane come il Figlio (al centro) e lo Spirito: non il vecchio con la barba, ma l’eternamente giovane coetaneo di Suo Figlio.
«Accostiamoci all’icona e osserviamola attentamente, tenendo presente la ricchezza dei simboli usati dal pittore per sottolineare la comune natura divina dei Tre e la Loro identità. Essi sono raffigurati come Angeli con le ali, i Loro volti sono uguali e nessuno è più giovane o anziano dell’altro: in Dio non c’è un prima e un dopo, ma un perenne oggi. Tutti e tre tengono in mano il bastone del viandante, segno della stessa autorità; anche le aureole, di giallo luminoso, sono tutte e tre uguali senza alcun segno di distinzione e ancora l’azzurro, colore divino, è in tutte e tre le figure che sono sedute su troni uguali, segno della stessa dignità. Il monaco Andrej Rubljov sa che Dio nessuno l’ha mai visto, sa però che Gesù ci ha manifestato tutto nella vita di Dio Padre, Figlio, Spirito Santo.
Dopo aver meditato il Vangelo e pregato a lungo, Andrej cerca di tradurre in pittura quanto ha udito. Egli vuole dircelo tramite i colori ed i gesti dei tre Angeli che hanno visitato Abramo.
Tutti e tre portano il colore azzurro, segno della Divinità.
L’intero dipinto è intessuto di una luce intensa che si riverbera su chi lo guarda.
Le tre figure sono in un atteggiamento di riposo, sono molto simili e si differenziano solo per l’atteggiamento di ciascuno nei confronti degli altri due: un solo Dio in tre persone che si completano l’una l’altra in un rapporto circolare, inesauribile, di comunione amorosa: l’atteggiamento delle tre persone divine, disposte a cerchio aperto verso chi guarda e in conversazione tra di Loro, esprime l’Amore trinitario.
Nonostante la Loro somiglianza, gli angeli hanno però identità diverse riferite alla loro azione nel mondo. L’identificazione è suggerita dai colori degli abiti, dalle posizioni dei corpi, dai gesti delle mani, dalla testa, dalla simbologia delle forme geometriche.
E’ solo con la Trinità di Rubljov che l’uguaglianza pittorica delle due figure raggiunge livelli così elevati, e soprattutto è solo con Rubljov che la terza figura, lo Spirito Santo, abbandona il simbolismo della colomba - tipico delle raffigurazioni trinitarie - per assumere esplicitamente una sembianza umana del tutto simile a quelle delle altre due figure.
Nel Padre (Angelo di sinistra) il color azzurro è nascosto: Dio Padre nessuno l’ha mai visto, se non tramite la bellezza e la sapienza della sua creazione (manto rosa). E’ Lui il punto di partenza dell’immagine. Il mantello ha i colori regali: oro e rosa con riflessi verdi, simbolo della vita. Al centro della mensa luminosa sta un calice-coppa con dentro l’agnello. Se si osserva attentamente l’immagine, l’angelo centrale (Figlio) è contenuto nella coppa formata dai contorni interni degli altri due angeli (Padre e Spirito).
Il Figlio (Angelo di centro) è uomo (tunica rosso sangue ed è anche il colore dell’amore che si dona sino al sacrificio); ha ricevuto ogni potere dal Padre (stola gialla) e si è manifestato come Dio attraverso le sue opere. Tutti abbiamo visto la sua Divinità: ‘chi vede me, vede il Padre!’. Ha il mantello azzurro che lascia scoperta una spalla: è il Figlio, figura centrale della Redenzione, è ripreso nel momento in cui ritorna all’interno della Trinità. Due dita della mano destra appoggiata alla mensa rivelano la duplice natura: umana e divina.
Lo Spirito Santo (Angelo di destra) è Dio e dà la vita (verde, colore delle cose vive e della speranza). La vita di amicizia con Dio ci viene da Lui! Sembra sul punto di mettersi in cammino e raffigura lo Spirito Santo che sta per iniziare la Sua missione. Ha un atteggiamento di assoluta disponibilità e di consenso alle altre due figure. Entrambi hanno il viso rivolto verso il Padre, che li ha mandati».
Il resto potete leggerlo qui.
http://www.internetica.it/rublev.htm
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