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Euro: quel che non ci dicono
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Jacques Sapir (capofila degli economisti che vogliono il protezionismo europeo) fornisce alcune illuminanti tabelle, che smentiscono la propaganda mediatica contro la Grecia, e in generale contro i PIIGS, Italia compresa.

PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO
I Paesi mediterranei – martella la propaganda – hanno una bassa produttività del lavoro. Cominciamo col dire che la «produttività del lavoro» dipende dalle attività predominanti in un dato Paese.

I servizi finanziari, ossia la finanza speculativa, hanno la più alta «produttività» (con pochi investimenti fissi e poco personale hanno enormi profitti), ma bisogna dire purtroppo, come si è visto, che la «produttività» dei finanzieri ha trascinato nell’abisso l’economia occidentale. Sarebbe meglio fossero meno produttivi.

L’industria ha una produttività piuttosto elevata. I servizi non-finanziari, invece, hanno una produttività piuttosto bassa. Ebbene: le attività predominanti in Grecia sono appunto i servizi – turismo e servizi collegati – e un settore agricolo che, per ragioni orografiche (aspre montagne e pietre) non può impiegare più capitale che lavoro, dunque di scarsa produttività.

Nonostante questo, la produttività del lavoro in Grecia è sorprendentemente alta.

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Fonte: J-F. Jamet, «Productivité, temps de travail et taux d’emploi dans l’Union européenne», Fondation Robert Schuman, Questions d’Europe numero 45.

Guardate i più «produttivi» del mondo, sono USA e... Lussemburgo (lavoro malpagato e servizi finanziari: il Lussemburgo ha più banche che abitanti).

Osservate la Grecia: supera in produttività dei suoi lavoratori Polonia, Portogallo, i Paesi Baltici, insomma i nuovi entranti nella UE. La produttività del lavoro greco è l’85%  di quella tedesca, che non è per niente male per un’economia di servizi turistici, agricoltura, oliveti, e noli navali.

Si noti anche la produttività dell’Italia: è superiore a quella di olandesi, svedesi, giapponesi.  Superiore alla media dei 25 Paesi euro.

Nella tabella seguente, osserviamo il ritmo di crescita della produttività negli ultimi dieci anni circa (1995-2005)

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Sorpresa: la produttività greca è cresciuta del 2,4%, il doppio di quella germanica (1,2%)! Ed è cresciuta più della media UE, e anche più che negli Stati Uniti. Ciò significa che i lavoratori greci (fancazzisti di Stato a parte), hanno già fatto dei notevoli sacrifici (congelamento delle paghe per lo stesso ritmo di lavoro).

L’Italia è quella che in produttività è cresciuta di meno nel decennio, a conferma di quel che i media ci ripetono ogni giorno.

CHI S’INDEBITA E CHI NO – Il motivo è intuibile in quest’altra tabella, fonte Eurostat:

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Qui si vedono i debiti nazionali: non solo il debito pubblico, ma il debito delle famiglie (ménages) e delle imprese (entreprises). L’Italia è il Paese in cui il debito delle famiglie (mutui, credito al consumo) pesa meno sul totale: 39%, rispetto al 66% della Germania, e al 105% della Gran Bretagna. Ma è anche il Paese dove il debito pubblico pesa di più: 54% rispetto al 39,4% della Germania. E non solo: è il Paese dove negli ultimi cinque anni, le famiglie non si sono indebitate ulteriormente e le imprese hanno addirittura ridotto l’indebitamento, mentre in compenso il debito pubblico è cresciuto. Stato, regioni, provincie, autoblù, aeroblù, mazzette, corruzione, tangenti: la Casta insomma, è quella la palla al piede dell’economia italiana. (Grèce: les trois mensonges des médias et des experts)

LA VIRTÙ TEDESCA – L’Italia, ci dicono i media e i loro Giavazzi, non cresce in produttività perchè investe poco. Le sue industrie investono in beni capitali (macchinari) meno di quanto si dovrebbe. L’investimento è certo la prova della «virtù» di un Paese, in quanto implica di sacrificare le spese voluttuarie oggi per assicurare l’avvenire domani.

Vediamo dunque la virtù delle formiche tedesche, confrontata con le cicale mediterranee. Fonte Eurostat:

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Sorpresa sorpresa: l’Italia e la Francia hanno investito più che la Germania (Allemagne), e molto più della Gran Bretagna. Anzi, l’Italia ha mantenuto un alto tasso d’investimento, senza la caduta che si nota negli altri Paesi dal 2002 in poi. Due Paesi del Club Med appaiono più virtuosi della Germania.

Ma allora come mai la Germania è effettivamente la prima della classe, il più grande esportatore mondiale dopo la Cina, e ci ha sottratto tante quote di mercato? Non hanno investito più di noi, non sono tanto più produttivi di noi. Come hanno fatto?

Risposta: grazie all’euro, e ad una politica di dumping sociale. Tenendoci tutti nell’euro, ci ha paralizzato come concorrenti commerciali. Per di più, ha attuato una serie di politiche fiscali e del lavoro (taglio o congelamento dei salari e pensioni, abbassamento del costo del lavoro mettendo le spese previdenziali a carico dello Stato, eccetera) che non solo ha ridotto i consumi interni, ma ha di fatto realizzato l’equivalente di una svalutazione del 10% in seno alla zona euro. Ci ha paralizzato, e poi ci ha tolto anche la terra sotto i piedi.

Il danno è stato ancora più grave per la Grecia, perchè più debole.

La sopravvalutazione dell’euro rende poco conveniente il turismo in Grecia, e il Paese si trova oggi davanti a concorrenti in questo campo che godono di una moneta debole, Tunisia, Turchia, Egitto, Giordania.

La politica di dumping del lavoro messa in atto dalla Germania ha aggravato la bilancia commerciale greca, aprendola ancor più alle merci tedesche. Dal 2005, lo sbilancio s’è brutalmente aggravato, toccando il 14% del PIL.

I ricchi evadono molto in Grecia, ma ciò è stato reso più facile dalla liberalizzazione finanziaria della zona euro. I conti bancari si svuotano in Grecia, e si gonfiano a Cipro. O nel produttivo Lussemburgo.

Certo, poi ci sono le magagne interne: stipendi pubblici con la 14ma, corruzione pubblica; come l’Italia. Ma anche questa situazione è colpa dell’euro: la possibilità di indebitarsi a tassi bassi (tedeschi) ha eccitato l’irresponsabilità dei governanti e dei politici mediterranei.

Ora, «l’aiuto» degli europei ai greci, 110 miliardi di euro, benchè enorme e gravosissimo, va confrontato con la situazione finanziaria greca: da qui al 2012, lo Stato ellenico dovrà 93 miliardi di euro solo in interessi. Se si aggiungono i debiti da rinnovare a scadenza con altri titoli di debito, i nuovi debiti che il Paese dovrà comunque fare, si arriva a 150-200 miliardi di euro.

Che devono venire dalla torchia dei tributi imposti ai greci. Ma il piano di austerità estrema imposto loro dagli europei (in primis tedeschi), sicuramente porterà a una super-recessione, dunque a un calo del PIL, e di conseguenza ad un calo degli introiti fiscali. In questo modo, il deficit si perpetuerà; i greci non potranno servire il debito; i tedeschi imporranno ancora più austerità, e dunque un altro calo delle entrate tributarie... fino all’insolvenza.

Sicchè, quando i media e i loro giavazzoni ci ripetono che così si «è salvato» l’euro, si è evitata la crisi greca, mentono come al solito. E sono subito smentiti dai loro amati «mercati»: il crollo della Borse europee e americana segnala che il «salvataggio», tardivo e pasticciato, è fallito.

La crisi verrà comunque, e costerà centinaia di miliardi che si potevano spendere meglio.

Per esempio, concordando con la Grecia un’uscita dall’euro e una svalutazione, con l’annullamento (ristrutturazione) di una parte del suo debito. Poi, un aiuto avrebbe effettivamente fatto trovare alla Grecia la via della ripresa, che è il solo modo giusto di pagare i debiti.

Ma l’Euro impedisce la svalutazione. Così, ci siamo tutti privati di un normale strumento di finanza pubblica, essenziale nel governo: è come se l’Europa vietasse di guidare l’auto usando l’acceleratore, o i fari.

Una cosa del tutto arbitraria. La popolazione greca, come abbiamo visto normalmente produttiva, già oggi, a causa del piano d’austerità imposto dai creditori, soffre i mali che avrebbe sofferto  ripudiando il debito, e dunque venendo privata dei crediti esteri per un po’. Ma in compenso,
sarebbe stata liberata da un peso schiacciante, e avrebbe potuto riprendersi.

A chi giova dunque tutto questo? A salvare l’euro. Salvare dogmaticamente la moneta unica e il dogma che l’ha creata, il pensiero unico.

Ma l’euro è già fallito. Il fatto stesso che i titoli di Stato, nella medesima moneta euro, si vendano a tassi d’interesse sempre più divergenti, indica che il dogma è fallito.

La vera crisi è nelle menti di «dirigenti» autonominatisi, che non accettano di valutare la crisi al di fuori delle componenti dei sistemi che causano la crisi. E’ il capolinea dello spirito borghese allo stato puro, che – mentre per principio mette in discussione ogni principio – non tollera di essere messo in discussione lui stesso. Non tollera di essere superato, e accetta solo d’esseree discusso «al proprio interno». Ma è questo blocco che bisogna superare.

LA SUA PERSISTENZA NON FA ALTRO CHE MALE
Nella zona euro, la crescita è la più debole del mondo, e l’eurozona ha cominciato a fermarsi proprio in coincidenza dell’euro. Gli USA, che sono l’epicentro della crisi, hanno avuto nel 2009 una recessione (riduzione del PIL) del 2,4%, l’Europa del 4%. E la «crisi greca» minaccia di infettare un numero ogni giorno crescente di Paesi europei.

Questi Paesi possono e debbono uscire dall’euro. La Grecia è stata troppo debole per resistere, da sola, alla diffamazione e alle minacce. Di questo si avvantaggiano i dogmatici: presi uno per uno, siamo troppo deboli. Ma pensate se Italia e Francia, Spagna e Portogallo e Irlanda (i Paesi più danneggiati) uscissero insieme: l’euro non ci sarebbe più.

E non succederebbe nulla delle apocalissi che ci prospettano i Giavazzi e i media, senza precisarle. Certo, con la neo-lira, dovremmo pagare i debiti contratti che sono in euro: ma a quel punto, l’euro non esisterebbe più, e dunque i creditori sarebbero ben lieti di accontentarsi delle lire.

Non ci faranno più credito, non compreranno i nostri BOT e BTP? Aspettate di vedere la ripresa immediata delle nostre economie, liberate dalla moneta-marco, e faranno la fila.

Le nostre monete nazionali si svaluteranno rispetto all’euro (non più esistente) o al marco? Il petrolio ci costerà di più? E così i televisori Sony, i telefonini made in Taiwan, i gadget cinesi, le auto asiatiche?

Ebbene, è proprio di una svalutazione che abbiamo bisogno. Per comprare meno gadget asiatici, meno merci tedesche divenute più costose, e far diventare più competitive le nostre. L’euro forte ha stimolato, anzi reso obbligatorie, le delocalizzazioni: per i telefonini e i Sony, per la benzina a buon prezzo, abbiamo perso migliaia di posti di lavoro. Non solo le maglierie italiane sono andate in Romania e la Fiat in Polonia; persino il consorzio Airbus ha dovuto delocalizzare in zona dollaro.

Perchè gli USA svalutano, inondando di dollari stampati a manetta il mondo, e i loro creditori. I cinesi svalutano, tenendo lo yuan agganciato al dollaro. Solo noi europei non svalutiamo. Così noi salviamo il posto a Trichet che si troverebbe disoccupato senza euro, ma a spese del futuro dei nostri giovani.

Vale la pena?



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