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La Procura di Siena: molto «choosy»
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Non ci si sazia mai di ammirare la mano delicata dei procuratori di Siena che stanno indagando sull’enorme scandalo comunista Montepaschi. Nessuna intercettazione esce di lì, nessuna indiscrezione ai media amici: mica come dalle Boccassini, dagli Ingroia o dai Woodcock per Berlusconi o dell’Utri. «Mussari è stato già, in massima segretezza, interrogato dai pm senesi», dicono i giornali. Si viene a sapere che gli infaticabili pubblici ministeri hanno selezionato « undici indagati tra i quali «nessun politico», come lasciano trapelare ambienti giudiziari» (da Il Giornale). Nessun politico. Mi raccomando.

Un momento. C’è un nome che da giorni, gli inviati sono stati autorizzati a nominare. La Procura di Siena sta dedicando «un’attenzione particolare al ruolo del consigliere Andrea Pisaneschi in quota Forza Italia che fu nominato presidente di Antonveneta subito dopo l’acquisizione e costretto a dimettersi dopo il coinvolgimento nell'inchiesta sul Credito cooperativo fiorentino di Denis Verdini» (Corriere della Sera). Sicuramente questo Pisaneschi è un farabutto, non dubitiamo. Ma altrettanto sicuramente, c’è voluta tutta la più fine capacità dei magistrati per identificare, tra quella folla di comunisti con tessera PD nella Fondazione, nella dirigenza, nel Comune, Provincia e Regione con potere e mani in pasta in Montepaschi, uno «in quota Forza Italia». È stato come chi, davanti alla fetta del panettone, pilucca e mangia solo i pezzettini di canditi. È una procura choosy, un po’ schifiltosa.

Andrea Pisaneschi
  Andrea Pisaneschi
Ad occhio e croce, questo identificato colpevole farebbe parte di una componente massonica, come lascia intendere il suo collegamento a Verdini. È evidente che la linea l’ha data, fin dal 26 gennaio scorso, lo storico tesoriere dei DS, Ugo Sposetti: «Nel caso del Monte dei Paschi non c’entra la politica ci sono altri interessi», la massoneria «ma non solo. C’è pure l’Opus Dei». A Siena «c’era pure il Pci, ma casualmente». «Il Monte è il Monte»dice Sposetti, «la storia d’Italia, delle cento città, dei mille comuni. Dal granduca di Toscana a Mussolini, tutti hanno messo bocca sul Monte»

Ecco dunque il colpevole: il FODRIA, sigla delle «Forze Oscure della reazione in Agguato», perenne ed imprendibile nemico del progressismo rosso e del Radioso Domani Rivoluzionario oggi incarnato da Bersani. I procuratori non mancheranno di portare, e spifferare alla stampa amica, le prove del complotto fra il Duce e il Granduca; e possiamo già indovinare che questa pista finirà per portarli a Berlusconi-Dell’Utri e Mangano come colpevoli reali del dissesto Montepaschi. Ma, come dicono i media, «mancano ancora varie tessere al mosaico». Per intanto stanno comprovando che il Pci c’entra solo casualmente, e che i veri malfattori sono Massoneria ed Opus Dei.

Opus Dei? Aspettavo con ansia, confesso, di vedere come sarebbe stata chiamata in causa l’Opus, in una Fondazione dove 13 su 16 membri-caporioni hanno la stessa tessera di Bersani e, dei tre, se c’è qualcuno «cattolico», sarà uno di Rosy Bindi.

Sono stato subito accontentato: «Questi conti segreti fra MPS e IOR», titolano i giornali di domenica. Basta fare il nome dello IOR, e i cani di Pavlov cominciano a salivare: ecco il colpevole di ogni oscura trama bancaria! La procura di Siena sta seguendo la pista maleodorante della banca vaticana, finalmente inchiodata alle sue colpe! Per la verità, spiega il Giornale, l’oggetto della sua attenzione è minimo, c’è voluto un microscopio per scorgerlo, come i vibrioni nella montagna di m...

«Due conti correnti, intestati a manager Mps, aperti allo Ior. Un particolare che, in sé, non è illegittimo». Due conti correnti. Non illegittimi. Ma da giorni è stato convocato dalla Procura senese, e interrogato per ore, «L
ex presidente Ior Gotti Tedeschi» oltretutto come «responsabile per l’Italia di Banco Santander (guidato da Emilio Botin, uomo forte dell’Opus dei)». In questi interrogatori, Gotti Tedeschi «ed altri, tra cui Daffina (?) ha sostenuto di non essersi mai occupato della cessione di Antonveneta dalla banca iberica a quella senese». Con la miserevole scusa che, all’epoca della vendita di Antonveneta, Gotti Tedeschi non si trovava più al Santander...

Scusa miserevole. La procura, pur discretissima, fa sapere ai media che «i rapporti tra i due — Gotti Tedeschi e Mussari — erano certamente buoni: nell’agenda di Mussari del 2007 è segnato un appuntamento con Gotti (e diversi con Botin), e i pm ritengono che i rendez vous non annotati tra i due siano stati anche di più».

Gotti Tedeschi
  Gotti Tedeschi
Il fatto che Gotti Tedeschi avesse cordiali rapporti con Mussari è – giustamente – altamente sospetto per i magistrati. Ma perché non è loro anche più sospetto il fatto che tutti i banchieri italiani hanno avuto con Mussari rapporti così cordiali, da acclamarlo all’unanimità a capo dell’ABI, la loro associazione massima? C’è il sospetto che Passera, la Tarantola, Profumo, forse persino Monti (e Bersani e D’Alema) conoscessero personalmente Mussari, e intrattenessero con lui più che cordiali rapporti: perché prendere di mira solo Gotti Tedeschi? Ah, ma ci sono due conti correnti che manager di Montepaschi hanno acceso allo Ior.

Va bene. Va benissimo anche prendere di mira il tizio «in quota Forza Italia» che fu messo a capo di Antonveneta da Mussari e dai comunisti che lo comandavano dopo l’acquisto. Infatti i magistrati hanno concentrato «l’attenzione su Pisaneschi per capire in base a quali accordi, stretti all’interno del Cda, si decise che dovesse essere proprio lui a dover guidare Antonveneta». Ottima preoccupazione.

Ma ci permettiamo di dichiararla accessoria rispetto al reato principale. Pisaneschi messo ad Antonveneta è il «dopo». Mai dubbi riguardano quel che avvenne «prima». Il reato, o l’insieme di reati da indagare, sarebbe il fatto che Mussari (su indicazione di chi?) comprò «per 9 miliardi e 300 milioni, più un miliardo di euro di oneri», una banca che solo quattro mesi prima il Santander aveva comprato per 6 miliardi e 300 milioni; che 2 di quei miliardi pagati in più sono finiti in un fondo nero su un conto cifrato di Londra, e poi fatti rientrare in Italia approfittando di scudi fiscali: chi li ha presi? Sono finiti ai manager, come si sta insinuando, pardon facendo filtrare dalla procura? Politici esclusi?

È questo il centro del problema, che umilmente segnaliamo ai procuratori di Siena. Ammirevole la loro capacità di selezionare nelle indagini, eccezionale la loro visione microscopica. Ma qui c’è un fatto macroscopico – la famosa montagna di m... rossa – visibile ad occhio nudo, e puteolente ad un olfatto semplicemente sano. Non vorremmo che sfuggisse ai validissimi magistrati. Tanto più che è stato questo oculatamente cattivo affare a dissestare definitivamente Montepaschi.

Infatti «per coprire l'esborso non bastò l’aumento di capitale di 5 miliardi. MPS concluse una serie di scommesse derivate che non andarono a buon fine. Per mascherare le perdite in bilancio, MPS sostituì le vecchie scommesse con delle nuove, che immediatamente portavano soldi freschi, ma a scadenza sarebbero state perdenti per MPS, e il buco sarebbe aumentato. Sono noti almeno due di questi contratti: uno, chiamato Progetto Santorini, stipulato con Deutsche Bank, e l’altro, chiamato Alexandria, stipulato con Nomura. Si ritiene però che questo sia solo la punta dell’iceberg».

Stiamo citando lo EIR (Executive Intelligence Review, Alert n.5) il quale ci dà una notizia che pare sfuggita ai magistrati, occupatissimi a trovare uno «in quota Forza Italia» e «due conti con lo Ior»: che di quel pessimo acquisto (ma lucroso per ignoti italiani) fu «coordinatore globale». «Ma Goldman era anche stata advisor di ABN-Amro nella prima acquisizione, quella osteggiata dal governatore Antonio Fazio che a causa di quella vicenda, come è noto, fu costretto a dimettersi».


Qui la storia si fa spessa, perché fu la banca olandese ABN-Amro a tentare per prima la vasta scalata alle banche italiane (strapiene di risparmi, al contrario di quelle inglesi) che fu bloccata dal governatore Antonio Fazio, che per questo fu duramente punito da altri valorosi magistrati.

Citiamo da Il Giornale «È il 22 marzo 2006 e Fazio, travolto dalla tempesta dei furbetti del quartierino e delle scalate corsare, viene chiamato in procura a Milano dal pm Francesco Greco. E che cosa racconta? Parla di Ricucci, di Fiorani e di Antonveneta, ma poi si concentra su un dettaglio illuminante. “Le posso dire – spiega a Greco –, su Bnl, che sono venuti da me Fassino e altri a chiedere se si poteva fare una grande fusione Unipol-Bnl-Montepaschi. Io li ho ascoltati». Greco non molla, per cercare di collocare nel tempo l'episodio: «Questo quando?». «Primissimi mesi 2005 o fine 2004», è la replica. Pausa. Poi Fazio articola meglio i ricordi: «Erano Fassino e Bersani.
Ma sì, l’allora segretario dei Ds Piero Fassino, oggi sindaco di Torino, e l’allora responsabile economico del partito Pier Luigi Bersani, bussarono alla porta del governatore per proporre la creazione di un grande polo bancario in cui sarebbero confluiti Bnl, Unipol e Monte dei Paschi».(Lo smemorato Bersani andava in Bankitalia per sponsorizzare Mps)

Questo particolare dovrebbe essere agli atti, e la Procura di Siena non dovrebbe fare fatica a procurarseli. Osiamo suggerire questo filone, come potenzialmente più promettente della ricerca di un uomo «in quota Forza Italia» nella montagna di m... rossa detta Montepaschi. Eh sì, perché come prosegue EIR, «Capo dell’ufficio europeo di Goldman Sachs all’epoca dell’accordo ABN-Antonveneta era un certo Mario Draghi, lo stesso Draghi che, nel dicembre 2006, sostituì il dimissionario Fazio. Lo stesso Draghi che era responsabile della supervisione bancaria quando MPS truccò il bilancio per mascherare le perdite sui derivati».

Ciò potrebbe indurre gli inquirenti a porsi alcune domande non microscopiche, ma macro: su Draghi. Sulla Tarantola, miracolata da Monti. E sul perché Mario Monti ha versato senza fiatare l’intero introito dell’Imu prima casa per «salvare» Montepaschi e più precisamente, per salvare la sua dirigenza comunista, quella palese e quella occulta. Come ha rilevato l’ex ministro Tremonti, Monti ci teneva tanto a far approvare il pacchetto salva-MPS da averci posto la fiducia». Già, perché?

Ma qui, capisco, la procura segue una linea ben più augusta di quella di Sposetti «storico tesoriere dei DS». È Napolitano a scendere in campo per sopire, troncare e difendere i grossi papaveri politici, ma soprattutto il suo probabile successore Mario Draghi.

Con una nota dal Colle, ci assicura quanto segue: «La Banca d’Italia ha documentato di aver esercitato fin dall’inizio con il tradizionale rigore le funzioni di vigilanza nei limiti delle sue attribuzioni di legge. E in effetti, la collaborazione che essa ha prestato e presta alla magistratura inquirente è garanzia di trasparenza per l’accertamento di tutte le responsabilità».

E ancora, sempre per puntellare Bankitalia: «Sono fermamente convinto – afferma il capo dello Stato – che va salvaguardato il patrimonio di credibilità e di prestigio, anche fuori d’Italia, di storiche istituzioni pubbliche di garanzia, insieme con la riconosciuta solidità del nostro sistema bancario nel suo complesso».

Che cosa ne sa, Napolitano, di come si comporta Bankitalia? È la domanda che rivela la nostra ingenuità. Napolitano sa. Sa tutto. È tessera Pci-Pdi da tempo immemorabile. Lui garantisce la trasparenza del tutto. Lui segnala che il Pci non c’entra. Lui indica i papaveri da non toccare. Non è bello, avere un monarca così Illuminato?

Siate choosy, animosi procuratori di Siena; non fate del male a Bersani che poi andrà d’accordo con Monti, Draghi e Tarantole varie... Arrestate il Granduca di Toscana, piuttosto.



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