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Le Domande piu’ frequenti sull’Uscita dall’Euro
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Ci sono alcune domande, riguardo l’uscita dall’euro, che tornano a ripetersi e a cui è importante dare risposta. Sapir propone sul suo blog un riepilogo delle più frequenti e significative .

 

Il dibattito sull’uscita, o sulla dissoluzione dell’Euro, suscita una serie di domande che continuano a ripetersi. Raccogliamone alcune nella nota che segue, al fine di chiarire il dibattito.
1 – Differenza tra deprezzamento e svalutazione della moneta
Questi due termini sono oggi usati come sinonimi. In realtà fanno riferimento a cose leggermente diverse.
  1. Svalutazione è un termine usato quando la valuta ha un regime di cambio fisso, sia esso rispetto a un metallo (l’oro, l’argento o entrambi) o a una moneta (la Sterlina, il Dollaro, etc.). La parità è garantita dallo stato, che si impegna a scambiare una certa quantità della sua moneta contro una certa quantità del riferimento, metallo o un’altra valuta, a un tasso di cambio determinato. Si parla di svalutazione quando questo tasso viene ribassato ufficialmente. La svalutazione veniva praticata nei sistemi monetari a tasso fisso (per esempio Bretton Woods). Per analogia, se un governo si impegna a garantire una parità della propria moneta entro dei margini di oscillazione noti (+ o – 5%) rispetto ad un tasso di cambio, ma poi annuncia che la sua moneta fluttuerà oltre i vecchi limiti, si parla di svalutazione o rivalutazione a seconda della variazione che avviene quando questi limiti vengono superati.
  2. Il deprezzamento è la diminuzione del tasso di cambio della valuta sul mercato dei cambi in assenza di un intervento diretto dello stato o della Banca centrale. Lo stato o la Banca centrale possono, tuttavia, continuare ad intervenire con delle  “operazioni di mercato” (acquisto o vendita di altre valute), con interventi sui tassi di interesse, o anche, nel caso della Banca centrale, con la decisione di acquistare grandi quantità di titoli di debito (pubblico o privato).

2 – Il deprezzamento dell’Euro potrebbe essere un’alternativa alla dissoluzione dell’Eurozona, al ritorno alle  valute nazionali e al deprezzamento di queste monete?

Questa domanda si pone regolarmente ogni volta che si accumulano tensioni all’interno dell’eurozona. Consideriamo pure come alternativa alla dissoluzione dell’Euro il suo deprezzamento nei confronti del dollaro. Ma, in questo caso, si tende a dimenticare:
  1. Il fatto che in un processo di deprezzamento dell’Euro, la parità implicita di ogni paese rispetto all’Euro non cambia. Tuttavia, il problema risiede nelle differenze di incrementi annuali di produttività e di inflazione all’interno della zona Euro. Sembra impossibile trovare un tasso di cambio che soddisfi tutti i paesi aderenti, che hanno economie strutturalmente molto diverse.
  2. Il fatto che non tutti i paesi hanno lo stesso grado di integrazione nella zona Euro. La Francia è uno dei meno integrati, mentre il tasso di integrazione della Spagna e dell’Italia è molto più elevato. Se l’Euro si deprezzasse, la Francia quindi se ne avvantaggerebbe molto di più dei suoi due vicini del sud. Sostenere l’idea del deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro è, in certo senso, volere la morte dei paesi mediterranei.
  3. Per mettere in atto tale deprezzamento, sarebbe necessario che la Banca Centrale Europea acquistasse massicciamente (tra i 700 e i 1400 miliardi) il debito pubblico emesso dai singoli Stati. Tuttavia, quando questa possibilità (OMT) è stata sollevata da Mario Draghi, è stato per importi molto più piccoli. Non è possibile per la BCE intraprendere una politica che presto sarebbe considerata incostituzionale dal punto di vista della Costituzione tedesca.
3 – Un deprezzamento della moneta sarebbe favorevole all’economia francese?
Va per la maggiore l’idea che, oggi, la concorrenza sul mercato dei prodotti non si fa sul prezzo ma sulla qualità. Questo limiterebbe l’efficacia di un deprezzamento. Un’altra idea molto diffusa sostiene che si possono ottenere gli stessi risultati con una svalutazione interna, ossia una diminuzione dei prezzi e dei salari in un paese considerato. Guardiamo allora ai risultati di queste diverse politiche.
  1. Un deprezzamento della moneta (dell’euro in questo caso) ha effetti positivi sull’economia, come mostrato in un recente studio del CEPII [1]. Diversi studi che sono stati realizzati da centri di ricerca pubblici o privati, indicano che la competitività di prezzo rimane largamente dominante nel caso dei prodotti fabbricati in Francia. Dovremmo notare  che questo studio considera un deprezzamento del 10%. È noto che le elasticità variano se si deprezza la moneta del 20% o più. Lo studio CEPII di fatto sottostima l’impatto positivo di un deprezzamento.
  2. Lo studio citato del CEPII indica anche che una svalutazione interna avrebbe risultati equivalenti. Ma indica anche che questi risultati sarebbero molto più lenti nel manifestarsi. Tuttavia, in questo caso, si deve tener conto del calo dei consumi interni del paese.
  3. Infatti, una svalutazione interna non è altro che una politica di deflazione, come venne chiamata negli anni ’30, praticata da Ramsay Macdonald in Gran Bretagna, Pierre Laval in Francia e dal cancelliere Brunning in Germania. Data la presenza di varie rigidità nominali nei prezzi [2], e del fatto che i costi finanziari sono costanti in termini nominali, queste politiche si sono tutte rivelate delle catastrofi sociali ed economiche. Queste politiche sono in gran parte responsabili dell’aumento a oltre il 26% del tasso di disoccupazione in Spagna e in Grecia.
  4. Gli esempi recenti della Gran Bretagna e soprattutto del Giappone mostrano tutti i benefici  di un deprezzamento della moneta, che nel caso del Giappone è stata consistente.

Una svalutazione interna non è un’alternativa ad una politica di deprezzamento della moneta, come mostrato da tutti gli esempi storici.

4 – Il deprezzamento della moneta rende inutili gli sforzi per una politica di riforme strutturali.
Questa è una delle domande più frequenti, che implica che solo lo sforzo, e quindi la sofferenza, paga in economia. Si riconosce qui la base cristiana del ragionamento. Va anche aggiunto che non si dice nulla sul chi debba fare questi sforzi…Nel merito, facciamo le seguenti osservazioni:
  1. E’ necessario chiarire di quali riforme strutturali stiamo parlando. In realtà, sono quasi sempre riforme che conducono ad una diminuzione dei diritti sociali e dello stato sociale. Altre riforme, che riguardano la direzione della politica industriale, gli investimenti in ricerca e formazione, che sono le vere riforme strutturali, sono menzionate solo molto raramente.
  2. Un deprezzamento della moneta, facciamo il caso di un ritorno al Franco accompagnato da un sensibile deprezzamento contro il Dollaro e il Marco tedesco, porterebbe a una forte crescita per un periodo di 3-5 anni. Questa crescita genererebbe le risorse fiscali e di bilancio necessarie per la realizzazione delle vere riforme strutturali. In realtà, lungi dall’essere in contrasto, il deprezzamento della moneta è sempre stato il modo migliore per realizzare queste riforme. Ciò è dimostrato dai risultati dello scenario pro-investimento nell’ipotesi di un’uscita dall’Euro [3].
  3. Nel caso di un forte deprezzamento della moneta, si otterrebbe dopo 3 anni un forte calo della disoccupazione (da 1,5 a 2,5 milioni in meno). Questo comporterebbe un riequilibrio (o anche un saldo positivo) dell’assicurazione contro la disoccupazione. Infatti, la migliore delle riforme strutturali, sia sulla questione dell’assicurazione contro la disoccupazione che delle pensioni, è il rapido ritorno a una forte crescita.
5 – Il deprezzamento della moneta potrebbe causare un’esplosione del debito francese con conseguenze disastrose.
È uno degli argomenti più usati e tra i più menzogneri. Ricordiamo qui i termini esatti del problema.
  1. Nel diritto internazionale ciò che conta non è la nazionalità del prestatore, ma la nazionalità dei contratti. Quando un debito, pubblico o privato, è stato emesso secondo il diritto francese, la valuta con cui viene regolato è la valuta legale in Francia, qualunque sia tale valuta (l’Euro o il Franco). Questa norma ha un nome, la Lex Monetae.
  2. Per il debito pubblico, nel 2013 i contratti emessi secondo il diritto francese sono passati dall’85% al 97% dell’importo del debito. Pertanto, solo il residuo 3% sarebbe interessato da un deprezzamento della moneta.
  3. Il debito delle famiglie è nella stragrande maggioranza (oltre il 98,5%) sotto diritto francese. Questo significa che i debiti e i crediti detenuti in Euro verrebbero convertiti istantaneamente in Franchi, con un tasso di 1: 1.
  4. Per le società non finanziarie, il problema della natura del diritto si pone solo per quelle imprese, solitamente i grandi gruppi, che hanno contratto prestiti in dollari, in Livre o in Yen. Ma questi grandi gruppi realizzano gran parte del loro fatturato fuori dalla Francia, in quelle stesse valute. L’impatto dell’aumento del loro debito sarebbe coperto dall’aumento del loro fatturato in valuta diversa da quella del Franco.
  5. Per le società finanziarie (banche e assicurazioni) uno studio della BRI di Basilea dimostra che il sistema bancario francese può assorbire completamente questo shock, il cui importo complessivo non è superiore ai 5 miliardi di euro. Per le assicurazioni, esse hanno spostato massicciamente le loro attività in Francia. Se un aiuto di stato fosse necessario, esso dovrebbe essere limitato e sarà ampiamente gestibile nel contesto della forte crescita generata dal deprezzamento.
6 – Se la Francia esce dall’Euro e deprezza la sua moneta, tutti i paesi la imiteranno, il che annullerà il vantaggio dell’operazione.
Questa è la seconda argomentazione più comune contro una dissoluzione della zona Euro. Tuttavia, essa ignora le realtà dell’economia.
  1. È molto difficile per un paese che ha un enorme surplus commerciale vedere la sua moneta deprezzarsi. Perché ciò accada occorre che la Banca Centrale inietti massicce quantità di valuta nella sua economia (probabilmente per una somma da 500 a 600 miliardi). Tuttavia, la costituzione tedesca vieta esplicitamente tale politica. Pertanto non è realistico considerare che la Germania possa svalutare la propria moneta.
  2. Al contrario, un deprezzamento della Lira italiana e della Peseta spagnola è una certezza. E dovrebbe essere leggermente superiore a quello del Franco francese.
  3. Questa situazione è già stata sperimentata [4] e si è rivelata favorevole alla Francia, ma anche all’Italia, alla Spagna (così come al Portogallo e alla Grecia). Invece, l’istituzione di un blocco monetario denominato Euro-Sud, sarebbe molto sfavorevole per questi paesi.
7 - Molti dei nostri problemi sono precedenti alla creazione dell’Euro. Voler uscire dall’Euro non li risolverebbe.
Questo è il terzo argomento più frequentemente sollevato, generalmente dagli economisti che si trovano a sinistra dello spettro politico, ma che si basa su un malinteso.
  1. È effettivamente vero che i problemi strutturali dell’economia francese sono in parte precedenti al 1999. Ma è anche chiaro che questi problemi sono stati considerevolmente peggiorati dalla creazione dell’euro.
  2. Questi problemi sono stati causati dalla politica del “Franco forte” che la Francia aveva adottato negli anni novanta in preparazione all’Euro. Logicamente dovremmo collegarli all’esistenza dell’Euro, che è stato l’unico obiettivo di questa politica. Se la Francia avesse svalutato massicciamente la propria moneta (-20%) nel 1994 o nel 1995, alcuni di questi problemi non si sarebbero nemmeno manifestati.
  3. Fondamentalmente, la Francia è in uno stato di crisi latente, con periodi di ripresa, fin dal momento in cui è avvenuta la “svolta” pro-europea nel 1983 e in cui è stata adottata una politica di finanziarizzazione dell’economia (1987). È questa politica che va messa in discussione.
  4. Un deprezzamento dell’Euro quindi non ha senso se non si accompagna a una politica diversa, di rottura rispetto ad alcune misure che sono state prese negli ultimi 30 anni, e se non è accompagnata da una politica di “de-finanziarizzazione”, di cui uno degli strumenti principali sarà il controllo del movimento di capitali a breve e brevissimo termine. In questo senso un’uscita dell’Euro può essere un’opportunità storica per attuare questa “politica diversa” da quella che ha infestato la Francia negli ultimi trent’anni.
8 – Quale sarebbe l’impatto di un deprezzamento della moneta sull’inflazione?
È chiaro che dobbiamo aspettarci un aumento dell’inflazione a seguito di un forte deprezzamento della moneta. Ma questa spinta sull’inflazione sarà in realtà molto moderata e ben al di sotto delle stime folli fatte da alcuni.
  1. Possiamo stimare l’inflazione importata totale, su un periodo di due anni, dal 7 al 9%, a cui deve essere aggiunta l’inflazione attuale. Abbiamo quindi un totale del 10-12% di inflazione che la Francia dovrebbe registrare nei due anni successivi alla svalutazione del Franco. Questa stima è volutamente pessimistica. In realtà, il contesto economico è più vicino alla deflazione che all’inflazione.
  2. Il prezzo dei carburanti, tenuto in considerazione l’importo delle imposte, dovrà aumentare soltanto tra il 5 e il 7%.
  3. Tassi di inflazione del livello sopra accennato avranno d’altra parte l’effetto di rendere negativi i tassi di interesse reali. Questo dovrebbe avere, come abbiamo visto nel dopoguerra, un effetto molto positivo sull’attività economica e gli investimenti.
9 – Una dissoluzione dell’eurozona e un forte deprezzamento delle monete provocherebbe l’ostilità degli Stati Uniti e degli altri paesi.
In realtà, questo non tiene conto, ancora una volta, di alcuni fatti.
  1. Il deprezzamento che emerge dai calcoli che sono stati fatti provocherebbe un calo del valore aggregato della produzione nell’area dell’Euro del 7% (principalmente a causa di una rivalutazione della moneta tedesca). Ciò equivarrebbe a passare da 1 Euro per 1,365 Dollari a 1 Euro per 1,27 Dollari. Ciò è piuttosto accettabile sia per gli Stati Uniti sia per il Giappone [5].
  2. Si dice spesso che l’Euro ci “protegge” dal dollaro (senza mai dimostrarlo). Ma l’Euro non avrebbe potuto essere creato se non con l’accordo degli Stati Uniti [6].
  3. La fine dell’Euro concentrerebbe le pressioni speculative sul dollaro e porterebbe il governo degli Stati Uniti ad accettare una nuova conferenza monetaria internazionale.

    Jaques Sapir

    Fonte traduzione > 
    Voci dall'Estero




[1] La Lettre du CEPII, n°340, gennaio 2014.
[2] B.C. Greenwald et J.E. Stiglitz, “Toward a Theory of Rigidities” in American Economic Review, vol. 79, n°2, 1989, Papers and Proceedings, pp. 364-369. J.E. Stiglitz, “Toward a general Theory of Wage and Price Rigidities and Economic Fluctuations” in American Economic Review, vol. 79, 1989, Papers and Proceedings, pp. 75-80.
[3] Sapir J., P. Murer et C. Durand, Les scénarii de dissolution de l’ Euro, Fondation ResPublica, Paris, septembre 2013.
[4] Sapir J., P. Murer et C. Durand, Les scénarii de dissolution de l’ Euro, op . cit..
[5] Calcoli realizzati a partire dal PIL dei diversi paesi. Sapir J., P. Murer et C. Durand, Les scénarii de dissolution de l’ Euro, op . cit..
[6] Sapir J., « La fine del duopolio», Russeurope, 6 ottobre 2013.



 
 
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