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La regina economica
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Scusate se torno sull’argomento, ma c’è una novità: Elisabetta d’Inghilterra ha avuto l’aumento. Dai 31 milioni di sterline pagatile dai contribuenti «per finanziare i suoi doveri ufficiali» l’anno scorso, l’appannaggio sale a 36.1 milioni. Un aumento del 16%, niente male.

Al cambio, sono 44,8 milioni di euro per far funzionare la monarchia; appannaggi dei familiari, personale, viaggi, residenze ufficiali e tutto il resto. La Corona è decisamente economica in confronto alla presidenza della repubblica italiana: come si sa, il Quirinale costa sui 228 milioni di euro l’anno. Si conferma così che la massima istituzione repubblicana da noi costa come 5 (cinque) fastose monarchie britanniche, con tutti i loro velluti rossi, ermellini, carrozze dorate, cavalli e cani, e storici pennacchi.

Ma non è tutto. Da quel che ne scrivono i giornali britannici, anche il modo in cui il popolo paga la famiglia reale è degno di nota. Non si deve immaginare che l’aumento dell’emolumento provenga da qualche nuova tassa, che so da una nuova accisa sulla benzina. No: è il Crown Estate – il patrimonio della Corona, il vasto portafoglio di proprietà soprattutto immobiliari della Casa regnante – che ha visto aumentare i profitti della sua gestione, passando dai 231 milioni di sterline dell’anno passato ai 240 quest’anno. Sono 9 milioni di profitto in più.

Ma non è che vadano tutti e 9 ad Elisabetta. Nient’affatto. Per decreto, alla regina va il 15% dei profitti annuali del Crown Estate. Ciò si chiama Sovereign Grant, Emolumento Sovrano.

Ripeto: il 15 %

E il restante 85%? Torna allo Stato. Difatti il portavoce del Tesoro, nel dare ai giornalisti notizia dell’aumento regale, ha detto: «L’anno scorso la gestione del Crown Estate ha reso bene nonostante le difficoltà della situazione economica (1). È una buona notizia per i contribuenti, in quanto i profitti vanno allo Scacchiere e danno un valido contributo alle finanze pubbliche».

Se ben si capisce, dunque, non sono tanto i contribuenti a pagare la Regina, ma è la Regina che paga i contribuenti – o almeno, retrocede allo Stato l’85% della rendita dei suo patrimonio.

Già, perchè il Crown Estate, patrimonio della Corona, è originariamente proprietà della dinastia. Fu nel 1760 che re Giorgio III consegnò alle Finanze pubbliche le proprietà della Corona in cambio di un pagamento annuale, detto Civil List, per sostenere la sua pubblica funzione. Da quel momento tutti i profitti del patrimonio reale sono andati al Tesoro (ossia ai contribuenti).

Questa situazione è stata modificata di recente. Il cancelliere dell’attuale governo, George Osborne, ha eliminato la Civil List e l’ha sostituita con il «Sovereign Grant», che è appunto stato fissato nel 15% dei profitti annuali del Patrimonio della Corona.

Qui si può vedere un’altra differenza tra la monarchia britannica e la presidenza della repubblica italiana: la regina non ha affatto la totale e insindacabile autonomia di spesa di cui gode l’apparato del Quirinale e il suo inquilino pro-tempore.

Enrico Bondi, il super-tecnico incaricato dal sub-tecnico Monti a cercar di identificare dove tagliare la spesa pubblica, è stato avvertito di non mettere il naso nelle spese del Quirinale, che gode di «autonomia costituzionale». Il che significa che è il Quirinale a decidere da sè quanto spende e quanto paga i suoi 1.800 e passa super-stipendiati; la presidenza decide che vuole 228 milioni l’anno, e il Tesoro sborsa a piè di lista senza fiatare nè obiettare (2). È una «autonomia» che il Quirinale gode insieme ad altre istituzioni: Corte Costituzionale, Camera e Senato, e infatti i parlamentari si sono dati la invidiabile capacità di decretarsi da sè quanto stipendio meritano, e di votarsi da soli gli aumenti. È questo, dicono, perchè il parlamento «è sovrano»; ed è divertente constatare che sono gli stessi rappresentanti che hanno continuamente ceduto sempre più grosse porzioni di sovranità all’eurocrazia, e alla Banca Centrale; l’ultima sovranità che si sono tenuti, e la sola che non cederanno, è quella di darsi lo stipendio – a spese delle casse pubbliche.

La Sovrana per eccellenza, la Regina d’Inghilterra invece, per i quattrini è soggetta alla legge. Non è lei che ordina quanto denaro vuole dallo Stato, ma è il ministero delle Finanze che glielo ha fissato. La legge in questione si chiama Sovereign Grant Act 2011.

E non è tutto. Quei 36.1 milioni di sterline che la famiglia reale riceve, ha detto il succitato portavoce del Tesoro, «non rappresentano una cifra che la Casa reale deve per forza spendere», dato che l’intento dell’Emolumento Sovrano è «di fornire alla Casa una sostenibilità finanziaria a lungo termine».

Che cosa significa? Significa, ha detto il portavoce del Tesoro, «è compito della Casa Reale di spendere l’Emolumento con prudenza onde assicurare che la sua posizione finanziaria sia sostenibile. Ciò comprende di tenere da parte riserve adeguate per affrontare costi imprevisti e cali nelle entrate».

Insomma, inaudito: il Tesoro britannico non solo paga la Regina 5 volte meno di quello che Roma paga Napolitano, ma s’intromette a consigliare di non spendere tutta la cifra, e farsi una riserva da parte per non dover chiedere, in caso di spese impreviste, un aggravio ai contribuenti. Ma come si permette? Nessuno , nè il primo ministro nè i suoi ministri, nè le Camere, nè il Padreterno oserebbero esortare Napolitano di spendere meno, di risparmiare qualcuno dei 228 miliardi. Men che meno sindacare come il Quirinale spenda tutti quei soldi. La sovranità è sovranità, perbacco! (3).

Invece apprendiamo che Buckingham Palace fa effettivamente dei risparmi; e in in base alla già citata legge Sovereign Grant Act 2011, «i fondi non utilizzati sono detenuti in un apposito Fondo di riserva e possono essere restituiti al Tesoro».

Restituiti al Tesoro.

Par di sognare. Quando mai qui da noi abbiamo visto un ente o istituzione pubblica,«restituire al Tesoro» denaro non speso? Qui da noi persino partiti politici da tempo scomparsi si tengono finanziamenti miliardari, non sanno che farsene ma piuttosto che restituirli se li fanno sparire (pardon, rubare) dal tesoriere di partito...

Bisogna darsi dei pizzicotti. Tanto più che da un comunicato di Buckingham Palace apprendiamo che «La Casa Reale ha già ridotto le spese di un quinto in cinque anni». Se il Quirinale del nostro venerato Napolitano avesse fatto altrettanto sui suoi 228 miioni, oggi il Tesoro avrebbe 45 milioni di euro in più: per coprire qualche migliaia di esodati, oppure per la ricerca, oppure per la famosa «crescita».

Nello stesso comunicato, la casa si rallegra: «Il Sovereign Grant è un modo più semplice e trasparente di finanziare la monarchia, e naturalmente è oggi aperto alla vigilanza del National Audit Office», che sarebbe la Ragioneria dello Stato.

Dunque le spese reali, in Inghilterra, sono soggette a vigilanza. Ad analisi. A sorveglianza da parte dell’organo di revisione della contabilità generale della spesa pubblica. E a questo controllo, la monarchia si dichiara «ovviamente» aperta.

Ovviamente, persino.

Come fosse cosa naturale che l’istituzione pubblica più alta si faccia controllare nelle spese, dai cittadini attraverso i loro rappresentanti. Del resto, ogni cittadino può vedere il rendiconto delle spese dei Windsor nella loro veste di pubblici ufficiali, andando sul Web: www.royal.gov.uk/output/page3954.asp. Inutile dire che non esiste alcuna trasparenza sulle spese del Quirinale.

Ci si sente un po’ spaesati: fra Londra e Roma, dov’è che il popolo vive sotto un regime monarchico? Dove è il dispotismo e dove la democrazia? Chi sono i cittadini, e chi i sudditi?





1) Il Crown Estate comprende storiche proprietà immobiliari (a Londra, l’intera Regent Street appartiene alla Casa), parchi, vaste campagne e quasi tutte le coste dell’Inghilterra. Gran parte dell’aumento dei profitti di quest’anno viene infatti dalle concessioni di spiagge e coste per insediarvi pale eoliche ed altri apparati per energie rinnovabili - come gli impianti sperimentali per captare l’energia delle maree - , e dalla fornitura di materiali da costruzione (soprattutto sabbia) per l’edilizia; il resto da rincari degli affitti. Il valore di tutte queste proprietà è di 7,6 miliardi di sterline (9,7 miliardi di euro), dichiarati e certificati. E qui si vede un’altra differenza fondamentale tra Buckingham Palace e il Quirinale: gli emolumenti del primo vengono come rendita da solidi cespiti reali; i 228 milioni spesi annualmente dal Quirinale vanno ad aumentare il debito pubblico. Per pagare tanto il nostro re repubblicano, andiamo a farci prestare i soldi dai mercati internazionali.
2) «I costi, stando allunica fonte a disposizione (la comunicazione annuale con cui il Quirinale informa il governo di aver bisogno di «tot soldi» senza spiegare nulla su come vengano spesi) hanno continuato inesorabilmente a lievitare senza che mai sia stato segnalato un taglio (...). Il solo personale costa oltre 160 milioni di euro. Pari, grossolanamente, a una busta paga pro capite di oltre 74.000 euro (...). La 'macchina' del Quirinale costava nel 1997 «'solo' 117 milioni di euro. Dieci anni dopo ne costa 224 (più altri 11 milioni che arrivano al Colle da «entrate proprie quali gli interessi attivi sui depositi e le ritenute previdenziali»). Unimpennata del 91%». Così Rizzo e Stella sul Corriere della Sera del 28 aprile 2007.
3
) Nella sua sovranità, il Colle si è degnato di recente di procedere «autonomamente» ad una spending review interna. Un comunicato del Quirinale ha sottolineato che la spesa « è rimasta pari a quella del 2008, nonostante l’8,4% di inflazione», come per rilevare la magnanima generosità di tanto sacrificio. Che non è un taglio, ma un freno agli aumenti di spesa. Anche le paghe e le pensioni di milioni di italiani sono rimaste pari al 2008, nonostante l’8,4% di inflazione, ma stranamente la politica non ci applaude per i nostri generosi sacrifici. È vero che gli statali hanno stipendi che regolarmente recuperano ed anzi superano l’inflazione, e dunque effettivamente il blocco dei salari è per loro un «sacrificio». A noi pensionati privati, le pensioni vengono limate regolarmente dall’inflazione, senza alcun recupero: dunque per noi non è un sacrificio.


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