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Effetti della plutocrazia
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Lo stupore dei benpensanti e dei loro media per i disordini di Londra, insieme violentissimi, privi di valenza ideologica e rivendicazione politica, volti al saccheggio di Foot Lockers, schermi piatti e iPad, è mal riposto: si tratta di un effetto collaterale costante della forma di governo che l’Inghilterra ha dato al mondo – che loro chiamano liberismo di mercato – ma il cui vero, censurato nome è: Plutocrazia.

Il proprio della plutocrazia non è tanto nè solo l’iniquità sociale, l’ingiustizia per cui il capitale si appropria dei super-profitti sottraendoli al lavoro. È la creazione di sacche sociali infime e rabbiose, inimpiegabili e inutilizzabili, come sedimento dell’iniquità e della perdita di solidarietà nazionale fra le classi. Degli sfavoriti, il plutocrate non se ne preoccupa e non se ne sente responsabile, non vuole sopportare quelli che giudica i costi dell’istruzione o dell’integrazione nel lavoro o nel salario.

Non a caso, proprio nella Londra della prima rivoluzione industriale, la prima plutocrazia della modernità, fu creata nel 1829 la Polizia metropolitana per stroncare le folle sottoproletarie che, accese dal gin e da un oscuro senso di subire ingiustizia, si radunavano regolarmente in assembramenti pericolosi, criminaloidi, minacciosi: la parola « mob», che significa insieme folla e teppa e banda, nacque allora. In realtà, erano le masse di inurbati che perdevano il lavoro operaio e s’accalcavano in tuguri con decine di figli, dove le mamme soffocavano i neonati cascandogli addosso addormentate dal gin; la folla formicolante di facchini e borsaioli, ladri e lavoranti a giornata, orfani, prostitute e consumatori d’oppio (in libera vendita in pasticche, secondo il verbo anti-proibizionista che va col libero mercato) descritta da Dickens e vista da Marx.

La plutocrazia british preferiva chiamarle «classi pericolose», deplorarne il degrado morale, trattarne le proteste per il pane con cariche della Cavalleria (il massacro di Peterloo 1819) e di arruolamenti forzati in Marina, le riteneva un sedimento inevitabile.

Ammaestrato da questo precedente, Bismark ritenne necessario inquadrare la prima rivoluzione industriale tedesca con un sistema di protezione dei poveri: il primo sistema in Europa di Previdenza Sociale obbligatoria per gli operai. L’esempio è stato seguito per oltre un secolo, con la sparizione delle classi pericolose, assorbite nella nazione operante, nella cittadinanza corresponsabile del futuro comune.

Ma da trent’anni, s’è riaffermato in Occidente, a cominciare dagli USA, il pieno potere della Plutocrazia, stavolta senza ostacoli nè avversari e nemmeno limiti nel senso di vergogna: i ricchi si sono dotati dell’ideologia (individualismo) che permette loro di strafregarsene delle vittime e delle loro speculazioni; egoismo, mancanza di carità, avarizia e avidità sono elevate a valori del sistema («Greed is good», dice il finanziere Gekko in un famoso film). La finanziarizzazione del capitale, la delocalizzazione industriale nei Paesi a basso salario, rende inutili gli operai nazionali e quindi il bisogno di un patto sociale fra padroni e dipendenti. Le ancor temibili masse operaie sono state vaporizzate in partite IVA, e rese innocue o incapaci di richieste salariali. La crisi provocata dai ricchi – mai mancare di sfruttare una buona crisi – viene sanata con le ricette suggerite dalla plutocrazia speculativa e dai suoi ideologi: in America, è parte dell’elettorato ideologicamente condizionato a pretendere risparmi sulla già striminzita Sanità pubblica, i capi del Tea Party dichiarano che è meglio tagliare gli insegnanti («Non producono niente») ma no, assolutamente no, alzare la tassazione sui percettori di oltre 250 mila dollari l’anno. Le stesse ricette vengono imposte all’Europa, agli indebitati Stati europei: smantellamento dello Stato sociale, privatizzazioni o svendita di beni pubblici, liberalizzazioni del lavoro e della professione, più flessibilità, più competitività, ossia meno salari. E più forti dosi di deregulation, specie per la finanza.

Sono esattamente le ricette che ci hanno condotto alla presente rovina: ma il liberismo globale e senza limiti non può proporre altro che quel che conviene qui-ed-ora alla Plutocrazia. È la forma terminale, ma che continua ad agire come uno zombi: orribile, persistente e pericoloso.

Lo ha detto un miliardario non privo di saggezza, Warren Buffett, notando che la sua segretaria è tassata più di lui: «La lotta di classe esiste, ed è la mia classe, la ricca, a scatenarla e vincerla».

Ed ecco che rinascono le classi pericolose, quelle che incendiano e tumultuano per saccheggiare gli shopping center. Deplorevoli in quanto, anzichè tumultuare per il lavoro o il pane, desiderano ed arraffano TV-color, vestiario da rock e scarpe Reebok. Ma ovviamente questa gente è stata fatta così dalla Plutocrazia dominante, che ha questo di specifico rispetto a quella di un tempo: la pubblicità, che invita insistentemente, con seduzione, questa gente a desiderare oggetti che non possono permettersi.

Un giorno, in un mondo tornato normale, i pubblicitari dovranno rendere conto della spaventosa diseducazione che – ormai unica agenzia educativa – hanno diffuso tra i meno muniti: l’incessante messaggio di infiniti slogan come «Il lusso è un tuo diritto», «Soddisfa la tua sete», insomma non trattenere i tuoi impulsi; la promozione di quel mondo di fantasia in ogni spot, un mondo tutto festa e piacere, dove puoi essere incluso anche tu, se bevi Coca Cola, se compri una Smart, se ti vesti JD, se hai l’Ipod. Dirigere questi messaggi a sottoclassi per essenza escluse, è un dissennato atto criminale. Un mondo normale, se mai esisterà un giorno, dovrà censurare la pubblicità e la televisione di consumo.

Ma la Plutocrazia non solo ha bisogno di questa pubblicità, la emana di sua natura, perchè la sua natura è nichilista. Un giornale britannico si stupisce: come possono, i ragazzotti di Tottenham, «aver cessato di credere nel diritto e nellordine, in un universo morale, in uno scopo dellesistenza, e tuttavia credere ancora negli abiti firmati? Come possono spregiare la cultura eppure volere la TV a schermo piatto?». Domanda incauta: perchè si applica altrettanto bene – anzi meglio – ai miliardari della speculazione, ai giovani leoni che alla City trafficano in prodotti derivati e CDS per stipendi e bonus da milioni di dollari, ai rampanti di Goldman Sachs. Anche loro – soprattutto loro – non hanno più un universo morale, disprezzano la cultura, aggirano la legge, e saccheggiano: nel caso loro, per procurarsi capi di Gucci e Armani. La pubblicità, non a caso, propone ai sottoproletari inimpiegabili il mondo in cui s’immaginano muoversi i miliardari: salotti felpati, Rolex, piscine da sogno, whisky squisiti, donnine in lamè di seta.

Diseducate dalla stessa dis-educatrice, la plutocrazia consumista, le due classi appaiono paurosamente affini, si distinguono solo per i prodotti che desiderano. Alta gamma, per i favoriti; le firme della moda dozzinale, per gli esclusi. E le loro azioni barbare, non sono diverse se non per la scala del saccheggio.

Il filosofo Jean-Francois Mattei l’ha notato persino per l’arte: l’arte contemporanea, che ha lasciato le chiese per il mercato globale, il libero mercato dell’arte, «non rappresenta più nè la figura umana, nè il paesaggio, nè luomo, nè il mondo. Rappresenta gli stati danimo delsoggetto’. E scade subito nellimmondo, perchè il soggetto ripiegato in sè, prigioniero di sè, è lantitesi della civiltà: è la bestia terribile dai cento appetiti, dagli istinti liberati da ogni regola civilizzatrice di cui parlava Platone».

Se l’arte è così, figurarsi tutto il resto. Sotto il regno compiuto della Plutocrazia postmoderna – il dominio dell’immondo – non sono possibili più scopi nobili ed alti. I saccheggiatori e vandali dei quartieri poveri sono incapaci di dare al loro saccheggio il senso della rivolta, non sono in grado di concepire azioni politiche di liberazione. Non sono contro il sistema, vogliono la loro parte nel sistema.

Non è il possedere l’ultimo gadget lo scopo di tutto? Non è intollerabile vivere in un mondo che ti mette sotto il naso l’abbondanza di ogni oggetto desiderabile, e non poterselo permettere? E quegli oggetti, non concepiti fin dal principio per loro?

A patto che abbandonassero ogni pretesa di controllo democratico e collettivo sulle condizioni di vita, si offrivano loro appunto i benefici del consumo « che dà prestigio»; ciò che non potevano più comprare col salario (stagnante da quarant’anni) con l’accesso al credito facile; ogni povero ha avuto in regalo, da banche, supermercati e shopping center, una dozzina di carte di credito. La crisi finanziaria e la recessione hanno chiuso il credito a basso costo; i subalterni di periferia non possono più sostenere a debito lo standard di griffe dozzinali, senza cui nel gruppo non sei nessuno (come a Wall Street non sei nessuno se non porti il blazer Armani, la Porsche e il SUV, la villa nei suburbia); e probabilmente è questo il motivo vero dell’esplosione.

È anche il motivo per cui i saccheggiatori di periferia non possono mai produrre una rivoluzione, ma solo jacqueries senza orizzonte: troppo soggette ai loro impulsi primari per darsi un progetto, troppo anarchicamente individualiste per darsi capi che le conducano ad un programma collettivo. La loro rivolta è, costantemente, anzi perennemente nell’imperio della Plutocrazia – destinata a smorire sotto le cariche della Polizia, le bastonate e le fucilate delle bande mafiose che il plutocrate assolda alla bisogna. Tale protesta può essere demonizzata e svalutata come criminale, come immancabilmente non ha mancato di fare il premier Cameron.

E tuttavia, nel giugno scorso in Gran Bretagna s’è verificata una rivolta di studenti, in protesta per la triplicazione delle tasse scolastiche e il costo dell’istruzione nel sistema privatistico, che ha avuto un tutt’altro sapore; altri 750 mila cittadini si sono uniti alla protesta, stavolta per il taglio delle pensioni che il governo attua per risanare il bilancio, secondo il dettato liberista. In Spagna, il movimento degli indignati ha una valenza politica che il primo ministro Zapatero ha correttamente interpretato, annunciando il proprio ritiro a vita privata e indicendo nuove elezioni: in un mondo civilizzato che – al contrario di Regno Unito ed USA – ha conosciuto altri regimi sociali prima della Plutocrazia, un governo non può tollerare per anni un’alta disoccupazione di una gioventù istruita, ripetere loro che non possiamo far niente per voi a causa dei vincoli esteri, delle delocalizzazioni e della competizione mondiale, senza perdere di legittimità.

La delegittimazione dei governi – insieme col caro-vita – è alla base delle proteste di piazza, parte dalla Tunisia all’Egitto allo Yemen e alla Siria. Meno noti sono gli scoppi di revulsione che divampano in Cina, dove gli alimentari sono rincarati del 12%; dall’appello ad una primavera araba risuonato attraverso i social network a febbraio (e stroncato spietatamente dal regime) ai tre giorni di battaglia stradale di migliaia di lavoratori contro la Polizia nella provincia di Guangdong, contro il declino del potere d’acquisto dei salari. La Cina cova centinaia di focolai di rabbia.

Censurata dai media ufficiali, una protesta di massa ha avuto luogo il 6 agosto a Tel Aviv, poi in altre località: almeno 300 mila persone scese in piazza contro il governo Netanyahu inizialmente contro il caro-alloggi, ma presto al grido di « giustizia sociale». Secondo la Reuters, i manifestanti israeliani chiedono aumenti dell’aliquota fiscale per gli alti redditi, il controllo pubblico degli affitti e l’istituzione per legge del «diritto alla casa»; bloccare ulteriori privatizzazioni nella Sanità, istruzione gratuita, aumento del salario minimo... un vero e cosciente programma anti-plutocratico, ben diverso dall’esplosione senza testa nè scopo di Tottenham. In Cile, iunfuriano da mesi proteste studentesche contro i costi dell’università. Della rivolta in Grecia basterà fare menzione.

La vera meraviglia è che nulla del genere sia ancora avvenuto in Italia, dove 2 milioni di giovani nè studiano nè lavorano, la disoccupazione giovanile ha punte altissime, e la tassazione e lo smantellamento dello stato sociale avanza a gran passi – e dove la delegittimazione della classe politica è al punto più basso della storia recente. Forse la nostra scarsa gioventù è ancor meno capace dei saccheggiatori londinesi di darsi uno scopo collettivo, forse ne attutisce i bisogni l’improprio ammortizzatore sociale delle famiglie (i bamboccioni), forse agisce il disprezzo verso la stessa opposizione, quella sinistra in cui si riconosce troppo facilmente la rappresentanza politica delle caste parassitarie e inadempienti pubbliche. Chissà.

Resta da vedere se questa revulsione di massa, tipica reazione indotta dal compimento della Plutocrazia, sarà capace di tradursi in alternativa politica, o si sperderà in jacqueries senza orizzonte. Di rado la Plutocrazia – asserragliata nelle sue ville e fra le sue guardie armate – si sente realmente minacciata da simili disordini, e ancor meno dalle crisi economiche: in un mondo impoverito quanto si vuole – insegna il cosiddetto Principio di Pareto – resta sempre che il 20% della popolazione si appropria dell’80% della ricchezza. Nel momento attuale, l’appropriazione è molto superiore, e gli appropriatori sono molto meno del 20%.

Secondo un analista russo di nome Konstantin Gordeev, la cui credibilità non sono in grado di valutare, la crisi e il dilagare dei disordini mondiali sarebbero state pianificate. Nella riunione del Bilderberg dell’anno scorso, dice Gordeev, si è valutato autorevolmente che il numero della gente di successo nel mondo si aggira sui 150 milioni (con i familiari, 250-280), ossia il 4% della popolazione terrestre, circa 7 miliardi. Sono i falliti, quelli spendibili, quelli in eccesso. Secondo Gordeev, i signori del denaro che hanno attuato la mondializzazione come «sistema chiuso che non lascia nicchie di libertà per i perdenti; non ci sono più zone libere dove ci si possa stabilire per ricominciarer la vita daccapo», sta ora attuando la crisi della mondializzazione con la crisi economica e la miseria: gli Stati sono ormai come aziende (i governanti l’hanno accettato) e vengono quotati in Borsa, e il loro debito è soggetto al rating delle agenzie; nella crisi recessiva che s’impone, ciò equivale ad appropriarsi a prezzi da liquidazione della restante ricchezza delle nazioni, monopolizzando totalmente tutti i segmenti della vita sociale ed economica.

L’analista russo sostiene che al Bilderberg di quest’anno (giugno 2011, Saint Moritz) si è addirittura decisa la « liquidazione dellEuropa» (la frase sarebbe stata pronunciata dal direttore generale di Deutsche Bank, J. Akkerman): il gran difetto dell’Europa essendo, per i Plutocrati, il livello di vita «estremamente alto» dei suoi 400 milioni di abitanti, dovuto ai sistemi previdenziali sociali che, per il capitale, sono un costo ormai inutile da mantenere.

Di qui il prolungamento artificioso della crisi, allo scopo di indebolire ulteriormente le economie nazionali; il « caos gestito» che ne deriva sarebbe utile non solo per screditare i politici, ma l’istituzione della statualità come tale, che la Plutocrazia considera il suo nemico principale (a ragione, come provò a sua spese negli anni ‘30: in USA, la politica ebbe ancora la forza di varare la legge Glass Steagall che vietava alle banche commerciali di fare le banche d’affari speculative; in Europa, il Reich superò la depressione deflattiva sganciando gli scambi con l’estero dal dollaro ed assorbì la disoccupazione, eccetera).

Stavolta nessuno Stato possiede più tale forza politica, avendo i politici demandato la sovranità ai poteri forti transnazionali. Ora, sono diventati inutili. E vengono cacciati dalla revulsione popolare, sollevata da slogan come « per la vera democrazia!» e «Rivoluzione da Tunisi alla Siberia!». Tali slogan sarebbero stati confezionati negli ambienti stessi del Bilderberg. (“For the revolution from Tunisia to Siberia!”)

Non so quanto credere a questo Gordeev, anche se la sua analisi riecheggia una precisa cultura politica, quella degli intellettuali del KGB. Ma non riesco a non citare questa frase: «Il reggimento dei popoli occidentali, che si dice democratico’, è in realtà quello di una plutocrazia democratica, che inclina ora alla plutocrazia demagogica». La sentenza è di Wilfredo Pareto, che la scrisse nel 1920: oggi, la sua verità mi pare rinforzata.

Per altro verso, mi pare che le valutazioni del russo siano consonanti con le conclusioni pessimistiche dell’analista militare Jean Paul Blaquiast. Secondo costui, si illude chi vede nella situazione attuale la crisi terminale dell’impero americano, il centro e la fonte della Plutocrazia. Per lui tale speranza (o per alcuni paura) proviene da un «accecamento». Accecamento «di fronte allevoluzione tecnologica, noi diremnmo antropo-tecnologica, di cui abbiamo davanti agli occhi numerose prove. O non sanno vederle, o non sanno interpretarle».

Quali? «Il sistema americano di dominazione poggia su due fattori coniugati. Uno è di natura antropologica: un fortissimo sentimento di patriottismo nazionale, impregnato di un forte senso di superiorità. Laltro fattore è di natura tecnologica: gli americani hanno sempre dominato, e continuano a farlo, le tecnologie dellinformazione in rete. Ad esse dedicano sempre più mezzi, sia sul piano della ricerca fondamentale, sia per quanto riguarda le applicazioni nella società. Questi due fattori coniugati insieme, danno e daranno ai padroni del sistema tutte le leve necessarie per proteggere ed estendere i poteri del Sistema stesso. Il resto del mondo, troppo diviso, troppo male armato tecnologicamente, non potrà opporvisi».

L’impero si dota di «sistemi darma autonomi con intenzioni proprie, di integrazione dei sistemi di sorveglianza multi-campo», che stanno già realizzando «una vera esplosione di applicazioni in reti intelligenti per il controllo dei cittadini e degli avversari… Queste spingono alla costituzione di spazi chiusi protetti, sottomessi ad un governo di tipo dittatoriale».

Chi ha modo e tempo, legga le prove che Blaquiast dà su questa involuzione del Sistema plutocratico: «Nouveaux pouvoirs pour les maîtres de l’Empire. Apparition d’un national-technologisme américain» e Mondialisation-démondialisation. Essai d'analyse anthropotechnique

Certo è che la vostra piccola vanità di apparire su Facebook, i vostri click sul web, la strisciata della vostra carta di credito, il vostro Smartphone sarà il vostro controllore globale (si veda un articolo di Nick Fleming su New Scientist del 30 luglio 2001, pagina 45 «Smartphone surveillance: the cop in your pocket»). Avrete il vostro poliziotto in tasca, e l’avrete comprato a vostre spese, magari a rate. Nell’articolo di Fleming, balenano possibilità anche di uccidere, agendo a distanza sull’elettronica della vostra Chrysler o della vostra Audi. Lo tradurrò, se avrò tempo.

Quanto alle rivolte possibili in America a causa della grande depressione che comincia, dal 2008 lo US Army War College ha pubblicato uno studio per il controllo militare delle proteste indotte dalle disuguaglianze e dal crash economico. Lo potete leggere a questo indirizzo: (Known Unknowns: Unconventional "Strategic Shocks" in Defense Strategy Development)

Mi limiterò a citare qualche frase: « Le forze armate devono essere pronte a una dislocazione strategica violenta negli Stati Uniti, provocate da un collasso economico imprevisto, resistenza interna con scopi politici, perdita di un ordine politico e legale funzionante... conflitti civili multi-Stato a livello nazionale» (1).

Insomma, le rivolte, siano o no jacqueries, sono già previste, e l’armata le stroncherà.

Dò le conclusioni di Blaquiast: « Sta emergendo una forma di nazional-tecnologismo che segnerà la storia di domani molto più di quanto abbia fatto il nazional-socialismo del secolo scorso».

Un nazismo per i Plutocrati, al loro servizio: il sogno finale, per i ricchi.

Posso dare la mia modesta testimonianza, come spettatore di una festa del 4 luglio nella città che meno si direbbe travolta dal patriottismo americano: Las Vegas. Festa campestre, hot dog e musica, fuochi artificiali, famigliole sul prato artificiale su cui hanno steso tovaglie da picnic. Tutto organizzato col lavoro patriotttico, volontario e gratuito dai dipendenti municipali (ora minacciati di licenziamento). Di colpo, s’illumina un palco appena allestito: sul palco un manipolo inquadrato di giovani boy scouts alzano la bandiera americana e quella dello Stato del Nevada, e intonano il canto in coro, a voce sola. Nel pubblico tutti, nessuno escluso, si alzano in piedi e pongono la mano sul cuore.

Ciò che mi colpisce è l’identità della scena con quella che appare in un dato momento nel film Cabaret: la festa campestre in Germania, che comincia con allegri cori e boccali di birra, piena di gente comune e sorridente, e termina con un adolescente biondo, dal volto angelico, che intona l’inno nazista: il giovane ha la camicia militare bruna, i calzoni corti, il fazzoletto al collo coi colori del partito: esattamente uguali ai boy scouts del Nevada. Tutti si alzano e si uniscono al coro, che diventa una marcia trionfante e guerresca.


La donna che è con me, americana, commossa, non si trattiene dal dirmi, con aria di superiorità: « Voi in Europa non avete nulla di tutto questo». L’avevamo, lo abbiamo già avuto. Si chiamava «Forza attraverso la Gioia», ma si pronunciava in tedesco: «Kraft durch Freude». Però, all’americana, non lo dico.





1) «The military must be prepared, the document warned, for aviolent, strategic dislocation inside the United States’, which could be provoked byunforeseen economic collapse’, ‘purposeful domestic resistance’, ‘pervasive public health emergenciesorloss of functioning political and legal order’. Thewidespread civil violence’, the document said, ‘would force the defense establishment to reorient priorities in extremis to defend basic domestic order and human security’. ‘An American government and defense establishment lulled into complacency by a long-secure domestic order would be forced to rapidly divest some or most external security commitments in order to address rapidly expanding human insecurity at home’, it went on. ‘Under the most extreme circumstances, this might include use of military force against hostile groups inside the United States. Further, DoD (the Department of Defense) would be, by necessity, an essential enabling hub for the continuity of political authority in a multi-state or nationwide civil conflict or disturbance».


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