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Maria Pasquinelli — La signora maestra
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“Un grande uomo” per i nostri giorni di … “mezzi uomini”?

Maria Pasquinelli nacque a Firenze, il lontano 16 marzo del 1913, ed è morta a Bergamo, esattamente il 3 luglio del 2013, all’età di 103 anni e tre mesi circa.

Pochi, oggi, la conoscono, buon per lei… è il destino dei “grandi uomini” nei tempi delle “mezze figure” e il nostro tempo è esattamente proprio quello dei “mezzi uomini” e delle “mezze figure”.

Mao Zedong, nel 1949, lo aveva preannunziato: “Rendi gli uomini delle mezze donne e rendi le donne dei mezzi uomini; così governerai su mezze cose”. Oggi, purtroppo, abbiamo sorpassato persino la sua fosca predizione e, addirittura, siamo governati da “mezze cose”, che sono un miscuglio di “mezzi uomini” e di “mezze donne”.

La Signora Maestra Maria Pasquinelli oltre a essere un “grande uomo” era anche un’insegnante di scuola elementare, che se si era laureata in Pedagogia presso l’Università di Bergamo nel 1933, e come tale ci ha lasciato un insegnamento veramente “magistrale”, molto attuale e valido soprattutto per questi tristissimi tempi di piccoli ideali e di miseri uomini.

Il 10 febbraio del 1947, quando la città italiana di Pola, dopo aver subìto – tra il 1943 e il 1945 – le infoibazioni degli Italiani da parte dei titini, fu per dipiù anche ceduta dagli “Alleati” (rappresentati a Pola dalla Gran Bretagna, come “Potenza occupante”), alla Jugoslavia di Tito, la Maestra Maria Pasquinelli prese il treno e … si recò in loco…

La Pasquinelli, infatti, si trovava allora nella sua Firenze, dopo aver partecipato alla Seconda Guerra Mondiale, sin dal 1940, come “Crocerossina” in Libia nei pressi dell’ospedale di Bengasi, e poi aveva continuato la sua battaglia durante la guerra civile che insanguinò l’Italia dal 1943 al 1945, e fu così che prese il treno e ritornò a Pola… ma facciamo un passo indietro …

Ella era stata rimpatriata dalla Libia in Italia nel 1942 e, ritornata in Patria, chiese di poter essere inviata a insegnare in Dalmazia, dove giunse e iniziò a svolgere a Spalato la “Missione” (perché tale è o almeno era… sino al Sessantotto) di Maestra.

Purtroppo le vicende volsero a male per l’Italia e, dopo l’8 settembre del 1943, Spalato fu occupata dai partigiani comunisti titini, che uccisero molti civili e militari italiani. La Pasquinelli stessa, che frattanto aveva aderito come Ausiliaria alla RSI, fu fatta prigioniera dai titini e fu condannata a morte, ma il 27 settembre fu liberata dai Tedeschi.

Fu così che allora si adoperò attivamente per il ritrovamento delle salme degli Italiani infoibati (solo a Spalato ne fece riesumare ben 106). Il 1° novembre 1943 venne trasferita a Trieste poiché i titini (tanto per cambiare…) avevano deciso di ucciderla. Siccome poi anche Trieste era diventata zona pericolosa per gli Italiani e soprattutto per la Maestra Pasquinelli, venne inviata a… Milano… decisamente non era nata sotto una “buona stella”…

Giunta a Milano prese contatto con il Generale Junio Valerio Borghese, il Comandante della X Flottiglia MAS, fu allora che decise di tornare a Trieste per soccorrere gli Italiani massacrati dai titini e anche i poveri profughi costretti a lasciare la loro Patria.

Nel marzo del 1945 si adoperò in Istria e particolarmente a Pola (in cui tornò il fatidico giorno del 10 febbraio 1947) a raccogliere materiale riguardo alle infoibazioni degli Italiani da parte dei comunisti titini, valendosi dell’aiuto sia dei Repubblichini sia dei Partigiani bianchi, del CLN della “Brigata Osoppo” e della “Brigata Franchi”, dai quali i Partigiani del Partito Comunista Italiano si erano separati unendosi (sotto la “Brigata Garibaldi”) con i Partigiani Slavi.

Nel frattempo la Maestra era ricercata dalla Polizia segreta slava (OZNA) e l’11 aprile del 1945, con l’aiuto del Principe Junio Valerio Borghese, fu fatta approdare in un luogo più “sicuro”… a Milano (a soli 14 giorni dalla sua “Liberazione”… il 25 aprile 1945) ove rimase sino al 26 aprile, quando il suo reparto di Ausiliaria della X Flottiglia MAS venne sciolto… per ovvi motivi.

Il 1946 lo trascorse a Firenze… ed eccoci ritornati al 10 febbraio del 1947… La mattina di quel giorno, a Parigi, si stava firmando il “Trattato di pace”, che assegnava Pola alla Jugoslavia. Il passaggio dei poteri, a Pola, avrebbe dovuto aver luogo proprio nella stessa ora in cui si firmava il “Trattato” a Parigi.

A Pola, la guarnigione britannica era stata schierata per la “grande occasione” davanti alla sede del comando inglese in via Carrara e il Generale Robert William Michael De Winton era incaricato di passarla in rassegna. Egli arrivò sul luogo in automobile e si accingeva allo svolgimento della cerimonia; ma, dalla piccola folla uscì silenziosamente la Maestra Pasquinelli, che dirigendosi con decisione verso il Generale britannico  – come atto di protesta per l’assegnazione di Pola al “Macellaio Tito”, il quale aveva fatto infoibare decine di migliaia di Italiani solo perché tali  – estrasse una pistola dalla manica del cappotto che indossava e gli sparò tre colpi in corpo, uccidendolo all’istante.

Quindi, gettò la pistola a terra, convita di essere abbattuta dai soldati inglesi, i quali invece rimasero totalmente sorpresi e, perciò, si limitarono ad arrestarla, non avendo avuto il tempo d’impedire l’uccisione del loro Generale.

La Maestra aveva su di sé un foglio scritto (pensando di essere freddata anche lei sul posto) in cui esprimeva la sua intenzione di rivolta contro i “Quattro Grandi” del mondo (Churchill, Stalin, Truman e De Gaulle), i quali stavano firmando la cessione di Pola alla Jugoslavia, che il De Winton aveva la sventura di rappresentare, rei  – così agli occhi della Maestra Pasquinelli  – di una “ulteriore infoibazione” degli Italiani e dell’Italia.

Il 19 marzo 1947 iniziò il processo contro la Maestra Pasquinelli, che era una donna animata anche da una profonda Fede cristiana, davanti alla “Corte Militare Alleata” di Trieste.

L’imputata si dichiarò “colpevole” del fatto imputatole e ne spiegò le ragioni. Il 10 aprile fu condannata a morte, ma le venne rivolto un invito dalla Corte di poter fare appello entro 30 giorni per ottenere la grazia.

La Signora Pasquinelli rispose, ringraziando la Corte per la “corte/sia”, ma dichiarando che mai avrebbe firmato una domanda di graziaagli oppressori della mia Terra”.

Il giorno dopo, Trieste, fu inondata da manifestini tricolori con soprascritto: “Dal pantano è nato un fiore: Maria Pasquinelli. Viva l’Italia!”. Decisamente, erano altri tempi e altri uomini…

La stampa che allora era, nonostante tutto, ancora abbastanza obiettiva (almeno rispetto a quella di oggi) notava: 1°) l’assenza del Governo italiano, che da Roma taceva, preferendo “tirare a campare, piuttosto che tirare le cuoia” e facendo gli interessi dell’Inghilterra, come aveva iniziato a fare già dalla metà dell’Ottocento[1]; 2°) la freddezza cinica del quadrilatero alleato e specialmente britannico; 3°) la cupidigia colma di odio degli slavi titini, i quali volevano occupare terre, case e chiese polane, secondo l’ottica comunista per la quale “ciò che è mio resta mio e ciò che è tuo… diventa mio”… anche se, pure loro dovranno andarsene prima o poi, portando con sé soltanto una “modica quantità” d’indumenti, rinchiusi  – per dipiù  – come tutti noi in quattro assi di legno a marcire in una fossa …

Successivamente, il 21 maggio 1947, la condanna capitale le fu commutata in ergastolo da scontare in Italia; fu così che la Maestra Pasquinelli fu trasferita nel Penitenziario di Perugia. Tuttavia, nel 1964, dopo 18 anni di carcere duro, la Maestra Pasquinelli fu liberata per andare a vivere da sua sorella, che era gravemente inferma e aveva bisogno di assistenza, a Bergamo.

Ma, nel 1964/65 la Signora Maestra, oramai, era diventata un personaggio scomodo, ingombrante, non si era “aggiornata”; il “Concilio Vaticano II” era appena finito e lei era rimasta decisamente “preconciliare”… il mondo intero aveva conosciuto lo strano “fenomeno” del “Papa della pace”, del “centrosinistra”, ci si avviava al Sessantotto…  insomma, oramai “il fenomeno Pasquinelli” era considerato un reperto archeologico o meglio preistorico, non protetto e in via di estinzione.

Ella era rimasta “semper eadem” e, in un mondo che non era più il suo e non l’avrebbe neppure più capita, tacque, “non dette le perle ai porci”, come insegna il Vangelo (Mt., VII, 6), si limitò a rilasciare solo una breve intervista nel 2011 (a 97 anni di età… “chi sa tace e chi parla non sa”…) alla giornalista Rosanna Turcinovich Giuricin dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, che nel 2008 aveva scritto un libro interessante sul suo caso.

La Signora Maestra, non solo “di nome” ma anche “di fatto”, Maria Pasquinelli è morta serenamente a Bergamo, nella sua casa, a cento anni di età compiuti da tre mesi, il 3 luglio del 2013.

Quando, tra l’assassinio di Falcone (23 maggio 1992) e quello di Borsellino (19 luglio 1992), il Panfilo “Britannia” attraccò, il 2 giugno del 1992, al porto di Civitavecchia per acquistare a prezzo stracciato, da alcuni “vili affaristi”, i gioielli dell’Industria italiana, cosa avrebbe fatto la Maestra Maria per la sua amata Patria? Forse avrebbe ripreso il treno…?

Tuttavia, non avrebbe più trovato neppure “veri saldi uomini” di “terra ferma”, come il Generale Robert De Winton; al massimo, sarebbe avanzato, scodinzolando, qualche “Figliol d’un can…” a bordo del Britannia e, inoltre, non le sarebbe stato neppure possibile arrivare a bordo di un Panfilo inglese … viaggiando su di un treno delle Ferrovie Italiane …  “O tempora o mores”.

Se  – tirando le somme  – ci si chiede come inquadrare la figura della Maestra Pasquinelli, secondo la dottrina cattolica; mi sembra di poter rispondere che, come spiega San Tommaso d’Aquino, l’essenza della tirannide consiste nel governare per il proprio benessere personale o nel trattare i sudditi come schiavi. Infatti, il tiranno (temporale o spirituale) abusa dell’autorità, non governando per il bene comune dei sudditi, bensì per il proprio oppure facendo leggi contrarie alla legge naturale e divina (S. Th., II –II, q. 64, a. 1, ad 3 e ad 5).

Ora “gli scolastici non esitano a dire che la nazione ha il diritto di destituire, di deporre, di cacciare il tiranno; poiché, egli ha perso il diritto di regnare ed è diventato illegittimo”[2].

Inoltre, S. Tommaso, nel De regimine principum, insegna che “la moltitudine può, senza ingiustizia condannare il principe a disparire, ossia può mettere freno al suo potere, se egli ne usa tirannicamente[3]; poi, aggiunge che «pure se alcuni insegnano essere lecita l’uccisione del tiranno per mano di un qualsiasi privato [...] è pericolosissimo permettere l’uccisione privata del tiranno, perché i malvagi si riterrebbero autorizzati a uccidere anche i re non tiranni, severi difensori della giustizia [...] contro i tiranni eccessivi e insopportabili si può agire solo in virtù di una pubblica autorità»[4]. Insomma: “Quando la legge ingiusta cerca di imporsi con la violenza e con la forza, è lecito ai cittadini organizzarsi e armarsi, opporre la forza alla forza[5].

Padre Reginaldo Pizzorni, recentemente scomparso, continua: “Il diritto di resistenza è generalmente ammesso, e, da S. Tommaso in poi, salvo rare eccezioni, è stato ammesso anche da tutti i teologi come ultima ratio, come ultimo ed estremo rimedio, quando tutti gli altri mezzi previsti non sono possibili o si sono dimostrati insufficienti”[6].

Da parte della dottrina cattolica problemi non ce ne sono; l’unico problema è che oggi uomini come la Signora Maestra Maria Pasquinelli, forse, non esistono più… (Cfr. E. Aga Rossi – M. T. Giusti, Una guerra a parte, Bologna, Il Mulino, 2011; M. Bordogna, Junio Valerio Borghese e la X Flottiglia MAS, Milano, Mursia, 1995; S. Zecchi, Maria, una storia italiana d’altri tempi, Trieste, Vertigo, 2006; Rosanna Turcinovich Giuricin, La giustizia secondo Maria, Pola 1947: la donna che sparò al generale Robert W. De Winton, Udine, Del Bianco Editore, 2008).

d. Curzio Nitoglia



[1] Con una parentesi di appena circa 20 anni, la quale finì in un bagno di sangue, come poi è risuccesso  – per qualche breve e sporadico episodio durato “lo spazio di un mattino”  – con Enrico Mattei, Aldo Moro e Bettino Craxi…

[2] D. Th. C., vol. 29, col. 1962.

[3] De regimine principum, Lib. I, cap. 6.

[4] C. Giacon, La seconda scolastica. I grandi commentatori di San Tommaso, Milano, Bocca, 1944, p. 98.

[5] Ibidem, p. 360.

[6] Ibidem, p. 361.


 
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