>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
TUTTI |0-9 |A |B |C |D |E |F |G |H |I |J |K |L |M |N |O |P |Q |R |S |T |U |V |W |X |Y |Z

Archivio Articoli FREE

israel_arms.jpg
No, non è l’Afrika Corps
Stampa
  Text size
Nel 1967, in sei fulminei giorni, il glorioso Tsahal sconfisse contemporaneamente l’armata egiziana (mille carri armati), Siria e Giordania coalizzate. La Domenica del Corriere – il vostro modesto cronista era lì come giovane praticante – pubblicò la copertina in cui il generale-eroe del blitz, Moshe Dayan, era raffigurato come il David di Michelangelo, con la pezza nera sull’occhio. David contro i Golia arabi. Un trionfo della propaganda. Ci credette perfino il vostro cronista.

Oggi, Golia è Tsahal. Un Golia colossale, devastatore, lento, idiota e macchinoso. E’ in guerra da tre settimane (entra nella quarta) ed ancora non ha occupato una striscia di 37 chilometri per 13, abitata per metà da bambini, donne e vecchi, e praticamente disarmata.

Contro una milizia che dispone di sole armi portatili, e apparentemente non ha nemmeno qualche mitragliatrice nè sufficienti RPG, il Golia del Katz ha impegnato centinaia di carri armati Merkava con corazzatura attiva e puntamento elettronico, artiglieria pesante in mostruosa abbondanza, compie 60 bombardamenti aerei al giorno (quali bersagli sono rimasti da distruggere ancora?) spara missili e bombe-laserguidate da elicotteri da battaglia ultima generazione, provoca mari di fuoco, centra ambulanze, medici e personale dell’ONU, usa armi proibite, fosforo e uranio impoverito.

Ha persino richiamato i riservisti; manco si trattasse di vita o di morte contro forse preponderanti; i suoi soldati sono forniti di tutto, corazze antiproiettili, visori notturni, assistenza radar-computerizzata, da droni, da palloni aerostatici, da foto satellitari, eccetera. E dopo 6 giorni, no 12, anzi 18, anzi 21 giorni sono ancora lì che «avanzano su Gaza».

Il Quarto Reich somiglia in tutto al Terzo, salvo un piccolo particolare mancante: la Wehrmacht.

L’ex Tsahal delle guerre lampo di 40 anni fa, avanza coi soldati coperti da immani forze corazzate, apparentemente, un metro alla volta. Le perdite sono pochissime, da 20 a una quarantina secondo le fonti, ma un terzo per fuoco amico: ovvio, con una simile concentrazione di mezzi letali e un simile volume di fuoco in uno spazio ristretto.

Come cacciatori dilettanti che si sparano sul piede, carristi evidentemente impauriti ogni tanto – per non sbagliare – centrano chiunque si muova in una casa, ed è qualche commando del Katz che è in posizione avanzata.

Secondo Press TV (sito iraniano, è vero) nell’avanzata non proprio lampo sono rimasti feriti tre generali. Tre generali per un «teatro» di 40 chilometri!

Mica è lo sbarco in Normandia, o una manovra a tenaglia su Stalingrado; non si vede qui nessuna manovra a tenaglia. Nessuno di loro, palesemente, somiglia a Rommel.

Troppi generali, troppi carri armati, troppi aerei, un eccesso di volume di fuoco; in uno spazio così ristretto, finisce che qualcuno di voi si fa male davvero.

Che cosa stanno facendo?

Mi piacerebbe che qualche esperto militare mi illuminasse. Provvisoriamente, fornisco qui alcune mie ipotesi per questa macchinosa lentezza, farsesca nella tragedia.

Anzitutto, vogliono risparmiare i loro soldati; l’hanno ammesso gli stessi comandi, i soldati dicono ai giornalisti che hanno avuto l’ordine di essere brutali, distruttivi e preventivamente ultra-aggressivi proprio per limitare le perdite al minimo.

Il perchè è chiaro: il morale del «fronte interno», il paranoico tremebondo popolo israeliano, applaude la «guerra» finchè il numero dei morti loro non supera i cento. Quando diventano di più, già l’umore popolare si rovescia, i leoni si rivelano i ben noti conigli (quelli che abbiamo visto tremare al rumore di un razzo kassam, e piangere su due tegole rotte di fronte a tutte le TV del mondo) e cominciano a strillare. Hezbollah ha vinto infliggendo perdite sufficienti per spaventare il popolo eletto, che subito ha messo sotto processo i suoi generali.

Un altro motivo può essere in quella che chiamerò – sapendo di usare una parola grossa – strategia: sfocata, per non dire torbida. Il potere israeliano, con questa guerra, si propone insieme di vincere le elezioni (per parafrasare il celebre aforisma di  Clausewitz, fa diventare «la guerra una continuanzione della campagna elettorale con altri mezzi»), calmare le angosce dell’opinione pubblica non più sicura della invincibilità di Tsahal («La guerra è la continuazione della psicoterapia con altri mezzi») contro un avversario non pericoloso, rovesciare Hamas ma insieme anche, senza dirlo, sterminare quanti più palestinesi possibile e ridurgli in cenere tutte le infrastrutture, onde siano costretti – i superstiti – a sloggiare.

Tutti questi scopi strategici non convergono, anzi si intralciano a vicenda. Non si può fare la guerra con l’occhio ai sondaggi in altalena, nè avanzare rapidi se ci si ferma ad abbattere case e a massacrare bambine. Più la stupida brutalità dura senza una chiara «vittoria», meno è possibile tacitare con la scusa dell’antisemitismo le proteste internazionali sgomentate dal massacro, nè sopprimere le notizie.

Gli ambasciatori, rivela Haaretz, scrivono sempre più allarmati alla Livni di non riuscire a contenere le manifestazioni in Europa, USA, Australia; intimidire i media e i politici non basta più.

Pagliara che trasmette da Sderot e ci informa del pianto dei poveri abitanti di Sderot con le tegole rotte, diventa ogni giorno meno convincente; anche perchè appare con il cappottino elegante e la sciarpa ben annodata, si capisce che finito il servizio lo attendono gli amici al ristorante del King David Hotel, o una seratina all’Oberoy.

Toni Capuozzo almeno indossa il giaccone di cuoio da pilota-Armani, ma anche lui ha finito gli argomenti sui «tunnel da cui passano le armi per Hamas». I tunnel sono stati da tempo bombardati, e il Capuozzo che ho conosciuto io – un tempo – avrebbe detto «i tunnel da cui, secondo Israele, passano le armi per Hamas», insomma avrebbe indicato una fonte, non una sua certezza fideistica: lui, quei tunnel non li ha visti, non ha controllato coi suoi occhi cosa ci passa e non ci passa.

Robert Fisk, dell’Independent, ha detto: «I giornalisti dovrebbero stare dalla parte di chi soffre. Se avessimo fatto un  reportage sul commercio degli schiavi nel diciottesimo secolo, non avremmo dato lo stesso tempo di parola al comandante della nave negriera, giusto per par condicio. Se fossimo stati presenti alla liberazione di un lager nazista, non avremmo concesso pari tempo al portavoce delle  SS».

Insomma, i trucchi della lobby cominciano a vedersi tutti.

Non ci si faccia ingannare da quel che (non) succede in Italia. A Londra c’è stata una manifestazione con 100 mila partecipanti, pro-Gaza. Membri del parlamento di sua maestà hanno definito ripetutamente Olmert, Livni e Barak dei «mass murderer», assassini di massa.

La CNN ha smentito con prove che «Hamas ha rotto la tregua», dimostrando che a romperla è stata Israele. Persino il Wall Street Journal (di Murdoch) ha parlato di crimini di guerra.

Noam Chomski, ebreo, ha chiamato Israele (in blocco) «mostro macchiato di sangue».

Dieci ebrei australiani si sono incatenati alla porta del consolato per protesta: perchè questo è uno degli esiti di una guerra condotta da un Reich ormai incapace di guerre-lampo, che cresce lo scollamento fra la diaspora e i fanatici di Sion. Con esiti futuri incalcolabili.

Fintan O’Tool, su Irish Times, ha cominciato a porre la domanda proibita, la più scomoda per Sion: «Scusate, ma quando scade il mandato di vittimismo? Quando arriviamo al punto in cui il genocidio nazista degli ebrei d’Europa cessa di scusare lo Stato d’Israele del fatto di non rispettare il diritto internazionale e la semplice umanità?».

Si comincia a notare l’assenza totale di etica militare del glorioso Tsahal. I soldati si mascherano da membri di Hamas nell’avanzata, per sorprendere gli abitanti civili e massacrarli in casa. Sempre mascherati, guidano veicoli normalmente usati dai paramedici palestinesi. Per sgombrare alla spiccia le case, sparano un missile ai piani superiori, poi – quando le famiglie escono gridando – bombardano definitivamente, oppure spianano coi bulldozer.

Hanno così sloggiato almeno 40 mila persone (testimonia Amira Hass) dalle zone agricole e di confine; 20 mila si sono rifugiati presso amici e parenti, in attesa di un nuovo sgombero forzato. In almeno un caso, documentato dal centro ebraico B’Tselem, hanno ucciso donne che uscivano da una casa agitando un lenzuolo bianco.

Ah, glorioso, eroico Tsahal.

Ravi Barak, di Haaretz, riferisce di un ambasciatore europeo in Israele che gli ha detto: «Non mi fraintenda, io capisco benissimo perchè vi siete lanciati in quest’operazione, molti miei colleghi lo capiscono anch’essi e anzi vi sostengono, ma da qualche giorno avete cominciato a oltrepassare la linea rossa».

Benita Ferrero-Waldner, la commissaria europea alle relazioni estere, ha detto al presidente Shimon Peres: «Avete il diritto all’autodifesa, ma quel che avviene a Gaza è al di là di ogni proporzione. Io ve lo dico, signor presidente: l’immagine di Israele nel mondo è devastata».

Se persino i loro maggiordomi eurocratici, da loro selezionati e messi a quel posto, con tutto il rispetto e i riguardi, cominciano a dir loro queste cose, vuol dire che i guerrieri di Katz non sono messi bene. Forse perfino hanno usurato per l’eccessivo uso la loro vera arma, la potenza e l’intrigo della lobby, i ricatti e le intimidazioni e le corruzioni dietro le quinte.

Perchè le loro forze armate, hanno subito la stessa influenza della loro religione: l’americanismo. Come i Lubavitcher, che si mascherano da rabbini polacchi del diciottesimo secolo ma sono nati in USA e Australia, seguono una religione che credono millenaria e talmudica invece è contaminata dai telepredicatori born-again christians, e proclamano «Mosiach now!» come altri americani dicono «Elvis lives!»; o come i ripugnanti coloni «ebraici» in kippà, che vivono la loro odiosa prevaricazione recitando da cow-boy, prendono i palestinesi per i pellerossa, vanno ad occupare le loro riserve indiane, e portano a tracolla l’M16 anche al supermercato, perchè si sentono nel selvaggio West.

Così anche il glorioso Tsahal, la macchina fulminea e agile del ’67, è diventata una copia dell’esercito americano. Logisticamente pesante, semi-immobile, strapieno di gadget fantascientifici, fidando che i mezzi supertecnologici e il volume di fuoco possano rimpiazzare l’intelligenza tattica e l’acutezza strategica mancante, e la supremazia dell’aria compensi la mancanza d’abnegazione, di sacrificio, di coraggio militare – tutte cose che la Lockheed non produce.

L’esercito che Wolfowitz mandò in Iraq convinto che fosse «una passeggiata», e cinque anni dopo è ancora lì a sparacchiare su chiunque gli faccia paura, senza il controllo del territorio; e che Rumsfeld mandò in Afghanistan ormai sette anni fa, ed è ancora lì inchiodato, pur sapendo benissimo ammazzare cortei nuziali e famigliole nelle capanne.

I generali israeliani non sono i nuovi Dayan, sono i generali Petraeus in sedicesimo.

Il pubblico israeliano in questi giorni va in comitiva sulle colline a vedere le esplosioni col binocolo, applaude alle fiammate, si fotografa sullo sfondo delle colonne di fumo, tutto allegro; pronto però a tirar fuori l’eterno vittimismo e il pianto del perseguitato, se le cose cambiassero.

Del resto, il 37% degli israeliani ha anche un’altra cittadinanza, e non lascia scadere i passaporti tedeschi, francesi, americani che ha in tasca, li rinnova scrupolosamente.

«Non abbiamo un altro Paese dove andare», strilla la Nirenstein; ma lei per prima, un altro Paese ce l’ha. E tutti hanno in testa il pensiero che, se necessario, da Israele se ne vanno e la lasciano vuota.

C’è da chiedersi cosa farà un simile esercito di aguzzini e carcerieri, con quella popolazione di vili che urlano di terrore per un kassam, se un giorno si troverà di fronte forze armate vere; già solo se Hamas disponesse di una quarantina di mitragliatrici, c’è da credere che inchioderebbe la super-armata di Katz per chissà quanti mesi.

Hamas non ha le mitragliatrici, e perciò non vincerà. Ma l’esercito israeliano è disfatto. Da se stesso, anzitutto.



Home  >  Medioriente                                                                                     Back to top


La casa editrice EFFEDIEFFE ed il direttore Maurizio Blondet, proprietari
dei contenuti del giornale on-line, diffidano dal riportare su altri siti, blog,
forum, o in qualsiasi altra forma (cartacea, audio, etc.) e attraverso attività di spamming e mailing i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright ed i diritti d’autore. Con l’accesso al giornale on-line riservato ai soli abbonati ogni abuso in questo senso, prima tollerato, sarà perseguito legalmente. Invitiamo inoltre i detentori,a togliere dai rispettivi archivi i nostri articoli.
 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità