Satana e musica
31 Maggio 2009
Ricevo questa mail:
«Caro Direttore,
sono contentissimo della messa in vendita del libro di Jones:
finalmente, da quel che ho letto dei vecchi stralci riportati su FDF,
un testo che parla in maniera lucidissima della musica moderna,
facendone un’analisi approfondita e direi impossibile da controbattere
(a meno che non ci si tappi gli occhi...). Ottima scelta! Ora guardo
di raggranellare i soldi e poi molto probabilmente ordinerò subito,
come ovviamente consiglio anche quasi ‘alla cieca’ a chi volesse
approfondire il tema. Chissà se convincerà i rockettari alla
‘tutto-è-complotto-ma-non-toccatemi-la-musica’ di EFFEDIEFFE.... A
proposito di questi ultimi, a loro dedico un’ulteriore chicca che
casualmente ho trovato oggi; sembrerebbe inutile, ma la voglio tirar
fuori anche in onore della prossima vendita del ‘Ritorno di Dioniso’, e
delle fatiche del suo autore. Riguarda gli ormai sviscerati, ma senza
successo per alcuni, Pink Floyd; ecco un ulteriore fatto
inequivocabile: http://it.wikipedia.org/wiki/Animals#Sheep
Il brano contiene anche riferimenti religiosi: la ‘cecità sociale’
delle pecore è paragonata alla fede cieca, come quando le pecore dicono
di aver ‘guardato oltre il Giordano’ (verso successivamente ripreso
dallo stesso Waters per la canzone ‘The Bravery of Being Out of Range’,
presente nel suo album solista ‘Amused to Death’) e aver visto che ‘le
cose non sono ciò che sembrano’. Dopo due strofe, il cantato e
l’intensità della strumentazione si arrestano bruscamente per lasciare
il posto ad un inquietante tappeto di note di basso e sintetizzatore,
su cui si sviluppano vari tipi di assolo. A circa metà canzone, verso
la fine dela parte strumentale è possibile ascoltare una voce
(estremamente filtrata) recitare delle parole quasi incomprensibili. E’
un roadie della band che, attraverso un vocoder, recita una versione
completamente stravolta del Salmo 23 in cui Dio è raffigurato come un
macellaio che accudisce le sue pecore con lo scopo di farne cotolette
d’agnello. Nei concerti live la lettura era affidata a Nick Mason.
Questa provocatoria trovata, già prevista per ‘The Great Gig In The
Sky’ ma in seguito accantonata, ha trovato reazioni non sempre
entusiastiche da parte del pubblico. Ma cosa dirà, questo ‘salmo
blasfemo’? Il testo si trova direttamente nel forum dei fan del gruppo
(http://www.sydbarrett.it/fcforum/viewtopic.php?f=11&t=613&st=0&sk=t&sd=a&start=45):
The lord is my shepherd, I shall not want
He makes me down to lie
Through pastures green he leadeth me the silent waters by.
With bright knives he releaseth my soul.
He maketh me to hang on hooks in high places.
He converteth me to lamb cutlets,
For lo, he hath great power, and great hunger.
When cometh the day we lowly ones,
Through quiet reflection, and great dedication
Master the art of karate,
Lo, we shall rise up,
And then we’ll make the bugger’s eyes water.
Ovvero, tradotto: ‘Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Mi
fa riposare su pascoli verdi. Mi conduce presso acque tranquille; con
coltelli luccicanti libera la mia anima. Mi fa stare appeso su ganci in
luoghi alti. Mi converte in cotolette di agnello. Poiché egli ha grande
potere e tanta fame. Quando verrà il giorno che noi sottomessi
attraverso una calma riflessione e grande dedizione saremo maestri
nell’arte del karate, ci ribelleremo e allora faremo piangere gli occhi
del bastardo’.
Servirà a convincere i cattorockettari? La speranza, anche se
flebilissima, è l’ultima a morire, come deve aver pensato pure il
Nostro Michal Jones...
Saluti
Lorenzo»
Agghiacciante davvero, caro lettore, l’anti-salmo dei Pink Floyd. La
contraffazione beffarda del salmo (il salmo che alcuni santi recitavano
nell’agonia) ne rivela l’Ispiratore: il maestro preternaturale della
beffa e della contraffazione. Egli in qualche modo, descrive se stesso:
è lui il Macellaio supremo, quello che ci vuole tutti appesi ai ganci
dei gulag e delle guerre. Non a caso, è stato detto «L’Omicida fin
dall’inizio».
Nello stesso tempo, si resta colpiti della vitalità inesauribile, dopo
almeno due secoli di ribellione al divino, che è lo stigma della
modernità, dell’odio che sappiamo ancora esprimere verso Dio. Si è
costretti a riconoscere che questa rivolta maligna si agita in ciascuno
di noi: perchè ci hai fatto nascere, per poi morire, per «macellarci»?
Ma ci vendicheremo! I «Demoni» di Dostojevsky già sono agitati
freneticamente da questa sfida, da questa stessa voglia di vendetta
verso Dio - e precisamente del Dio cristiano - che ci macella.
Come cristiani, sappiamo la risposta: il Figlio di Dio stesso non si
sottrasse, si lasciò macellare come un Agnello, uomo fra gli uomini,
per indicarci la via del nostro dovere soprannaturale; morire per
rinascere nell’eternità.
E tuttavia, tale risposta appare sbiadita, spettrale, come la Chiesa
stessa; la vitalità, rabbiosa e maligna, è tutta dall’altra parte.
L’espressione, diciamo «artistica», dell’Occidente (per i giovani: rock
e graffiti sui muri), esprime solo quella parte; la parte della luce
resta confinata negli affreschi e nei mosaici di antiche chiese poco
visitate, forme d’arte che nessuno vuol più riprodurre, o che non sa
riprodurre in modo vitale. E’ la vitalità del nichilismo, in cui tutti
siamo immersi; e per sottrarcene, che sforzi aridi ci occorre fare, che
fede vacillante cerchiamo di ricomporre da macerie....
La massima, unica espressione artistica cristiana nel nostro tempo
resta la chiesa della Sagrada Familia di Gaudì; una preghiera di
pietra, recitata con vero dolore ed amore, ma composta degli elementi
fantastico-demoniaci, beffardi e ironici, del surrealismo - un po’ Dalì
e un po’ Walt Disney, un po’ maceria bombardata e un po’ allegra
follia. Anche il vero credente Gaudì, il santo architettore, dovette
usare «quel» linguaggio. Evidentemente, è il nostro destino di credenti
dei tempi ultimi, chieder pregando nella notte, come Nicodemo, il dono
dell’infanzia spirituale.
Perciò non spero molto che i «cattorockettari» siano indotti al
risveglio dall’anti-salmo dei Pink Floyd. Li si può forse solo
avvertire della strategia luciferina che ha voluto il sottomondo del
rock (come di tanti altri sotto-mondi dell’età contemporanea, dozzinali
e da quattro soldi ma quasi irresistibili: il consumismo, la
pubblicità, la pornografia banalizzata dalla TV). Questa strategia è
intesa a incistare i giovani sempre più a fondo nei simboli
anticristici - nelle croci rovesciate, nei segnali fiammeggianti della
ribellione, nella bestemmia - fino ad atti compiuti e irrevocabili: lo
scopo è convincere generazioni intere che sono andate troppo a fondo
per risalire. Farli disperare, insomma, della salvezza. «L’ho fatta
troppo grossa, ormai sono perduto». Il peccato di Giuda.
Quanti giovani sono così, lo si vede dalle loro facce e dai loro atti.
Facce infelici nel «divertimento», atti inconsulti il cui scopo è
procurarsi «emozioni forti» - necessarie a chi crede che la sola cosa
da fare qui, prima di morire nel nulla, sia arraffare un piacere
qualunque, per non restar defraudati (la classica frode di Colui che
compra anime, e non dà in cambio che qualche lustrino, o due dosi di
coca). Bisognerà dire a costoro, almeno, che la via della Misericordia
è sempre infinitamente aperta;
che nessun delitto umano supera la capacità del Misericordioso - che ci ha comprati col Suo sangue - di perdonare, e sanare.
Molto opportunamente, caro lettore, lei consiglia la lettura del libro di Michel Jones (
Il ritorno di Dioniso - Musica e rivoluzione culturale).
Questo americano doppiamente insolito: coltissimo e cattolico, offre
una chiave illuminante per comprendere la deriva verso gli abissi della
musica (o di ciò che passa per tale) nel nostro tempo: la «rivoluzione
sessuale» come movente.
Da digiuno di cultura musicale, mi sono spesso domandato quando e come
l’Europa ha abbandonato il suo «linguaggio» musicale proprio (tutto ciò
che va sotto il nome di musica «classica») per adottare il jazz, il
rock, insomma una lingua estranea, e negroide. Jones, con chiarezza
lampeggiante, identifica un momento: verso il 1888, quando Nietszche,
ormai sull’orlo della follia, volge le spalle all’Europa ed «emigra»
spiritualmente in Africa.
Nietzsche si sente definitivamente tradito da Wagner. Il vecchio
maestro e adultero abituale aveva composto il Parsifal; un’opera che il
masturbatore
(1)
di Sils Maria interpreta come una conversione, o almeno un
riavvicinamento di Wagner al cattolicesimo. Conversione mai avvenuta,
non più che una molle nostalgia di un impenitente. Ma le righe furenti
di Nietzsche che Jones riporta sono inequivocabili: il Parsifal era per
lui «lo spirito della Controriforma», era «troppo cristiano, chiuso,
limitato (...) con troppo libretto specialmente nella parte della Santa
Comunione... una traduzione da una lingua straniera».
Ma in cosa consisteva precisamente il «tradimento» di Wagner?
Nell’aver abbandonato la via della «rivoluzione culturale» aperta con
il Tristano e Isotta. Quest’opera - racconto di un adulterio - è stata
vissuta da quella generazione tedesca come l’abbondono di quel che
Wagner chiamò «l’ideale impossibile» della cristianità (luterana, il
perbenismo borghese) e l’inizio della «liberazione sessuale», della
soddisfazione dei desideri repressi, che finalmente Wagner il mago
rendeva «esteticamente plausibili».
Niezsche ne fu entusiasta: finiva l’era di Cristo, e tornava l’età di
Dioniso. «Il Tristano di Wagner è un’opera assolutamente oscena»,
scrisse.
Che una musica sia oscena, nel senso di pornografica, può sembrare
strano alle nostre orecchie ormai incallite, alla nostra coscienza
ormai assuefatta a ben altre pornografie. Ma un geniale ammiratore di
Nietzsche come Thomas Mann (in una frase riportata da Jones) è molto
esplicito: «... non perdevo mai una rappresentazione del Tristano (...)
quella che è la più sublime e pericolosa delle opere di Wagner, che
nella sua passione sensuale e sopra-sensuale,
nel suo lascivo desiderio di letto, è davvero adatta ai giovani, nell’età in cui il desiderio erotico è così importante».
Il Tristano fu per quelle generazioni la liberazione dei desideri dalla
ragione, l’entrata nel territorio in cui «tutto è permesso», in cui
(per Nietzsche) «la civiltà viene annullata dalla musica». E invece,
ecco il vecchio corruttore, appagato e sistemato, scrive Parsifal.
«Un’apostasia e un ritorno agli ideali oscurantisti di un cristianesimo
morboso», grida Nietzsche: «La parola di Feuerbach sulla ‘santa
sensualità’ risuonò negli anni ‘30 e ‘40 (dell’Ottocento) per Wagner
come per molti tedeschi come la parola della redenzione». E adesso, di
colpo, Wagner se ne esce fuori con
«la predicazione della castità: un istigamento alla negazione della natura».
E’ a questo punto che Nietzsche (siamo nel 1888, fra poco sprofonderà
nella demenza) si volge all’Africa. Un’Africa che «sente» o finge di
sentire (per far dispetto a Wagner) nella Carmen di Bizet: «La sua
serenità è africana; la sua felicità è breve, improvvisa, senza
remissione». Bizet ha «il coraggio di questa sensibilità meridionale,
scura di pelle, riarsa... Come ci persuade acquietandoci la danza
moresca (...) nella sua lasciva melanconia (....) Finalmente l’amore,
l’amore ritradotto nella natura! Non l’amore di una ‘vergine
superiore’, ma l’amore come fatum, come fatalità, cinico, innocente,
crudele, e appunto in ciò, natura. L’amore che nei suoi strumenti di
guerra è in fondo l’odio mortale dei sessi»
(2).
E’ l’inno alla immaginaria e favoleggiata sessualità negra o primitiva,
al sesso senza problemi, alla pura «natura» senza storia. Negli stessi
anni, Gauguin partirà per la Polinesia a cercare la stessa cosa: «le
delizie dell’abiezione», come dice Thomas Mann. E il colonialismo avrà
tra le sue spinte occulte ma potenti la presunta disponibilità sessuale
della «faccetta nera»: l’uomo bianco vuole abbandonare l’armonia e la
moderazione cristiana per il luogo dove «tutto è permesso» (come capirà
Conrad, risalendo il fiume Congo in «Cuore di Tenebra»). Sono gli anni
in cui Freud scopre la molla della libido come «verità ultima» della
psiche, con l’idea di smuovere gli inferi: «Movere si nequeo superos,
Acheronta movebo», pone in exergo alla sua «Interpretazione dei sogni»:
se non posso commuovere il cielo, susciterò l’Averno. Picasso ed altri
scoprono di colpo «l’arte negra», le maschere orribili di idoli e
stregoni divengono oggetti da mostra d’arte.
Anche Nietzsche, roso dalla sifilide, parte a modo suo: «Sto cercando il continente nero, per liberarne gli schiavi», scrive.
Profetico Nietzsche, profeta della tenebra. Sbagliò solo di continente:
non dall’Africa ci sarebbe venuta la nuova musica dionisiaca, ma dagli
Stati Uniti. Le prime orchestre jazz negre giunsero a Parigi con le
truppe americane nel 1917: e trovarono un’Europa che avendo esaurito
ogni risorsa spirituale nell’immane macello della Grande Guerra, era
pronta ad abbandonare la sua lingua musicale, Bach, Beethoven, Mozart.
Come erede di Wagner, era rimasto Schoenberg, con la sua musica
inascoltabile, la non-musica atonale, uno sterile intellettualismo che
non portava a nulla. La musica negra invece, «fortemente marcata e
riconoscibile anche dagli illetterati musicali», che «viene
ritmicamente dalla regione inguinale, dagli organi sessuali», scrive
Antheil, «ci fece ricordare se non altro che avevamo ancora dei corpi
che non erano stati dilaniati da shrapnel... Stavamo imparando a vivere
alla solare luce torrida degli animali».
Ovviamente questa idea del negro «libero da colpa, sessualmente
libero», era una costruzione culturale bianca: l’ennesima riedizione
del mito illuminista del buon selvaggio, ma intinto per di più
nell’ideologia maligna del Ku Klux Klan (il negro pericoloso per le
donne bianche perchè sessualmente strapotente) assunta alla rovescia, e
con suggestioni voodoo. Era il principio di una via che porta, dal
«cuore di tenebra» del Congo, a ben altre e più profonde tenebre: a
Woodstock, ai Pink Floyd e agli AC/DC (Anti-Christ - Death to Christ),
alle suggestioni occultiste alla Crowley, alla glorificazizone della
bisessualità e delle droghe, della trasgressione permanente, della
magia nera. Giù giù fino al «Non serviam» di Lucifero.
Perchè e in qual modo siamo arrivati a tanto, lo saprete continuando a
leggere il libro di Jones che consiglio a tutti i lettori.
Maurizio Blondet
1) E’ stato lo stesso
Wagner ad insinuare, in una lettera al medico di Niezsche, che la
malattia del filosofo fosse dovuta agli eccessi del vizio solitario.
2) Ciò che le canzonette
chiamano «amore» è proprio questo in realtà: odio mortale dei sessi. Il
sesso come predazione, lo stalking, la violenza di gruppo sulla
sconosciuta o l’accoltellamento della fidanzata, sono il risultato
sempre più frequente di questo «amore» cosiddetto «innocente e
crudele». Profetico Nietzsche.
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