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La corazza schiaccia la testuggine
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Il sintomo può parere secondario: la USS Essex, nave d’assalto porta-anfibi e portaelicotteri essenziale per gli interventi dei Marines, non ha potuto partecipare alle esercitazioni congiunte con la Thailandia «Cobra Golds 2012», per problemi meccanici e di manutenzione.

È la seconda volta che accade in sette mesi, ad una nave che, a 21 anni di vita, non è vecchia. Il fatto ha dato la stura, sul sito Military.com, a commenti rivelatori. «La causa è il logoramento», ha detto il portavoce della squadra d’assalto (Task Force 76) di cui la Essex, detta Iron-Gator, è l’elemento di punta. E il tenente Anthony Falvo, portavoce della Settima Flotta, ha spiegato che il problema sono le troppe manutenzioni saltate, e non solo dalla Essex.

«Ogni santo giorno abbiamo circa il 40% dei nostri scafi in operazione, per adempiere alle richieste dei comandanti in combattimento (...). La Essex è nellarea del Pacifico da 11 anni, fra laltro per dare soccorso umanitario alle vittime indonesiane dello tsunami del 2005, fino al soccorso del terremoto in Giappone nel marzo dellanno scorso».

Anni di superlavoro. I rigorosi standard di manutenzione e la severa periodicità delle ispezioni tecniche, come prescritte dalle direttive della Marina da guerra USA, ne hanno sofferto.

Undici portaerei con le relative squadre d’appoggio sono una immane manifestazione di potenza, e su questo poggia la capacità americana di proiezione bellica globale. Basta pensare l’impressionante flotta che affolla il Golfo Persico per intimidire l’Iran. Ma la realtà è un po’ diversa. Come risulta da un’audizione di Ammiragli davanti al Congresso,

«più di un quinto dei navigli della US Navy non è stata in condizione di ‘combat readiness’ negli ultimi due anni, e meno della metà degli aerei imbarcati sono pronti per le missioni in ogni dato momento». Tali «lampanti deficienze sono non poco allarmanti»,

ha commentato il deputato Randy Forbes (repubbblicano della Virginia), specie nella prospettiva di una Cina che è sempre più armata per il dominio dei mari lontani, e dei tagli di bilancio che la Difesa americana affronterà nel prossimo decennio.

Già da un anno gli alti gradi segnalavano la difficoltà di rispondere alle missioni sempre più frequenti ed intense che vengono loro richieste dal Central Command, lo Stato Maggiore che conduce le guerre in Iraq e Afghanistan.

«C’è una domanda insaziabile delle nostre forze», s’è lagnato l’Ammiraglio John Harvey.

David Petraeus
  David Petraeus
Lo scorso maggio, il Generale David Petraeus ha chiesto alla Marina di mettere in linea nel Mar Arabico non una portaerei, ma due (ciascuna con la sua squadra), a supporto delle operazioni belliche in Afganistan, di cui Petraeus è responsabile.

«La Marina non ha potuto soddisfare la richiesta 2.0 di Petraeus, ma è stata in grado di sostenere il livello 1.7», che significa: le due squadre erano sul posto insieme «nel 70% del tempo»...

William Burke
  William Burke
Il Vice-Ammiraglio William Burke, responsabile della logistica e preparazione della flotta, ha confessato che la US Navy «ha una limitata disponibilità di forze». E «quando sono richiesti dispiegamenti aggiuntivi (come i soccorsi umanitari, ndr), certe volte trascuri la manutenzione, oppure trascuri l’addestramento, il che ha un effetto negativo sulle manutenzioni; abbiamo eventi con effetti a cascata, sicchè non riusciamo a raddrizzare entrambi».

L’Ammiraglio Gary Roughead, capo delle operazioni navali, ha fatto notare che la richiesta del Central Command (due portaerei invece di una) può essere sostenuta dalla Marina «per due anni», ma non come «soluzione a lungo termine. L’aumento di operatività è diventato una consegna di routine. Da quasi dieci anni la US Navy opera ‘su domanda’. È tempo di schiacciare il tasto Reset». (USS Essex Unable to Fulfill Mission for 2nd Time in 7 Months)

E il già citato Ammiraglio Harvey:

John Harvey
  John Harvey
«Nei passati dieci anni, adempiere alle richieste è costato un prezzo, un prezzo che sarà pagato nel tempo. Turni di manutenzione saltati hanno come effetto di ridurre la vita di servizio delle navi, e un aumento quantificabile dei materiali che, alle ispezioni, risultano mancanti quanto a readiness. Dal 2005, circa 50 navi ogni anno, per adempiere agli impegni operativi, superano i limiti estremi prescritti per la manutenzione (red lines). Il numero delle navi risultate deficienti alle ispezioni è raddoppiato tra il 2005 e il 2009, ed oggi è del 14%».

Sullo sfondo della dottrina militare USA, la dilettantesca «revolution in military affairs» e la guerra snella preconizzata da Donald Rumsfeld, con la pretesa capacità di condurre due guerre parziali contemporaneamente, l’insieme di queste ammissioni va quasi salutata da un applauso: gli Ammiragli hanno riscoperto i concetti di «logoramento» e di «attrito», già sottolineati da Clausewitz (1); concetti che forse pensavano superati con la strapotenza illimitata dei mezzi. Ora i mezzi (finanziari) per condurre guerre di dieci anni, e senza fine in vista, sono assottigliati. Ne consegue che, per esempio, la concentrazione di forze navali nel Golfo e nel mare di Oman non può essere mantenuta; che essa squilibra gli altri teatri di operazione e minaccia (nel Pacifico cinese) e sguarnisce l’Atlantico, il Mare del Nord e il Baltico, dove la presenza russa non è trascurabile.

Impiegata in compiti discutibili per cui è mal adattata – come quello di servire da aeroporto per bombardare l’Afghanistan, nel centro della Heartland, – la forza navale USA si logora in sforzi lunghi e dispendiosi con effetti microscopici, o negativi, se si pensa alla continua resistenza afghana. Soprattutto, la Navy è ancora capace di adempiere la sua missione strategica centrale, che è quella del controllo dei mari e della superiorità strategica oceanica?

La domanda può essere rivolta all’insieme delle forze armate, che non sono in condizione migliore. Il numero degli effettivi di terra è stato fortemente ridotto. L’aviazione ha conosciuto problemi misteriosi sul suo costosissimo F-22. Agli esemplari di quello che la pubblicità della Lockheed Martin definisce «il caccia super-manovrabile di quinta generazione con tecnologia stealth» è stato vietato ancora una volta il volo (stavolta «temporaneamente»: la volta scorsa è stato per tre mesi, nel maggio 2011) perchè i piloti hanno manifestato «sintomi di ipossia» durante le missioni, per un difetto dell’apparato di respirazione ad ossigeno. Il guaio è che, nonostante le ricerche, la causa del difetto non è stata scoperta. Eppure l’apparato è lo stesso in uso nella maggior parte degli altri aerei da guerra americani, dove non pare abbia intossicato i piloti. (Air Force grounds F-22 fleet yet again)

Gary Roughead
  F-22
Per l’F-22 il difetto è particolarmente grave, non solo perchè per l’Aviazione è la punta di diamante strategico-tattica; ma soprattutto perchè la sua invisibilità ai radar lo «ha legato ad un’architettura elettronica che nessuno domina veramente, da cui un comportamento operativo erratico in certi casi. Questo aereo è continuamente su una corda tesa sul vuoto» (così Dedefensa), e certo la sua precarietà in volo non è diminuita dal rischio che i suoi piloti possano essere silenziosamente intossicati dal respiratore a ossigeno.

Si aggiungano i continui ritardi e guasti che colpiscono lo F-35. Si aggiunga la cattura, da parte dell’Iran, dell’avanzatissimo e segretissimo drone-spia «Sentinel», avvenuta a dicembre, a quanto pare perchè i tecnici iraniani sono stati in grado di penetrare il sistema elettronico di telecomando di questo velivolo (invisibile pure lui) senza pilota mentre sorvolava il loro territorio – uno smacco difficile da digerire. A forza di gigantismo e di tecnologismo, la forza armata più potente della storia pare impaniata dalla sua stessa complessità, e la sua immane forza di distruzione rischia di volgersi in auto-distruzione.

La testuggine è schiacciata dal suo carapace, divenuto troppo spesso e pesante: un’immagine che fu usata quando assistemmo al collasso dell’Unione Sovietica. Si vide allora che un impero con il prodotto lordo pari a quello del Messico non poteva più sostenere l’enorme arsenale da superpotenza globale, alla pari con l’America; che questo storpiava e paralizzava la vitalità residuale del sistema.

Era una metafora che alludeva all’estinzione dei grandi rettili preistorici. Se si può oggi applicare agli Stati Uniti, sono i segni premonitori dell’estinzione non solo dell’impero americano – che sarebbe già abbastanza spaventoso – ma della civiltà planetaria, dell’unificazione del pianeta portata dalla tecnica, che l’America ha generato. In questa «civiltà» della hubris tecnologica, questo Occidente globale unificato dalla TV e dal Web, dai «mercati» e dalla finanza, sono state risucchiate da ultimo la Cina e l’India, e il mondo islamico sia pur come ultimo nemico da omologare (2).

Se la caduta di un impero non è un bello spettacolo geopolitico da vivere quando ci si è dentro, cosa può essere la caduta della prima civiltà planetaria mai esistita, ed oggi volta al «progresso verso la fine»?

Il filosofo Karl Jaspers descrisse profeticamente questa civiltà ipertecnologica come «un mondo da cui esula completamente la fede, nel quale vivono uomini-macchina che hanno perduto se stessi e la loro divinità».

E Hans Sedlmayr commentava: «È la fine della nobiltà umana e della personalità... dietro cui si apre la prospettiva abissale del mondo caotico di una civiltà frantumata» (3).





1
) Karl Von Clausewitz, «Della Guerra»: «... la battaglia, nel suo sviluppo, è un lento logoramento reciproco delle forze, che deve dimostrare quale dei due combattenti giungerà per primo ad esaurire quelle dell’avversario». E ancora: «La macchina militare, cioè l’esercito e tutto ciò che lo riguarda, è, in fondo, semplicissima e sembra appunto a causa di ciò facile a maneggiare. Ma non si deve dimenticare che nessuna delle sue parti forma un solo pezzo, che esse sono invece composte di singoli ingranaggi di cui ciascuno ha un attrito proprio in ogni senso (...). Questo enorme attrito, che è impossibile concentrare come in meccanica su pochi punti, è perciò dovunque in contatto col caso, e produce fenomeni che sfuggono ad ogni previsione». Da qui l’insistenza di Clausewitz sulla riduzione della durata del conflitto, da perseguire come scopo strategico: più la guerra si allunga, maggiori diventano i pericoli di sconfitta. Di qui l’avvertimento, di cui gli strateghi alla Rumsfeld e Wolfowitz avrebbero dovuto tener conto: «La guerra non è un passatempo, un divertimento consistente nel rischiare e riuscire, un’opera di una libera ispirazione; è un mezzo serio inteso ad uno scopo serio».
2) Quasi metà dei milionari cinesi stanno pensando di abbandonare la Cina, il 14% hanno già in corso le pratiche di visto, e il 40% vogliono andare ad abitare stabilmente negli Stati Uniti. Ed effettivamente non c’è posto migliore per vivere «liberi», quando si è milionari. Gli Stati Uniti stanno accogliendo questi nuovi emigranti con le famiglie, dando loro il visto residenziale speciale cui hanno diritto coloro che portano in USA almeno un milione di dollari. Non c’è prova più chiara della realtà di quella che si chiama «civiltà planetaria». Non esistono più Oriente e Occidente, ma un mondo omologato che è «America», o aspira ad esserlo. Ciò significa che la tecnica rimarrà anche dopo il declino o crollo degli USA e dell’ex-Occidente, insieme alla «comogonia» (e concezione del mondo) che la tecnica ha imposto. (Report: Half of China’s millionaires want to leave)
3) Hans Sedlmayr, «Perdita del centro», Rusconi, 1970, pagina 312.



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