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La Casta: Germania, pagaci tu!
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Il nostro vero Santo Padre – intendo Giorgio Napolitano – ha di nuovo levato la sua venerata voce. Da Varsavia: «Non si può ridurre la responsabilità europea ad una coppia di Paesi come Francia e Germania». Ed ha auspicato (i Santi Padri ‘auspicano’) che, «alle consultazioni tradizionali tra Francia e Germania, venga associata anche l’Italia per il cui governo e per il suo Primo Ministro c'è rispetto e considerazione».

Rispetto e considerazione? «La politica di Mario Monti è oggi fallita», scrive l’economista Jacques Sapir sul settimanale francese Marianne: «Non solo ha spezzato la crescita e gettato il Paese nella recessione, ma con un rigore fiscale più pesante mentre lo Stato è notoriamente un cattivo pagatore, ha aggravato notevolmente la situazione delle piccole e medie imprese. Le entrate fiscali hanno cominciato a calare in maggio» (1). Lo sa Sapir, lo sanno i «mercati» globali: e si vede dal fatto che, adesso, lo spread è salito di nuovo a livelli berlusconiani. Costretta a pagare quei tassi sul suo debito, l’Italia è – ineluttabilmente – la prossima Spagna.

Perchè ha fallito? Perchè non ha nemmeno provato a tagliare la spesa pubblica. E perchè «auspica» Napolitano? Spinge Monti a sedersi al tavolo europeo e a premere sulla Merkel per strapparle un «federalismo» europeo, che consiste in questo: mettere in comune i debiti pubblici, andare sui «mercati» a chiedere soldi non come una indebitatissima Italia, ma come solida Europa. Il che significa, come abbiamo già detto in altro articolo, che in un modo o nell’altro (se ne immaginano diversi) la Germania deve garantire il debito italiano. Questo «federalismo europeo» significherebbe, per la Germania, farsi garante di ultima istanza per 4 mila miliardi di euro, il 150% del suo PIL.

E perchè un tale sacrificio? Traduciamo l’auspicio di Napolitano come viene inteso nella traduzione tedesca: «Signora Merkel, io sono il presidente di una repubblica, e io da solo costo 6 volte tanto la Corona d’Inghilterra: 228 milioni di euro annui. Prego signora Merkel, non mi riduca alla miseria ossia a campare come la poveraccia di Buckingham Palace. Noi, qui, non possiamo tagliare le spese pubbliche; per favore, pagateci voi il conto dei nostri lussi. Abbiate rispetto e considerazione per il mio Monti».

Così dev’essere stato inteso a Berlino l’auspicio Napolitano per «più Europa», perchè la Merkel ha diramato la seguenta dichiarazione: «Vogliamo più Europa, ma un’Europa in cui debiti congiunti vadano insieme a controllo congiunto. Ciò che non è accettabile sono debiti condivisi mentre il controllo che resta in mani nazionali».

«Chi paga il conto deve avere il diritto al controllo» della spesa, ha rincarato più esplicita la vice-presidente della Bundesbank Sabine Lautenschlaeger.

È evidente che Merkel e i suoi sperano che i Paesi rifiuteranno con sdegno tale cessione di sovranità. Ma no, Monti e Napoletano sono prontissimi a cederla. Della sovranità italiana non sanno che farsenei i partiti italiani, i governi italiani non hanno mai aspirato ad altro che a liberarsene. Ed ora, al dunque, i tecnici sono lì ad offrirla sul piatto, la sovranità nazionale: «Prendetevela, basta che ci paghiate i conti! Basta che non ci facciate tagliare le pompe e gli splendidi fasti nostri!».

Perché – siamo giusti – Monti e i suoi tecnocrati sono stati bravissimi a tagliare le spese dei privati cittadini e ad aumentare gli introiti pubblici aggravandoli di tasse; ma quando s’è trattato di tagliare gli sprechi pubblici, non sanno come fare. Per un po’, non sono nemmeno riusciti a mettere a fuoco il problema: eppure il fatto che la spesa pubblica sia colossale, improduttiva, in inarrestabile aumento (2 milioni di euro l’ora, 40 mila al minuto) è il più evidente problema di questo Paese. Qui c’è il grasso da risparmiare per rientrare dal debito. L’urgenza di una profonda riforma delle pubbliche amministrazioni si vede ad occhio nudo, Macchè: ai tecnici è apparsa urgente la riforma dei taxisti, dei farmacisti, dei notai.

Poi, dopo le grida congiunte di economisti, giornalisti, associazioni di categorie e tartassati vari che richiamavano l’attenzione dei tecnici sulle cose da tagliare nel settore pubblico, hanno dato incarico a Giarda di fare la «spending review»: e Giarda, di malavoglia, ha detto che lui poteva risparmiare 4 miliardi; pari allo 0,56% sulla spesa pubblica di 800 miliardi annui. dopodichè, il governo dei tecnici ha incaricato un tecnico, il famoso Bondi, a cercare dove e come tagliare quello 0,56%.

A questo punto, i centri-studi di Confindustria e Unimpresa hanno presentato un loro progettino di spending review: tagli non per 4, ma per 200 miliardi. Dai giornali:

«... 10 miliardi dettaglio potrebbero arrivare dai tagli ai costi della politica, 45 a quelli della PA, 60 a quelli del sistema pensionistico, 35 miliardi su contributi alla produzione e agli investimenti, prestazioni sociali extraprevidenziali, aiuti, trasferimenti, investimenti, 12 miliardi di taglio al sistema sanitario e altri 16 ai costi del debito pubblico. Per finire 5 miliardi di tagli ai costi della difesa e delle forze armate e entrate per 15 miliardi allanno da privatizzazioni».

Di questi risparmi, ha concluso Confindustria, 50 miliardi dovrebbero andare per il pareggio di bilancio, e gli altri 150 per «una feroce riduzione della pressione fiscale».

È stato in questo preciso momento che il membro del Bilderberg e capo della Trilaterale Europa, Mario Monti, ha cominciato a lamentare di «aver perduto l’appoggio dei poteri forti». Intendeva Confindustria.

Tagliare 200 miliardi di sprechi pubblici? Ma scherziamo? Guardate che fatica fa il ministro Passera – incaricato di fare la «crescita», quell’altra entità che non si riesce a mettere a fuoco – a trovare 100 milioni dal pubblico Tesoro per questo scopo. Giura che li troverà, «Ci metto la faccia». Se ci riuscirà, quei 100 milioni genereranno 200 milioni di PIL, ossia una «crescita» pari allo 0,01% del Prodotto Interno Lordo. E non riesce a trovare i 100 milioni, il Passera. Ma lo Stato pagherà qusto mese (giugno) 167 milioni ai partiti, è la quota semestrale di finanziamenti e pseudo-rimborsi elettorali a cui hanno «diritto acquisito»: lì, non si fa alcuna fatica a trovare i soldi. Tanto pagherà la Germania, garantendo il nostro debito pubblico...

Ma mica solo per i parlamentari. Non dimentichiamo gli statali, e dipendenti di pubbliche amministrazioni in genere. Sono ufficialmente 3 milioni e 427 mila, ma se si tiene conto di tutti quelli che a qualunque titolo ricevono un emolumento pubblico, si sale a 4,5 milioni. Da noi i pubblici dipendenti sono dunque il 13,7% della forza-lavoro totale, o il 18% se si tiene buona la seconda cifra. Ebbene, in Germania, sono il 9,6%. I dipendenti dei Laendern tedeschi sono tre volte meno numerosi dei 5.418.082 dipendenti delle nostre Regioni ed altre autonomie locali. E la Germania, che in questi stessi anni ha ridotto il costo dei dipendenti pubblici di 4 punti del suo PIL (ben più grosso del nostro), dovrebbe garantire i debiti che abbiamo fatto, e continuiamo a fare, per stipendiare questa pletora di mantenuti?

Continuiamo: i nostri poliziotti di vario tipo, 320 mila, sono il triplo di quelli assunti dallo Stato di Polizia per eccellenza, la Russia (che ha anche più del doppio dei nostri abitanti, e un territorio da controllare un tantino maggiore, esteso su 6 fusi orari). Noi abbiamo 8 mila comuni, e un flebile tentativo di accorparli ha prodotto la rivolta dei sindaci, tutti a strillare che no, non si può, altrimenti l’amministrazione pubblica va a catafascio... Chissà come fanno a cavarsela gli Stati Uniti d’America, che hanno in tutto 3 mila enti locali.

In Italia, i 3,5 milioni di dipendenti pubblici costano 172 miliardi, l’11% del PIL; in Germania costano l’8% del PIL – chissà come fanno a campare. Ma non pretendiamo di seguire un esempio così «alto».

Prendiamo allora la Lombardia: regione dove la politica è abbastanza corrotta da incamerare un sacco di quattrini (il Daccò, amico di Formigoni e lobbysta per conto delle cliniche convenzionate presso la Regione, aveva un gruzzolo di 70 milioni di euro), eppure è la più efficiente di tutte. La Lombardia ha 43 dipendenti pubblici per mille abitanti; le altre Regioni ne hanno 58. Basterebbe che si adeguassero alla corruttela lombarda, per rendere superflui 700 mila cosiddettti lavoratori del settore pubblico. Un risparmio di 45 miliardi.

Più volte è stato evocata l’adozione dei «costi standard» per la spesa sanitaria: le Regioni più sprecone (del Sud) siano costrette a spendere per le forniture quello che spende la corrotta Lombardia, che spende meno di tutte. Si adotti, dicono in America, la «best practice». Per la Sanità, sarebbe un gran risparmio.

Adottiamo il «costo standard» anche per la presidenza della repubblica: se il Quirinale riducesse i suoi 280 miliardi di spese annui a 100, prenderebbe sempre di più del presidente della Repubblica Federale Tedesca. E sai che risparmio di personale strapagato: che se ne fa di 5 mila dipendenti? È un superministero: per forza si impanca e si intromette a governare, cosa che non deve; bisogna pur occupare il personale.

E la scuola? In Italia, la pubblica istruzione conta un docente ogni 4,7 studenti. Certe scuole elementari hanno 3 maestre per classe. E con questi risultati: ai test PISA, gli studenti italiani risultano regolarmente tra gli ultimi al mondo per la capacità di leggere e capire un testo, e fra gli ultimi in matematica e materie scientifiche. Liceali che non sanno leggere, laureati che non sanno scrivere senza strafalcioni: la pletora di inamovibili insegnanti del nulla è una delle cause prime del nostro degrado come Paese civile.

I pubblici dipendenti hanno reso i loro compensi una «variabile indipendente» dall’economia: l’economia declina anzi collassa (produzione industriale -9%), i lavoratori del privato guadagnano sempre meno o vanno in cassa integrazione (un milione ormai), ma le buste paga degli statali sono sempre più grasse. Dal 2001 al 2009 (i dati sono della CGIA di Mestre) il numero degli statali è calatl di 11 mila unità, ossia del 3% (effetto del blocco dei turnover di Brunetta); ma – meraviglia delle meraviglie – il monte-salari statali è aumentato di 39 miliardi. Un aumento del 29,9%. Nello stesso decennio, le retribuzioni degli statali tedeschi sono aumentate solo del 6,9% (statali che non avete avuto l’aumento, non protestate: i 39 miliardi se li sono presi probabilmente gli alti dirigenti).

E pazienza se questa folla si limitasse a fare il peso morto. Invece, per giustificare la propria esistenza, si propone di angariare il cittadino contribuente, e di ostacolarlo nella produzione di ricchezza – quella che paga i suoi emolumenti indebiti. Cito dal discorso del presidente della Confartigianato, Giorgio Guerrini:

«...  il peso delle tasse è cresciuto di oltre 4 punti, passando dal 40,8% del PIL nel 1994 al 45,1% nel 2012. E, al netto dell'economia sommersa, la pressione fiscale effettiva è lievitata al 53,7%. Sono numeri impressionanti: basti pensare che questanno il PIL cresce di 8 miliardi, le entrate fiscali di 46! Sul costo del lavoro italiano pesa una tassazione pari al 47,6%, vale a dire 12 punti in più rispetto alla media del 35,3% registrata nei Paesi OCSE.

La semplificazione della burocrazia, poi, è una bandiera agitata non si sa più quante volte; eppure oggi gli oneri amministrativi pesano sulle aziende italiane per 23 miliardi l'anno, pari a 1 punto e mezzo di PIL.

Ogni impresa deve dedicare a pratiche e scartoffie 86 giorni l'anno. Soltanto in questa legislatura sono state varate 222 norme fiscali ad alto tasso di complicazione, 1 ogni 6 giorni».

In altre parole: non contenti di strizzare da quesi piccoli imprenditori tasse soverchianti, i burocrati pubblici gli portano via altri 23 miliardi per pure e inutili complicazioni burocratiche.

Fra le assurdità, Guerrini cita il SISTRI. Che cos’è? SISTRI sta per «Sistema di Controllo della Tracciabilità dei Rifiuti». La burocrazia, che sospetta in ogni cittadino, specie se produttivo, un delinquente, vuol vedere dove le micro-imprese cacciano i rifiuti; sicchè le obbliga a documentare dove vanno a finire, la famosa «tracciabilità», per «la tutela dell’ecosistema». Per subire questo controllo, gli artigiani pagano.

«Settanta milioni di contributi» dice Guerrini, «sono stati finora versati dagli imprenditori per un servizio che non esiste: un fiume di denaro che ha finanziato solo i costi interni di un sistema mai reso operativo».

In pratica, il SISTRI estrae 70 milioni dalle tasche già stremate e li spende «in costi interni», senza fare ispezioni nè controlli di sorta. Conclude l’ingenuo presidente degli artigiani: «Utilizziamoli, allora, per aiutare le imprese così duramente colpite dal terremoto!». Santa ingenuità: sugli imprenditori terremotati dell’Emilia-Romagna, la magistratura italiana – la più pagata magistratura d’Europa, e la più temuta per le sue lungaggini ed arbitrarietà, quella che tiene lontani gli investitori esteri che abbiano l’audacia di mettere fabbriche in Italia – ha «aperto fascicoli», per incriminarli in quanto i loro capannoni (che non hanno costruito loro) sono crollati. E ordinanze comunali, geologiche, sismico-giudiziarie impediscono l’agibilità – quindi il lavoro – in un’area fra le più produttive ed esportatici del nostro Paese. Imprenditori ed operai aspettano ispezioni che non arrivano, autorizzazioni a rientrare che non appaiono. E magari, finalmente, il SISTRI comincerà i suoi controlli dalle maceria: dove avete gettato i rifiuti, delinquenti?

Così accade che i piccolissimi imprenditori si ammazzano. Presi nella tripla tenaglia del calo degli affari da recessione, euro forte e riduzione dei consumi, della stretta creditizia delle banche, e della persecuzione fiscale di Equitalia, non vedono più una possibilità di continuare.

La radio della Confindustria ha aperto una sorta di centro d’ascolto di questi piccoli e piccolissimi imprenditori in difficoltà, per cercare di sostenerli almeno psicologicamente: la rubrica si chiama «Disperati Mai». Ebbene, ha ricevuto decine di migliaia di lettere di disperati che documentano le angherie, i sequestri arbitrari, i soprusi, le esazioni persecutorie non dovute imposte da Equitalia (2); da uno Stato che, quando ne sono i fornitori, non li paga, ma esige di essere pagato sull’unghia per tributi su guadagni non ancora realizzati; uno Stato che usa gli studi di settore per estrarre l’ultima goccia da aziende che non hanno profitto, e poi le fa chiudere.

I lettori meridionali non sentono probabilmente Radio 24. Se la ascoltassero, capirebbero meglio – estranei come sono dal mondo produttivo privato – in che condizioni sono costretti a produrre, e a competere con l’estero, i piccoli imprenditori del nord, che così facilmente accusano di «egoismo». Sono loro, gli imprenditori alle corde, che pagano i 45 miliardi annui che vanno nel Mezzogiorno e si perdono in sprechi e corruzione senza alcun vantaggio generale per il popolo del Sud; che pagano i 16 mila euro mensili del governatore della Sicilia, i milioni di falsi invalidi (il 28% di quelli che percepiscono la relativa pensione: altri 5 miliardi di spesa pubblica), gli statali in sovrannumero che sono soprattutto nel Sud. E pagano anche un Napolitano che costa 6 volte di più della Regina d’Inghilterra, una magistratura che lascia marcire le cause civili per dieci anni, e persino gli 8 mila dipendenti strapagati di Bankitalia, che da quando c’è la BCE sono assolutamente superflui e potrebbero essere ridotti a 2 mila.

Quando questi si sparano, è un cespite che scompare. Sono tasse che non vengono più riscosse. I mantenuti pubblici di ogni ordine e grado campano troppo bene in un Paese dove i produttori, lavoratori utili ed esportatori sono sempre meno, dove i contribuenti diminuiscono. Infatti, nonostante la torchia di Becera sempre più feroce, il gettito diminuisce. E la rovina viene provocata da quelli che dovrebbero lavorare a scongiurarla, se non altro perchè ne va delle loro poltrone e privilegi.

L’amministrazione pubblica andrebbe riformata da capo a piedi; come una vecchia petroliera rugginosa, andrebbe messa nel bacino di carenaggio e rifatta: motore, eliche, timoneria... è il compito che ci si attendeva da tecnici. Invece, appena si è parlato di questo, ecco che dicono: «Basta sacrifici», e chiedono alla Germania di mettere in comune i debiti. Senza provare a diminuirli, a risanarli.

Del resto, siamo giusti, non possono. I tecnici dipendono, per approvazione delle loro norme, da parlamentari che non hanno ormai altro scopo che mantenere più che possono i loro indebiti privilegi. Provate a immaginare chi avesse il coraggio di promettere una cura tedesca: dimezzamento del numero dei parlamentari; aggancio degli stipendi pubblici (quelli dei parlamentari compresi) alla paga media dei lavoratori privati, ed aumenti legati agli aumenti dei salari privati: almeno come metodo per far sentire a lorsignori che il loro destino è legato a quello della nazione. Riduzione di centinaia di migliaia di dipendenti pubblici, loro spostamento secondo le necessità reali, applicazione delle condizioni salariali del privato. Adozione in ogni settore dei «costi standard» e delle migliori pratiche. Assoggettare gli universitari alle valutazioni e verifiche che sono praticate nei Paesi civili, tranne che in Italia (i cattedratici si oppongono fieramente alla «peer review») (3). Disciplinamento della magistratura, magari facendo dipendere i loro emolumenti al numero di cause concluse. Accorpamento dei comuni, abolizione delle provincie, sottrazione dell’autonomia di spesa alle Regioni mal governate... eccetera, eccetera.

Pensate che questo sia fattibile, politicamente e socialmente? In Italia? Avremmo contro tutti: i sindacati e i partiti, le Regioni, la potente ancorchè strapelata lobby degli insegnanti, Bankitalia, la casta giudiziaria e perfino la Caritas («spietati!»), e ovviamente il Santo Padre, ossia Napolitano, sempre pronto a difendere con la lacrima agli occhi i prepoteri e prepotenti pubblici. Nessuna riforma reale, di quelle che potrebbero convincere Berlino a garantire il nostro debito pubblico (e i mercati a comprarlo con tassi decenti), è possibile da noi.

Per questo non ci resta che uscire dall’euro. Non possiamo stare in un sistema monetario tedesco restando irriformati italiani, coi nostri milioni di percettori di sussidio pubblico, ed altri milioni che vi aspirano. Meglio tornare alla liretta, alle svalutazioni competitive, e magari contestualmente – cialtroni fino in fondo – ripudiare il debito sovrano.

È il solo modo. Risparmiamoci i rimproveri alla Germania «egoista», la Germania che non si sente legata a un comune destino con noi e i greci. Non prima di domandarci: l’Italia, poi, è una comunità di destino?





1) Sapir continua: «Comera prevedibile, la politica di estremo rigore di bilancio provoca l’asfissia delleconomia, che a sua volta genera un calo delle entrate fiscali, Anche lItalia, come la Spagna, non raggiungerà i suoi obbiettivi di deficit per il 2012».
2) Quasi la metà (il 48%) dei contribuenti che vengono bollati come evasori fiscali vincono poi il ricorso e si sentono dar ragione dalle Commissioni Tributarie: è la prova che Equitalia e l’Agenzia delle Entrate sparano nel mucchio, provocando angosce inutili a gente onesta. E che i loro funzionari, non sono solo malevoli e persecutori, ma incompetenti che meritano il licenziamento in tronco. Quale pizzeria non licenzierebbe il pizzaiolo che brucia il 48% delle pizze?
3) Si leggano i furenti comunicati della FLC CGIL (Lavoratori della conoscenza, sic) tipo questo: www.flcgil.it/universita/valutazione-di-sistema-nella-ricerca-e-nell-universita-cosi-non-puo-funzionare.flc e questa: www.flcgil.it/universita/anvur-quando-la-valutazione-rischia-di-essere-una-categoria-ideologica.flc


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