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El Baradei sbotta, sotto occulte pressioni
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Macchè Iran. «E’ Israele il pericolo numero uno in Medio Oriente, per via delle armi nucleari che possiede»: l’ha detto a tutte lettere in una conferenza stampa il direttore generale della AIEA,  Mohammed El Baradei. Lo scatto di verità del solitamente laconico dirigente dell’ONU è stato riportato (e la cosa può essere significativa) dall’agenzia cinese Xinhuanet (1).

El Baradei ha aggiunto che Israele rifiuta da trent’anni di far accedere gli ispettori ONU ai suoi impianti nucleari, notoriamente militari, e il rifiuto è stato reiterato ancora pochi giorni fa.

«Il possesso di tali armi atomiche», ha detto El Baradei, «ci ha indotto a prendere le appropriate misure per avere accesso alle sue (di Israele) centrali... e il presidente degli Stati Uniti ha fatto alcune mosse positive perchè tali ispezioni abbiano luogo», ma niente.

L’aperta accusa di El Baradei (Nobel per la Pace: è il suo unico usbergo) è forse un segno di esasperazione, se non di disperazione. Non bisogna dimenticare che El Baradei, egiziano, nella sua tenace opera di mettere nella giusta luce le attività nucleari iraniane e sventare un attacco bellico sionista, non ha al suo fianco nessuno dei Paesi che contano; è isolato, per di più prossimamente uscente. E in questi giorni è chiaramente sottoposto a fortissime pressioni dietro le quinte, e ad una campagna di disinformazione senza precedenti, per rimettere Teheran sul banco internazionale degli accusati.

Perchè una settimana fa, Israele ha subito una sconfitta nella sua campagna di demonizzazione, che dovrebbe giustificare il bombardamento preventivo della installazioni iraniane.

Teheran ha spontaneamente notificato alla AIEA l’esistenza del secondo impianto, quello di Qom, ancora in costruzione, con un anticipo di 18 mesi dalla sua operatività, dunque molto più dell’anticipo a cui è tenuta in base ai trattati di non-proliferazione.

In un susseguente incontro con i cinque membri del Consiglio di sicurezza dell’ONU più la Germania, Teheran s’è detta pronta a consentire l’accesso degli ispettori a questi nuovi impianti.

Di più. Teheran ha accettato di inviare in Russia «la maggior parte» (1.300 chili sul totale di 1.700)  del suo uranio arricchito al 3,5%, per farlo arricchire al 20%, cosa che - secondo gli iraniani - serve a far funzionare un piccolo reattore che produrrà  isotopi per la medicina. E’ da notare che Teheran non aveva mai accettato una simile condizione. La Russia potrà garantire che il materiale non sarà arricchito tanto da servire per una bomba (90-95%). In ogni caso, come si è constatato nell’incontro, l’Iran non è attualmente capace di arricchire l’uranio oltre il 4,8%.

E’ stata un’apertura senza precedenti. Che Teheran ha fatto non solo per evitare le più dure sanzioni minacciatele e che possono scuotere la già malferma legittimità interna del regime; Teheran l’ha fatto come omaggio a nuovo presidente USA, offrendo ad Obama un atto di fiducia e una vittoria diplomatica, di cui Obama ha bisogno.

Il presidente Obama avrebbe potuto sfruttarla all’interno, dicendo ai suoi avversari politici (come suggerisce l’analista Juan Cole): «Vedete, ho ottenuto più io in poche ore aprendo negoziati con Teheran che Bush-Cheney in otto anni di minacce, e di portaerei sotto la costa iraniana».

Fatto non sorprendente, l’amletico Obama non ha colto questa palla. Evidentemente non può. Dopo questa apertura, ha continuato a far la voce grossa contro Teheran, intimandole di obbedire alla AIEA (quel che aveva appena fatto).

Il Congresso, sotto ricatto della nota lobby (le elezioni di medio termine si avvicinano, e non si vincono senza i finanziamenti di chi conta davvero), ha risposto all’apertura di Teheran accelerando il varo di una legge che dovrebbe punire le imprese, anche quelle non americane, che forniscono benzina raffinata all’Iran (come noto, il Paese produce greggio, ma ha poche capacità di raffinazione); una mossa che colpirà la Cina, posto che sia efficace.

Ma ovviamente la controffensiva israeliana non si limita a questo. Il primo ottobre, il New York Times pubblica un articolo pieno di accuse fatte a mezza bocca, che non tenta nemmeno di provare. Tipo: «Se l’Iran dispone di riserve occultate di uranio, l’accordo raggiunto è vuoto». Se. «Se l’Iran mantiene il suo piano di costruirsi la bomba...», «se ha abbastanza materiale nucleare per farlo...» (cosa irrilevante se non può arricchirlo al 90%), eccetera, via ipotizzando (2). Nell’articolo, grande spazio è dato a cosa Israele pensa di questo accordo, il che rivela le fonti del New York Times... Ovviamente senza dire che dal canto suo Sion ha 200-300 testate, e non accetta nessuna ispezione, e non è soggetta per questo ad alcuna sanzione.

Il 3 ottobre, il New York Times (3) torna alla carica: «Un rapporto dice che l’Iran ha i dati per fare la bomba», strilla un articolo firmato David Sanger (!). Da dove viene questo rapporto?

«Eminenti membri dell’agenzia nucleare dell’ONU», che il New York Times non nomina, «hanno concluso che l’Iran ha sufficienti informazioni per fabbricare una bomba atomica».

Lasciamo perdere: non ha l’uranio, ma ha le «informazioni» per farsi la bomba. L’attacco è surettiziamente sferrato contro El Baradei. Mira a rivelare, o a creare, una spaccatura all’interno della AIEA, dove certamente tanti vogliono prendere il posto dell’uscente El Baradei, e sanno chi può aiutarli.

Il famoso rapporto che nessuno conosce, scrive il New York Times, «mette il direttore uscente dell’agenzia, El Baradei, contro il suo stesso staff e contro i governi esteri desiderosi di aggravare la pressione sull’Iran».

Eh sì. Perchè nonostante l’evidente apertura di Teheran, Sarkozy, la Merkel, e Londra pretendono più gravi sanzioni. Come se l’apertura - che spiace ad Israele, e la mette in cattiva posizione: resta l’unico Paese atomico che rifiuta le ispezioni e non ha firmato il NPT - non fosse mai avvenuta.

Il New York Times sottolinea la posizione di questi governi esteri in contrasto ad Obama, biasimato per aver aperto «negoziati diretti con l’Iran». Ma dov’è questo rapporto che smentisce Obama ed El Baradei?

«Ampi passi appaiono sul sito web dello Institute for Science and International Security, capeggiato da David Albright, un esperto nucleare».

el_baradei.jpgDavid Albright è ovviamente ebreo, e il suo istituto è una organizzazione non-governativa di sua invenzione. Già il 15 giugno del 2008 questo «esperto» aveva rivelato un «rapporto», scritto non si sa da chi, in cui si asseriva l’esistenza di una «rete di contrabbando atomico» che «vendeva parti di ordigni a Libia, Corea del Nord ed Iran, abbastanza compatte da entrare in un missile balistico usato dall’Iran e da altri Paesi in via di sviluppo».

Disgraziamente, diceva Albright, «questi piani sono stati recentemente distrutti» (4). Ma intanto lui ne dava notizia con un articolo accolto dal Washington Post, e prometteva la prossima pubblicazione del «rapporto» segretissimo.

Dev’essere quello di cui parla il New York Times. Insomma, Albright è la sola «fonte» di tutta questa storia, ed è una Rita Katz al cubo.

Il 4 ottobre, entra nel gioco il Times di Londra. Con una notizia-bomba: «Israele fa i nomi dei russi che aiutano l’Iran a farsi la bomba atomica» (5).

Nientemeno! Se poi andiamo a leggere l’articolo, firmato da Uzi Mahanimi che scrive da Tel Aviv, la rivelazione succede a rivelazione. Ricordate il viaggio segretissimo e improvviso che Netanyahu  fece a Mosca, senza preavviso, sul jet di un suo amico miliardario? Era per «consegnare al Cremlino una lista di scienziati russi che Israele è convinta stiano aiutando l’Iran a farsi l’atomica». E’ stato un viaggio segreto «perchè non era intenzione israeliana mettere in imbarazzo Mosca, ma spingerla a prendere provvedimenti»: infatti quegli scienziati russi lavorano per l’Iran all’insaputa di Mosca.

Di fatto, aggiunge il giornale, «Israele è convinto che gli scienziati russi lavorano in Iran con l’approvazione ufficiale del loro governo» - il che non è strano, dato che sono i russi a costruire la centrale nucleare civile di Busher - ma per delicatezza lasciano correre.

Dopodichè, il Times dà la parola ad un esperto, che assicura: «C’è stato l’aiuto russo. Non del governo; sono degli individui, almeno uno, che assiste l’Iran nella militarizzazione nucleare, e questo è allarmante».

E chi è l’esperto? Forse l’avete già indovinato: è «David Albright, presidente dell’Institute for Science and Internazional Security». Insomma, il già citato Katz al cubo, evidentemente impegnatissimo a farsi fonte di rivelazioni senza fonte accertabile. E che i grandi media pubblicano come oro colato.

Anche il Times fa notare la spaccatura tra USA ed europei, più vicini ad Israele: «Gli americani credono che il lavoro segreto per costruire una testata nucleare sia stato dismesso nel 2003. L’intelligence britannica, francese e tedesca ritengono che è continuato, o è stato ripreso. Gli israeliani credono che gli iraniani abbiano testato ‘a freddo’ una testata nucleare, senza materiale fissile (ah, meno male, ndr) per i loro missili Shahab-3 e Sejjil-2 a Parchin, un complesso militare segreto a sud-est di Teheran».

Chiaro come il sole. Ragion per cui, il Times riporta e giustifica «Ephraim Sneh, un ex ministro della Difesa israeliano», il quale dice che «non c’è più molto tempo per agire e mettere fine al programma» iraniano (che c’è, secondo Israele): «Se non vengono varate sanzioni schiaccianti per Natale, Israele colpirà; se siamo lasciati soli, agiremo da soli».

Ora, forse, si capisce meglio l’esasperazione e l’allarme di El Baradei, Nobel per la Pace. Fra pochi mesi, qualcun altro sarà al posto suo. E non sarà altrettanto eroicamente disposto a resistere alla marea di pressioni, disinformazioni, intossicazioni, menzogne e diffamazioni che Israele sa scatenare contro chi non gli dà ragione.





1) «El Baradei says nuclear Israel number one threat to Mideast: report», Xinhua, 4 ottobre 2009.
Al Arabyia, 18 settembre: «The U.N. nuclear assembly voted on Friday to urge Israel to accede to the Non-Proliferation Treaty (NPT) and place all atomic sites under U.N. inspections, in a surprise victory for Arab states. The resolution, passed narrowly for the first time in nearly two decades, expresses concern about ‘Israeli nuclear capabilities’ and calls on International Atomic Energy Agency chief Mohamed al-Baradei to work on the issue. Initially, Western states tried to stop the resolution from going to a vote, arguing it would be counterproductive to single out Israel, particularly after a resolution had been passed the day before calling on all states in the Middle East to foreswear nuclear weapons. But the adjournment motion was defeated and voting went ahead, with a total 49 countries in favour, 45 against and 16 abstentions. It is the first time since 1991 that such a resolution has been adopted».
2) Steven Erlanger, «Iran agrees to send enriched uranium to Russia,» New York Times, 1 ottobre 2009. Un esempio della prosa del grande giornale: «Iran’s agreement in principle to export most of its enriched uranium for processing - if it happens - would represent a major accomplishment for the West, reducing Iran’s ability to make a nuclear weapon quickly and buying more time for negotiations to bear fruit. If Iran has secret stockpiles of enriched uranium, however, the accomplishment would be hollow, a senior American official conceded».
3) David Sanger, «Reports says Iran has data to make nuclear bomb», New York Times, 3 ottobre 2009.
4) Vedere»David Albright» su Wikipedia: la voce se l’è scritta lui, possiamo credergli.
5) Uzi  Mahanimi. «Israel names Russians helping Iran build nuclear bomb», Times, 4 ottobre 2009.  Un esempio della prosa del Times, densa di certezze: «We have heard that Netanyahu came with a list and concrete evidence showing that Russians are helping the Iranians to develop a bomb,» said a source close to the Russian defence minister last week».  Si tratta di una «fonte russa vicina al ministero», ovviamente anonima, che «ha sentito dire» che Netanyahu ha portato a Mosca «prove concrete». Qualunque giornalista, specie se britannico, si vergognerebbe di scrivere un articolo così privo di dati, se non fosse  su pressione.



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