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Ed ora, la UE poliziesca
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Uno dei primi a scoprire le bellezze dal mandato di cattura europeo è stato un certo Maurice Kay, cittadino britannico: su richiesta di Varsavia, è stato estradato in Polonia a rispondere (in polacco) davanti a giudici polacchi dell’acquisto in Polonia di un telefono cellulare apparentemente rubato, del valore di 30 euro (1). Un incauto acquisto o piccola ricettazione, per cui un cittadino britannico nel suo Paese non viene privato della libertà ma multato, data la lievità del danno e la mancanza di «pubblico interesse» in un procedimento giudiziario. Ma la Polonia è meno sensibile alle libertà personali del cittadino, e del tutto insensibile alla gravità o scemenza dei casi: sicchè, nel 2007-2008, il 37% delle richieste di estradizione ricevute dalla Gran Bretagna in base al mandato d’arresto europeo, sono partite dalla Polonia, per offese minime.

Ora che anche la repubblica ceka ha capitolato, approvando il trattato di Lisbona, i media inglesi  cominciano davvero a preoccuparsi.

«Adesso per difendere le nostre libertà civili dobbiamo sorvegliare quel che fa Bruxelles», scrive Stephen Booth sul Guardian (2). «Più poteri britannici ceduti a Bruxelles», si allarma il Telegraph.

Almeno loro, gli inglesi, hanno una antica cultura della libertà, sancita dalla Magna Charta. Speriamo nella loro «sorveglianza», perchè il superstato orwelliano di polizia a-democratico avanza a passi da gigante.

«I più discutibili cambiamenti introdotti dal trattato di Lisbona sono nell’area della libertà, della polizia e del settore giudiziario», ha avvertito la commissione per i rapporti con la UE alla Camera dei Lord. E nessun veto nazionale potrà difendere la libertà dei cittadini; anzi, persino uno Stato membro potrà essere trascinato alla Corte di Giustizia europea «per mancata applicazione delle norme penali e di polizia della UE».

UE_control_1.jpgIn realtà, come denuncia il Guardian, è stato Tony Blair, con la scusa della «lotta al terrorismo» sulle orme del suo mentore Bush, a «fare dei cittadini britannici i più sorvegliati nel mondo occidentale. Ogni giorno, un cittadino britannico è filmato 300 volte dalle telecamere di sorveglianza disposte dappertutto. Lo Stato raccoglie e conserva il nostro DNA cinque volte di più del più zelante degli Stati europei in questo campo (l’Austria), e le compagnie telefoniche britanniche sono obbligate a tenere le registrazioni di tutte le nostre chiamate telefoniche, delle email e dei messaggi di testo per dodici mesi. Ora, la Gran Bretagna ha acconsentito a dare accesso a questi nostri dati a tutti gli Stati membri. E la UE si sta creando il suo proprio archivio centrale di dati personali».

Come sarà composto l’archivio poliziesco europeo?

Le compagnie aeree e di viaggio in generale dovranno fornire i nostri dati, raccolti appena abbiamo preso un aereo o acquistato un biglietto per un viaggio organizzato; altri enti privati saranno obbligati a fornire a richiesta dati personali. Dati che possono comprendere la nostra origine etnica, la nostra religione, la nostra appartenenza a movimenti politici o sindacali; oltre che informazioni privatissime sul nostro stato di salute, di pagamento delle tasse, e le nostre preferenze nel navigare su internet. Un qualunque Stato europeo potrà accedere agli archivi fiscali di qualunque altro Stato.

Non c’è bisogno di dire che, in base ad un accordo europeo «confidenziale», tutti i nostri dati personali di questo genere (e i dati bancari)  possono essere ottenuti anche – o soprattutto – dagli Stati Uniti.

Molte di queste intrusioni eurocratiche sono già in vigore, o in via di applicazione.

Per esempio è in forza dal 2007, avendola anche il nostro governo approvata, la Direttiva Inspire, nome orwelliano per la direttiva che obbliga uno Stato a condividere con gli altri i dati sulla salute e le malattie di uno qualunque dei suoi cittadini, alla faccia dei diritti alla privacy.

Dal 2004 è in vigore lo standard per l’emissione di «passaporti biometrici», non solo con la foto del portatore, ma con le sue impronte digitali e dell’iride dell’occhio, che la UE vuole siano «compatibili con i database dell’Unione Europea» per poter essere condivisi da ogni curioso ufficiale.

Naturalmente già ora gli USA possono frugare nei movimenti bancari di ciascuno, accedendo ai dati tenuti dalla camera di compensazione europea SWIFT (persino il parlamento europeo, l’unico organo bene o male elettivo, non ha potuto dire la sua sul negoziato con Washington, tenuto in segreto dalla... Svezia, che copre pro-tempore la presidenza europea).

Ma ancor più grossi progetti sono in preparazione, ora che il Trattato d Lisbona ci copre tutti. Non a caso il settore giustizia penale e affari interni (polizia) è quello che ha il bilancio più in crescita, e l’anno prossimo crescerà di un altro 13,5% (un miliardo di euro).

La più grossa e taciuta novità in cantiere è probabilmente la formazione, nel «governo» sovrannazionale, di un super-ministero della Giustizia e dell’Interno (potere giudiziario e potere poliziesco uniti in un solo corpo) in modo, come ha detto Jacques Barrot attuale commissario per la «Giustizia e Sicurezza europea», che «i confini nazionali non limitino più la nostra azione»:
ovviamente,  l’azione senza limiti è contemplata per il «terrorismo» e «il crimine internazionale» ma anche (curioso) per difendere «gli interessi finanziari dell’Unione». E per compiere dei «pattugliamenti su internet» (cyberpatrols) onde non siate infettati da idee e notizie proibite.

Questo corpo giudiziario-poliziesco, che riunirà gli apparati repressivi già esistenti (Europol, Eurojust e Frontex) avrà il potere di scavalcare tutte le legislazioni nazionali, non solo nei casi suddetti (terrorismo e crimine organizzato), ma in tutti quelli che la legislazione eurocratica si prenderà cura di inventare cammin facendo (3).

Praticamente, anche noi avremo un insindacabile  «Dipartimento per la sicurezza della Patria» (Homeland Security) come quello creato da Bush jr. per il bene degli americani. Da noi si chiamerà, non meno orwellianamente, Commissione per la Sicurezza Interna (COSI), sul modello della STASI tedesco-orientale.

E’ infatti per la nostra sicurezza che ci privano della nostra libertà e dei nostri diritti.

Questo organo avrà a sua disposizione la propria psico-polizia. La Commissione ha già dettato che «un terzo degli agenti di polizia» degli Stati membri debbano venire «addestrati» in modo speciale nei prossimi cinque anni, onde formare «una comune cultura UE in materia di polizia». La nuova polizia non risponderà più ai governi che abbiamo eletto, ma all’eurocrazia che si è auto-cooptata.  E già oggi, come ha notato la commissione della Camera dei Lord per la UE, «la schiacciante maggioranza degli scambi di informazioni fra gli enti di collegamento (poliziesco) avvengono al di fuori del sistema formale», ossia delle stesse norme europee: i poliziotti, quando sanno di poterlo fare, vanno per le spicce. «Oltre l’80% degli impegni bilaterali avvengono in questo modo», dicono i Lord.

Conclude Stephen Booth, che è dirigente di «Oper Europe» (un nostro cane da guardia che dovremmo conoscere meglio): «Ci avviciniamo a gran passi ad una condizione in cui la UE avrà tutto l’apparato corecitivo di uno Stato, ma senza l’appropriato controllo democratico nè i robusti limiti di potere che i cittadini hano diritto di aspettarsi».

I  cittadini. Ma noi lo siamo ancora?

Post Scriptum: Da noi in Italia si parla di UE per dire che Massimo D’Alema è in buona posizione come «ministro degli Esteri europeo». Non ci conterei. La sua posizione sul massacro a Gaza («sproporzionato») non è stata dimenticata. In queste ore partono migliaia di telefonate lobbystiche per liquidare la candidatura. Visto che Blair può non diventare il capo del «governo» com’era stato deciso colà dove si puote/ ciò che si vuole (ma anche la sua candiatura è sempre in caldo), Londra vorrà il suo ministro degli Esteri. Si fanno i nomi di David Miliband e Lord Mandelson, ovviamente; anche se loro negano, è solo un gioco delle parti per non bruciare la candidatura.



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Israele ha bisogno di un suo ministro europeo.




1) Citato dal rapporto Liberty, http://www.liberty-human-rights.org.uk/pdfs/policy-09/policing-and-crime-2nd-reading-lords-on-extradition.pdf
2) Stephen Booth, «Europe’s own surveillance state», Guardian, 2 novembre 2009.
3) «How the EU is watching you: the rise of Europe’s surveillance state», Open Europe, 26 ottobre 2009. Sarebbe da leggere integralmente.
http://www.openeurope.org.uk/research/howtheeuiswatchingyou.pdf


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