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L'anticristo (ultima parte)
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I Poichè l’apostasia deve essere il mezzo preparatorio alla venuta dell’Anticristo, e il flagello più formidabile che metterà in scompiglio il mondo, non è dunque chiaro che abbiamo da lottare per respingerlo, sforzandoci di ricondurre a Gesù Cristo e alla Chiesa le nazioni, le famiglie, gli individui, che se ne sono separati o minacciano di farlo? Il vento d’acciecamento e di defezione che trasporta già una parte della società e la vuole laicizzata, ossia sottratta al Vangelo e alla Chiesa, forse è passeggero, avendo Dio fatto sanabili le nazioni. L’idea cristiana può anche ora rallegrare, imbalsamare e vivificare il mondo come per il passato. Non bisogna dunque scoraggiarsi.

Tutt’altro! Bisogna mettersi risolutamente all’opera e mettervisi con confidenza e generosità. Leone XIII non ne dette l’esempio e Pio X non lo dà attualmente? Che non fece Leone XIII per trattenere gli individui e le nazioni sul baratro fatale dell’apostasia?

Limitiamoci alle nazioni. Tutta la politica religiosa di quel gran Papa sembra essersi ispirata a quella esortazione di San Paolo: “Chi or lo rattiene, lo rattenga, fino che sia levato di mezzo: Qui tenet nunc, retineat, donec de medio fiat”.

E’ noto in quale occasione San Paolo fece intendere quest’esortazione. Dopo aver delineato il ritratto dell’Anticristo, come è stato riprodotto in questo pagine, San Paolo scoprì ancora ai Tessalonicesi che un ostacolo ritardava la venuta dell’uomo del peccato: “Voi sapete che sia quello che lo rattiene, affinchè sia manifestato a suo tempo”; poi aggiunge: “Che chi or lo rattiene, lo rattenga, fino che sia tolto di mezzo”. Siccome la Tradizione non ha conservato le spiegazioni verbali date dall’Apostolo ai Tessalonicesi, alcune opinioni contrarissime si sono formate nel corso dei secoli. Rispettando profondamente le une e le altre, noi preferiamo quella data da San Tommaso d’Aquino.

L’interpretazione dell’Angelo delle scuole spiega, il passato e rischiara l’avvenire.

Risulta evidentemente dalle parole di San Paolo che v’ha, contro l’apparizione dell’Anticristo, un ostacolo e qualcuno che trattiene l’ostacolo; vi è una barriera e una contro barriera. L’Anticristo non farà la sua apparizione se non quando, rigettato e messo da parte il custode dell’ostacolo, l’ostacolo stesso sarà tolto. Ora qual è quest’ostacolo, qual’è la barriera?

E’, risponde San Tommaso, l’unione e la sottomissione alla Chiesa Romana, sede e centro della fede cattolica. Finchè la società rimarrà fedele e sottomessa all’impero spirituale romano, trasformazione dell’antico impero temporale romano, l’Anticristo non potrà comparire. Questa è la barriera, questo e l’ostacolo. Ma, per beneficio di Dio, accanto a questo ostacolo, vi è un custode, incaricato di vegliare, incaricato di custodirlo; e questo custode è il Papa, Vicario di Gesù Cristo.

Finchè il custode sarà riconosciuto, rispettato, ubbidito, l’ostacolo sussisterà, la società rimarrà fedele all’impero spirituale romano e alla fede cattolica. Ma se questo custode, il Papa, viene ad essere disconosciuto, messo da parte, rigettato, con lui sparirà anche l’ostacolo e l’Anticristo sarà libero di comparire: “Qui tenet, scilicet, romanum imperium, teneat illud donec ipsum fiat de medio. Quia medium est dum universis circumquaque imperat, quibus ab ipso recedentibus, de medio anferetur, et tunc ille iniquus opportuno sibi tempore revelabitur”.

 

II Ebbene, Leone XIII non fu fedele all’esortazione dell’Apostolo? Non si sforzò di mantenere l’ostacolo, cioè la fedeltà alla fede cattolica e al’impero spirituale romano? E’ stato questo lo scopo di tutta la sua vita pontificale, come lo esprimeva un giorno al Sacro Collegio: “Il governo della Chiesa, diceva egli, ci apparve da prima come un peso formidabile e tale è ancora per il sopravvenire di tempi malvagi e la condizione fatta difficile alla Chiesa, dal timore di un avvenire più terribile ancora per la Chiesa e la società... A questo scopo abbiamo creduto che l’opera più opportuna e più conforme alla Nostra dignità era di mostrare ai popoli e ai prìncipi questo porto di salute e di aiutarli ad entrarvi.

Noi abbiamo consacrato la Nostra vita a questo scopo, persuasi che noi facciamo così per gli interessi della religione e della società”. Con quanta costanza e fermezza questo scopo non è stato seguito dall’augusto Pontefice! Appena posto al governo della navicella di Pietro, Leone XIII, come il pescatore che riprende una dopo l’altra le maglie rotte delle sue reti malconcie, si mise a riprendere tutti i fili intricati delle relazioni diplomatiche. Ogni Stato, non solamente dell’Europa, ma del mondo intero, fu l’obiettivo delle sue cortesie e delle sue cure: Chi or rattiene, rattenga. Limitiamoci a un compendio rapido dei suoi sforzi per recuperare, magari con un sol filo, le nazioni alla Chiesa:

Concordato con la Repubblica dell’Equador (nel 1881).

Concordato con l’Austria-Ungheria per la Bosnia e l’Erzegovina (188l).

Accordo col governo russo su certe questioni ecclesiastiche (l882).

Convenzioni colla Svizzera per regolare l’amministrazione ecclesiastica del Ticino e l’amministrazione regolare della diocesi di Basilea (1884).

Concordato col Portogallo per le Indie Orientali (1885).

Concordato col Montenegro (1886).

Ristabilimento delle relazioni diplomatiche col Belgio (1886).

Promozione di un cardinale negli Stati Uniti (1886).

Arbitraggio tra la Germania e la Spagna, riguardo alle Caroline (1886).

Scambio di benevoli rapporti con la Turchia, la Persia, la Cocincina, la Cina (1886).

Conciliazioni con la Germania e cessazione del Kulturkampf (1887).

Concordato colla repubblica della Colombia (1887).

Riallacciamento delle relazioni diplomatiche con la Russia (1888).

Conciliazioni col governo Inglese su certi punti dell’amministrazione ecclesiastica dell’isola di Malta (1890).
Appello all’Oriente e visita di un Legato, il cardinal Langénieux, a Gerusalemme (1893) ecc., ecc.


Quante cure, quanta pazienza, quanta prudenza tutti questi spinosi negoziati non hanno richiesto! Ma importava che Colui che rattiene, rattenga! Nella sua allocuzione al Sacro Collegio, in occasione dei XXV˚ anniversario della sua elezione, il 29 febbraio 1903 Leone XIII diceva: “Ecco l’ultima nostra lezione: ascoltatela ed imprimetevela bene nell’anima: Iddio ordina di ricercare soltanto nella Chiesa la salute, di ricercare l’istrumento della salute, veramente forte e sempre utile, nel Pontificato Romano”.

Ma tra tutte le nazioni che Leone XIII cercò così di richiamare e ritenere nell’unione col Pontificato romano, ve ne è una, la Francia, “cui il suo cuore paterno prodigò forse più che a ogni altra tesori d’affetto, di longanimità e di delicatezza. Perchè il male v’era più profondo, e la tendenza all’apostasia più grave, non indietreggiò dinanzi ad alcun sacrifizio per arrestare la defezione! Il giornale Il Monitore di Roma lo disse con tali parole che ci sembra utile riferire. “Chi più del Papa attuale ha versato sulla Francia tesori d’affettuosa longanimità e di paterna misericordia? Si esamini la storia delle relazioni tra Parigi e Roma durante questo Pontificato. Quando si è veduto unirsi il tatto più meraviglioso alla pazienza più dolce, mentre la guerra incrudeliva, le istituzioni religiose minacciavano di cadere in ruina, quando le più basse passioni di parte erano condotte all’assalto contro la Chiesa?

E’ Leone XIII che ha scritto quell’Enciclica ‘Nobilissima Gallorum gens’ il cui titolo solo, superbo ed armonico, resterà sempre come un omaggio glorioso reso a questa nazione privilegiata; è Leone XIII che ha indirizzato al signor Grévy una lettera di pace e di spirito di conciliazione, per arrestare la repubblica sulla via dei conflitti; è lui che, nonostante le riduzioni continuamente fatte al bilancio dei culti, volle onorare quel Paese creando tre cardinali, sicchè la Francia resterà sempre, dopo Roma, alla testa del Sacro Collegio; è lui che ha esaurite tutte le vie della riconciliazione, che non ha voluto nè rompere col governo, nè lasciare scindere il Concordato, che è la base della pace religiosa in Francia; è, in una parola, lui, e forse lui solo che, colla maestà della sua pazienza e maestria, ha mantenuto gli ultimi avanzi di lunghi secoli d’armonia e di feconda cooperazione. Alla dolcezza di Pio VII, Leone XIII ha unito l’affezione affettiva, continuamente operosa, lo spirito ponderato, l’equilibrio armonioso degli atti e degli insegnamenti, per forzare in qualche modo il partito al potere a indietreggiare dinanzi a tante responsabilità e mancanze.

Al disopra delle fervide gare delle combriccole parlamentari, Leone XIII ha veduto ed amato la Francia; non ha voluto farne la vittima espiatrice della persecuzione del radicalismo alleato colla framassoneria”. Sì, un giorno la storia lo dirà, Leone XIII fece di tutto per strappare la Francia all’apostasia, per conservarle i benefici inapprezzabili della pace civile e religiosa. E tuttavia con quanta ingratitudine non hanno pagato i suoi sforzi! Quanti lamenti contro le sue direzioni pontificie! Quante accuse, quante violenze di linguaggio! Ma egli sempre calmo e intrepido in mezzo alle contraddizioni da qualunque parte vengano, non cessò di effettuare la sua parola: “Una gran tempesta si prepara, bisogna sostenere una lotta accanita”. Questa lotta accanita, o magnanimo Pontefice, voi la sosteneste per mantenere l’ostacolo contro l’apostasia della Primogenita della Chiesa. E’ per esser fedele fino all’ultimo momento alla vostra missione di custode dell’unione, che voi volete morire in piedi!

 

III L’esempio dato da Leone XIII viene continuato da Pio X gloriosamente regnante. Assiso appena sulla cattedra di San Pietro, una delle prime parole del novello Pontefice è questa: “Tutto ciò che Leone XIII ha detto, scritto e fatto, Pio X l’ha confermato e lo conferma”. Leone XIII aveva faticato, lottato e sofferto per tener unite le nazioni, magari con un filo, alla Chiesa romana, centro della fede cattolica e ostacolo alla venuta dell’Anticristo: Chi or lo rattiene lo rattenga! Prima che allontanarsi da questo programma Pio X ha affermato ed anche aumentato: “Non solamente ricuperare, ma tutto restaurare: Instaurare omnia in Christo, tutto restaurare in Cristo”. Quando Leone XIII, ben sapendo le distruzioni progettate dalle sette massoniche e anticristiane, ordinò, come segno della perpetuità della Chiesa, il riabbellimento di San Giovanni Laterano, si racconta che dicesse agli architetti: “Mentre il mondo s’allontana da Cristo, io voglio che la sua immagine risplenda in una chiesa più bella!”.

Non è solamente in una chiesa più bella, quella del Laterano, ma nel mondo intero, che Pio X ha la nobile ambizione di far risplendere l’immagine di Cristo: Tutto restaurare in Cristo! Con l’Enciclica pontificia “E supremi apostolatus cathedra”, le grandi linee di questa restaurazione sono tracciate. Già sotto la condotta così perspicace, sì ferma del nuovo Papa, i cattolici si organizzano, prendono posizione, riparano le breccie e fanno fronte al nemico. “Perchè, infatti, la guerra è dichiarata”. Il Pontefice lo afferma. Egli ha inteso “fremer le nazioni” ed ha sorpreso “i popoli che meditano cose vane”. O piuttosto ha avvicinato l’orecchio al cuore dell’umanità agonizzante ed ha compreso che una malattia acuta la rode fino a minacciarla di morte. Questa malattia è l’abbandono di Dio: è l’apostasia. E’ la ribellione dell’orgoglio che si innalza contro il Creatore, contro Dio da cui deriva ogni beneficio, per dirgli di ritirarsi dall’uomo: “Recede a nobis”. E’ il delitto dell’uomo che sostituisce se stesso a Dio. E’ la follia dell’Anticristo che si presenta invece di Dio medesimo alle adorazioni del mondo: le verità sante non solamente impugnate, ma rigettate con disprezzo; la legge divina calpestata, la morale cristiana sconosciuta o vilipesa. E, come conseguenza inevitabile, in mezzo ai progressi materiali che nessuno può contestare, la lotta dell’uomo contro l’uomo, ogni di più implacabile”.

Al momento presente due vie stanno dunque dinanzi alla società umana: O corrispondere agli insegnamenti di Leone XIII e agli inviti di Pio X. E questa sarebbe la restaurazione in Cristo, la guarigione delle nazioni, il ritorno ad una saggia e vera libertà, all’eguaglianza di tutti nel cuore di Dio, a una fratellanza sincera tra i piccoli e i grandi, tra il capitale e il lavoro. O, disprezzando gli insegnamenti di Leone XIII e gli inviti di Pio X, la società umana si ostinerà a proseguire la via nella quale si è incamminata; e allora questa potrà essere, in un tempo non lontano, il generalizzarsi dell’apostasia.

 

IV Che cos’è dunque l’apostasia generalizzata? Un episodio del popolo ebraico, nell’XI secolo della sua storia, lo spiega. Uno dei suoi profeti, Ezechiele, era stato trasportato in spirito dal soffio di Dio nel tempio di Gerusalemme, in quel famoso tempio in cui si concentrava la vita intera della nazione: Figliuolo dell’uomo, alza i tuoi occhi e guarda, dice il Signore al suo Profeta. Fili hominis, leva oculos! E il Profeta alzando gli occhi, guardò nel santuario, la parte più santa del tempio, e vi vide un idolo, l’idolo della Gelosia. Questo ora Baal, la più infame di tutto le divinità fenicie, chiamata cosi da Jahvé stesso, ferito al cuore. E davanti a Baal chi dunque stava prostrato?

Il sacerdozio!... Si, una parte del sacerdozio, alcuni sacerdoti divenuti apostati!  Il Profeta rimase stupefatto. Ma già il soffio di Dio lo trascina in un’altra parte del tempio: Figliuolo dell’uomo, apri la muraglia, Fili hominis, fode parietem. Ed attraverso il foro praticato nella muraglia, il Profeta scopre una stanza segreta; sui muri di questa stanza segreta, tutto all’intorno, pitture di rettili e di animali, dinanzi a queste pitture di rettili e di animali, settanta uomini, coi turiboli in mano, che le adoravano. E i settanta uomini che cosi adoravano le pitture dei rettili e degli animali, erano settanta seniori, cioè i nobili, la classe dirigente presso il popolo ebraico; e la classe dirigente era divenuta spostata. Il Profeta tremava; ma il soffio di Dio ancora lo trasportò in un’altra parte dei tempio: Figliuolo dell’uomo, volgiti da questa parte e vedrai! Adhuc conversus videbis! Ed il Profeta voltandosi, vide alcune donne assise per terra. Queste donne assise in terra piangevano; ma quello che esse piangevano, era Adonai, il Dio della voluttà, che si diceva morto. Lacrime e singhiozzi! Ah! vi ha ordinariamente qualcosa di sacro nelle lacrime. Ma mentre nella donna, solamente le tenerezze legittime o le estasi della pietà dovrebbero farle versare, sulla faccia apostata delle indegne discendenti di Rebecca e di Rachele, era la passione non soddisfatta che le faceva versare!


Ma il soffio di Dio trasportò, per la quarta volta, il Profeta, all’ingresso del tempio. Tu, certamente, figliuolo dell’uomo, hai veduto! Se anche altrove ti volgerai, vedrai. Certe vidisti, fili hominis; adhuc conversus videbis. E il Profeta guardando vide venticinque uomini vicini al vestibolo. Questi venticinque uomini vicini al vestibolo voltavano la schiena al tempio dei Signore e la faccia all’oriente e adoravano il sole. Ora, questi venticinque uomini in fondo al tempio appartenevano al popolo; e perchè il popolo è precipitoso nelle sue conclusioni, si vede bene che i venticinque uomini voltavano la schiena al tempio del Signore. E così, popolo, donne, nobili, sacerdozio: l’apostasia era dappertutto, in alto e in basso della società giudaica. L’apostasia, il più grande dei peccati, che consiste, come indica l’etimologia della parola (ajpo« stasi«ß) mettersi lontano; lontano dalla verità conosciuta, lontano dalla vera religione. L’apostata nel giudaismo si metteva lontano dal Dio unico. L’apostata nel cristianesimo si mette lontano da Cristo Redentore e dal Papa suo Vicario, che lo rappresenta qui in terra. Ma il Signore, dice la Bibbia, continua a rivolgersi al profeta Ezechiele: Certamente, o figliuolo dell’uomo, tu hai veduto; è forse piccola cosa per la casa di Giuda il fare queste abominazioni al suo Dio? Eppure le hanno commesse e mi hanno irritato. Anch’io pertanto nel mio furore agirò... Successe allora una di quelle scene bibliche che provano quanto è paziente in questo mondo la giustizia di Dio. La scena s’era ingrandita. Tutti i veli erano caduti. Jeova stesso, in persona, s’era all’improvviso manifestato al suo Profeta. Il Signore aveva preso un atteggiamento di maestà oltraggiata, stava in procinto di andarsene. Fiamme abbaglianti l’attorniavano da tutte le parti. Non eran più angeli dalle forme graziose, come nella visione di Giacobbe, che gli facevano scorta, ma quattro animali straordinari, ciascuno dei quali aveva alla sua volta figura d’uomo, di toro, di leone, d’aquila, che gli formavano come un cocchio. Ora, cosa degna d’esser notata, Jahvé, che stava per abbandonare Gerusalemme, non poteva risolversi a lasciare muovere il suo cocchio. Il Profeta lo vide, quando, lasciato il santuario, si era fermato nel vestibolo dei sacerdoti: e pareva attendesse un grido di pentimento; il corteo s’arresta ancora sulla soglia del tempio: una terza volta in mezzo alla città. A ciascuna fermata si sentiva come un romore di singhiozzi: “Popolo mio, Popolo mio, che t’ho dunque fatto per dover esser trattato in tal guisa da te? Non sono io che ho benedetto la tua cuna, il posto di onore che tu occupi? Non sono io che ti ho dato una terra privilegiata, uomini grandi, eroine, una letteratura, una storia senza uguali? Convertiti dunque, o Gerusalemme, chè vi è tempo ancora! Tu ti sei adirata; ma io non voglio adirarmi!... , Ed il corteo si rimise in marcia.

Si era arrivati alle mura della città; il cocchio le passa. Sembrava che tutto fosse ormai finito. Ebbene, no. Oh tenacità dell’amore, che ha risoluto di tentar l’ultima prova. Sovra una montagna vicino a Gerusalemme, quella degli Olivi, andò a porsi la gloria del Signore. Là, riferisce un’antica tradizione ebraica, Jahvé attese tre mesi, nel medesimo punto dove, sei secoli più tardi, il Cristo rigettato doveva fare ascoltare il suo singhiozzo di dolore: Geusalemme, Gerusalemme, io ho voluto radunare i tuoi figli! Ma finalmente, dopo lungo attendere, un giorno, il cocchio disparve... .


Alcune settimane più tardi l’esercito dei Caldei col terribile Nabucodonosor e, in seguito, quello dei Romani con Tito, l’uno e l’altro, agili come leopardi, mettevano tutto a fuoco e sangue: e sulle ruine di quella che era una patria, si poteva innalzare una colonna con questa iscrizione: Finis Judaeae! Fine della Giudea!

Con l’Anticristo, succeduto all’apostasia generale, questa sarà più che la rovina delle nazioni, sarà un giogo pesante e ignominioso, tale che l’umanità non ne avrà nel passato subito uno simile . Che Dio delle misericordie salvi per lungo tempo ancora la società da un sì terribile avvenire. Apportando ai piedi di Pio X un costante e generoso concorso, i cattolici possono sperare una riedificazione dell’edifizio sociale, che richiamerà i bei giorni.

Pio X stesso, la pensa così e ne fa cenno nella sua enciclica “Sull’Azione cattolica”: “Quale prosperità e benessere, quale pace e concordia, quale rispettosa soggezione all’Autorità e quale eccellente governo si otterrebbero nel mondo, se si potesse attuare per tutto il perfetto ideale della civiltà cristiana. Ma posta la lotta continua della carne contro lo spirito, delle tenebre contro la luce, di Satana contro Dio, tanto non è da sperare, almeno nella sua piena misura. Non per questo è da perdere il coraggio. La Chiesa va innanzi imperterrita, e mentre diffonde il regno di Dio là dove non fu mai predicato, si studia in ogni maniera di riparare alle perdite nel regno già conquistato. Instaurare omnia in Christo è sempre stata la divisa della Chiesa, ed è particolarmente la Nostra nei trepidi momenti che traversiamo.

Ristorare ogni cosa, non in qualsivoglia modo, ma in Cristo. Ristorare in Cristo non solo ciò che appartiene propriamente alla divina missione della Chiesa di condurre le anime a Dio, ma anche ciò che da quella divina missione spontaneamente deriva, la civiltà cristiana nel complesso di tutti e singoli gli elementi che la costituiscono”. La nostra vecchia Europa, parte costitutiva e, per lungo tempo, principale di questa civiltà cristiana non contiene più questi elementi di ristorazione?... “Figlio dell’uomo, voltati da questa parte, che vedi tu? Adhuc conversus videbis?”.

Quello che si vede da questa parte (e vi ringraziamo, o Signore, di farcelo vedere), è un santuario, ma un santuario mondo da ogni idolo di Gelosia. In questo santuario, un sacerdozio, e quanto è bello nella scarsa gerarchia questo sacerdozio! Alcuni sacerdoti intorno ai loro vescovi, alcuni vescovi intorno al Papa, il Papa unito a Cristo! Sulla faccia di molti, le stimmate del dolore; ma sulle loro labbra il cantico di San Paolo: “Maledetti, benediciamo, Maledicimur et benedicimus: perseguitati, abbiamo pazienza; bestemmiati, porgiamo suppliche”. O Europa puoi andar superba del sacerdozio cattolico! Spera, spera ancora... Questo sacerdozio può giovare ancora per molto tempo al bene delle nazioni! “Figliuolo dell’uomo, voltati da questa parte, che vedi tu? Adhuc conversus videbis?”.

Quello che ancora si vede, o Signore, è la fede addormentata che si risveglia nelle classi elevate, un movimento che inizia, scuole che rinascono, circoli, patronati, catechismi che si moltiplicano, congressi che si tengono, una stampa coraggiosa che combatte, le idee di giustizia, di diritto, di libertà che si raddrizzano, vibrano, non vogliono morire. “E da questa parte ancora, figliuolo dell’uomo, che cosa tu vedi? Adhuc conversus videbis?”. Si vedono, o Signore, donne in ginocchioni, che piangono. Ma questa volta le lacrime versate sono per il Signore; per il Signore nell’amore; per il Signore nella penitenza; per il Signore nell’espiazione. Vergini del Carmelo, Figlie della Carità, Piccole suore dei Poveri, o spose di Gesù Cristo! E voi ancora, o madri cristiane, nobili donne di tutti i Paesi! Un mondo empio vi motteggia o vi bestemmia.

Si sappia almeno che, sopra un suolo che trema e in un orizzonte di tempeste, vi sono cuori di donne che amano Gesù Cristo, la Chiesa e la patria di un amore di cui le labbra sono impotenti a esprimere gli infuocati ardori. Il cielo ne è commosso, e la terra esulta di speranza. “Figliuolo dell’uomo, voltati da questa parte, che vedi tu? Adhuc conversus videbis?”.

Quello che si vede, o Signore, è uno spettacolo incantevole! Sono operai, lavoratori, i figliuoli del popolo, di quel popolo il cuore del quale ha per così lungo tempo e così fortemente palpitato per Gesù Cristo! Fuori del tempio di Dio, dove i settari e i caporioni li avevano trascinati, si vedono dei gruppi che rivoltano, che risalgono, che ritornano al tempio del Signore. Le loro mani tese si volgono di nuovo verso la croce: e, al bisogno, il loro petto diverrebbe scudo per difenderla.

 

V Allo spettacolo di questi segni consolatori e fortificanti, non è la disperazione nè lo scoraggiamento, ma la confidenza e l’energia che devono trovar posto nel loro cuore. Con Pio X abbiamo la volontà e la forza di tutto restaurare in Cristo. Ricondurre la società a Cristo! Tutto il resto è secondario dinanzi a questo grande compito. Impavidi e fedeli ai consigli pontifici!  E Tale dove essere la nostra parola d’ordine. Le ultime generazioni cristiane, nel loro insieme più provate di noi, sapranno innalzarsi sino all’eroismo, per mantenere contro l’Anticristo il complesso delle verità cristiane, base di ogni civiltà. Lasciamo ad esse un profumo d’esempi che le allieti e le incoraggi. Affermare le verità cristiane, comunicare le verità cristiane, difendere le verità cristiane, sono le tre parole che compendiano i nostri doveri verso Cristo e la società. Per compiere questi doveri la Chiesa non risparmia pene e fatiche e, ad esempio della Chiesa, non le deve risparmiare neppure il cristiano.

(FINE)


L’anticristo (parte I)
L’anticristo (parte II)
L’anticristo (parte III)


Agostino Lémann,
ebreo francese nato nel 1836 e morto nel 1909. Si convertì al cattolicesimo, fu ordinato sacerdote e scrisse, spesso assieme al fratello gemello Giuseppe (anchegli ordinato sacerdote, nato nel 1836 e morto nel 1915) numerose opere destinate a chiarire la storia cristiana ai loro fratelli di etnìa e di cultura. Il testo è arricchito da una introduzione del cardinale Rafael Merry del Val y Zulueta (1865 -1930). Fu, dal 1903 al 1914, cardinale Segretario di Stato sotto Papa San Pio X. Nel 1914 sarà nominato Segretario del SantUffizio.

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