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Europa, Subnormal Activity
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L’economista francese Bernard Maris è incredulo: «Trichet non può lasciar esplodere la zona euro. Se non altro perchè se lascia fare alla speculazione, lui e la BCE non esisteranno più; che farà, andrà ad allevare pecore in Patagonia?». (Pour sauver l'Euro, il faudra Trichet contre les spéculateurs)

Perchè il titolo di debito greco a 10 anni deve pagare oggi, per essere attraente, il 6,75% d’interesse, contro il Bund tedesco che paga il 3,14%. Siccome entrambi i titoli sono in euro, è ovvio che l’euro non esiste più.

Si sta riproducendo la situazione del 1992, quando Georges Soros partì all’attacco della lira e della sterlina, faticosamente agganciate al marco nel «serpente monetario europeo», costringendole ad uscirne. E’ anche ovvio che cosa sta facendo la speculazione mondiale: sta attaccando gli Stati indebitati europei uno per uno, separatamente, puntando al ribasso, giurando sul loro fallimento, e provocandolo. Dopo la Grecia toccherà al Portogallo, alla Spagna, poi all’Italia: anzi già hanno cominciato, questi Paesi vedono da giorni vaste vendite sui loro titoli.

«Si ripetono i giochetti sui Credit Default Swaps (CDS) come nel 2008 in USA», dice un altro economista francese, Paul Jorion: «Allora furono 1) Bear Stearns, 2) Lehman Brothers, 3) Merrill Lynch. Oggi sono 1) Grecia, 2) Portogallo, 3) Spagna».

I CDS sono quei derivati che gli speculatori che comprano uno strumento di debito (per esempio i BOT) acquistano come «assicurazione» contro il rischio che l’emettitore del debito fallisca; in quel caso, il venditore del CDS si impegna a rimborsare il compratore della perdita che potrebbe subire dall’insolvente. Il fatto che il preteso assicuratore non abbia i soldi per onorare il suo impegno (com’è avvenuto nel caso AIG in America) non ha scoraggiato lo spaccio di questi derivati. Ciò perchè può comprare i CDS sui BOT italiani anche uno che non detiene BOT. E così, il CDS diventa una semplice scommessa sul fallimento dei BOT (o di ogni altro titolo di debito) in mano a terze parti. Con pochissimi capitali (margini) gli speculatori possono giocare puntate colossali contro uno Stato o un’azienda.

Sicchè oggi i Soros possono «assicurarsi» sulla vostra automobile (la vostra, non la loro): e naturalmente, la loro speranza è che andiate a sbattere e subiate danni enormi, perchè in quel caso l’assicurazione pagherà non voi, ma Soros. Capito?

In un mondo normale, bastava vietare per legge l’acquisto di CDS a chi non possiede i titoli di debito a rischio: non è stato fatto, ovviamente. Ed ora, gli speculatori comprano in massa CDS dei Paesi indebitati nell’euro, puntando sulla loro insolvenza. E con ciò provocandola, perchè i «mercati» prendono il costo dei CDS come una misura obbiettiva del rischio di mancato rimborso dei BOT.

Se i CDS sulla Grecia rincarano, vuol dire – pensano i «mercati» – che la Grecia è veramente a rischio di insolvenza, dunque si precipitano a liberarsi dei titoli greci (e spagnoli, e italiani), aggravando la Grecia, costringendola ad aumentare i tassi. In realtà, la relazione fra costo dei CDS e insolvenza non ha nulla di oggettivo nè automatico; ma così funzionano «i mercati». Non sono governati da una vera informazione e da razionalità, ma da credenze e paure. E quel che credono i mercati, diventa realtà.

Per anni, la speculazione è stata cacciata via dalla zona euro. Prima, faceva profitti giocando il marco contro la lira, la sterlina contro il franco. La moneta unica ha espulso la peggiore finanza dell’Europa. Ora, con la crisi, e le «forbici» dei tassi d’interesse dei titoli greci e dei titoli tedeschi, è esattamente come quando c’erano il marco e la dracma. Solo che la Grecia, adesso, non può svalutare. Dunque deve infliggere tagli ferocissimi alla sua economia («rientrare dal debito» in pochi mesi), o sperare nell’aiuto dei Paesi forti dell’euro.

Gli speculatori comprano titoli di debito greco quando sperano che l’Europa interverrà per non lasciare fallire la Grecia; li vendono quando la BCE, ossia Trichet, dichiara che non aiuterà la Grecia.

Per bloccare la speculazione, basterebbe che i prestiti della Grecia fossero garantiti dagli altri Paesi dell’euro su cui giocano gli speculatori; i Paesi forti potrebbero prendersi carico dei differenziali («forbici») dei Paesi deboli. E la Banca Centrale Europea avrebbe tutto l’interesse a favorire questa presa in carico, se non altro perchè l’implosione dell’euro farebbe sparire la stessa BCE. Senza differenziale di tassi, non  ci sarebbe più speculazione.

Strauss-Kahn
   Strauss-Kahn
Persino il capo del Fondo Monetario, Strauss-Kahn, consiglia i Paesi euro di aiutare la Grecia, dopotutto un Paese con la popolazione della Lombardia (o di Los Angeles) (1). Ma la Germania s’impunta. La Germania (Angela Merkel e i suoi ministri) non vogliono aiutare la Grecia, anzi vogliono punirla. Dal loro punto di vista, la Grecia s’è imbarcata come un passeggero clandestino  sulla nave dell’euro, approfittando della credibilità che all’euro dà la presenza della potente Germania per indebitarsi a basso tasso. (Faut-il sauver la Grèce ou la punir?)

E’ vero. E ciò non vale solo per la Grecia. Anche Italia, Spagna, Portogallo hanno goduto dei bassi tassi per indebitarsi, e si sono indebitati troppo, avendo le classi politiche che sappiamo. Ed ora la Germania vuole punirci tutti. Il tedesco è quello di sempre: impolitico e pedante. Il maestro di scuola con la bacchetta.

Ma il tedesco non tiene conto dell’altra verità: che cioè i Paesi del Club Med, a cui ha inflitto una moneta sopravvalutata rispetto alla loro capacità economica, sono diventati mercati delle merci tedesche, da cui la Germania ricava grassi profitti. Il tedesco tratta da imbarcati clandestini sulla sua nave i suoi clienti migliori, e la metà dell’Europa (perchè anche la Francia soffre per l’euro forte). Sicchè vuol punire la Grecia, proprio in questo momento, per «non creare precedenti» e dare una lezione. La Germania si comporta come se la nave chiamata «euro» fosse soltanto sua.

Basterebbe – suggerisce Bernard Maris – che Trichet promuovesse la creazione di un’agenzia europea per il debito pubblico, un fondo per prestiti comuni ai diversi Stati membri dell’eurozona. A cui si dovrebbe aggiungere un programma di perequazione fiscale, onde portare le zone povere al livello delle zone ricche.

E’ quel che fanno comunemente gli Stati al loro interno. In Italia, Lombardia e Piemonte pagano (troppo) per Calabria e Sicilia. In Germania, i tedeschi dell’Ovest hanno pagato e pagano cifre per l’ex Germania Est, tanto che i lander orientali sono oggi più ricchi, con più  infrastrutture e più moderne degli Stati occidentali della federazione.

E’ la dimostrazione (se ce ne era bisogno) che l’eurocrazia non è riuscita a creare una «identità europea», che questa «identità» è una pura illusione, che l’Europa a moneta unica viene concepita non come una zona di cooperazione, ma di competizione.

Il governatore della BCE, Trichet, avrebbe in mano l’occasione per fare questo passo epocale, fare l’Europa. E contemporaneamente, dare agli speculatori una bastonata che ricorderebbero per lungo tempo (1). Ma non lo fa, perchè – fra l’altro – gli è vietato dalla «normativa» europide. La BCE è stata creata (dai tedeschi) con un solo scopo: stroncare l’inflazione. E anche oggi che c’è la deflazione, Trichet si mantiene fedele all’ordine che gli è stato dato; fedele come un robot.

La Germania ha creato una BCE a propria immagine: impolitica, pedante, ottusa. A Trichet è esplicitamente proibito dalle «normative» di ascoltare qualunque suggerimento da qualunque uomo politico della zona euro. Se ne sta lì, nella sua torre d’avorio al 37° piano del grattacielo della BCE a Francoforte (mica a Bruxelles: a Frankurt), a guardare col cannocchiale la probabile esplosione dell’euro. E sorveglia che non rinasca l’inflazione.

Prosegue insomma la sua attività «normale». Subnormal Activity. Verso la rovina totale, l’insolvenza degli Stati uno dopo l’altro (2), e la sparizione della moneta (a proposito, comprate oro: per qualche tempo sarà la sola moneta riconosciuta dal contadino per cedervi i suoi fagioli).

Per magrissima consolazione, informiamo che molti altri Paesi – fra cui gli USA – sono in condizioni piuttosto pericolanti. Un blogger segnala che oltre cinquanta amministratori delegati (CEO) e direttori finanziari (CFO) di grandi e grandissime aziende si sono dimessi d’improvviso nelle ultime tre settimane. Soprattutto i capi di banche, telecom e imprese dell’energia hanno lasciato di colpo le loro ricche poltrone.

Eccone la lista, forse persino incompleta:

1) Sun Microsystems
2) Royal Bank of Scotland
3) Bank Leumi of Israel
4) Lenovo
5) Wellpoint (on March 1)
6) Ingersoll-Rand
7) Gasco
8) Syntel
9) Motion Picture Television Fund
10) GrainCorp
11) Connaught Plc
12) Netplay TV
13) AgResearch
14) Zain Telecom
15) Ethan Allen Institute
16) Fahrney-Keedy Home & Village
17) Nordzucker
18)  France Telecom
19) TransWorld Entertainment
20) Parlux
21) Medical Developments International Ltd
22) PBR (on March 1)
23) Aeropostale
24) Cook Islands Tourism
25) Uranium International Corp
26) San Francisco AIDS Foundation
27) Borders Books
28) YTB International
29) Western Australia Business News
30) Bergen Group Rosenberg
31) Phumelela
32) Bartow Regional Medical Center
33) NV Energy (CFO)
34) Shanda Interactive
35) NB Power
36) Empire Aero
37) Argentina Central Bank
38) Hong Kong Exchanges & Clearing (CFO)
39) Arbitron
40) Lihir Gold Ltd
41) Meredith Corp
42) Red Bull
43) Golden Harp
44) Endo Pharma
45) Nuplex
46) CLICO
47) Mirada (chairman)
48) Remedial Offshore
49) Abercrombie & Fitch Co
50) Commerce Resources (CFO)

Questi signori sanno di sicuro qualcosa che noi non sappiamo. Ancora.




1)
Anche il Nobel Jospeh Stiglitz invita l’Europa a «dare una lezione agli speculatori». Secondo Stiglitz, quel che fanno gli speculatori ai debiti di Stato europei è la replica di quel che fecero nella crisi finanziaria asiatica del 1997-8, quando anche le economie sane furono danneggiate dal ritiro improvviso dei capitali degli hedge funds e speculatori. Allora Hong Kong rispose aumentando i tassi d’interesse e intervenendo sui mercati azionari (comprando azioni con soldi pubblici), bruciando gli speculatori.
2) A questo proposito, è istruttivo leggere la valutazione dell’Eir - Alert numero 6: «La crisi finanziaria che attualmente colpisce i Paesi ad alto deficit dell’Eurozona, come Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo, è la continuazione della fase esplosa con l’insolvenza di Dubai lo scorso novembre. Come scrivemmo in quell’occasione, assistiamo al prevedibile fallimento della politica dei salvataggi bancari a suon di trilioni di dollari, suggerita da Londra e adottata dal G20. Gli Stati e le Banche Centrali hanno acquistato porzioni del debito tossico del sistema bancario privato, aggravando i conti pubblici. Ora, le banche e gli hedge funds usano quei soldi per distruggere le nazioni. Il tentativo dell’UE e del FMI di far pagare la crisi e la loro politica ai cittadini, imponendo draconiane misure di austerità, è completamente incompetente. L’unica soluzione è sostituire il sistema finanziario, irrimediabilmente in bancarotta, con un sistema creditizio. Infatti, se i governi tentano di applicare le misure di tagli richieste dalla dittatura bancaria dell’UE, il problema si aggraverebbe. Ci sarebbe una spirale deflazionistica, con l’economia che si restringerebbe ad ogni nuovo taglio, dunque aumentando il deficit e giustificando nuove richieste di tagli, ecc. L’inevitabile risultato sarebbe il caos sociale. Queste nazioni sarebbero presto di fronte all’insolvenza o, come unica alternativa, alla scelta di abbandonare l’Unione Monetaria, riacquistando la sovranità sulla propria moneta e sulla propria economia. Anche se nell’occhio del ciclone si trovano Spagna e Grecia, la crisi non risparmierà Paesi che godono ancora del rating AAA. Il settore finanziario spagnolo è intimamente legato alla City di Londra, grazie all’alleanza tra Santander, la più grande banca dell’Eurozona, e la Royal Bank of Scotland, oggi di proprietà statale. Il crollo della Spagna, una possibilità non più remota, avrebbe effetti rovinosi in Gran Bretagna, che ha un debito del 170% sul PIL se si contano i debiti delle banche nazionalizzate».



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