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Le basi per la «secessiùn»
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Il personaggio più pericoloso per l’unità nazionale non è Bossi, nè Calderoli, nè Beppe Grillo, ma Luca Ricolfi, un apparentemente innocuo sociologo dell’Università di Torino, vagamente di sinistra, che scrive su La Stampa. Per il semplice motivo che la verità è rivoluzionaria, e l’intelligenza è – persino in Italia – dirompente.

L’ultimo saggio di Ricolfi, «Il Sacco del Nord», analizza  il divario tra regioni economicamente produttive (Nord) e quelle improduttive (Centro-Sud), e quanto le prime trasferiscano, del loro denaro duramente guadagnato, alle seconde. La cifra è sui 55 miliardi di euro. Ogni anno il Nord viene aggravato di tre-quattro finanziarie alla Prodi per mantenere le altre regioni, che consumano più di quel che producono.

Ora, Ricolfi ha analizzato gli ultimi dati elettorali, ed ecco cosa ne trae:

«La Lega sfonda in quattro regioni: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte. Cresce un po’ meno in Toscana e Marche. Cresce ancor meno in Umbria e Liguria. Non si presenta dal Lazio in giù».

«Le regioni a maggior penetrazione leghista sono le regioni più produttive del Paese, quelle che tirano la carretta e sono quindi in forte credito con buona parte delle altre», i famosi 55 miliardi l’anno. Le regioni del Centro-sud hanno verso quelle del Nord un debito di 55 miliardi ogni anno. Un debito che non viene riconosciuto, nè tanto meno pagato.

Continuo a leggere: «Le regioni a media penetrazione della Lega, Toscana e Marche, sono anch’esse in credito» ma  in misura minore.

«Le regioni a bassa o nulla penetrazione della Lega (Liguria, Umbria, Lazio e Mezzogiorno) sono in debito con tutte le altre».

Luca Ricolfi
   Luca Ricolfi
Capito cosa dice Ricolfi? Che non si tratta di Nord contro Sud, nè di «xenofobi» ed «egoisti» concentrati al Nord, contrapposti ai buoni italiani dal cuore generoso, come scrivono l’Unità e Repubblica. La divisione è quella fra le regioni che danno e non ricevono, e quelle che ricevono e non danno.

E l’affermazione di un preciso partito, oggi «federalista», ma con la «secessiùn» come retropensiero, tende a coincidere sempre più con la misura di questo troppo «dare» alla comunità nazionale.

Non è questione di Nord e Sud. La Liguria, che è geograficamente al Nord ed contigua alla «Padania», rimane una regione rossa perchè rimane improduttiva. L’Emilia Romagna resta rossa per la presa storica della cosca pidiessina sulla sua economia, ma è – dice Ricolfi – la seconda regione creditrice dopo la Lombardia, e non è un caso se la Lega ha triplicato i voti, e a Reggio Emilia ha raggiunto il 15%.

Resta rosso il centro toscano-umbro, «perchè sostanzialmente in pareggio», che riceve più o meno quanto dà alla comunità. Dal Lazio in giù «la Lega non può attecchire», perchè Sicilia, Campania, Calabria, Puglia, eccetera non potrebbero vivere all’attuale livello di consumi e benessere senza  poppare alla mammella pubblica, ossia alle tasse del Nord.

Questa è la divisione reale del Paese, che si sta rafforzando giorno per giorno, e di cui non sentirete mai parlare ad «Anno Zero» e a «Ballarò». Ma è la linea di faglia della spaccatura che, un giorno, diverrà politica.

Il Nord che contribuisce e paga le spese per tutti sta facendo una fatica terribile, ed aggravata di recente: proprio perchè esporta di più all’estero, la crisi globale (col calo della domanda mondiale)  la colpisce più a fondo. Il centro-sud, la cui economia lavoricchia per il consumo interno (e spesso per l’auto-consumo), sente meno la competizione globale e soffre meno. Nel Nord che si affanna la vita costa di più e si pagano più tasse, e lo Stato centralizzato con le sue caste burocratiche inadempienti si comporta di continuo come un occupante ostile, che al bue che tira l’aratro, mette per di più dei ceppi alle forti zampe.

La Sicilia non esporta nulla (per questo il ponte di Messina è inutile: il costo non copre i benefici di aumentati traffici che non verranno), e gode di un’autonomia che le regioni del Nord si sognano; e nonostante ciò, appena frana il territorio disastrato dall’abusivismo siculo (la sua «autonomia»), ecco che i siciliani invocano «l’intervento dello Stato».

Il Nord, a livello locale specialmente, è capace di un autogoverno: i comuni stanno attenti a non assumere troppi dipendenti pubblici, fanno economie; e vedono queste loro economie andare al Sud per sprechi, clientelismi e parassitismi.

Con la Lega al comando, le regioni del Nord chiedono di poter tenere in casa loro, e spendere lì,  una parte maggiore dei soldi che danno al resto dell’Italia. Ora Ricolfi, quest’uomo pericoloso, dà loro una cifra esatta – ed un’esatta coscienza – dei soldi che potrebbero tenersi: 55 miliardi l’anno. Anche solo un terzo di quella cifra renderebbe ogni lavoratore lombardo, veneto, piemontese, non solo più benestante, ma meglio governato, con migliori infrastrutture, e quindi più produttiva ancora l’economia lungo il fiume Po.

Adesso, al Nord, ciascuno può calcolare quanto viene danneggiato dal parassitismo meridionale. E la recessione, che ha instaurato una deflazione e una necessità di deflazionare ancor più causata dall’euro (quando non si può svalutare la moneta, si deve «svalutare» il lavoro: in Grecia, i salari devono scendere del trenta per cento), rende ancora più evidente l’assurdità dei «sacrifici» che si chiedono al settentrionale: devi lavorare di più e guadagnare di meno, renderti più competitivo. Ma gli spazzini napoletani non cercano di diventare competitivi. E nemmeno gli assessori siculi da 400 mila euro l’anno, come l’assessore alle acque nella regione dove le acque escono dai tutti i tubi mai mantenuti.

A che scopo, poi, tutto questo svenarsi? Il centro-sud non solo spende ciò che guadagna il Nord, ma lo spreca, lo dilapida. Vedi la spesa sanitaria: le regioni che spendono di più, cifre folli, sono quelle che hanno la sanità peggiore, e quando un meridionale è seriamente malato, va a farsi curare a Milano o Bologna  (il Sud esporta malati, e per essi paga al Nord: piccolo rivolo di denaro che va controcorrente).

Perchè dunque? Senza nemmeno la soddisfazione di vedere che le comunità meridionali, con i 55 miliardi che gli dà il Nord, stanno migliorando la loro condizione. Anzi peggiorano, affondano nella disoccupazione e nell’immiserimento, e nella criminalità. Soldi e soldi da Nord, e Sicilia e Calabria hanno distrutto persino le basi delle loro prospettive economiche, per esempio il turismo, con l’abusivismo straccione con cui hanno orlato le loro coste.

Il Nord che si autogoverna soffre per regolamentazioni minuziose e soffocanti, che lo Stato centrale ha concepito nel tentativo (vano) di frenare l’emorragia di spesa pubblica dei Comuni e delle regioni meridionali. Per esempio al Nord, Comuni e regioni in attivo, non possono spendere i soldi che hanno in cassa perchè tenuti ad economie («Patto di stabilità») concepite per imporre un minimo senso di responsabilità agli amministratori del Sud. E sempre invano. Quelle regole stringenti non vanno bene per il Nord, che saprebbe come spendere i soldi; sono un ostacolo e un freno alla carretta che sta tirando.

Non me ne vogliano i lettori meridionali, che so personalmente onesti e attivi: ma fino a quando questo sbilancio fra creditori e debitori credete possa durare?

Per la prima volta, le tre regioni del Nord sotto guida leghista (o come in Lombardia, dove la Lega è comunque al governo) stanno in contiguità territoriale. Sono un blocco geograficamente unito, economicamente potente, intersecato  in più da infrasttrutture stradali e ferroviarie d’interesse comune, con comuni interessi e con governatori che hanno le stesse idee sullo sviluppo. Gli amministratori leghisti sono in consonanza con le esigenze della cittadinanza (1) – le burocrazie locali ascoltano i bisogni delle imprese e cercano di facilitarli – il che non accade nel Sud. Sono già, in fieri, uno Stato; e contrariamente al Meridione, uno Stato prospero, di livello europeo per produttività (2) ed efficienza, in grado di competere nonostante l’euro forte, che può confrontarsi con la Baviera o la Francia meridionale (anch’esse contigue alla neonata Padania); o meglio che potrebbe, se non subisse quello che Ricolfi chiama «il saccheggio» che la dissangua. Sono un polo d’attrazione ineluttabile per l’Emilia, ancora temporaneamente rossa, che converge verso quel polo per interessi e aspirazioni, è in contiguità territoriale con esso, ed è anch’essa «saccheggiata».

Quanto tempo passerà fino a che si alzi il grido «secessiùn»?

La dirigenza della Lega non lo alza. Sa per esperienza che non deve suscitar allarme. Cerca l’accordo con i caporioni meridionali per giungere al federalismo fiscale che – comunque si coagulerà – significherà, più denaro al Nord. In ciò, aiutata dall’autonomismo siciliano e dal secessionismo fattuale campano e calabro che – data la situazione – non potrebbe essere più cieco e stupido. Alla regione siciliana c’è un governatore «autonomista»: l’autonomismo del «ci facciamo i fatti nostri e nessuno s’impicci» che, all’ennesima frana con morti, diventa il grido: «Lo Stato ci deve aiutare!». Ma presto, lo Stato non ci sarà più. Ci sarà un regionalismo, al Nord perfettamente cosciente di quel che spende invano, e di come si danneggia per il Sud senza una contropartita.

Almeno non si dica, sui giornali romani, che il Nord è «xenofobo»: nonostante le strida parolaie del leghismo neanderthaliano, è comprovato persino dalle indagini Caritas che il Nord, nei fatti,   integra gli immigrati meglio del meridione, perchè il lavoro di fabbrica integra, e così una amministrazione più responsabile, una società i cui membri hano più fiducia gli uni negli altri, e coltivano l’orgoglio del lavoro ben fatto.

La divisione fra Nord produttivo e Sud parassitario (mi perdonino i lettori meridionali) ha scavato un vero solco delle mentalità, di cui l’accusa di «xenofobia» è solo uno dei sintomi. La verità è che il Nord e il Sud si capiscono sempre meno. Anche perchè il nord si confronta con l’Europa e il mondo avanzato e il Sud, purtroppo, no. Il Sud si chiude ogni giorno di più nel suo provincialismo dialettale, in un insieme di furberie e abusivismi che tutti insieme conformano una sorta di stupidità collettiva autolesionista, con politici che comprano i voti a 30 euro l’uno con l’aiuto della camorra. 

So che ci sono eccezioni: di recente, a Catanzaro, ho parlato con giovani meravigliosi che vanno all’università, studiano duro (ingegneria) e non si vergognano di servire nei ristoranti; ma sono giovani che vanno a studiare al nord, perchè - dicono  loro - si capisce che una facoltà di ingegneria deve essere vicina e connessa a vere industrie. Sono giovani abbandonati dalla regione e dallo Stato, che si arrangiano da sè, e che resteranno al Nord.

Se il Sud capisse cosa rischia, dovrebbe anzitutto riconoscere: non siamo capaci di governarci da soli, che qualcuno ci governi. Altro che «autonomia». Il vero federalismo dovrebbe essere ricalcato su quello iberico, dove le regioni più capaci di autogoverno sono quelle più  autonome (la Catalogna) e le Asturie, onestamente, di autonomia ne chiedono meno.

Naturalmente non è detto che la Lega con i suoi Calderoli sarà in grado di rispondere alle altissime aspettative che ha suscitato, o se le deluderà (e allora sarà travolta da qualcosa di peggiore). Ma il solco mentale, quello, resta e si approfondisce.

Ed ora il Nord sa di quanto viene saccheggiato: quattro finanziarie l’anno. E da decenni.




1) Maggiore produttività del lavoro non significa necessariamente che i lavoratori del Nord lavorino di più di quelli del Sud. Significa che il loro lavoro è agevolato da maggiori investimenti di capitale in beni strumentali e infrastrutture. Aumentare la produttività del lavoro significa investire di più e meglio, non  (come raccomandano i Ciampi e i Giavazzi) esortare i lavoratori a contentarsi di salari inferiori. Chi afferma: il costo del lavoro è eccessivo, si merita la risposta: i dirigenti politici e i capitalisti privati non hanno investito abbastanza, si sono tenuti i soldi o li hanno sprecati.
2) Al Nord, un ospedale come quello di Vibo Valentia, con medici incapaci fino all’omicidio, non potrebbe esistere perchè la cittadinanza non lo tollererebbe passivamente. E i politici locali lo sanno.


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