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Siria: l’Europa già se la spartisce. Contro Mosca
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Secondo il New York Times, solo «pesanti pressioni hanno indotto Obama» ad armare i ribelli in Siria. Non voleva proprio, e l’ha fatto di malavoglia». «La sua ambivalenza – scrive il giornale – è evidente anche dal modo in cui l’ha annunciato. Ha affidato a un vice-consigliere di sicurezza nazionale, Benjamin J. Rhodes la dichiarazione che era stata superata [dal regime di Assad] la “linea rossa” sull’uso di armi chimiche e che quindi il sostegno all’opposizione sarebbe stato aumentato. In quel momento, Obama parlava ad un evento “gay pride” nella East Room...».

Se si avesse voglia di ridere, si potrebbe obiettare che Obama stava combattendo l’altra grande battaglia della Civiltà Occidentale, la promozione di Sodoma, a cui pare nessun politico occidentale possa sottrarsi. Ma naturalmente deve occuparsi con urgenza dell’altro altissimo compito della sullodata Civiltà, diffondere la democrazia: manderà armi e munizioni – ma leggere, e non le artiglierie e i razzi anti-tanks che il «generale» dei cosiddetti ribelli, Salim Idris, chiede con insistenza. Né ha concesso la tanto desiderata «no fly zone»: sarebbe «più complessa di quella libica, e un costo grosso e senza fondo per gli Stati Uniti».

Il fatto è che i ribelli (cosiddetti) stanno perdendo, e tutti hanno fretta. Chi ha fatto le pressioni? Viene nominata Hillary Clinton, per gli Usa, e il solito McCain, ossia l’apparato repubblicano-israeliano (1). Ma in Francia, la gallina che canta ha fatto l’uovo: «Gli americani avrebbero voluto tenersi da parte, ma il conflitto siriano non è più locale, è regionale e persino internazionale», ha detto il ministro askenazita e miliardario di Francois Hollande, Laurent Fabius (2). Era contento, Fabius: si vede che coloro che «fanno forti pressioni» contano di trascinare gli Usa in una ben concepita escalation e provocazione, a tirar fuori le armi pesanti e gli aerei. Del resto, squadriglie di F-16 americane sono state già spostate in Giordania, ufficialmente per esercitazioni congiunte.

Laurent Fabius
  Laurent Fabius
Fabius e coloro che «fanno pressione» in Europa sono così sicuri del fatto loro, che hanno già preso accordi per spartirsi il grosso affare siriano, una volta cacciato Assad. Nella prima settimana di giugno, hanno tenuto a Beirut un seminario intitolato Prospects and Opportunities for Pozstwar Growth in Lebanon and Syria, ossia «Prospettive ed opportunità di crescita post-bellica in Libano e Siria». Formalmente indetto dal Basil Fuleihan Institute of finances (IoF), un think-tank collegato al governo libanese, vi hanno partecipato gli ambasciatori in Libano di Francia, Spagna e Italia, cioè i tre paesi UE più grossi affacciati sul Mediterraneo. L’ambasciatore francese Patrice Paoli ha dato le carte per il grande e ghiotto business della ricostruzione siriana. Ha assicurato il governo libanese, che oggi «soffre per la crisi in Siria», che avrà un ruolo nella sua ricostruzione; ed ha invitato gli investitori a «tenersi pronti per questa». Paoli ha aggiunto che le imprese francesi «continueranno ad assicurare una forte presenza in Libano, preparandosi alla prossima fase per approfittare delle future opportunità», a condizione che la «stabilità del Libano sia preservata»: insomma no dividetevi proprio adesso che c’è da guadagnare, affaristi libanesi delle varie componenti.

Abdullah Dardari
  Abdullah Dardari
Salma Sabra, un alto dirigente della Banque Libano-Française, ha dato le cifre: posto che la guerra cessi entro il 2015, e date le enormi (e benvenute) distruzioni in atto, i costi della ricostruzione si valutano tra i 65 e i 100 miliardi di dollari Usa. Abdullah Dardari, un traditore di lusso (era vice primo ministro agli affari economici col regime siriano) ha valutato le perdite per l’economia siriana, nei soli ultimi due anni, sui 60 miliardi di dollari.

Chi pagherà? La Siria stessa, con i proventi del petrolio e delle royalties che il nuovo regime assistito dall’Occidente incamererà, e che l’Occidente sarà lesto a sottrargli come spese di ricostruzione; come in Iraq, dopotutto. Secondo fonti giordane, la Banca Mondiale ha contattato Bashar Assad con una «offerta generosa»: un prestito di 21 miliardi di dollari per la ricostruzione. L’attivo da dare in garanzia doveva essere il petrolio al largo delle coste siriane, perché Assad ha rifiutato la generosa offerta, dichiarando che «lo sfruttamento marino del greggio si farà in partenariato con imprese russe». L’offerta della Banca Mondiale però sembra mostrare che, nelle centrali che contano, la vittoria finale dei mercenari (ribelli) salafiti non deve parere tanto sicura; ci si tiene la porta aperta anche per trattare con il mostro.

Un banchiere che ha partecipato al seminario di Beirut dedicato alla vendita delle pelliccia dell’orso siriano, sotto condizione di non essere nominato, ha detto: «Tenuto conto della grave recessione in Europa, i Paesi europei sono molto disposti a cercare dei mercati per le loro imprese di costruzione». Anche se poi ha aggiunto di «non credere al ristabilirsi di una vera stabilità in Siria»: l’esempio libico è lì a mostrare che la «ricostruzione» e la «democrazia» sono lungi dall’essere all’ordine del giorno (3).

E tuttavia, con gli indicatori europei tutti in rosso, e i 17 Paesi che condividono l’euro con una crescita complessiva allo 0,3%, viene il sospetto che i politici europei cerchino uno «stimolo» nella Siria, e di farselo pagare dai siriani. Una bella guerra coloniale, e poi ricostruzione, come stimolo alla crescita. Specie Parigi ne ha bisogno, per non scivolare nell’inferno dei Paesi periferici che non hanno diritto di essere ascoltati da Berlino. È stata Parigi, affiancata da Londra (4), a imporre al resto d’Europa l’abbandono dell’embargo delle armi ai «ribelli». Gli ultimi successi dell’esercito regolare siriano, con la prospettiva di prossima riconquista di Aleppo che sarebbe la fine per i salafiti, hanno fatto precipitare Fabius in un isterico propagandista della guerra su tutti i media.

«Bisogna riequilibrare (i rapporti di forza nel conflitto) perché l truppe di Assad e soprattutto di Hezbollah ed iraniani, con le armi russe, hanno ripreso terreno», ha strillato su France. E l’ebreo in lui ha aggiunto: «Dietro la questione siriana, c’è la questione iraniana». L’incubo, l’ossessione israeliana. Il che fa temere un possibile aiutino di Tsahal, qualche provocazione per costringere la stanca superpotenza americana a entrare nella vera guerra, con tutto il suo armamento, per salvare «il suo solo alleato in Medio Oriente», e proseguire fino alla «democrazia in Iran».

Dietro questo progetto c’è il rischio di un conflitto con la Russia. Ma probabilmente si valuta che la Russia, l’alleata di Assad, è un cane che abbaia ma non morderà. Come ha confermato il ministro Lavrov alla nostra Emma Bonino, Mosca non ha ancora spedito i missili S-300 a Damasco.

Anche se Vladimir Putin, ha avvertito gli europei che eventuali bombardamenti occidentali sulla Siria, o la creazione della no-fly zone, avrebbero come effetto il dispiegamento dei temuti missili. Ciò è avvenuto, nell’indifferenza generale e d insaputa dell’opinione pubblica europea, in un incontro UE-Russia che si è svolto a Ekaterinburg l’11 giugno scorso. Qui, ha scritto il corrispondente francese in Russia Alexandre Latsa, l’Europa (o chi per lei presente) ha praticamente consumato la rottura con Mosca; una rottura flaccida, per assenza d’Europa. Assenza morale, come ha sottolineato Latsa:

«Sul piano politico come morale e sociale, la relazione Russia-UE si sgretola. (...) La divergenza sui progetti di società resta grande, con la UE che vuole apertamente imporre alla Russia una concezione di società che questa rifiuta, facendo valere la sua sovranità e differenza. Questa rottura morale fra una Russia che conosce un ritorno al religioso, e un’Europa al contrario molto liberal-libertaria, ha portato a un malinteso crescente tra la Russia e i Paesi europei. Il tema dei diritti delle minoranze sessuali non ha contribuito a riscaldare i rapporti. Il presidente russo ha detto fino a che punto si è stancato di rispondere a domande sui diritti degli omosessuali, e ripetuto a martello che “le tradizioni culturali, morali ed etniche della Russia devono essere rispettati”, e che “se la Duma vara una legge che vieta l’adozione di bambini russi da parte di coppie di stranieri omosessuali, lui la promulgherà”».

Dunque è questo che sono andati a dire «gli europei» (o chi per loro) ad Ekaterinburg. È da questo che fanno dipendere le buone relazioni con l’enorme nazione, da cui in gran parte dipendono per le forniture energetiche e che dà tante prospettive come mercato. No, i diritti degli invertiti vengono prima di tutto, e qualunque interesse legittimo va sacrificato a questa. Per la Russia, questo significa la fine di «un destino continentale comune».

Dmitri Kisseliev, presentatore televisivo di uno del talk show politici più seguiti in Russia, ha commentato così il flaccido incontro: «Il vecchio mondo sembra aver fatto la sua scelta. Avere il culto dell’omosessualità, rinunciare alla nozione di peccato, tradire il cristianesimo e la famiglia tradizionale, depravare i bambini nelle famiglie omosessuali: tutto questo è la distruzione della propria identità, la strada all’auto-distruzione».

Non si può essere più chiari di così, conclude Latsa. (Russie-UE: vers la fin du «destin continental commun»?)

È la diagnosi di suicidio d’Europa, quella che viene da Mosca. Suicidio flaccido, com’è flaccido il totalitarismo sodomitico di società in via d’estinzione demografica, che stanno armando i loro stessi assassini, i salafiti sterminatori e cannibali che vogliono far vincere in Siria.





1) Sia detto a suo onore, Zbigniew Brzezinski, CFR e consigliere di sicurezza nazionale di Jimmy Carter, s’è dichiarato contro un maggiore coinvolgimento in Siria: «!Quale è il nostro obiettivo, esattamente? Non mi è chiaro se ogni governo non democratico del mondo debba essere rimosso con la forza».
2) Laurent Fabius ha un passato losco e discutibile. Primo ministro socialista negli anni ’90, fu al centro di un orribile scandalo, detto «del sangue contaminato»: per suo ordine il servizio sanitario nazionale continuò a fornire a pazienti emofilici sacche di sangue, che si sapeva contaminato dal virus HIV: 92 i morti. Fabius fu accusato di omicidio involontario presso la Cour de Jistice de la République, il trbunale speciale che giudica i governanti, e (naturalmente) assolto. Le fortune di certi personaggi non tramontano mai. Hollande l’ha ripescato come ministro degli esteri.
3) In Libia continuano scontri inestricabili fra milizie opposte. Pochi giorni fa, in Cirenaica, manifestanti disarmati, scesi in piazza per chiedere pace e stabilità, sono stati trattati a raffiche di mitragliatrice e bombe a mano da una milizia armata: 30-50 morti, la cifra esatta è ignota. Il 15 giugno, dicono le agenzie, a Bengasi «almeno sei soldati sono stati uccisi negli scontri avvenuti questa notte fra forze speciali e manifestanti. Un gruppo di manifestanti avrebbe attaccato una caserma a colpi di arma di fuoco e di razzi. È soltanto uno dei tanti episodi di sangue che si registrano negli ultimi giorni. (...)i n diversi punti della città di Bengasi ci sono dei cecchini che colpiscono i soldati delle truppe speciali». «Venerdì c'è stato anche un attentato contro un'emittente tv indipendente, sempre a Bengasi, nel quale è rimasto ferito un giornalista. Pochi giorni fa, sotto un'auto in servizio presso l'ambasciata italiana, è stata trovata una bomba, disinnescata senza conseguenze». L’aeroporto di Bengasi è stato chiuso al traffico a causa della violenza degli scontri che vi hanno luogo da giorni. E’ la democrazia esportata da Hollande e Cameron.
4) In realtà, dietro le quinte, Londra sembra essere l’istigatrice della stessa Francia. L’ex ministro degli esteri Roland Dumas ha appena rivelato, in un talk show televisivo, che già due anni fa gli inglesi stavano addestrando miliziani per invadere la Siria, ossia prima che la crisi e le «richieste di democrazia» si manifestassero nel paese; si trattav, secondo i britnnici, di eliminare un regime ostile ad Israele (e probabilmente anche ai diritti gay). Ecco le parole di Dumas: «J’ai été il y a deux avant, à peu près, avant que les hostilités commencent en Syrie, je me trouvais en Angleterre (…) J’ai rencontré des responsables anglais et quelques -uns qui sont mes amis m’ont avoué, en me sollicitant, qu’il se préparait quelque chose en Syrie. L’Angleterre préparait l’invasion des rebelles en Syrie. Et on m’a même demandé à moi, sous prétexte que j’étais ancien ministre des affaires étrangères, si je participerais comme ça à cette…j’ai évidemment dit le contraire, je suis Français, ça ne m’intéresse pas. C’est pour dire que cette opération vient de très loin, elle a été préparée, conçue, organisée (…) dans le but très simple de destituer le gouvernement syrien, car dans la région il est important de savoir que ce régime syrien a des propos anti-israélien et que par conséquent tout ce qui bouge dans la région autour…Moi j’ai la confidence du premier ministre israélien (…) qui m’avait dit : on essaiera de s’entendre avec le premier ministre et avec les Etats autour et ceux qui ne s’entendront pas on les abattra. C’est une politique. C’est une conception de l’histoire, pourquoi pas après tout, mais il faut le savoir».


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