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C’è un doppio Bergoglio? (parte I)
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PRIMA PARTE
Attaccare persone senza nominarle è un tipico espediente dei dittatori. Lo usò Robespierre, come mezzo di seminare il terrore nell’assemblea. Stalin soprattutto ne fece grande uso. Un articolo non firmato sulla Pravda accusava senza nominarli «deviazionisti di destra» (o «di sinistra», non importa) come nemici del Proletariato, e sabotatori delle sue Conquiste, e il giorno dopo una folla di caudatari si incaricava, per zelo, arrivismo e paura di essere confusi coi reprobi, ad accusarli con nomi, cognomi e circostanze aggravanti. Qualche ora dopo, nel cuore della notte, la Ghepeù bussava a quelle porte, e i nominati erano portati via, sparendo per sempre.

L’altra mattina ho sentito padre Livio che dalla sua radio attaccava con zelo feroce «gli arroganti», quelli che «sono loro il Papa», e ho capito che parlava di Palmaro e Gnocchi, due degni cristiani che fino al giorno prima aveva fatto collaborare a Radio Maria, e di cui conosce bene in prima persona la fede e la serietà, per non dire la santità di vita. Il fatto è Livio, come i caudatari di Stalin, voleva mostrare eccedendo in zelo (1) il suo accordo che Papa Francesco, che quel mattino stesso, ha attaccato i suoi critici – come al solito nell’omelia della Messa – ovviamente senza nominarli, ma elevando gravi accuse. Sono cristiani che «cadono nell’atteggiamento di chiave in tasca e porta chiusa», che cioè vogliono una chiesa per pochi, anzi solo per loro, e ne tengono lontani i lontani. Sono «rigidi moralisti eticisti ma senza bontà», hanno una fede «diventata ideologia, e l’ideologia spaventa, caccia via la gente». Ciò perché costoro «non pregano», «gente sporcata dalla superbia»... Padre Livio ha rincarato le accuse con il prevedibile zelo. C’è molto di ideologico, in questa servile spietatezza che a servizio del potente, scalcia il debole innocuo e innocente. Ma passiamo oltre.

Il timore di una Chiesa «chiusa e chiavi in tasca», legata alle sue liturgie, tradizioni e lingue morte come un prezioso fossile, ma senza più capacità espansiva e missionaria – come la chiesa copta, o quella del Malabar, diciamo – è la preoccupazione palese dei novatori e ossessionò i più «avanzati» padri conciliari e loro teologi ed esperti, desiderosi della più ampie aperture al mondo, modernizzazioni, «aggiornamento». Nella misura in cui è in buona fede, è un’ansia che merita considerazione. Papa Bergoglio ha detto e ripetuto chiaro che questa è anche la sua divorante passione. È evidente che fa parte di quella maggioranza prelatizia, per la quale il rigore liturgico e la lingua latina e duemila anni di tradizione accumulata sono scorie culturali che impediscono di «incontrare l’uomo d’oggi». Quella schiera che, come ha scritto Palmaro, coltiva « l’idea di un’alternativa insanabile fra rigore dottrinale e misericordia: se c’è uno, non può esservi l’altra».

Il peggio è che a quanto sembra, per Bergoglio anche la dogmatica tutta quanta, la filosofia tomista, il diritto canonico, l’organizzazione vaticana («lebbra del papato»), sono scorie culturali di un passato morto da abbandonare, sedimenti ideologici superati che nascondono l’essenza di Cristo (amore, accoglienza mitezza e tenerezza), che positivamente sono d’ostacolo a raggiungere le anime. Sicché tutto ciò va distrutto per far rilucere l’Evangelo nella sua purezza, l’amore del prossimo. «Così cambierò la Chiesa», come ha annunciato a Scalfari.

È una cantonata storica, dato che proprio lo smantellamento e l’«aggiornamento» hanno coinciso con una immane discessio dalla Chiesa, non più silenzioso rifugio a-temporale per anime che cercano l’essenziale, ma porto di mare aperto a tutti i venti della «attualità» privata di sacro; una Chiesa che vive «schiacciata nel presente» proprio come i giovani d’oggi di cui papa Francesco si preoccupa. E non credo occorra provarlo, basta indicare la sterilità artistica e la perdita dell’arte sacra, la bruttezza imperante in tutto, la mancanza di buoni preti con vita interiore (e di preti tout court), la banalità di certa «carità» cattolica attenta ai sofferenti che appaiono sui tg... E stupisce che un gesuita (una volta non erano dotti?) non ne colga il carattere ideologico, almeno pari a quell’ideologia di cui accusa i «tradizionalisti». Ma questo è ciò che il Papa crede, e se ne deve prendere atto; e credere che nella sua volontà di smantellare demolire, ci sia la buona intenzione. E si deve ammettere certe critiche «tradizionaliste» paiono fatte apposta per confermarlo nell’idea che quelli vogliono una chiesa chiusa e con la chiave in tasca, in quanto eccepiscono cose formali e marginali: la croce pettorale di ferro anziché d’oro, il «buonasera» della prima volta al balcone, «vescovo di Roma» invece che Papa, e così via.

Sono accuse e critiche che personalmente non ho condiviso, sono pre-giudizi da cui mi sono distanziato in qualche articolo, per quel che vale. Bisogna accettare il fatto che ci sono cose che un Papa è libero di fare come persona privata, e che è legittimato a fare come autorità e per le quali gli dobbiamo obbedienza, ci piaccia o no. Giovanni Paolo II ha voluto inserire nel Rosario i misteri «della luce», e noi fedeli li meditiamo ogni giovedì, anche si di questa innovazione non sentivamo il bisogno.

Personalmente, e contro alcuni lettori, di Francesco ho approvato la sua richiesta di benedizione al popolo, la prima sera. La sua indizione del giorno di digiuno per chiedere a Dio di sventare la guerra in Siria, mi è parsa grande. Trovo logico il suo abitare nell’albergo, dove prende il caffè al distributore a gettone come tutti e può scambiare idee con visitatori a pranzo, rifiutando recisamente di abitare da prigioniero nei Sacri Palazzi: palazzi dove il Papa è isolato dentro un nido di vipere e di corvi, di carrieristi e cosche omosessuali, che gli nascondono la realtà e – come hanno provato le tristi vicende attorno a Benedetto XVI – gli rubano pure documenti dalla scrivania per darli ai giornalisti. Data questa situazione, anche il suo disprezzo della Curia è molto giustificato; troppi vizi e corruzione, troppa sete di denaro, e troppi pavoneggiamenti in porpora; ora che deve andare a trovare il papa in albergo e non l’ha più al suo centro, la Curia si accorge di non contare più tanto quanto credeva, e speriamo che torni a capirsi come ausiliare, non burocrazia auto-sufficiente. Anche l’abbandono delle pompe monarchiche, retaggio di epoche finite quando il Papa era il capo dello Stato più ricco e potente d’Europa, mi pare ragionevole. La consacrazione del mondo al Cuore Immacolato, davanti alla Vergine di Fatima, è un grande atto in consonanza con la fede popolare, la fede di sempre. Pochi giorni fa, nell’omelia, ho sentito papa Francesco affermare l’esistenza del demonio e della sua capacità di prendere possessione degli esseri umani: con l’argomento che questa non è una credenza «antiquata» ma una verità affermata nel Vangelo da Gesù stesso. In molte omelie, Francesco appare un prete tradizionale.

È come se ci fossero due Franceschi. Perché poi c’è quello che alza il telefono e parla con qualcuno che gli ha scritto, lo consola e l’incoraggia, gli dice buone parole – e poi si affretta a mandare alle agenzie di stampa il resoconto completo di questa piccola opera di paterno apostolato, che guadagnerebbe a restare riservata. Quello che manda 200 euro ad una povera pensionata a cui hanno rubato la borsetta, e subito fa partire il comunicato-stampa. Una abitudine o ricerca del favore e clamore mediatico che risulta, ahimè, troppo astuta e indiscreta per testimoniare una vera carità.

Peggio, c’è l’altro Francesco che prima scrive, poi chiama personalmente Eugenio Scalfari e si fa da lui intervistare, apparendo per ben due volte su Repubblica – «I due «passano il tempo a farsi reciproche scappellate», dice un lettore, «narcisisti e boriosi, sono due personaggi fatti per andare d’accordo». Mi astengo dall’ultimo giudizio, ma posso esprimere al papa il mio sgomento filiale? È stato come scoprire il proprio padre in cattive compagnie all’osteria, o peggio, il proprio parroco filarsela in una casa d’appuntamenti. Conosco già il motivo: «Assisto spiritualmente quelle sciagurate», ma comunque gli dico: bada a te, e «abbi rispetto di te stesso». D’accordo, il papa che vuol fare della Chiesa «un ospedale da campo dopo una battaglia», dove non ti chiedono se hai abortito, divorziato o sei omosessuale; ma è stato saggio come primo atto di detto ospedale, andare a cena col capo del partito della «sinistra borghese» illuminatissima e soddisfattissima di sé? E trovarsi sempre d’accordo con lui? E conversare amabilmente col Ricco Epulone, dicendogli che non cerca affatto di convertirlo, anzi che ha ragione a vivere come vive?

Perché questo è Scalfari: il Ricco Epulone (un miliardario che ha «avuto successo nella vita» e adesso si diletta di temi ‘spirituali’) e, insieme il Fariseo di Luca 18: quello che ringrazia Dio «perché non sono come questo pubblicano»: pago le tasse io, adempio agli obblighi sociali in modo esemplare, sono un potente e allo stesso tempo sono un’autorità morale al contrario di Berlusconi, le mie battaglie sono sempre giuste...

E che cosa dice il papa a questo ricco fariseo? Gli dice una cosa che è un gravissimo errore per un cristiano, nel senso che danneggia l’anima dell’interlocutore. Dice: «Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire».

Scalfari non crede alle proprie orecchie. E nella successiva intervista, domanda:

Santità, esiste una visione del Bene unica?
«Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene».

Lei, Santità, l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa.

«E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo».


E lo ripete pure, Padre santo. Che dolore provo per lei.

Lei afferma di fronte al Fariseo, che per salvarsi gli «basta che segua la sua coscienza»: ma al Fariseo, sia quello della parabola, sia Eugenio Scalfari, la coscienza non ha mai rimproverato nulla. Ciascuno «deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce»: ebbene, è esattamente quello che ha fatto Stalin. Quando dava ordini di fare «le purghe» in cui scomparvero milioni di persone, quando affamò gli ucraini fino a farne morire di fame altri milioni, egli seguiva rigorosamente la sua coscienza. Hitler ha seguito con pari rigore – e coraggio persino – la propria idea del bene: perché adesso lo si giudica male, al punto da negare il funerale ad un suo antichissimo sottoposto? In base a cosa si giudica male uno e bene Scalfari o, poniamo, il suo socio e padrone De Benedetti, miliardario fattosi svizzero per evadere le tasse? La sua incautissima frase, Padre, porta a questo: al soggettivismo assoluto e di conseguenza al relativismo. Per esempio: si dà un giudizio negativo su Hitler e positivo su Stalin in base ai propri gusti; aderire al partito di Berlusconi o De Benedetti dipende dalle proprie preferenze ideologiche.

Abbiamo capito che lei preferisce il partito di Repubblica, ma questo non è più cristianesimo. Lei dice e ripete: finché ci sono io, «la Chiesa non farà politica». Ma lei ha fatto politica eccome! L’ha fatto scegliendo come interlocutore preferito Scalfari e la sua Repubblica – che sono un preciso partito. Perché non, poniamo, il Corriere o La Stampa, o Libero? Possibile che un gesuita sia così ingenuo? (Non ci sono gesuiti ingenui). E poi le sue cordiali chiacchierate col Ricco Epulone fariseo, dove sostiene la libertà assoluta di ogni coscienza, pone una luce inquietante su certe sue battute. Per esempio quando ha detto: «Chi sono io per giudicare un omosessuale?»: è carità o è il rispetto per il soggettivismo dell’individuo?

Ah, Padre santo! Affermare (due volte) il primato assoluto della coscienza individuale avulsa da ogni considerazione di verità, non è solo il contrario del dettame cristiano («Non sia fatta la mia, ma la Tua volontà»). È un errore psicologico ed antropologico: non sa come è elastica oggi la «coscienza» degli uomini? Specie dei non credenti di successo, a cui è andata bene? La «coscienza» è come stucco e plastilina, se la conformano come gli pare, e si giustificano sempre. Scalfari ha scritto addirittura un libretto il cui titolo già dice tutto: «Incontro con Io» (Rizzoli 1994), dove è chiaro che per Scalfari, il suo Io (maiuscolo) è suo dio (minuscolo), e che lo adora ogni minuto.

Certo voleva affermare la libertà della coscienza, certo con buone intenzioni. Riprendo la sua frase: «Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene». Anzi, aggiunge lei, se c’è «peccato», è «andare contro la propria coscienza», contro ciò che uno «percepisce come bene e male». Ottimo, dico io: ma questo principio vale per tutti, o solo per gli atei? L’obbligo di obbedire a ciò che la propria coscienza ritiene bene vale anche per i suoi critici? Per Palmaro e Gnocchi? Costoro hanno ritenuto loro dovere cristiano protestare contro certe sue asserzioni. Essendo credenti, mica l’hanno fatto alla leggera. Perché lei non è cordiale con loro com’è stato per Scalfari? Come mai invece di precipitarsi a telefonare loro, li accusa (senza farne i nomi e senza conoscerli) di voler tener chiusa la chiesa e portarsi via la chiave, di essere gente che non prega, farisei e superbi?

Per come li conosco, pagano di persona. Palmaro, padre di quattro figli da mantenere, temo, perderà il posto insegnante in una accademia pontificia per dire quello che le ha detto. Lui e Gnocchi sono stati cacciati via dai suoi caudatari di Radio Maria, dove hanno lavorato per decenni. Per di più, la figlia di uno di loro è stata aggredita «verbalmente con violenza» all’uscita della scuola per quanto ha scritto suo padre di critica a Lei, dal papà di un’altra studentessa; e l’aggressore non solo è un cattolicone, è un Roncalli, pronipote di papa Giovanni, il «Papa-Buono» per antonomasia. (Orgoglioso lamento cattolico)

Cose incredibili; ma chiarissime prove che il «buonismo» di certi cattolici è una maschera alquanto untuosa; e che la loro «misericordia, bontà e apertura al mondo» non si astiene dalla ferocia dei vili, che sono i più, ben felici di scalciare uno caduto in disgrazia, specie se migliore di loro, specie se autorizzati dall’alto...è la vecchia storia del capro espiatorio, che unisce la società contro di lui, la vittima spregiata, bersaglio di tutte le rabbie e le invidie represse. Richiami questi suoi cani da guardia, Santità. Li avverta che, con la sua asserzione a Scalfari, il Papa ha decretato la libertà di coscienza per tutti. O no?

Dica loro che stanno disobbedendo a Lei e al suo messaggio fresco enunciato a Scalfari, quando epurano, ostracizzano e cacciano queste persone (insultandone anche i figli) per le loro opinioni. Riprendo ancora una volta la sua frase: «Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene». La mandi a padre Livio Fanzaga sottolineata, la mandi al nipote del cosiddetto Papa Buono: la libertà d’opinione è sacra. Hanno mancato di rispetto al Papa? Ma loro sono convinti che è monsignor Bergoglio a mancare di rispetto al papa – alla sua funzione e dignità – con le sue chiacchierate a ruota libera, che fa come persona privata, e ben diffuse dai media subito dopo.

Ma mettiamo che Palmaro e Gnocchi sbaglino (cosa che in base alla sua enunciazione, non si può asserire mai: «Chi sono io per..?» eccetera). Lei fa della Chiesa un ospedale da campo; lei esprime continua comprensione per gli omosessuali, le donne abortenti eccetera. Lei ha detto: «Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile». Non ci sarebbe misericordia e «accoglienza» anche per questi erranti, sicuramente feriti (più di quanto immagina) da mezzo secolo di orrori liturgici, abusi martiniani (applauditissimi), e chitarrine alla presenza del Cristo Eucaristico?

E invece Ella usa due pesi e due misure (com’è logica conseguenza del relativismo): massima «comprensione» per i peccatori progressisti, brutale repressione per quelli conservatori. È esattamente la stessa cosa che faceva il cardinal Carlo Maria Martini-Cavour (era della famiglia): tutto comprensione, benevolenza e umiltà verso i radical-chic (per questo lo adoravano: non poneva loro alcuna esigenza) e gli atei da cui diceva di aver solo da imparare (perciò fondò la «cattedra dei non credenti»), aperto ad ogni rottura (dalle coppie gay alle donne-prete), dialogante e tollerante, tutto accuse al vecchio autoritarismo della Chiesa... e sottoponeva a processi canonici i laici con le cui idee non andava d’accordo. Processi canonici segreti, come ai tempi dell’Inquisizione spagnola: egli lo intentò ai giornalisti de Il Sabato, settimanale cattolico vicino a CL, nel 1988 (2). Quando gli faceva comodo, gettava il progressismo e la tolleranza che sfoggiava nei salotti di Repubblica, e faceva pesare l’autorità di principe della Chiesa (che contestava e derideva nel Papa), usando tutti i vecchi arnesi della repressione controriformista, ma di nascosto. Due pesi e due misure: lungi dal produrre tolleranza per tutte le idee, il relativismo si manifesta come intolleranza di parte.

E questo mi porterebbe ad affrontare la spiccia brutalità con cui papa Francesco – mentre incitava Scalfari a «procedere a quello che lui pensa il Bene» in piena libertà di coscienza – ha trattato i Francescani dell’Immacolata, destituendone il fondatore senza mai ascoltarlo e vietando ai membri la celebrazione della Messa in latino consentita da Benedetto XVI, senza spiegazione alcuna. Qui, niente libertà di coscienza; qui, solo mano pesante verso un gregge che si sa docile, perché tenuto all’obbedienza. Ma poiché questo articolo è già troppo lungo, ne parlerò la prossima puntata.

(1- Continua)




1) In seguito padre Livio ha riferito di «voci interne» al Vaticano, le quali hanno voluto precisare che il Papa non aveva rivisto il testo dell’intervista che Scalfari gli aveva fatto; e che lo stesso Scalfari non aveva preso appunti durante la conversazione, «non aveva registratore», e dunque ha ricostruito la conversazione ad sensum. Tanto più, ha detto padre Livio, che «ha 89 anni e a quell’età di è un po’ sordi». Forse è una marcia indietro piccolissima? Speriamo.
2) Cito qui Antonio Socci. «Il cardinal Martini ¬ benché noto come progressista, dialogante e tollerante ¬ è il vescovo, l’unico che io sappia dagli anni del Concilio, che ha sottoposto all’ Inquisizione (chiamato oggi Tribunale ecclesiastico di Milano) alcune persone, oltretutto laici, per un’opinione, una semplice opinione oltretutto non di dottrina, ma di natura storica e culturale (dove la disciplina ecclesiastica non vale). Accadde nel 1988 e io fui uno dei tre giornalisti del settimanale cattolico «Il Sabato» ad essere convocato in Curia e interrogato dal rappresentante del Tribunale ecclesiastico, monsignor Coccopalmerio. Quale fu il nostro «crimine» ? Un’analisi storica. In una lunga inchiesta sulla crisi della Chiesa, constatammo ¬ con una documentata analisi (elogiata fra gli altri da Augusto Del Noce) - la «corrosione protestante del cattolicesimo politico, ancor più esplicita fra i cattolici intellettuali».
Un gruppetto di intellettuali cattoprogressisti presentò un esposto all’arcivescovo di Milano perché, con tale analisi, a loro dire, avremmo leso la «buona fama» di Giuseppe Lazzati, che era uno dei tanti intellettuali menzionati e che mai ci eravamo sognati di attaccare sul piano personale. Il cardinale avrebbe potuto archiviare l’esposto, trattandosi di una normale e libera discussione storico-culturale. Invece attivò il procedimento finché «Il Sabato», essendo un settimanale cattolico legato a Comunione e liberazione, non dovette chinare la testa e fare una specie di abiura per «disciplina ecclesiastica». Un piccolo «caso Galileo» che esplose sui media grazie al Giornale di Montanelli che sparò tutto in prima pagina con questo titolo: «A Milano è tornata l’Inquisizione. Al rogo il settimanale Il Sabato?». Il cardinale Martini fu molto seccato perché la cosa era diventata pubblica associando il suo nome all’Inquisizione delle idee. Il caso fu emblematico perché rese evidente che nella Chiesa postconciliare i teologi potevano mettere in discussione tutti i dogmi della fede, dalla Trinità a Maria, passando per i Vangeli, ma guai a mettere in discussione lorsignori «intellettuali cattolici» o più in generale l’establishment cattolico. L’Immacolata Concezione e la Resurrezione di Cristo si potevano discutere, ma Scoppola, Dossetti, Lazzati, Alberigo (con i Prodi e i De Mita), quelli no.



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