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Mafia ebraica a Kiev, e loro animali parlanti
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Sarà senz’altro una coincidenza. Ma mentre in Ucraina (ri)scoppia la rivoluzione colorata-bis, vale la pena di ricordare che anche Kiev ha il suo Khodorkovski: ebreo, miliardario, malavitoso in patria e con forti legami d’affari a precisi ambienti di Londra.

Quello ucraino si chiama Victor Mihaloic Pinchuk. Nato nel 1960 a Kiev, da genitori entrambi ingegneri e, sotto il comunismo, dirigenti nella città industriale di Dnepropetrovsk. Gestivano gli impianti siderurgici, erano membri potenti del Partito. Il loro figlioletto ha seguito le orme di papà e mamma laureandosi in ingegneria metallurgica. Per lui era garantito un posto privilegiato nell’ordine sovietico, se fosse durato.

Quando l’URSS collassa, il giovane Pinchuk si trova nella posizione giusta per profittarne, ed è lesto a cogliere l’occasione dei tempi nuovi. Nel 1990 fonda una ditta privata, Interpipe, che produce condutture e tubature: settore ausiliario del petrolifero, l’ideale per saccheggiare ricchezze industriali ed energetiche in vendita nella prima privatizzazione «suggerita» dai consulenti della Chicago School of Economics. Pinchuk mette insieme un piccolo impero metallurgico; si associa alla bionda Yulia Timoshenko (J), che a quel tempo è solo la protetta del governatore e tiranno della provincia di Dnepropetrovsk, Pavlo Lazarenko; un personaggio che ascenderà alla posizione di miliardario e contemporaneamente di Primo Ministro del Paese nel 1997, per poi essere processato in USA — dove aveva acquistato, in California, una villona da 60 milioni di dollari per riciclaggio di centinaia di milioni di dollari del popolo ucraino, a quanto pare definitivamente spariti.

Yulia Timoshenko
  Yulia Timoshenko
Sotto quella «protezione», a metà anni ’90, Pinchuk e la Timoshenko diventano soci: fondano la società Commonwealth, che importa gas naturale dall’Asia centrale. Anni d’oro. Nel 2004, la Interpipe di Pinchuk è la prima azienda ucraina ad iscriversi al World Economic Forum di Davos, pagando la costosa tariffa, ma avendo il privilegio di confricarsi coi potenti della finanza occidentale. La relazione con la Timoshenko non dura. Quando lei va al Governo, per la prima volta, nel 2005, Pinchuk, insieme ad un oligarca considerato il secondo uomo più ricco del Paese, Rinat Akhmetov (un tataro) si aggiudicano per 800 milioni di dollari la gigantesca (57 mila operai) acciaieria Kryvorizhstal, che veniva giusto giusto «privatizzata». Ma Victor Yushenko, il nuovo presidente dell’Ucraina, che nel frattempo ha cacciato dalla poltrona la Timoshenko, contesta quell’asta davanti ai tribunali. Risultato: la mega-acciaieria viene venduta alla Arcelor Mittal per il prezzo di 4,8 miliardi di dollari, il suo vero valore.

Solo un piccolo intoppo per Pinchuk, che ne frattempo si è fatto votare al parlamento ucraino, e pochi mesi dopo (nel 2006) fonda la EastOne – sede, a Londra – una finanziaria con portafoglio specializzato (metalli, siderurgia, tubi e materiale ferroviario) e alcuni media, quattro catene televisive e Fakty i Kommentarii, giornale scandalistico, in lingua russa, con oltre un milione di copie vendute. Come Khodorkovski, anche Pinchuk usa i media di sua proprietà come strumenti per le sue ambizioni politiche, che non nasconde.

Nel 2004 ha creato una «organizzazione internazionale indipendente», la Yalta European Strategy (YES), di fatto la lobby che preme per l’adesione del Paese all’Unione Europea. La YES tiene fastosi «forum» annuali, a cui sono accorsi Bill Clinton e sua moglie Hillary Clinton (Pinchuk contribuisce riccamente alla loro Fondazione), Tony Blair (altra Fondazione lucupletata da Pinchuk), Condoleezza Rice, Paul Krugman, Shimon Peres, Dominique Strauss-Kahn… Pinchuk ha anche sposato – cosa che ha molto aiutato i suoi affari – la figlia del presidente ucraino dal 1994 al 2005, Leonid Kuchma: Elena.

Elena Pinchuk
  Elena Pinchuk
Questa Elena Pinchuk è anche conosciuta come Elena Franchuk: cognome derivato da un primo matrimonio con cui madame preferisce farsi chiamare da quando è diventata una «donna d’affari e filantropa» di grande spolvero a Londra: comprata a Kensington la residenza per 80 milioni di sterline (a suo tempo, la magione venduta a più caro prezzo nel mondo), la Franchuk-Pinchuk vi invita amici come (sir) Elton John, Miuccia Prada, e Steven Spielberg. Con quest’ultimo, propagandista della religione olocaustica, la famiglia Pinchuk ha finanziato un documentario sulla shoah in Ucraina – onde il popolo ucraino, che aveva subito l’holodmor, diventi cosciente delle sue colpe nello sterminio degli ebrei; copie del documentario Spielberg sono distribuite gratis in tutte le scuole ucraine.

«Volontari» umanitari pagati da Pinchuk percorrono il Paese per scoprire e riaprire fosse comuni in cui (dicono loro) non ci sono i poveri resti dei milioni di kulaki trucidati o morti di fame, bensì degli innocentissimi ebrei uccisi dai nazisti. Uno di questi è un prete cattolico francese, padre Dubois, che ha fondato allo scopo un’organizzazione (Holocaust by Bullets), pagato da Pinchuk.

La signora Franchuk e suo marito Pinchuk, a Londra, passano per generosi mecenati di artisti. Quale tipo di «arte» finanziano e promuovono? Ve lo diciamo subito: forse vi chiederete chi ha avuto lo stomaco di comprare il vitello sotto formalina e con un disco d’oro massiccio fra le corna, opera dell’ebreo britannico Damien Hirst, e da lui intitolata «Il Vitello d’Oro». Ebbene: felice proprietaria ne è la signora Franchuk, che l’ha pagata con i soldi messi da parte da lei e dal marito Pinchuk. Per le cronache, 10,3 milioni di sterline. Del resto, chi mai poteva ardere dal voler possedere il Vitello d’Oro? Inutile dire che i Pinchuk annoverano lo squartatore Hirst fra i loro più intimi amici.





L’abile coppia – lui, Pinchuk, è accreditato da Forbes di un patrimonio di 3,8 miliardi di dollari (tutta roba della gente ucraina, non va dimenticato) – è sopravvissuta persino alle fortune cadenti del papà e suocero Kuchma: costui, da vecchio nomenklaturista sovietico folgorato dalla verità della teoria di Adam Smith e diventato sincerissimo fautore del «libero mercato» – in tempo per gestire le privatizzazioni raccomandate dall’Occidente e «fare le riforme» liberiste dall’alto della poltrona (restando però amico di Putin) – è stato poi travolto dalla rivoluzione arancione: era accusato non senza ragione di aver fatto sparire alcuni giornalisti a lui ostili, fra cui un certo Georgi Gongaze, il cui corpo fu trovato mesi dopo in una foresta: parzialmente dissolto da immersione in acido, a quanto pare, quando era ancora vivo. (The Franchuk Revolution)

Una scintilla che ha innescato le prime manifestazioni di piazza della rivoluzione arancio. Kuchma è caduto. Non così il genero Pinchuk, che è stato lesto (lo è sempre) a sostenere il successore di Kuchma, Victor Yanukovich: quello che oggi, però, avendo rifiutato l’accordo con la UE, rischia di esser travolto dalla protesta popolare della seconda rivoluzione arancione.

All’inizio delle manifestazioni, il Pinchuk non si è pronunciato personalmente – c’è un limite alle acrobazie politiche, anche per lui, il virtuoso del doppio salto mortale con la rete che sta diventando vecchio – ma le sue catene televisive hanno coperto in modo molto favorevole le manifestazioni. Poi, persino il deposto Kuchma , suo suocero, ha firmato una lettera di «alte personalità» a favore del sostegno ai manifestanti; e allora Pinchuk s’è schierato decisamente con la piazza, ridiventando fieramente pro-europeista e fornendo bevande calde agli attendati di piazza Maidan.

Date le ottime e potenti relazioni occidentali di Pinchuk (fra l’altro ha entrature nel Financial Times ed è membro e finanziatore del Brookings Institute, il think tank americano sionista e progressista) – si dovrebbe concludere che i manifestanti di piazza Maidn, così sostenuti dalla mafia ebraica, l’avranno sicuramente vinta: e porteranno l’Ucraina, come vogliono a loro danno, nelle fauci dell’eurocrazia, infliggendo una sconfitta storica alla strategia di Putin – ed ottenendo di essere governati dalla solita cricca, magari con qualche minima variante. Ma le cose sono più complicate di così: la mafia ucraino-ebraica è spaccata da rivalità d’affari che sono anche politiche, Pinchuk è in conflitto con Gennady Bogoliubov e Igor Kolomoisky, due altri oligarchi giudei (il secondo è il terzo uomo più ricco del Paese): Pinchuk li ha trascinati in giudizio come ex-soci che hanno fatto sparire 143 milioni davanti a un tribunale di Londra. Dove tutti e tre sono residenti.

È strano che questi mecenati e filantropi, invariabilmente coprano d’oro avvocati, immobiliaristi, «artisti» londinesi o americani, ma mai – e poi mai – diano un po’ di denaro per il popolo ucraino bisognoso. Nessuna solidarietà sociale né umana con il popolo da cui hanno tratto – rubato – le loro immense ricchezze. Non hanno bisogno di aiutare quegli animali parlanti, che a piazza Maidan lavorano per loro.

Tra questi lavoranti – pardon, manifestanti pro-europeisti – stanno spiccando gruppi di estrema destra, ultra-nazionalisti: non solo forti partiti come «Svoboda» che apertamente inneggia ai tempi e alle personalità (Bandera) che collaborarono col Terzo Reich in funzione anti-sovietica, ma gruppuscoli ancora più estremi. Questi forniscono la forza d’urto dei manifestanti violenti, che la polizia ucraina respinge con adeguata energia, e che le tv occidentali sono pronte a bollare di brutalità. Washington ha persino minacciato il cattivo Yanukovich di sanzioni economiche (più sanzioni per tutti!), se la sua polizia non smette di pestare i dimostranti che «lottano per la democrazia», il mercato e l’Europa.

Neo-fascisti per la UE, può parere strano. Ancor più strano quando si scopre che con questi gruppuscoli bruni (o talora rosso-bruni, nazional-comunisti) sbandieratori di croci uncinate, hanno stretti rapporti – indovinate? – con le FEMEN. Quelle che da noi fanno le loro sceneggiate a seno nudo nelle battaglie della «sinistra» trasgressiva, in Ucraina sono vicine a tali gruppuscoli, apertamente razzisti e xenofobi. Se avete voglia, leggete l’inchiesta relativa qui.

Come mai?

L’inchiesta di cui sopra ci ricorda che una delle fondatrici delle FEMEN, Anna Hutsol, è stata negli Stati Uniti a fare un corso di formazione su invito dell’Open World Leadership Institute , un organismo finanziato dal Congresso USA e un tantino da Soros, che ha preparato «quaranta leader politici, dei media e della società civile ucraina» a fare del loro paese una democrazia occidentale. Da quel momento, il movimento FEMEN viaggia nel mondo con le spese pagate. In patria, Ucraina, il suo programma consiste (come si legge nei loro stampati) nel «costruire un’immagine nazionale della femminilità, della maternità e della bellezza basata sull’esperienza del movimento delle donne euro-atlantiche». Insomma, la NATO vi fa belle...

Le cose sono complicate, in Ucraina.




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