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Da filosovietici a neocon: come mai?
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«Gentile dottor Blondet,

seguendo da tempo i Suoi scritti con vivo interesse, mi è sorta l’esigenza di formularLe una domanda che prende spunto da alcune allusioni che di tanto in tanto ho rintracciato tra le righe dei Suoi interventi. Si tratta del rapporto che storicamente legherebbe la massoneria e l’ebraismo, entità con forti radici e con scopi immanenti e strategici, con la nascita dell’ideologia marxista (e, più in generale, del movimento socialista ed operaio), che, nella logica delle suddette entità, avrebbero assolto a dei compiti puramente tattici, oggi in gran parte venuti meno.

In buona sostanza, mi pare di avere spesso colto, dalle Sue riflessioni, che le élites dell’ebraismo e della massoneria avrebbero ad un certo punto della loro storia deciso, all’incirca a metà dell’ottocento, di ‘lanciare’ l’ideologia marxista, facendola diffondere tra le masse ‘proletarie’ dell’Occidente e che addirittura la rivoluzione bolscevica del 1917 avrebbe ricevuto l’avallo di ben individuabili poteri forti finanziari (su quest’ultima vicenda per la verità ho trovato diversi riscontri da varie fonti, come il testo ‘Wall Street and the bolscevich revolution’).

La mia domanda è: perchè, ad un certo punto (alla fine del XX° secolo) le stesse elites che avevano favorito la nascita e la diffusione del marxismo avrebbero deciso di decretarne la fine, diffondendo nel pensiero unico dominante il mantra della cosiddetta ‘fine delle ideologie’?

Ho trovato significativo, a questo proposito, seguire il percorso di tanti ‘intellettuali’ oggi molto visibili sui piccoli e grandi schermi, come Cacciari, Mieli, Lerner, i quali sono tutti stranamente transitati dall’estremismo di sinistra (Potere operaio e Lotta continua, dove militavano negli anni ‘70) a svolgere ruoli oggi apparentemente ben diversi dal passato.

Le sarei grato se mi aiutasse a comprendere la logica di fondo che muove tale fenomeno e, se Le è possibile, ad indicarmi qualche riferimento bibliografico.

Con stima e gratitudine.

Avvocato Giuseppe A. Monopoli (Bari)»


Grande e complesso tema, su cui il lettore potrà ricavare più di uno spunto dalla lettura del mio Tutti i Complotti. Molto schematicamente:

Anche se è difficile provare documentalmente la cosa, è ovvio che la massoneria si ispira all’ebraismo nei simboli (cabbalistici), nei rituali, incentrati sulla ricostruzione del Tempio di Salomone, e soprattutto nelle finalità: l’instaurazione di un regno di felicità tutta terrena, di uguaglianza e fratellanza universale. Non si sottolinea mai abbastanza che la religione ebraica non ha di mira la salvezza nell’aldilà, ma l’instaurazione di un regno messianico concreto, nell’aldiqua, qui ed ora; un regno reale, con capitale Gerusalemme (1). Un crudo materialismo religioso (se le pare una la contraddizione in termini, non dia la colpa a me) che nella massoneria si esprime come naturalismo e razionalismo, e che sono evidentemente le radici culturali del materialismo dialettico e scientifico marxista.

La funzione storica della massoneria è stata preliminare all’instaurazione del governo mondiale messianico: la distruzione della alleanza di trono ed altare, ossia degli imperi il cui potere politico aveva un crisma o una benedizione religiosa: il cattolico impero absburgico, l’ortodosso impero dello Zar, e l’impero ottomano, il cui sultano era il protettore di tutti i musulmani. Poichè questi imperi erano multinazionali, lo strumento usato per la loro distruzione fu la creazione e propagazione di quello stato d’animo collettivo chiamato nazionalismo, l’idea che ogni nazione deve avere un suo Stato, o meglio, che ogni Stato deve avere la sua base naturalistica nella unità di sangue, di lingua e di suol.

Naturalmente i nazionalismi e i suoi promotori (si pensi a Mazzini, Garibaldi, Cavour) sono una fase transitoria verso l’impero mondiale; servono solo a instaurare forme di potere statuale naturalistiche (ossia basate sul biologico) totalmente secolarizzate, ossia sganciate da obblighi verso Dio (2). Si veda come la stessa ispirazione massonica oggi proclami e promuova l’Unione Europea come superamento degli stati nazionali.

Jacob Schiff
  Jacob Schiff
Quanto all’influsso dell’ebraismo nel socialismo reale leninista, vedo che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni. Sì, i banchieri ebraici americani, in primo luogo Jacob Schiff e la Kuhn Loeb, finanziarono Lev Trotski (vero nome Bronstein), che è il vero autore dell’instaurazione del potere marxista nella Russia finalmente liberata dal padre e protettore di tutti gli ortodossi, lo Zar. E sì, l’ultima fatica di Alexander Solgenitsyn, Due secoli insieme, ha provato in modo definitivo che il bolscevismo fu un movimento a immensa maggioranza ebraico, e che l’apparato di potere sovietico fu ebraico ad ogni livello, dai più alti (il Politburo) ad ogni grado della nomenklatura.

500mila ebrei (su tre milioni) s’erano arruolati nell’apparato repressivo oggi noto come KGB; ebrei gestivano in qualità di dirigenti il sistema carcerario GuLag; la Ceka, che sterminò per fame milioni di ucraini, era composta al 70% di ebrei e guidata da Lazar Kaganovich, il numero 2 del regime dopo Stalin (e contrariamente a lui, morto nel suo letto e mai accusato di alcun crimine).

In pratica, non c’era famiglia ebraica in Russia che non avesse un familiare o un parente nella Polizia, nella burocrazia, nell’apparato di repressione e tortura: il che allora era un’assicurazione sulla vita, e il solo modo di vivere e mangiare bene, anzi benissimo, nella carestia e nelle coabitazioni forzate provocate dal regime, col suo sogno di instaurare il comunismo, ossia la fine i tutti gli Stati e la nascita dell’Uomo Nuovo senza Dio nè padroni. Sogno messianico, come è stato detto da molti storici.

Questa introduzione è quella che ci consente di arrivare alla domanda del lettore:

Perchè , ad un certo punto (alla fine del XX° secolo) le stesse élites che avevano favorito la nascita e la diffusione del marxismo avrebbero deciso di decretarne la fine?.

La prima, schematica risposta ha da essere: perchè quelle stesse élites si sono via via disamorate dell’utopia comunista, e si sono via via riavvicinate all’utopia del messianismo ebraico in senso stretto. Non più la pretesa liberazione (a forza di stragi) di tutti gli uomini all’insegna dell’uguaglianza naturalistica, ma la supremazia del popolo eletto su tutta l’umanità, con centro a Gerusalemme cone Tribunale supremo dell’Umanità.

Diciamo che una moda ideologica ha lasciato il passo a un’altra moda ideologica (l’ebraismo è esso stesso soggetto agli stati d’animo collettivi che sa creare magistralmente).

Più precisamente: non deve sfuggire la profonda omogeneità fra i primi fondatori dello Stato d’Israele e la dirigenza sovietica. Il movimento russo socialista-rivoluzionario si spaccò in bolscevichi e menscevichi, che condividevano gli stessi obbiettivi, anche se differivano sulla tattica. I capi menscevichi, nel 1917 sconfitti e messi da parte (o soggetti a purghe), ripararono nel focolare ebraico dove fondarono uno Stato socialista, di cui i kibbutzim sono l’ultimo ricordo residuale. La repressione interna con ogni mezzo legale e illegale, che in Russia si esercitò contro i nemici interni, borghesi, religiosi, contadini ricchi (purchè non ebrei), in Israele si esercitò contro i palestinesi – con lo stesso tipo di massacri e di terrore. Da Mosca, si guardava con attenzione e simpatia a quell’esperimento minoritario. Non a caso, l’URSS fu la prima a riconoscere Israele.

C’è un ben preciso episodio che segnala il primo accenno di cambiamento degli animi, ed è molto precoce: 16 ottobre 1948.

Quel giorno la prima ambasciatrice israeliana in URSS e futuro capo del governo Golda Meir (nata Myerson, di Kiev) si recò alle funzioni della grande sinagoga di Mosca (il comunismo sovietico aveva abbattuto le chiese, ma non le sinagoghe); a sorpresa, una immensa folla di ebrei sovietici si affollò nella sinagoga e nelle strade per salutarla, felice e commossa. Non si trattava di comuni cittadini, ma della nomenklatura ai vari livelli. Le cronache ricordano che, tra gli altri a festeggiare la Meir, c’era la moglie di Molotov (uno del Politburo, della più stretta cerchia attorno a Stalin), che salutò l’ambasciatrice in yiddish. E quando la Meir le chiese dove l’aveva imparato, rispose: «Ikh bin a yidishe tokhter», ossia «sono una figlia del popolo ebraico». Polina Molotova, infatti, si chiamava Karpovski. Ma anche la moglie del maresciallo Voroshilov, di nome Golda Goldman, in quell’occasione esclamò: «Adesso anche noi abbiamo una patria». E si noti, costoro si definivano tutti internazionalisti, ostilissimi agli Stati nazionali (degli altri) ed erano i padroni dell’URSS, la patria sovvietica nella loro propaganda.


MOSCA, 1948 - La futura Premier Israeliana Golda Meir accolta davanti alla sinagoga della capitale da 50.000 ebrei


Anche Kaganovich, il numero 2, il genocida dei 4-6 milioni di ucraini, si dilettava a parlare in yiddish quando riceveva i capi dei partiti fratelli dell’Europa orientale (ovviamente tutti ebrei): un suo nipote ricorda di averlo sentito parlare in quella lingua con il capo comunista tedesco Ernst Thalman.

Lazar Kaganovich
  Lazar Kaganovich
Stalin capì fin troppo bene cosa preparava quella manifestazione spontanea e inattesa di folle comuniste davanti alla sinagoga di Mosca (ci furono perfino incidenti, tant’era la calca per entrare). Disse alla figlia Svetlana: «Lintera vecchia generazione è contaminata di sionismo, ed ora stanno insegnando ai giovani», e fece alcune blande epurazioni nei piani alti della nomenklatura, oggi catalogate come il terrore staliniano antisemita (3). In realtà, cominciava la trasmigrazione degli ebrei da un’utopia realizzata ad un’altra.

Lo smottamento decisivo si ebbe, credo, nel 1967: la Guerra dei Sei Giorni e la vittoria-lampo mostrò che il sogno messianico dello Israele Eterno nella sua Casa, non era più un esperimento, ma una concreta realtà, capace di vincere.

È significativo che solo nel 1967 lo Stato ebraico coninciò a parlare delle persecuzioni subite dagli ebrei sotto Hitler come di Olocausto; prima, l’argomento non era trattato nemmeno nei giornali israeliani, benchè i sopravvissuti fossero là in gran numero. Io stesso ricordo di aver avuto la prima notizia di questo sterminio da un film-documentario, Notte e Nebbia, che circolò in tutti i cinema e pose il quadro della narrativa ufficiale sulle Sofferenze del nuovo Agnello: sei milioni di morti; forni crematori; camere a gas (Ziklon B), paralumi fatti con la pelle di ebrei e saponette con il loro grasso (anche se questi due ultimi particolari sono poi stati lasciati cadere dagli stessi propagandisti).

Ho documentato nel mio Cronache dellAnticristo, per la Polonia, gli effetti della vittoria israeliana sulla nomenklatura ebraica al potere a Varsavia. Generali dello Stato Maggiore brindarono alla loro vera patria, al punto che il regime temette un golpe; seguirono epurazioni, ossia rimozioni dai posti di comando non solo militari ma civili; i figli dei ministri, la gioventù dorata e privilegiata del regime, si alienarono dal sistema e – protetti dall’impunità della loro posizione – cominciarono a cercare contatti con le masse operaie cattoliche...





1) Il rabbino Elia Benamozegh su La vérité israélite (1865): «La speranza che sostiene e fortifica la Massoneria è la stessa che illumina e irrobustisce Israele: lavvento dei tempi messianici, che altro non è se non la constatazione solenne e la proclamazione definitiva degli eterni principî di fratellanza e di amore, lassociazione di tutti i cuori e di tutti gli sforzi nellinteresse di ciascuno e di tutti, e il coronamento di questa meravigliosa casa di preghiera di tutti i popoli, di cui Gerusalemme sarà il centro e il simbolo trionfante».
2) Il saggista e storico dell’arte Elie Faure (1873-1937), nel suo Lame juive, ha esaltato questa anima ebraica come «unintelligenza sempre pronta ad eliminare il soprannaturale dallorizzonte delluomo». A cominciare dall’uomo ebreo, che non deve desiderare un regno «che non è di questo mondo». Ma tutto il passo di Faure è interessante: «Da Maimonide a Charlie Chaplin, la traccia è facile da seguire, sebbene la circolazione dello spirito ebraico sia stata, per così dire, imponderabile e che ci si sia accorti solamente dopo il suo passaggio della sua potenza disgregatrice (...). Freud, Einstein, Marcel Proust, Charlie Chaplin ci hanno aperto, in ogni senso, dei prodigiosi viali che hanno abbattuto le mura delledificio classico greco-latino e cattolico, in seno al quale il dubbio ardente dellanima ebraica attendeva, da secoli, lopportunità di scuoterlo (...), in attesa che, da questa stessa negazione, prendesse forma poco a poco un nuovo edificio profondamente segnato da unintelligenza sempre intenta ad eliminare il soprannaturale dallorizzonte delluomo». Ovviamente, quando il potere politico cessa di sentirsi ispirato da Dio e dunque sotto il Suo sguardo, si esercita senza alcun limite nè scrupolo di coscienza sulla carne umana.
3) Simon Sebag Montefiore, «Stalin - The court of the Red Tsar», London, 2003, pagine 599 e seguenti.


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