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El Bergoglio descubierto
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«Lo scopriamo adesso», dice monsignor Cesar Sturba facendo gli occhi tondi dalla meraviglia, e lo ripete in spagnolo: «Lo descubrimos ahòra». Monsignor Sturba è un prelato importante nella curia di Buenos Aires, è notaio apostolico da decenni («il cardinal Bergoglio mi ha mantenuto a questo posto apprezzando la mia visione laica», dice), canonista, spesso responsabile nelle cause di beatificazione, e parla appunto di Bergoglio. Quella che ha scoperto con stupore, è la tenerezza: Bergoglio il buono, che sorride, Bergoglio che abbraccia i bambini e i malati.

«Qui era così austero, così severo...», dice monsignore. È il meno che possa dire. Altri, nell’arcivescovado che sta a fianco della Casa Rosada, protetti dall’anonimato, dipingono il ritratto di un padrone duro, chiuso e tirannico, più temuto che amato. In tono oggettivo, all’Agenzia Cattolica di Informazione (ACAI, l’ufficio-stampa dell’arcivescovado), descrivono concretamente alcuni comportamenti. «Per esempio, lo invitava una parrocchia, gli preparavano festeggiamenti, e il pranzo: lui arrivava di corsa, diceva Messa e se ne andava di corsa, quasi senza salutare, lasciando tutti lì attorno alla tavola imbandita. Al brindisi di fine anno col personale della Curia, stava un attimo e filava via, sempre di fretta. In compenso però, alla casa di riposo dei vecchi preti, restava tutta la domenica».

I suoi (pochi) amici, fra cui Elisabetta Piqué, vaticanista della Naciòn, attribuiscono le sue ruvidezze ad ascetismo: uno che si alza alle quattro e mezza per pregare, un frugale estremo, che mangia poco e non si fa servire dalle suore quando pranza, che vive per i poverissimi diseredati della «villas miserias» (le favelas), detesta le mondanità, sfugge i cocktails, i concerti, i brindisi... Resta che tutti, nella capitale argentina e ancor più nella curia, ripetono: «Non lo riconosco» quando lo vedo in tv, «lo scopriamo adesso». Papa Bergoglio tutto tenerezza?!, Bergoglio che sorride?! «Qui, l’ho visto ridere solo quando sconfiggeva un avversario», commenta crudamente un dirigente cattolico che chiede di non fare il suo nome, essendo lui laico e licenziabile, e il cardinale oggi Papa, vendicativo. «Non dimentica mai un’offesa», conferma un gesuita, anche lui chiedendo «riservatezza totale».

Rancori mai placati

Nemmeno alla Compagnia di Gesù, il suo ordine, lo amano. Per un motivo che in realtà fa onore a Bergoglio: quando è stato provinciale dei gesuiti, fra il ’73 e il ’76, ha stroncato l’ala ultra-progressista, allora infiammata dalla Teologia della Liberazione, che faceva di Cristo un precursore di Marx e Mao e occhieggiava alla lotta armata. «Rafforzò valori e stili pre-conciliari», dice don Jeffrey Kleiber, gesuita americano. Sono storie vecchie. Eppure, quando il cardinal Bergoglio veniva a Roma, la Compagnia di Gesù non l’ha mai invitato a restare nella casa generalizia in via Borgo Santo Spirito, e lui se ne andava a Santa Marta, come un estraneo: segno di rancori mai placati, di torti mai perdonati.

Resta l’enigma del perché padre Arrupe, il rosso generale dell’epoca, scelse proprio Bergoglio a 36 anni per dirigere il provincialato in subbuglio rivoluzionario: pare certo, per le sue qualità di comando sbrigativo. In Argentina, la Compagnia affondava nei debiti mentre i suoi preti si avvicinavano ai Montoneros (le Brigate Rosse locali); Bergoglio vendette molti immobili gesuitici, privatizzò istituti di insegnamento cedendoli a laici, ed anche per questo non piacque; quanto ai Montoneros e suoi simpatizzanti nelle università, li contrastò guidando la Guardia de Hierro, la formazione cattolica dal nome improprio: nulla a che vedere con quella di Codreanu, era una specie di Comunione e Liberazione, una formazione bianca.

Tanti gesuiti non hanno applaudito quando è stato eletto Papa, anche ora che – da Francesco – pare diventato «di sinistra», dice che «i pastori devono avere l’odore del loro gregge» e invita la Chiesa ad uscire dalle sacrestie e andare missionaria nelle periferie esistenziali. Temono le sue vendette (1).

In realtà, da anni il cardinale ha organizzato, protetto e aiutato concretamente i «curas villeros», preti che si piazzano nelle terribili favelas della droga, delle ragazze-madri, della criminalità e della miseria, anche se sono dei fanatici, che dicono Messe per l’anima di Che Guevara.

Dall’altra parte, il dottor Fernando Gonzales, che è avvocato rotale (oltre che giudice di Cassazione penale nello Stato) , fervente tradizionalista, mi dice: «Bergoglio sapeva che vado alla Messa antica in latino, sa che ho fatto battezzare i figli dalla Fraternità San Pio x: ebbene, mai mi ha fatto obiezione, mai mi ha detto ‘lascia quella parte’, mai mi ha detto nulla in proposito». Tollerante e di larghe vedute?

Perché da cardinale, Bergoglio s’è posto sul versante opposto al tradizionalismo: nel più spinto «ecumenismo»: crea nel 2002 l’Istituto del Dialogo Interreligioso dove invita il rabbino Goldman e il protestante Luis Lieberman, dove abbraccia la potentissima comunità ebraica AMIA prosternandosi ripetutamente ai fratelli maggiori.

Molti ricordano la sua «genuflessione» (non ho capito se sia una metafora) ad una clamorosa riunione dei carismatici protestanti e cattolici uniti nel farsi invasare dallo Spirito, in un teatro cittadino chiamato (coincidenza) «Luna Park». Alla prima di queste riunioni di invocazione dello Spirito fra cattolici e protestanti (CRECES: Comuniòn Renovada de Evangélicos y Catòlicos en el Espiritu Santo), teatro Luna Park, Bergoglio si presentò, e restò umilmente in platea fra il pubblico. Invitato sul palco, «a braccio, ha parlato del bello di stare uniti nell’abbraccio del Padre, sotto la piaga del Figlio e il vento dello Spirito», dice padre Francisco Giannetti, responsabile della Commissione Ecumenismo nella Arcidiocesi. Bergoglio, aggiunge, «si è convertito in propagandista del Rinnovamento carismatico».

Ma allora, precisamente, qual’è la teologia del Papa attuale?

«Bergoglio non ha teologia. Non gli serve», è la cruda risposta di un altro anonimo dirigente cattolicissimo, che lo ha conosciuto da vicino nei decenni. «A lui interessa il potere: gestire le due ali opposte, star sopra di esse». Un giudizio molto duro, giustificabile con l’altro – uniforme stavolta, «destra» e «sinistra» d’accordo – che vuole Bergoglio «inafferrabile», «impenetrabile», «uno che non riesci a prendere». Monna Lisa, lo chiamavano i gesuiti, l’enigmatico. «Solo Dio sa cosa pensa Bergoglio», mi dice un gesuita tradizionalista e molto rispettato.

Che il potere gli piaccia, lo dicono anche i suoi amici, quelli che lo vedono come un asceta incompreso, un santo di malo carattere.

«Al confino»

La sua ascesa al potere ha conosciuto contrasti, e misteriosi aiuti. Morto Arrupe, i gesuiti gli tolgono il potere. Lui, sentendo che il vento gli è contrario, chiede il permesso (e l’ottiene) di viaggiare in Germania per scrivere una poco credibile tesi su Romano Guardini, che infatti mai completerà. Lo divora la nostalgia: umilmente, rodendosi dentro, dopo qualche mese si umilia e chiede di tornare. E i suoi capi gesuiti lo mandano «al exilio en Còrdoba», dice la giornalista Piquet: esilio, in quanto essere lontani da Buenos Aires è essere lontani dal potere. Gli hanno tolto la cattedra di Teologia Pastorale (dove aveva, molto giustamente, separato la cattedra di Teologia da quella di Filosofia), e lo destinano a fare il confessore nella residenza gesuitica di Cordova: «un virtual destierro», ossia al confino (dice la solita Piquet). Ventidue mesi di exìlio che Bergoglio affronta «con resignaciòn», pregando «per coloro che lo hanno condannato», assicura la sua biografa: tutti ora tremano di quelle preghiere...

Dal confino lo libera il cardinale Quarracino, il titolare dell’arcidiocesi di Buenos Aires (un bon vivant amante della buona tavola, così lo ricordano): chiede un ausiliare, e vuol proprio Bergoglio. Poi lo nomina suo vicario con diritto alla successione. Procedure strane, innovative – un gesuita fa voto di non accettare cariche nella Chiesa – e misteriosamente rapide. Forse, il motivo della scelta è ancora quello di Arrupe: occorre un uomo di polso, abile e rude nel comando, al bisogno capace di tagliare teste, e disinteressato all’arricchimento personale. Bergoglio dimostra presto la sua utilità: nel1997 la Banca de Crédito Provincial crolla in una bancarotta fraudolenta, in cui la magistratura coinvolge l’Arcivescovado, e specificamente il povero Quarracino in quanto amico del bancarottiere, già ambasciatore in Vaticano, Francisco Trusso.

«La prima cosa che fece Bergoglio fu di commissionare un auditing dei conti alla Arthur Andersen, una ditta indipendente; la seconda, di offrire ai giudici tutta la contabilità relativa (alla Chiesa), onde comprovare che il denaro, dieci milioni di dollari secondo l’accusa, non era entrato». Un metodo che sta usando anche allo Ior: apertura, ed uso di esperti revisori laici esterni.

Quarracino, comunque, per questo scandalo morirà di crepacuore. Bergoglio diventa cardinale, secondo il misterioso «diritto alla successione» automatica. Ma il suo potere è contrastato dai numerosissimi nemici che si fa, a torto o a ragione: alla Curia romana alcuni ministeri non lo sopportano, i gesuiti lo detestano, il governo Kirchner lo ritiene ostile perché ha alzato la voce contro la legalizzazione dell’aborto e ancor più contro le nozze gay: lo vede come «il capo dell’opposizione politica», ossia come fumi negli occhi, L’Opus Dei si è vista rifiutare da lui una «veglia di preghiera» contro le nozze gay, che intendeva organizzare in piazza de Mayo nel 2010: («Che preghino a casa, perché passare la notte al freddo?», disse rigettando la proposta): sicché si ritiene che anche l’Opus le sia avversa.

Così, appena salito al soglio Ratzinger, a cui Bergoglio aveva conteso l’elezione, dal Vaticano cominciano le manovre per «liberare» l’arcidiocesi di Buenos Aires dall’urtante personaggio. Toglierlo di lì, magari chiamandolo ad un prestigioso incarico a Roma, significa escluderlo dal prossimo Conclave, e recuperare l’Argentina all’interpretazione del Concilio nella «continuità» coi duemila anni di teologia cattolica, e non di «rottura», come espresso da Benedetto XVI. Come attori di queste manovre si indicano Angelo Sodano allora segretario di Stato, Esteban Caselli ambasciatore argentino a Roma, certi statunitensi, e tre importanti arcivescovi locali: monsignor Haguen di La Plata, José Luis Mollaghan di Rosario, Oscar Sarlinga di Zarate. Personaggi che per opporsi a Bergoglio, la stampa progressista accusa di «conservatorismo», anche se sono al massimo vicini all’Opus Dei, e non tutti. Ovviamente, il governo Kirchner è della partita.

Benedetto XVI era il regista, o almeno era al corrente ed approvava, questa manovra di esclusione di Bergoglio dal potere e dalla possibile elezione al soglio? Naturalmente lo sospettano coloro che ritengono Ratzinger «un conservatore».

Ma ho appreso da fonte certissima che Ratzinger è, e continua a militare, nell’ala ultra-progressista. Su un punto preciso e cruciale: Ratzinger è da sempre ostile al Syllabo, l’elenco delle proposizioni condannate con il sigillo dell’infallibilità da Pio IX: e specialmente ostile alla proposizione 80, l’ultima: «Il Romano Pontefice può e deve venire a patti e conciliazione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà»: chi afferma questo anathema sit, sia scomunicato.

Ebbene, mi dice l’autorevolissima fonte ecclesiale argentina: «anni fa, Giovanni Paolo II intendeva organizzare un Sinodo, il cui scopo era dare un’interpretazione ortodossa dei passi più discutibili del Concilio. Quando lo seppi, me ne rallegrai con Ratzinger, allora prefetto dell’ex Santo Uffizio; ingenuamente, credevo che fosse stato lui, il “conservatore”, a suggerirlo. Invece, con mia grande sorpresa, Ratzinger parlava male del Sillabo, era avverso al pontificato di Pio IX e alla personalità di quel santo Pontefice, avversario della “modernità” e odiato dalla Massoneria. Lo Spirito Santo non aveva assistito quel Papa, a quanto pare, come invece ha assistito il Concilio Vaticano, la nuova Pentecoste... Da quel momento, Ratzinger – saputa la mia stima per Pio IX – si è raffreddato con me, e la nostra corrispondenza è cessata»: così la mia autorevolissima fonte, che mi ha chiesto ovviamente l’anonimato.

Quanto al Sinodo che Giovanni Paolo II voleva indire, lo dissuasero «spaventandolo: gli dissero che avrebbe provocato uno scisma. Lui, già debole, rinunciò».

«Li cuocerà a fuoco lento»

Ratzinger probabilmente non è stato tenuto al corrente di questa, come di tante altre manovre vaticane. Fatto sta che le trame per allontanare Bergoglio dalla capitale argentina e dal papato, sono tutte fallite. E adesso, sono i suoi avversari veri o presunti a tremare.

Il giornale El Clarìn, grande media radical-chic di Buenos Aires (modello La Repubblica in Italia), maligna: comincia «la lenta agonia de los obispos conservadores». I vescovi conservatori, soprattutto i tre sopra citati, scrive il giornale, papa Francesco «li va cucinando a fuoco lento. Loro aspettano che li colpisca di fronte. Ma papa Bergoglio sa che nulla è peggio per loro di dirgli che stiano tranquilli, senza sapere fino a quando».

A Mollaghan, il monsignor di Rosario, già da Cardinale aveva inviato una commissione di supervisione per il controllo della gestione delle finanze della diocesi, a Sarlinga vescovo di Zarate aveva chiesto conto dell’acquisto di un appartamento di lusso. Quanto ad Hector Haguer, arcivescovo di La Plata, ha prevenuto le mosse del vendicativo oggi Papa, offrendogli immediatamente le sue dimissioni. Non c’è dubbio che se ne vendicherà: «Tenero coi nemici brutale coi fratelli» (2), dice la mia fonte. Si ritiene che le tre sedi saranno rese vacanti entro l’anno, e Bergoglio le assegnerà a uomini suoi, o comunque ecumenisti, tolleranti in materia di morale sessuale, aperti alle «periferie», al talmudismo, al protestantesimo american-carismatico tipo born-again christians, che hanno «l’incontro personale con Gesù». «Todo el poder a la periféria», come scrive gongolando El Clarìn.

Ammesso che sia poi questa la «teologia» di Papa Francesco. Perché, come mi dice la autorevolissima fonte di cui sopra, è uno che esagera. «Anche quando dice le cose giuste, esagera: così come quando ha detto che chi non prega Gesù Cristo prega Satanasso... ma è esagerato! Non è vero! Dire cose del genere, è falta de serietas intellectual, mancanza di serietà intellettuale».

Questo è, almeno nella parte conoscibile, il Papa che ci terremo, fino a quando lo Spirito lo riterrà.





1) In questo senso, è molto significativa la guardinga, sibillina dichiarazione con cui padre Adolfo Nicolàs, lo spagnolo attuale generale della Compagnia, ha invitato ufficialmente i gesuiti, in una lettera ufficiale all’intero ordine, a salutare il Papa dandogli tutta la collaborazione «teologica, scientifica, amministrativa e spirituale»: «È il momento di fare nostre le parole di misericordia e bontà che papa Francesco ripete in modo tanto convincente, e di non lasciarsi prendere dalle inavvedutezze del passato, che possono paralizzare i nostri cuori e indurci a interpretare la realtà a partire da valori che non si si ispirano al Vangelo». Insomma: vediamo se Francesco pratica davvero la bontà che predica «in modo tanto convincente» anche verso noi gesuiti, e noi la praticheremo verso di lui…
2) Frase che, inconsapevolmente, ne ricalca una simile e meglio tornita del caro amico e insostituibile maestro Mario Palmaro, sull’atteggiamento della Chiesa conciliare, ecumenista ed aperta a tutto, tranne ai tradizionalisti: «Dialogo coi lontani, mutismo coi vicini».



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