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Piombino come Stamina. Il Cafone ha vinto ancora.
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Vedo che per l’acciaieria di Piombino «è stato raggiunto l’accordo» – accordo «per la riqualificazione e riconversione del polo industriale»: e tutti esultano. Esultano i 2500 dipendenti che diventano sussidiati a carico dei contribuenti, esultano i politici rossi, il Comune rosso, il presidente della Regione rossa il rossissimo Rossi, esultano – soprattutto – i sindacati rossi e anche meno rossi, causa prima del disastro. Esultano perché per la fantomatica «riqualificazione e riconversione» del catorcio, voi contribuenti avete staccato, per ora, un assegno da 250 milioni di euro. Che sarebbero 500 miliardi di vecchie lire; e solo per ora, perché se richiamate alla mente quanto vi è costata la riconversione Alitalia, l’altro ferrovecchio inutilizzabile «difeso» da Berlusconi invece di lasciarlo fallire, all’inizio ci costò 800 milioni stanziati dal Governo (Berlusconi) a fondo perduto; ma «fra mancati investimenti dall’estero, debiti non pagati dalla bad company ai creditori – quasi tutti italiani – e costo della respirazione bocca a bocca per tenere in vita la nuova compagnia, ha finito col costarci almeno quattro miliardi e mezzo» (Pietro Ichino). Tutti soldi pagati da voi, contribuenti italioti, ai fancazzisti della compagnia e ai banchieri e capitani coraggiosi che si sono serviti del salvataggio per ingrassare sé stessi.

L’acciaieria Piombino è un esempio di gestione pubblica di un disastro, di ingerenza di politici nei progetti industriali, di «scelte sindacali» definite da sogni idioti, demagogia da quattro soldi, crassa ignoranza e presunzione imperiosa.

Regione rossa, comune rosso e sindacati rossi sanno benissimo che l’altoforno di Piombino è un vecchiume disperatamente obsoleto e invendibile; credendo di essere più furbi, hanno cercato compratori da infinocchiare — e li hanno trovati: solo, più furbi di loro. Le poche proposte serie di gruppi industriali, che prevedevano realistiche riduzioni di personale e vere modernizzazione, sono state rifiutate. Uno degli ultimi offerenti, la Duferco, ha gettato la spugna — come ha dichiarato Antonio Gozzi, presidente della ditta possibile compratrice: ««Il territorio crede che sia possibile mantenere attivo l’altoforno a Piombino, ma noi non lo pensiamo e il nostro piano industriale non lo prevede. È necessaria una presa di coscienza da parte il territorio, che oggi non c’è»

Quando si parla del «territorio», non vorrei vi sfuggisse, si parla dei politici e dei sindacati locali, rossi da sempre. Anche loro, come Berlusconi, venditori di sogni. Sindacati ingiungono: «Necessario mantenere in vita l’altoforno, il quale, con una dovuta manutenzione, oggi obbligatoria, può andare avanti altri 3-4 anni».

Tre o quattro anni: lo sanno anche loro, che è quel che vendono è un pezzo di archeologia industriale. Nonostante ciò, fanno i difficili, osservano col lanternino le poche offerte competenti che arrivano, trovano da ridire su tutto. Aspettano il venditore di sogni.

Che ovviamente arriva. E «il territorio» accoglie a braccia aperte «un gruppo giordano-tunisino», in sigla SMC, di cui nessuno ha mai sentito parlare. Ma che importa? C’è «Un’offerta giordano-tunisina da tre miliardi per rilevare le acciaierie di Piombino», titola Il Sole 24 Ore il 18 gennaio. Tre miliardi, mica noccioline! E il gruppo giordano-tunisino esaudisce tutte le richieste e i desideri del «territorio»:

Il gruppo di miliardari orientali s’impegna a mantenere in esercizio dell’altoforno per altri due anni ; questo è (commenta 24 Ore) «il principale elemento di distinzione rispetto alle manifestazioni di interesse di Klesch e della cordata Duferco-Feralpi-Acciaierie venete» ossia dei possibili imprenditori interessati veri. Nel frattempo, «saranno investiti 1,5 miliardi per realizzare due forni elettrici e un impianto per il Corex da un milione di tonnellate», che a termine sostituirà l’altoforno-rottame.

E non solo: «Lorganico sarà mantenuto al livello attuale. Altri 1,5 miliardi verranno spesi per lo sviluppo: il gruppo tunisino si è detto interessato anche allo smaltimento delle navi per avere rottame a km zero, e ha evidenziato la necessità di avere maggiore apporto di energia (si parla della centrale Enel di Torre del Sale).

E siccome nel territorio formicolano ecologisti ed ambientalisti rosso-verdi, il gruppo tunisino accontenta anche loro: «Il progetto di SMC punta poi a liberare le aree e a spostare le fonti inquinanti. L’area a caldo sarà chiusa, bonificata, smantellata e trasferita di qualche chilometro (con tutta probabilità in località Ischia di Crociano)».

Piombino, terra di sogni e di chimere, come diceva la vecchia canzone.

Un Sardanapalo, un Re Magio venuto dall’Oriente con oro e incenso, era pronto ad esaudire tutte le utopie, le aspirazioni più impossibili, le fantasie più ardite: produrre acciaio e insieme aria pulita, rimodernare la fabbrica con un sistema d’avanguardia (la tecnologia Corex: «permetterà di abbattere del 50% le emissioni di CO2») e abbellire la città, richiamare i turisti. «Lavoratori e sindacati lo appoggiavano. Semplicemente perché era l’unico che garantiva un futuro a tutti i 2.500 lavoratori di Piombino», come scrive adesso l’Unità.

Per qualche settimana hanno sognato tutti: «Piombino ci crede, e guarda con fiducia al progetto da 3 miliardi del gruppo tunisino SMC», scriveva 24 Ore

Felice Rosario Rappa, della segreteria nazionale Fiom e dagli altri rappresentanti sindacali intervenuti; felice Mario Ghini della Uilm nazionale, felicissimo (figurarsi) il commissario straordinario del catorcio Piero Nardi, i capigruppo consiliari, i sindaci di Suvereto, Campiglia Marittima e Follonica, le associazioni di categoria, l’assessore regionale alle attività produttive Gianfranco Simoncini e il presidente della provincia di Livorno Giorgio Kutufà.

Problemi? Nessuno, perché SMC è «un fondo di investimenti i cui interessi spaziano dal food alle miniere», scriveva il più autorevole giornale economico, e per l’acciaio piombinese ha già mercati assicurati: «in Nord Africa e Medio Oriente».

Ma da ultimo s’è scoperto che il Re Magio, glorificato dai media come l’imprenditore giordano a capo della SMC, che di nome fa Khaled al Habahbeh, si sia fatto in Usa «33 mesi di carcere (scontati nel carcere federale di Yazoo city, nel Mississippi) per vari reati, tra cui la richiesta di fido bancario sulla base di documenti falsi, truffa, cospirazione per entrare in possesso e distribuire mentanfetamine e pseudoefedrine. L’impegno a lasciare gli Stati Uniti gli evitò la pena accessoria di tre anni di libertà condizionata.

Insomma un fiammeggiante truffatore. E la sua SMC, il celebrato fondo d’investimento che spazia dalle miniere al food, l’ha fondata solo nel novembre scorso, con un miserrimo capitale sociale di 2,5 milioni di dollari – di cui solo 500 mila versati – giusto in tempo per presentare la sua onirica, seduttiva offerta al «territorio» dei politici, sindacalisti e coglioni rossi piombinesi. Garanzie finanziarie – aveva promesso di cacciare 3 miliardi, di dollari, mica milioni – il seduttore non ne ha mai presentate. Anzi ha chiesto 300 milioni di anticipo al commissario straordinario dell’acciaieria. In attesa «dei 110 milioni di finanziamenti pubblici, di cui una sessantina dalla Regione Toscana» per la presunta riconversione e innovazione: soldi nostri, di noi contribuenti, che poi erano quelli che Khaled al Habahbeh puntava a intascare. Come tutti, del resto.


Il sindaco di Piombino sul tetto dell'acciaieria


Cosa dovreste fare a questi marpioni ignoranti e pirloni del «territorio»? In un Paese normale, sarebbero tutti in galera, poi in corsi di rieducazione per analfabeti, o a fare i lavapiatti in Costarica sotto falso nome, o interdetti dai pubblici uffici per incapacità dintendere e di volere. Tocca dar ragione a Grillo, che a Piombino ha gridato: «Tutti questi signori sapevano benissimo che fine faceva quest’altoforno e hanno speso cento milioni l’ultimo anno quando con quei soldi si poteva costruire un forno elettrico. E poi agli operai a strillato: «Noi siamo qui nel regno schifoso della peste rossa, cioè il Pd, che voi continuate a votare».

Invece no, i marpioni analfabeti truffati dal truffatore, pretendono ancora di dire la loro, continuano ad occupare le loro poltrone, a pontificare. E i sindacati hanno avuto anche il pelo sullo stomaco di mandare una loro militante a disturbare il comizio di Grillo con un manifesto su cui, gli svergognati, hanno scritto: «Troppo comodo fare campagna elettorale a un funerale. Tempo scaduto». Un funerale che hanno voluto e perseguito lorsignori rossi, pestiferi e scemi. Che si permettono di dare dei «populisti» ai grillini. E loro cosa sono, se non demagoghi da tre lire, che hanno cullato il loro «territorio», e i loro elettori, di sogni impossibili? Sapendo benissimo che li stavano illudendo?

O forse no. Forse anche loro hanno creduto al re magio Khaled al Habahbeh. Ed è questo il problema di fondo: lignoranza invincibile che si crede autosufficiente, lincapacità di reggersi nel mondo moderno e nelle sue complessità, che rivela ad ogni momento questo non-popolo e la classe dirigente che si sceglie, preferendola immancabilmente alle persone serie, competenti e oneste.



Difatti, la buffonesca fine dellacciaieria di Piombino ricalca alla perfezione il Caso Stamina. Dove miriadi di pazienti, e famiglie di malati, hanno imperiosamente creduto nella miracolosa «cura» inventata dal «professor Davide Vannoni» (che è professore in Lettere, precisamente un laureato in Scienze della comunicazione – scienza che non esiste – ed «autore di testi di comunicazione persuasiva e pubblicità»), un tizio dall’aria patibolare, il quale sostiene di poter guarire malattie degenerative letali avendo scoperto il metodo segretissimo di convertire «le cellule staminali del mesenchima in neuroni»: ed hanno spinto imperiosamente giudici ignoranti quanto loro, che nulla sanno di mesenchima né di neuroni ma hanno vinto «o’ concuorso» che li rende onnipotenti, ad obbligare un ospedale a Brescia a somministrare la presunta «cura», a spese del servizio pubblico (cioè di voi contribuenti) minacciando continuamente le vie legali se i medici veri cercavano di sottrarsi a questa idiozia.

Questo ampio pubblico italiota ha creduto ad una trasmissione comica, «Le Jene», fatta da ignoranti da basso impero, che criminalmente ha dedicato una serata a questa «cura» e alle sue supposto guarigioni, diffidando fieramente, invece, della rivista scientifica Nature, dell’EMBO Journal e del premio Nobel per la medicina, Shynia Yamanaka, che incidentalmente è anche presidente della Società Internazionale per la Ricerca sulle Cellule Staminali (ISSCR), che tutti hanno espresso critiche documentate e allarmate inconsistenza scientifica del professor Vannoni.

E che dire della Commissione affari sociali della Camera dei deputati, che il 15 maggio 2013 approva all’unanimità l’avvio della sperimentazione clinica del metodo ideato da Vannoni? E del Parlamento italiota che qualche giorno dopo «ratifica la sperimentabilità del metodo, stanziando anche 3 milioni di euro per gli anni 2013-2014» ? E vogliamo parlare dell’immancabile, inevitabile (e irriferibile) TAR del Lazio, che dà ragione a Vannoni dall’alto della sua scienza (di ragionieri) ed ordina la decadenza del Comitato scientifico che doveva giudicare il «professore» in Lettere?

La smetto qui per dirvi: pagate, italiani, anche i 250 milioni (per ora) che hanno staccato a nome vostro per sussidiare i piombinesi senza occupazione e il loro acciaio senza mercato.

Pagate, perché è colpa vostra. Non che tra voi manchino le persone intelligenti, competenti e intellettualmente oneste; ma voi preferite farvi infinocchiare. È il sedimento d’inciviltà irrimediabile da cui vi lasciate dominare. Qualcosa che altrove ho chiamato la «prevalenza del cafone».

Il cafone, lo zappatore, il faticatore rurale, è arrivato nella modernità mantenendo «lo stesso paesaggio interiore, lo stesso orizzonte di quando era in campagna» a fare la bestia da soma, secoli orsono. Oggi, inurbato, il cafone italiota si riempie di smartphone e di televisori a schermo piatto per vedere le partite, ma resta quello che era quando era un servo della gleba, assillato dalla fame: «una mente angusta e torpida, senza curiosità, con un limitatissimo repertorio di saperi» per lo più raccogliticci. È il tipo umano che si aggira nel mercato globale del ventunesimo secolo sospettoso – perché gli sfuggono i rapporti complessi e dinamici che si sviluppano nella società urbana avanzata, e tutti gli aspetti tecnici e superiori della civiltà, e i suoi fondamenti intellettuali) e facile da ingannare. Quando era rurale, era lui che, alla fiera e al mercato, annusava diffidente le merci «nuove» tenendosi stretto il portafoglio nel timore de ladri; e poi si faceva infinocchiare dal primo mangiafuoco dotato di parlantina che gli spacciava – a carissimo prezzo – il miracoloso olio di serpente contro la sciatica, il mal di gola e l’impotenza.

Il cafone, scrivevo, «diffida dei competenti di cui dovrebbe invece fidarsi e invece cade regolarmente vittima volontaria degli imbroglioni e del dottor Dulcamara: con ovvii esiti politici visto che il cafone, ingiustamente, vota». Così scrivevo qualche anno fa, nel mio saggio «Selvaggi col telefonino». Dovevo correggermi e precisare: il cafone italiota inurbato non è solo ignorante e continuamente propenso a farsi ingannare dai ciarlatani: esige di essere accontentato, ricorre al TAR del Lazio per farsi dare l’olio di serpente a spese dell’ASL. Il cafone di un tempo, almeno, era umile — la vita e le sue durezze gli avevano insegnato, umiliandolo, l’umiltà, sapeva di dover dipendere, non alzava la testa. Oggi, il cafone italiota ha l’ignoranza imperiosa: non vuole solo le cose sbagliate, le vuole sùbito, immediatamente, «per legge». E giudici cafoni sono imperiosamente pronti a contentarlo, parlamentari cafoni a piegare lo Stato ai suoi bisogni e alle sue illusioni, peraltro costosissime.

Mettete voi il nome del Dulcamara poltico di turno: Berlusconi o Bersani, Monti, Vannoni o Matteo Renzi. Oppure Beppe grillo, che sì a volte dice cose giuste, ma poi a sapere governare, è tutt’un altro paio di maniche. Siete voi che gli date i voti, che credete alle loro favole, e che gli fate provare gli ori, i saporosi, gli incensi e gli allori del Governo, lamentandovi poi quando falliscono.




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