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Un terrorista s’aggira per l’Europa
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Salvo errori, non mi pare che i media abbiano dato notizia della reazione del presidente ceco, Vaclav Klaus, alla notizia del «no» irlandese al trattato di Lisbona. Eccola:

«I risultati sono, voglio sperare, un messaggio chiaro per tutti. E’ una vittoria della libertà e della ragione su progetti elitari artificiali e sulla burocrazia europea. Il progetto di trattato di Lisbona è finito oggi, con la decisione degli elettori irlandesi, e la sua ratifica non può continuare».

E Klaus – intellettuale, economista e scrittore, che parla un ottimo italiano avendo insegnato in università nostre, quando si esiliò dal regime comunista - ha insistito. In una intervista al quotidiano Lidove Noviny, ha detto: «Lasciamo che la gente che vive sul continente europeo continui ad essere ceca, polacca, italiana, danese... non facciamone degli europei. E’ un progetto sbagliato. La differenza tra il ceco, il polacco, il danese, l’italiano e l’europeo è la stessa che esiste tra la lingua ceca, polacca, italiana e danese e l’esperanto. L’europeismo è l’esperanto: una lingua artificiale, morta».

Per confronto, ricordiamo le parole del presidente nostro (o meglio: quello che ci hanno dato), Giorgio Napolitano: «Quelli che sono anti-Unione Europea sono terroristi. E' terrorismo psicologico evocare lo spettro di un super-Stato europeo».

Evidententemente il presidente ceco risponde all’identikit tratteggiato dal Napolitano: benchè uomo di fine cultura e che non rubacchia sulle note-spese, è un terrorista. E del tipo più pericoloso: la sua mite opposizione all’europeismo burocratico – esperanto artificiale rispetto a lingue vive – nasce chiaramente da un forte sentimento della storia, della tradizione, del radicamento di ogni popolo. Ciò che l’eurocrazia vuole sradicare, per trapiantarci nella modernità totalitario-amministrativa.

Il totalitarismo, anche quando si presenta in forma euro-gelatinosa, non tarda a dare i suoi frutti. Ne abbiamo un assaggio nelle minacciose frasi del primo ministro sloveno, Janez Jansa (è presidente di turno della UE) all’indomani del no dell’Irlanda: «Inviterò il primo ministro irlandese a spiegare le ragioni del rigetto del trattato da parte del popolo irlandese» (1).

E’ l’ingiunzione a fare «autocritica», come chiedevano i giudici staliniani al tempo delle grandi purghe, quando mettevano sotto processo importanti membri del partito «deviazionisti». Il linguaggio è lo stesso. Del resto i capi sloveni sono usciti da pochissimo dal «sistema» di allora, ne hanno mantenuto le abitudini mentali. Il povero premier irlandese, a dire il vero, ha fatto di tutto per far vincere il sì. La sua colpa è, come dicevano i giudici comunisti, «oggettiva». Non ha messo in riga il suo popolo. Si giustifichi.

Un premier eletto dagli irlandesi deve giustificarsi davanti allo sloveno? Tutti coloro che ripetono in questi giorni che l’Irlanda non conta perchè è piccola, non rilevano che la Slovenia è altrettanto piccola. Ma la Slovenia ha il diritto di impancarsi a procuratore d’accusa, perchè la sua posizione è ideologicamente corretta: marcia «all’avanguardia della storia», come dicevano in URSS i nomenklaturisti che chiamavano se stessi «avanguardia del proletariato».

Il giro mentale è il medesimo. La convocazione slovena dell’irlandese è ciò che in URSS si chiamava «internazionalismo».
A cui seguiva magari «l’aiuto fraterno» con carri armati a un partito comunista messo in pericolo dalla volontà popolare, come a Praga 1968. Che  Napolitano ci si senta a casa sua, non è strano.

Stessa e identica è la doppiezza fra il discorso ufficiale e quello che della nomenklatura quando parla all’interno a se stessa. Fra la lingua di legno propagandistica e quella di Giscard d’Estaing, per esempio, il grand commis di tutte le massonerie più chic, il distillatore della costituzione europea che è stata bocciata da francesi e olandesi:

«La differenza tra la costituzione originale e l’attuale trattato di Lisbona è più di approccio che di contenuto... le proposte  del trattato costituzionale originario sono praticamente immutate. Sono solo state disperse in vari vecchi trattati, in forma di emendamenti. Perchè questo sottile cambiamento? In primo luogo, per scongiurare ogni minaccia di referendum evitando ogni forma di vocabolario costituzionale. Ma alzate il coperchio e guardate nella scatola degli attrezzi: tutti gli stessi attrezzi  innovativi ed efficaci sono lì, proprio come sono stati magistralmente forgiati dalla Convenzione Europea... L’opinione pubblica sarà indotta ad adottare, senza saperlo, le proposte che non osiamo presentare ad essa direttamente... Tutte le proposte di prima sono nel nuovo testo, ma saranno nascoste e mascherate in qualche modo».

Karel de Gutch, ministro degli Esteri del Belgio: «Il trattato costituzionale (quello bocciati da francesi e olandesi, ndr) si proponeva di essere più leggibile; questo (di Lisbona) si propone di essere illeggibile. E’ un successo».

Jean-Claude  Junker, primo ministro del Lussemburgo: «Certo che c’è trasferimento di sovranità. Ma sarebbe intelligente attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica su questo fatto?».

Non vale opporre che nella UE non ci sono (ancora) i tribunali speciali nè i gulag: gente che pensa in questo modo è pronta letteralmente a tutto, pur di imporre l’ideologia «scientificamente giusta» che coincide, guarda caso, con il loro potere.
Del resto si sono già dotati degli strumenti: la psico-polizia, Eurojust…

L’accusa è già pronta, e contro tutti i nemici interni l’ha formulata il nostro (il loro) Napolitano: «Terrorismo».

In URSS, negli ultimi tempi, gli intellettuali dissidenti non venivano più trattati da criminali, ma da malati mentali. Psichiatri ben istruiti fornivano la diagnosi: di  schizofrenia, diagnosticabile dai seguenti sintomi: «originalità – formulazioni ideologiche – paura e sospetto – religiosità – scarso adattamento all’ambiente sociale – revisionismo» (2).
Il pensiero sottostante a questa psichiatria di regime era: poichè il socialismo realizzato è «la realtà» stessa, questi che si oppongono alla realtà non possono essere che disturbati mentali. Da internare coattivamente.

Ebbene, su questa china si è già posta Barbara Spinelli, che su La Stampa ha commentato in un furente articolo il «no» irlandese come «una favola raccontata da un idiota, piena di furore e di foga, e che non significa niente». Insomma come una malattia mentale (3).

La Spinelli non è una giornalista privata. E’ la figlia di Altiero Spinelli – l’europeista primario, di cui Napolitano è erede minore – e l’amante di Padoa Schioppa, il creatore dell’euro come lo conosciamo. Dunque svolge, nella nomenklatura eurocratica, la stessa funzione che nel PCUS svolgeva la Krupskaia, la moglie di Lenin.

Stalin rischiò di giocarsi la carriera per aver canzonato la Krupskaia: «Perchè  dovrei inginocchiarmi a lei? Il fatto di andare a letto con Lenin non significa capire il marx-leninismo. Solo perchè usa la stessa toilette di Lenin...». La morte di Lenin lo salvò dalle conseguenze (4).

Perciò vale la pena di ascoltare la Spinelli e il tipo delle sue accuse. Queste sono un crescente delirio: assolvono l’eurocrazia di tutto, danno la colpa di quel che è successo a tutti gli altri.

Ce l’ha con gli «automi addestrati» che dicono: l’eurocrazia non ha saputo comunicare. L’inviperita figlia e amante dell’euro salta sù: «Della comunicazione sono responsabili  i comunicatori, (ma anche) i destinatari della comunicazione, e ciò che sta in mezzo: i media». Dunque i colpevoli sono il pubblico (l’Europa ha comunicato, ma lui è duro di comprendonio) e i media che dovevano trasferire il verbo ai cretini.

«I referendum falliti segnalano che la catena non ha funzionato». «Nel trionfo del no non c’è un responsabile; ce ne sono molti, e Bruxelles è il meno colpevole. Responsabili sono gli Stati, classi dirigenti, elettori».
In pratica, l’intera realtà ha torto, nel giusto è solo «Bruxelles». Infatti «Non è l’Europa federale che naufraga periodicamente, ma l’Europa dei falsi Stati sovrani». E’ chiaramente la sindrome del tipo: se il popolo non vuole l’oligarchia, aboliamo il popolo.

La Spinelli, a forza di andare a letto con Padoa, è senza freni. Giunge persino a vedere nel no irlandese il risultato di un complotto: «Il militante più potente del No è un ricchissimo indistriale, Declan Ganley, che s’è preparato dal 2007 fondando l’associazione Libertas. Libertas riceve finanziamenti ingenti da neo-conservatori USA e dal Foreign Policy Research Institute di cui Ganley, presidente di una ditta USA specializzata in contratti bellici, è membro da anni».

E’ la prima volta che sento la Spinelli evocare i neoconservatori USA come autori di mene segrete. Non l’ha fatto per l’11 settembre, non per l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Ora evoca il fantasma caro a noi complottisti – e per il quale siamo spregiati – per insinuare che i neocon ebrei hanno tramato contro Bruxelles, e il suo caro Padoa Schioppa.
E’ diventata persino «anti-americana».

C’è quasi da ridere. Specie a immaginare cosa avrebbe scritto la Spinelli se in Irlanda avesse vinto il «Sì»: sarebbe stato tutto un coro di applausi, voto importantissimo, è la legittimazione popolare del trattato di Lisbona. Ora è il voto di pazzi, che non significa nulla.

Ci sarebbe da ridere se la Spinelli non fosse la Krupskaia dei nostri giorni, espressione del potere della nomenklatura. Le conseguenze potrebbe pagarle Vaclav Klaus con il suo popolo ceco, che hanno già conosciuto il pugno della nomenklatura precedente. Difatti, la repubblica ceca non ha ancora ratificato Lisbona. Il trattato è all’esame della sua Corte Costituzionale; senza il parere positivo della Corte, il parlamento non può ratificare. La Corte sta prendendo tempo, va per le lunghe: non legge bene l’esperanto. A giudicare dalle parole del presidente, il clima in Cekia non è proprio eurocratico. E il primo semestre del 2009, dopo la presidenza di turno di Sarkozy, toccherà alla repubblica ceca prendere la presidenza a rotazione: il periodo in cui il trattato di Lisbona doveva andare in vigore, senza quell’intoppo dell’insignificante Irlanda.

Terroristi dal volto umano, come già nel 1968. Noi schiavi sotto la nomenklatura occidentale speriamo nel loro coraggio.
In un’altra Primavera di Praga.




1) Soeren Kern, «Why Irish voters rejected the Lisbon Treaty», Brussels Journal, 16 giugno 2008. Tutte le citazioni che seguono sono tratta da questo articolo, che indica in nota le fonti.
2) Fu lo psichiatra Andrejj Snežnevskij, che ‘creò per i dissidenti la fattispecie patologica della «schizofrenia latente». Snežnevskij, direttore dell’Istituto di psichiatria presso l’Accademia delle Scienze mediche dell’URSS, e dell’Istituto di psichiatria forense di Mosca Serbskij, diede una «definizione oltremodo estensiva di schizofrenia». Secondo la sua interpretazione, che divenne l’interpretazione "ufficiale", la schizofrenia «non è necessariamente accompagnata da sintomi esterni, anche quando è abbastanza grave da giustificare un’ospedalizzazione coattiva». La schizofrenia «latente» per l’appunto, o «dal decorso lento». Snežnevskij spiegava come «le persone a contatto con simili casi non hanno l’impressione che si tratti di evidente pazzia», ed anche come «l’apparente normalità di tali persone malate […] viene usata dalla propaganda anti-sovietica per affermare calunniosamente che esse non soffrono di disordine mentale.
3) Barbara Spinelli, «Le false favole europee», La Stampa, 15 giugno 2008.
4) Stalin «mancò di rispetto alla Kupskaia» con una battuta pesante delle sue: le disse che se non obbediva, il comitato Centrale del PCUS avrebbe assegnato al compagno Lenin un’altra moglie.

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