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Sul Titanic, l’orchestrina impazza
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Il Piano Paulson di salvataggio di Wall Street è stato approvato, finalmente. Il Congresso ha detto sì. Piccolo particolare: il piano originario era di 3 pagine. Quello attuale, di 400. Tutte quelle pagine in più contengono - così si vanta il Congresso - provvidenze e aiuti a Main Street, ossia all’americano comune alle prese con la recessione, il mutuo e il pignoramento della casa. Per far digerire all’americano medio il prelievo, tratto dalle sue tasche, che va a vantaggio di Wall Street. Cosa c’è nelle 400 pagine?

Per esempio: l’abolizione di una imposta del 39% sulle - tenetevi forte - frecce di legno per bambini. Certo una industria strategica, che cosi viene liberata da un peso che la soffocava. In particolare, si tratta dell’azienda «Rose City Archery», con sede a Myrtle Point, Oregon, produttrice di frecce-giocattolo; le sue pene sono state ascoltate dai senatori Gordon Smith e Ron Wyden, dell’Oregon, che hanno fatto inserire l’aiutino. La Rose City Archery risparmierà 200 mila dollari l’anno di imposte.

Altri senatori hanno fatto inserire nel Piano Paulson un alleviamento delle accise sul rum di Portorico, una detassazione per i proprietari di piste per go-kart, un’altra per i produttori di «modificazioni in lana» (qualunque cosa sia) e naturalmente, una detassazione per i produttori di Hollywood. Tutte attività di urgente interesse nazionale.
Insomma di fronte alla crisi più apocalittica del secolo, la «democrazia» continua ad occuparsi di clientelismi minimi, di interessi locali micragnosi.

Sul Titanic già inclinato di 30 gradi, l’orchestrina della «politica» attacca un motivetto più allegro dell’altro; ad un ritmo furioso, i politici si affannano a saccheggiare qualcosa delle finanze pubbliche, ciascuno per la sua fabbrichetta del cuore ed il suo elettorato, prima che il naufragio totale renda impossibile il furto nelle furerie.

L’unica consolazione: la speranza che forse, con Wall Street, anche questa «democrazia» stia per finire affogata. Naturalmente, la fetta più grossa del saccheggio se la sono accaparrata gli usurai, autori veri e veri beneficiari di questa «democrazia».

Nascosto nelle 400 pagine, c’è un provvedimento cruciale, espresso in termini criptici, che dice in sostanza questo: le banche sono autorizzate ad operare non più con una riserva del 12%, e nemmeno con una riserva del 3%. Ora, la riserva consentita è... 0%. Zero per cento: ossia possono creare pseudo-denaro senza limiti, all’infinito inflazionistico. Senza riserve. Il contrario esatto delle antiche proposte di Fisher e di Allais, che volevano la riserva al 100%, ossia la fine del credito frazionale.

I micro-salvataggi dei senatori verso le loro aziende clientelari non salvano la situazione generale. L’indice della produzione industriale in USA è calato a settembre a 43,5, contro i 49,9 di agosto; quando l’indice scende sotto il 50, dice che l’attività è contratta in termini di recessione grave.

La banca americana Wachovia, che è stata assorbita da Citigroup, ha comunicato a mille università americane, che tenevano presso quella banca le loro tesorerie, ha comunicato alle suddette università che non potranno ritirare più del 10 % ei loro fondi; cifra poi aumentata al 26%. I fondi delle università ammontano a 9,3 miliardi di dollari; la limitazione dei prelievi  pone un dubbio sul pagamento degli stipendi degli insegnanti e dei professori.

Secondo una ditta di consulenza finanziaria, la Innovest Strategic Value Advisors, nel primo trimestre del 2009 le banche dovranno stornare 18,6 miliardi di dollari di impagati sulle carte di credito, e in tutto il 2009 gli impagati saliranno a 96 miliardi.

L’anno scorso, i mancati pagamenti sulle carte di credito erano stati 3,2 miliardi; nel primo trimestre del 2008, erano saliti a 4,2 miliardi. Ciò danneggerà, prevede la ditta, «alcuni dei maggiori enti di emissione di carte di credito». Facile previsione. Sul Titanic, l’orchestrina attacca un dixieland indiavolato.

La AT&T, potente e solidissimo colosso delle telecomunicazioni, non è riuscita a  raccogliere capitali sul mercato monetario delle commercial paper. «Mancano gli acquirenti per il debito», persino di una ditta come la AT&T, dice il suo presidente Randall Stephenson: «Viviamo letteralmente giorno per giorno».

In USA la vendita di Porsche è calata del 48% quella di Volvo di oltre il 50%; Toyota è sui meno 30%, BMW sul meno 28%. Ma anche le fabbriche nazionali, Ford, Chrysler, General Motors, subiscono una flessione di vendite fra il -30 e il -20%.
Ma Tremonti dice che ce la caveremo meglio degli altri, perchè noi abbiamo «le manifatture» (se lo ripete un’altra volta, lo strozzo). Draghi dice che la liquidità della banche è «adeguata». Adeguata a che?

A ritiri in massa dei depositi, no certo. E’ tutta e solo musica dell’orchestrina sul ponte del Titanic; ci tiene allegri, ci distrae dall’inclinazione sempre più preoccupante del ponte.

Le solide banche europeee: la Deutsche esposta 52 volte il suo capitale, la UBS per 47, la ING per 48, Barclay’s Bank per 61,3 volte, il Credit Agricole 40 volte, Paribas per 36,1. Ciò significa che basta una flessione del 3% degli attivi per farle colare a picco. Se l’America è un Titanic, l’Europa è una flotta di titanici Titanic. Così grossi, che il loro affondamento trascinerà le nazioni che li ospitano. Fossero stati impediti di crescere così tanto,  arebbe stato facile salvarle.

Dove sono le leggi anti-monopolio? Chi le ha lasciate cresce così? Bisognerebbe chiedere a Draghi, a Trichet, ai Commissari europei competenti.- Ma no, andiamo a ballare; non sentite l’orchestrina che impazza? Allegria!

No, non ascoltate Vladimir Putin. Ha detto: «Ciò che sta accadendo nella sfera economica e finanziaria ha origine negli Stati Uniti. Non è l’irresponsabilità di singoli individui; è l’irresponsabilità del sistema che proclama la sua leadership».

Non si ascolti Putin, non è «democratico»; e poi di cosa si preoccupa, lui? L’economista ebreo-francese Jacques Sapir ha fatto un’auscultazione dell’economia russa, che recentemente ha avuto la sua batosta finanziaria.

Ed ecco la sua prognosi: «L’economia russa è certo la meglio piazzata per resistere alla tempesta finanziaria attuale. La crescita della Russia non dipende dai mercati finanziari internazionali. Il suo sistema bancario non è stato implicato nella speculazione sui derivati emessi dal mercato ipotecario americano. Anche se alcune banche russe hanno dovuto incassare perdite quando i loro corrispondenti sono falliti, non è nulla che possa essere paragonato alle perdite subite da UBS, dalle grandi banche USA e da certe banche europee. La situazione dell’economia russa è più sana  che nell’agosto 1998, ma anche più sana di quella di tanti Paesi europei. L’indebitamento delle famiglie è lieve, mentre supera il 100% del PIL in Grna Bretagna e in Spagna, e il 93% negli Stati Uniti. Le finanze pubbliche hanno un eccedente impressionante, che non sarà messo in questione nemmeno se il barile di petrolio dovesse scendere, temporaneamente, a 80 dollari. Quanto alla crescita, anche se quest’anno dovesse calare dall’8% al 7 %, resterebbe un sogno per la totalità dei dirigenti europei» (1).

Trichet, duro, ha mantenuto i tassi dell’euro al 4,25. Perchè i rischi d’inflazione, ha detto «sono diminuiti ma non scomparsi». Gli economisti inglesi sostengono che il vero pericolo ormai è la deflazione, ma Trichet sa di più. O vuole aiutare Paulson, a prezzo della competitività europea, chissà: Trichet non l’ha votato nessuno, è stato scelto per cooptazione massonica, non lo si può chiamare a rispondere di niente. E’ così che funziona da noi la «democrazia».

Nell’occasione, Trichet ha chiarito esplicitamente che la Banca Centrale Europea non farà mai un piano di salvataggio per le sue megabanche, come quello tentato da Paulson e Bernanke. Ciò «non corrisponde alla struttura politica dell’Europa», essa non ha «un bilancio federale». Dopo questa affermazione, l’euro è caduto rispetto al dollaro, al livello di un anno fa.  Meno male, in fondo.

Ma è chiaro che Trichet sta aspettando con gioia il momento pofetizzato dal giovane Padoa Schioppa, quando all’ombra di Delors lanciò la moneta unica: una crisi asimmetrica, con tali condizioni di disparità tra gli Stati europei, e tali disastri sociali, che i politici dovranno accorrere in ginocchio a consegnare agli eurocrati anche gli ultimi resti di sovranità nazionale, ed affidarla ai burocrati non-eletti.

Loro, poi, creeranno l’Europa «federale», con un bilancio federale e un Tesoro federale. Che non risponderà a nessuno, perchè nessuno elettore lo ha votato. E’ la «democrazia» compiuta. Stranamente, Jacques Sapir si rivolge pittosto al senso di responsabilità di Putin, il non-democratico.

«La Russia», dice al termine della sua analisi, «deve prendere coscienza delle sue responsabilità internazionali nel campo finanziario. La crisi dell’egemonia finanziaria americana resta una minacca per la stabilità economica globale,  finchè non sarà trovata una soluzione collettiva. La Russia da sola non può rispondere a questa domanda, ma non deve nemmeno disinteressarsene. Paese al crocevia di Europa ed Asia (adesso se ne ricordano, ndr), economia che contribuirà col suo dinamismo alla crescita europea, la Russia è ben posizionata per invitare gli altri grandi attori della scena finanziaria internazionale - la Cina e i Paesi europei in specie - a cooperare».

Una Bretton Woods convocata da Mosca? Ci sarà tempo e modo? Ci vuole tempo, per mettere d’accordo tanti politici «democratici». E il ponte del Titanic ormai è inclinato parecchio. Ma almeno questa non è la musica dell’orchestrina «democratica».




1) Jacques Sapir, «Tempete (financière) sur la Russie?», Riia Novosti, 29 settembre 2008.


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