>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
TUTTI |0-9 |A |B |C |D |E |F |G |H |I |J |K |L |M |N |O |P |Q |R |S |T |U |V |W |X |Y |Z

Archivio Articoli FREE

Quanta demokrazia possiamo pagarci?
Stampa
  Text size
Devo replicare ad un lettore, che commenta:

«Sciogliere le provincie? Si risparmierebbero solo 100 milioni di euro su oltre 800 miliardi di spesa pubblica».

Non so se il lettore sia un dipendente pubblico, ma questa è la mentalità tipica del ceto parassitario che non vuole alcun taglio ai privilegi e ai cosiddetti costi della politica. Tagliare gli emolumenti ai parlamentari!? Non sarà certo così che si risanano i conti pubblici, si risponde. Accorpare i Comuni sotto i mille abitanti? Ma 1.963 mini-comuni costano come 13 deputati... dunque non vale la pena (lo ha detto la presidentessa dell’Associazione Piccoli Comuni). Togliere i sussidi ai film De Sica-Boldi? No ai tagli alla cultura! E infine: tagliare le provincie? Che cosa volete che sia un risparmio di soli 100 milioni, su 800 miliardi di spesa pubblica...

Ma ovviamente, è con questa mentalità che le caste politico hanno accumulato gli 800 miliardi, più i 1.340 di debito pubblico. Cento milioni di euro qua, 40 là, 10 nella mensa dei senatori, centinaia in affitto di immobili per il Parlamento, 455 per il funzionamento della presidenza del Consiglio, 6.700 euro mensili ai consiglieri della Basilicata, stipendi per i 156 mila dipendenti della Regione Sicilia, miliardi per stabilizzare 66 mila precari della scuola... è davvero gratificante osservare la magnanimità con cui, coloro che i soldi dallo Stato li prendono, largheggiano con le tasse di coloro che i soldi, allo Stato, li danno.

Cento milioni sembrano una bazzecola, all’amico lettore. In quanto contribuente, a nome dei contribuenti, lo assicuro che noi ci contenteremmo se la Casta ci facesse risparmiare quei 100 milioni. Se la vedessimo adoperarsi per limare anche meno: centomila euro qui, 50 mila là, anche 10 mila risparmiati da un direttore di ASL ci farebbero contenti; ci basterebbero ad illuderci che trattano con rispetto e scrupolo il denaro che ci risucchiano dalle tasche, dalle tasche di gente che – nella sua quasi totalità – guadagna molto meno di loro, e per cui un aumento dell’ICI o del ticket sanitario rappresenta un sacrificio vero: eppure sono 20 euro di ticket; o mille euro l’anno di tasse locali in più; cosa volete che sia rispetto ai cento milioni che sembrano trascurabili al lettore.

Secondo calcoli approssimativi, sono almeno 1,3 milioni coloro che vivono di politica, ossia gli stipendiati dei vari strati di democrazia – Comuni, provincie, regioni, Stato centrale, ciascuno col suo parlamentino, col suo governuzzo, con il suo capo-governicchio regionale, comunale, provinciale. Una folla che divora il 12,6% del gettito IRPEF, un peso di 646 euro l’anno su ogni contribuente. E ciascun governicchio con una autonoma abilità di spendere denaro pubblico senza limiti nè reale controllo. E dietro a loro la sfilza dei dipendenti pubblici che, in un’Italia che non cresce, ha potuto far crescere i propri stipendi del 22% dal 2002, il triplo degli aumenti dei lavoratori privati.

Piacerebbe che ciascuno di costoro, lungi dal ritenere poco decisivi 100 milioni di risparmi, si preoccupasse invece di risparmiare anche i venti euro di siringhe, i trenta euro di carta A4 – come fanno ogni giorno i cittadini in difficoltà – nella consapevolezza che sono soldi altrui. Precisamente, di quei cittadini in difficoltà di cui, in teoria, sono al servizio. Ci piacerebbero spilorci nell’uso della benzina delle auto-blu e dei voli di Stato, perchè costantemente coscienti che i soldi che spendono loro, sono soldi sottratti ai 7 milioni di pensionati sotto il livello di povertà; soldi sottratti ai poveri e ai bisognosi.

Cento milioni sono un nulla? Pensi, caro lettore, che potrebbero andare a coprire cinque volte i debiti del consorzio Anni Verdi, che nella Regione Lazio assisteva egregiamente 1.200 giovani autistici e spastici gravi e le loro famiglie, il cui personale specializzato lavora da anni senza stipendio, e che a un certo punto ha dovuto rinunciare perchè la Regione Lazio non trova i miserabili 20 milioni di debiti che servono per appianare i debiti pregressi, pagare gli stipendi arretrati e rimettere in moto un servizio pubblico essenziale.

Nella regione Lombardia, Formigoni dice che, causa i tagli lineari di Tremonti, dovrà tagliare i servizi: ma questa regione-modello ha ben 25 ambasciate, uffici di rappresentanza, in 25 capitali estere. Se risparmiasse lì, forse potrebbe dare i servizi.

Non sarà un gran risparmio? Ebbene, noi contribuenti ci contenteremmo. Un milioncino di spesa in meno lì, 50 mila euro là, una briciola risparmiata in un modo, un bruscolino in un altro, e si mette insieme un bel risparmio significativo. Nelle famiglie, si fa così. Si va a comprare il detersivo al super-discount per risparmiare 0,50 euro, si usa la lavatrice di notte perchè l’elettricità costa meno. Vorremmo che tanta spilorceria contagiasse, per una volta, la Casta politica e il suo milione di sottopanza.

Sappiamo bene che la promessa di abolire le provincie piccole è solo una furbata alla Calderoli-Bunga Bunga, che mai e poi mai saranno tagliate; tutto il parassitismo locale è già sollevato in armi perchè non siano risparmiati quei miserabili 100 milioni annui; che poi sono molto di più, caro lettore. I 100 milioni (precisamente, 113) coprono solo gli emolumenti dei 4.258 presidenti, assessori e consiglieri provinciali, gli eletti della demokrazia locale, che risparmieremmo se le provincie fossero accorpate alle regioni; ma il costo dei rispettivi consigli e giunte ammonta ad oltre 455 milioni annui: anche questa, la spesa di demokrazia. Mezzo miliardo, già una bella cifretta, ammetterà il lettore.

Ma anche fosse solo un risparmio dei risibili 100 milioni (1), l’abolizione delle provincie deve comunque diventare un elemento centrale del programma – non dei politici, ma del programma di noi, dell’opinione pubblica – per un chiaro motivo di principio. Sarebbe la prima volta che si chiudono dei centri di spesa, anzichè crearne di nuovi, come la Casta ha sempre, incoercibilmente fatto fino ad oggi.

Sarebbe un precedente storico rivoluzionario, pari e superiore alla presa della Bastiglia nel 1789.; Si sa che nella Bastiglia erano detenuti solo sette delinquenti, per lo più per delitti sessuali; ma il popolo la vedeva come il simbolo dell’oppressione e dell’arbitrio regio. Parimenti, le provincie sono solo (solo!) 105 buchi in quel colabrodo che è diventato il settore pubblico; ci sono in esso ben altri e più grossi centri di spesa, ossia buchi da cui esce senza controllo il fiume di denaro di noi contribuenti. Il personale politico delle regioni, per esempio, rappresenta da solo il 44,2% del costo totale dei politici, mentre le provincie solo il 5% (2). Bisognerebbe dunque chiudere prima le regioni, ma non importa: bisogna cominciare da qualche parte, e le provincie sono un buon inizio. Cominciamo a tappare 105 buchi, sarà il precedente per cui un giorno si potrà chiedere di tappare gli altri.

Perchè le provincie sono praticamente sempre esistite, ma non hanno mai prima suscitato scandalo, per un motivo: erano organi tecnico-burocratici, che funzionavano con personale non eletto; di fatto, praticamente, a comandare erano i prefetti. La differenza è quando nelle provincie è entrata la demokratia. Allora ogni provincia ha avuto il suo parlamentino, il suo governicchio (la giunta), un suo governatoruzzo – tutti, essendo democratici, con la capacità di decidere autonomamente, con voto e con aum-aum fra complici, come spendere e quanto e perchè.

È per questo che la spesa è incontrollata. Il caso dell’ex governatore della provincia di Milano Penati, recentemente assurto alle cronache penali, è esemplare: Penati usò denaro pubblico per acquistare il 15% di una società autostradale, senza alcuna giustificazione e pagandola troppo;
Penati aveva un potere di concedere o negare autorizzazioni (edilizie o d’altro genere), e le concedeva in cambio di tangenti.

Ho sentito un euro-deputato leghista, Speroni, lamentare che abolire le provincie significa «un colpo alla democrazia». È appunto questo che vogliamo noi contribuenti: meno democrazia. Ne abbiamo già tanta, a strati sovrapposti come una torta di nozze: democrazia comunale, democrazia provinciale, democrazia regionale, democrazia statale. Uno strato in meno, non dovrebbe farci sentire la mancanza di democrazia. Ne abbiamo già a sufficienza.

La demokratizzazione delle provincie non è servita ad altro che a mettere nelle mani di politici di terz’ordine (quelli di second’ordine occupano le regioni) la fonte di spese, rendendola autonoma ossia insindacabile. E ancor più delle spese, si è trattato di mettere nelle mani di quei politici di terz’ordine tutta una serie di poteri di veto che ostacolano la libertà d’intrapresa e dei cittadini, al solo fine di prelevare delle tangenti. E ancora, la spesa dello Stato centrale è in qualche modo sotto l’occhio dell’opinione pubblica. Ma quel che avviene in regioni, provincie e grandi Comuni – specialmente nelle regioni, la cui spesa sanitaria è aumentata dal 50%, manco fossimo stati colpiti da una pandemia di peste – è indescrivibile: ed è la demokratia vigente a livello locale quella da cui nascono gli appalti gonfiati, le consulenze miliardarie, i contributi a fondo perduto, le malversazioni, e in più i veti e gli ostacoli posti alla libertà delle intraprese e dei cittadini, al solo scopo di prelevare tangenti. Il costo detto della intermediazione politica, è insomma il costo della demokratia. Anche un prefetto può essere disonesto o incapace, spendere male il denaro pubblico; ma se lo fa, non è protetto da nessun partito politico, e può essere licenziato senza che nessuno strilli alla violazione della demokrazia.

Sì, lo so. Ci sono almeno tre regioni dove la demokratia significa che comanda la criminalità organizzata, e la cui autonomia andrebbe abolita dallo Stato centrale, e sostituita con un governatore militare, un generale di corpo d’armata, magari anche straniero che governasse con la legge marziale, ossia con processi sommari e pubbliche impiccagioni dei ladri pubblici e loro complici colti sul fatto, poniamo, a bruciare cassonetti. So anche che i tempi non sono maturi, non spero di vedere una simile benefica riduzione della demokratia. Ma l’abolizione delle provincie è un inizio di un processo essenziale. Essenziale per restituire alla democrazia, quella vera, il suo vero senso e scopo: il governo dei cittadini, per conto dei cittadini e a favore dei cittadini. Con un uso scrupoloso e stretto del denaro che i cittadini versano.

Caro lettore, il costo delle provincie non è limitato ai 100 milioni che a lei sembrano poco decisivi, nè ai 455 che realmente pretende il suo funzionamento demokratico. Il vero costo, mai veramente calcolato, è negli ostacoli che questi organi intermedi pongono al funzionamento civile della società.

Le ricordo un caso, riferito anche da Report (LA VIA DEL MATTONE). Nel 2009, per una piena sul Po, crolla un ponte che univa Piacenza al Lodigiano. Su cui passavano ogni giorno 25 mila veicoli e 80 bus extra-urbani. La ricostruzione dovrebbe essere la cosa più semplice del mondo: rifare un ponte che già esisteva, là dove già esisteva, mica un progetto ex novo. Invece, l’ANAS non ci riesce. Perchè deve ottenere il nulla osta, il permesso, l’autorizzazione di ben 18 enti. Siccome il ponte univa Emilia e Lombardia, devono dare il loro assenso le due regioni; poi, i due Comuni di Lodi e di Piacenza, la provincia di Lodi e la provincia di Piacenza, il magistrato del Po, l’ente navigazione fluviale ARNI, l’Agenzia interregionale del Po, il Servizio Parchi dell’Emilia-Romagna (ha voluto accertarsi che il nuovo ponte non disturbi la nidificazione di certi uccelli); ma soprattutto, le quattro soprintendenze delle Belle Arti.

Quattro? Sì, proprio così. Due regionali, e due provinciali.

La due soprintendenze regionali di Lombardia ed Emilia hanno infine dato l’assenso alla ricostruzione. Ma si sono messe di traverso le soprintendenze provinciali di Lodi e Piacenza, a cui non è parso vero di giustificare la propria esistenza – dopo anni di noia – esercitando il proprio meschino potere di veto. Secondo loro il ponte crollato, un orribile coso di fine Ottocento, aveva un valore storico-artistico, in quanto era «uno dei primi manufatti in cemento». Incredibile ma vero. L’ANAS non ha potuto costruire un ponte di nuova concezione, in tensiostruttura; ha dovuto fare un’imitazione del vecchio ponte con le sue numerose arcate a mollo nel Po. Naturalmente, con costi sballati. Ma nel frattempo e le lungagini, da due anni decine di migliaia di abitanti, per recarsi da Lodi a Piacenza, invece dei normali 7 chilometri, ne hanno dovuti fare 52 per raggiungere un ponte funzionante, in autostrada; e intanto si è lanciato un ponte di barche da 6 milioni di euro.

Ecco come vanno le cose. Quattro soprintendenze per la ricostruzione di un ponte dell’ottocento, in un Paese strapieno di antichità eccelse e trascurate, che cadono a pezzi oppure sono a prender polvere nei sotterranei. Quattro soprintendenze, di cui le due regionali non hanno evidentemente alcun potere su quelle provinciali, che noi ingenui credevamo gerarchicamente soggette alle prime. Invece, la casta politica non ha previso nessun raccordo e nessun sovra-ordinamento; le une sono doppioni delle altre, in conflitto irrisolto di autorità, con un quadruplicato potere di autorizzare o negare, di vietare e ricattare.

Quanto costa questo tipo di funzionamento delle provincie, non saprei quantificare. Secondo valutazioni confindustriali, per le imprese il costo della burocrazia pubblica – quella che ha il potere di autorizzare o vietare, di dare o negare nullaosta, insomma di mettere bastoni tra le ruote – ammonta a 61 miliardi di euro. Se si riuscisse a ridurlo di un quarto questo costo inutile e dannoso, già si avrebbe un aumento del PIL dello 1,7%. Ecco il vero programma per la crescita.

Ma lo so, sto sognando. Appena si parla seriamente di tagliare qualche costo della politica, l’insieme della caste parassitarie e indampienti ha pronto il trucco per distrarre l’attenzione via da se. «Lotta allevasione! Che bisogno cè di tagliare la spesa pubblica? Esiste in Italia un tesoro nascosto, 120 miliardi, anzi 180, anzi 200 e passa... Ecco, è nascosto là! No, qua! Basta prenderlo, e siamo salvi!».

«Denunciate gli Evasori! Fate la spia! Chiedete la fattura, lo scontrino! Questi sono i veri colpevoli, i veri delinquenti, i veri ladri! Prendeteli!».

E tutti a cercare i ladri, o almeno – visto che non li troviamo – ad odiarli per spirito civico; tutti a cercare il tesoretto sepolto che ci sarà pure, ma che da 40 anni a questa parte non si trova, e se non si trova è colpa della casta che non sa trovarlo, mica nostra. Di solito, questa è una scusa a cui ricorre la Sinistra; oggi vi ha ricorso anche la destra cosiddetta di Berlusconi e di Calderoli, il che prova in modo definitivo che i parassiti sono parassiti, senza distinzione, trasversalmente. Sono un solo partito.

Anche il cardinal Bagnasco ha additato al pubblico odio e sospetto la figura dell’evasore, questo nemico pubblico introvabile. Faceva meglio a tacere, visto che la Conferenza Episcopale si è esentata dall’ICI in base a occulte trattative coi governi precedenti (come del resto sono esenti da imposte le mega-cooperative). O forse no, ha fatto bene, ha tentato di sviare l’attenzione dalla propria elusione.

«Quando anche gli Evasori pagheranno, noi tutti pagheremo meno tasse», ci dicono. E noi, ogni volta ci caschiamo. Eppure dovremmo ormai saperlo: ogni volta il fisco ci strizza, poniamo, 10 miliardi l’anno di maggiori introiti fiscali, eppure noi paghiamo sempre più tasse. Perchè la funzione pubblica, più soldi ci spreme, più ne spreca e spende.

Ve lo dice uno che non ha mai evaso una lira perchè è sempre stato un dipendente con prelievo alla fonte: l’evasione fiscale è la legittima difesa, vorrei poterla fare anch’io.




1
) Naturalmente, non sarebbero eliminabili i costi (2 miliardi e 343 milioni di euro) dei 61mila dipendenti delle provincie, illicenziabili, che sarebbero trasferiti alle Regioni. Ma col tempo e bloccando il turnover di questo personale di fatto ridondante, si otterrebbe un risparmio considerevole di questa voce. Si tenga presente che nel 2010 le provincie hanno speso 12 miliardi di euro. Ecco le singole voci, che non si vede perchè non debbano spettare alle Regioni: Mobilità, Viabilità, Trasporti: gestione trasporto pubblico extraurbano; gestione di circa 125 mila chilometri di strade nazionali extraurbane. Spesa complessiva 1 miliardo 532 milioni di euro.
- Servizi e infrastrutture per la tutela ambientale: difesa del suolo, prevenzione delle calamità, tutela delle risorse idriche ed energetiche; smaltimento dei rifiuti. Spesa complessiva 827 milioni di euro.
- Edilizia scolastica, funzionamento delle scuole e formazione professionale: gestione di oltre 5.000 edifici, quasi 120 mila classi e oltre 2 milioni e 500 mila allievi. Spesa complessiva 2 miliardi 306 milioni di euro. Sviluppo economico e Servizi per il mercato del lavoro: gestione dei servizi di collocamento attraverso 854 Centri per l’impiego (ormai del tutto obsoleti); sostegno all’imprenditoria, all’agricoltura, alla pesca; promozione delle energie alternative e delle fonti rinnovabili. Spesa complessiva 1 miliardo 159 milioni di euro.
- Promozione della cultura. Spesa complessiva 247 milioni di euro.
- Promozione del turismo e dello sport. Spesa complessiva 235 milioni di euro.
- Servizi sociali. Spesa complessiva 325 milioni di euro.
- Spese generali dell’amministrazione e spese di manutenzione del patrimonio (informatizzazione, patrimonio immobiliare, cancelleria, costi utenze telefoniche, elettricità, etc., etc.); spesa complessiva 749 milioni di euro.
(Le cosiddette) - Indennità degli amministratori, ossia gli emolumenti del personale politico provinciale, ammontano a 113 milioni di euro lordi. Le provincie spendono circa il 20 % (le più piccole anche il 60%) per il loro puro e semplice mantenimento, chiara misura di inefficienza. Ovviamente le province levano ed estraggono una serqua di balzelli, una non meglio identificata Imposta provinciale di trascrizione, una Addizionale sul consumo di energia elettrica, un’imposta sulle assicurazioni auto, un Tributo in discarica, un altro Tributo per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell’ambiente, eccetera, eccetera.
2) Se si deve credere ai dati ufficiali, il totale degli stipendi e degli emolumenti, riferito esclusivamente agli eletti nazionali e locali, è pari a euro 2.054.125.080. Il personale politico del Parlamento rappresenta il 20,3% del costo totale. Il personale politico delle regioni rappresenta il 44,2% del costo totale: è qui che si annidano i caso più scandalosi. Il personale politico dei Comuni rappresenta il 30% del costo totale. Il personale politico delle province rappresenta il 5,5% del costo totale (fonte: UPI, Unione provincie italiane).



L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.   


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità