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Gregorios III: «Voi, complici dell’orrore in Siria»
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«Ma quale rivoluzione, non c’è più rivoluzione, non ci sono più manifestazioni; c’è solo criminalità e il mondo intero rifiuta di riconoscerla». Davanti all’immane strage nel centro di Damasco, con oltre cinquantacinque morti e 400 straziati, fra cui bambini che andavano a scuola, Gregorios III – il patriarca greco-cattolico di rito melchita, la cui sede è Damasco – lancia il suo grido esasperato, e solitario.

Non è solo l’atrocità inaudita dell’eccidio, l’evidenza di una mano straniera (non è certo facile, di questi giorni, far arrivare mille chili di esplosivo nel centro della capitale), ma l’evidente malafede dei governi e dei media occidentali a disgustare l’alto prelato. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha «condannato il gesto», invitando «entrambe le parti» a rispettare il cessate il fuoco. Ovviamente le fonti dei cosiddetti ribelli e il regime si scambiano accuse: questo accusa «terroristi pagati dall’estero», secondo i primi è stato il regime a farsi da sè l’attentato, quando è evidente che il bersaglio era l’edificio di dieci piani dove ha sede una parte dell’intelligence militare. Il fatto disgustoso è che i media riportano equanimi le due versioni, come se avessero ugual peso. Persino la motivazione è chiara: una «strategia delle tensione» così feroce – un classico scopo dello stragismo – serve a dar motivo e scusa alle potenze occidentali ad intervenire, come già in Libia; e infatti, «sono pronto a chiedere l’intervento militare NATO», ha dichiarato prontamente il turco Erdogan al Corriere della Sera.

Il patriarca Gregorios quasi grida: «Nel Paese sono entrati elementi stranieri, ed hanno anche cominciato a colpire i cristiani; questi hanno dovuto abbandonare Homs a causa del pericolo»: Homs, la città «liberata», è sotto pulizia etnico-religiosa, nel silenzio dei media occidentali. «Quando vado in Francia, mi sento dire che io scuso il regime; ma io faccio presente solo la realtà», denuncia il patriarca: «I giornali sono stereotipati, riportano fonti uniche e non sono disposti ad ascoltare nessuno, nemmeno me»; non esita a parlare di una «dittatura della stampa al servizio degli Stati Uniti».

Ha raccontato del nipote di un vescovo, con sede a Dubai, che mentre si recava al lavoro un giorno ha sentito un tale che, al cellulare, raccontava di trovarsi in quel momento ad Homs, mentre le truppe del governo assalivano la città e massacravano donne e bambini (oh, come riconosco lo stile di tanti nostri inviati speciali e grandi firme! Ndr).

«C’è la volontà internazionale di nuocere alla Siria», ha detto Gregorios, non celando la sua insoddisfazione per l’atteggiamento del Vaticano. Il regime siriano non è senza macchia sul piano della legalità, ma «nessuna sanzione è mai stata elevata contro le colonie israeliane nei Territori Occupati, ancorché illegali». Quanto al suo giudizio sull’intervento delle forze armate siriane, Gregorios lo giudica persino «troppo lieve e tardivo» per sperare di mettere fine alle violenze ribelli. (Gregorios III: « une dictature de la presse sur la crise syrienne»)

Lo scandalo è dover trovare le parole del patriarca non nei grandi giornali, ma su qualche blog francese marginale. Certo nessuno dei grandi inviati che «trasmettono da Homs» hanno riportato delle camere di tortura allestite dai liberatori, munite di ganci da macellaio a cui appendere i corpi; e la scritta sul muro lordo di sangue: «La prigata libica Khaled Bin el-Walid è passata di qui».
Nessuno riporta di una famiglia intera sgozzata sotto gli occhi dei due figli più piccoli, bambini che hanno visto, nascosti in un mobile, lo sterminio dei loro genitori, delle persone scomparse, del terrore che suscitano le bande armate, praticando mutilazioni, stupri e violenze sui cadaveri. Persino alla periferia di Damasco, hanno attaccato ad un’auto un giovane e l’hanno trascinato fino a ridurlo a un brandello sanguinolento. Una ragazza apparsa in televisione, dove ha testimoniato che i «liberatori» ammazzano degli innocenti, è stata presa e impiccata.

Tutto questo è apparso alla TV siriana. Facile dire che è propaganda del regime; ma i nostri valorosi inviati a Damasco potrebbero controllare, e smascherare la menzogna. Preferiscono tacere, e ciò già li accusa.

Undici ricercatori scientifici son stati rapiti dai «ribelli» (la stessa campagna per stroncare gli esponenti della cultura è stata fatta a Baghdad, il che può indicare la mano che manovra i ribelli), e un medico assassinato. Il 27 aprile, un terrorista s’è fatto esplodere all’uscita dei fedeli dalla moschea nel quartiere Midane di Damasco: Al-Qaeda ha rivendicato l’attentato-strage (e nessuno che si degni di spiegare ai lettori occidentali che cos’è Al-Qaeda). Hanno attaccato con RPG la sede della Banca Centrale, assassinato candidati alle elezioni parlamentari: uno a Idleb, uno a Deraa. Fanno saltare abitazioni, edifici dell’amministrazione civile e dell’economia, incendiano officine e scuole, fanno esplodere oleodotti, stroncano i piloni dell’elettricità, saccheggiano ospedali. (Syrie: Le peuple syrien fait face à une guerre impérialiste)

Si chiedono almeno, le nostre grandi firme che dicono di essere sul posto, che senso ha questa distruzione massiccia e sistematica delle infrastrutture del povero Paese? Chiedono ai siriani il loro parere?

Il loro parere è questo: i mandanti che speravano di suscitare facilmente una «primavera siriana», che facesse fare agli Assad la fine dei Gheddafi, hanno dovuto constatare che il regime ha un sostegno popolare più vasto e profondo di quanto credessero; fallito dunque il primo assalto dei «ribelli», le loro bande armate criminali venute da fuori sfogano la loro rabbia contro la popolazione; e distruggono le infrastrutture per rendere più penosa la vita ai siriani che non si sono ribellati ad Assad. «In fondo, è lo stesso scopo che viene perseguito dalla sanzioni occidentali ed arabe», dice la gente. Già, guarda la coincidenza.



Il 28 aprile, l’esercito libanese ha bloccato una nave che portava 140 tonnellate di armamenti, provenienti dalla Libia e destinati ai gruppi ribelli siriani. La nave ha seguìto la sua rotta sotto gli occhi dell’UNIFIL, i Caschi Blu (sotto comando francese e italiano) stanziati nel Sud del Libano e di Israele, passando all’interno della zona sotto protezione occidentale e internazionale. Poco prima, ribelli su gommoni hanno attaccato un naviglio militare siriano – forse nel tentativo di penetrare di notte nell’area di Latakia, importante porto dove sono forze navali russe – e ci sono stati morti da entrambe le parti.

Tutto ciò configura gravi violazioni del «cessate il fuoco» imposto dall’ONU per dare al suo inviato, Kofi Annan, il tempo e modo di tentare una pacificazione. Ma perchè i nostri media non le denunciano? Perchè dicono che la colpa delle violazioni della tregua è, invariabilmente, rel regime siriano?

Ne hanno parlato le TV locali e Russia Today in inglese, ma i nostri inviati «da Homs» non hanno sentito. Forse erano a Dubai.



Già nel 2007, sul New Yorker, il giornalista Seymour Hershe (un vero e grande giornalista), descriveva il «cambio di direzione» dell’Amministrazione USA in questi termini: per destabilizzare l’Iran sciita e i suoi alleati (Hezbolla e Siria), Washington stava facendo alleanze con tutti gli estremisti sunniti sottomano: dai Fratelli Musulmani a terroristi curdi e iracheni, «Al Qaeda» (cosiddetta) e jihadisti libici, con l’aiuto attivo della monarchia saudita e di Israele. Insomma, il Dipartimento di Stato stava finanziando e dando appoggio logistico a quelli che – alla sua opinione pubblica – indicava come i «nemici» per eccellenza, i terroristi arabi che «ci odiano per la nostra libertà», gli autori dell’11 Settembre.

Per giunta, con piena coscienza che eccitare i sunniti contro le minoranze sciite avrebbe provocato genocidi e feroci pulizie etniche. Hersh citava «Robert Baer, uno sperimentato agente della CIA in Libano (che) mi ha detto: «Abbiamo preparato i sunniti arabi per un conflitto cataclismico, e avremo bisogno di qualcuno che protegga i cristiani in Libano. Una volta erano i francesi e gli Stati Uniti, ora saranno Nasrallah e gli sciiti...». Il che significava: abbandoniamo i cristiani al loro destino, perchè gli sciiti sono le nostre vittime designate. (The Redirection)

Robert S. Ford
  Robert S. Ford
Secondo Wayne Madsen (una delle nostre fonti più credibili) l’ambasciatore USA in Siria, Robert S. Ford, è l’uomo-chiave per il reclutamento di squadroni della morte arabi prendendoli dall’Afghanistan, Iraq, Yemen e Cecenia... Ford è stato attaché politico all’ambasciata di Baghdad dal 2004 al 2006 sotto l’ambasciatore John Negroponte, personaggio molto esperto nella creazione clandestina di «ribelli» armati. Si fece la mano in Salvador e in Honduras nel 1981-85, quando appunto formò e finanziò gruppi paramilitari conto il regime locale: i suoi metodi hanno addirittura ricevuto un marchio di fabbrica: «The Salvador Option». È l’Opzione Salvador che vediamo applicata in Siria.

Dal 2006 al 2008 Ford è stato ambasciatore in Algeria, il cui vecchio regime s’è opposto ai ribelli di Bengasi, e che oggi vede nel suo territorio una insorgenza di «Al-Qaeda». Wayne Madsen, citando proprie fonti, rende noto che il governo di transizione libico ha concesso agli USA di stabilire basi militari permanenti in Libia, anche a ridosso della frontiera algerina. L’Algeria ci fornisce gas a condizioni di favore, da quando Mattei e la sua ENI aiutarono i ribelli contro il dominio francese. Presto perderemo anche questa, come abbiamo perso la Libia? (U.S. Ambassador to Syria in charge of recruiting Arab/Muslim death squads)

In Kosovo, i campi di addestramento dei militanti islamici stranieri usati a suo tempo contro i serbi, vengono oggi riaperti per i ribelli siriani. Perché i nostri media non danno la notizia? (Kosovo Terror Training Camps Re-Open for Syrian Rebels)

Il patriarca Gregorios III grida, solo e inascoltato. E il Vaticano tace.



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