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Gaza: è Natale, e loro allagano il Lager
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Gaza è sott’acqua. Nell’inverno più freddo che abbia colpito il Medio Oriente (ha nevicato sulla Sfinge e sui milioni di profughi siriani semi-congelati nelle tende), il lager lasciato senza elettricità, senza carburante, senza materiali di costruzione dal blocco giudaico (ed egiziano). L’allagamento non è un fatto naturale. Per l’eccesso delle piogge un bacino idrico israeliano s’è riempito troppo, e gli israeliani hanno deciso di farlo sfogare nel lager Gaza, aprendo uno sbarramento a Wadi Sofa, ad est di Rafah. (Israel opens dam, flooding Gaza Strip with rainwater)

Interi quartieri sono stati resi inabitabili, cinquemila persone hanno trovato rifugio negli edifici pubblici, scuole, perché le loro case sono invase fino al ginocchio dal liquame – con tutti i miseri beni dentro; altri cinquemila, si ritiene, hanno trovato ospitalità da c onoscenti nelle zone risparmiate dall’inondazione. L’inondazione è un liquame fetente e putrido, dove pullulano solo i germi delle future infezioni, perché l’impianto del trattamento delle acque di fogna – che esiste – non funziona. Non funziona da mesi perché Israele non lascia passare il gasolio per il suo funzionamento. I quasi due milioni di prigionieri di Gaza stanno subendo un’accelerazione del genocidio a rate inflitto dallo Stato ebraico.

«Il 40% della popolazione riceve acqua potabile solo una volta ogni tre giorni», denuncia Richard Falk, ebreo e relatore dell’Onu sui diritti umani a Gaza, «la penuria di carburante e le interruzionbi di elettricità minano l’infrastruttura già fragile, e ostacolano gravemente la fornitura dei servizi di base, specialmente sanitari. Le interruzioni di elettricità negli ospedali, nelle unità di soccorso intensivo, ovviamente fanno morire i pazienti».

È imminente la catastrofe umanitaria, e Falk ha detto, «Israele ne è responsabile secondo il diritto internazionale; non facendo nulla per scongiurarla, esegue una punizione collettiva – vietata dalla Quarta Convenzione di Ginevra». Figuratevi la paura ell’Agnello Innocente. Ma almeno sia gloria a Falk che ha detto la verità. quella che tutti noialtri tacciamo – complici volontari del genocidio di questo nostro secolo. (Richard Falk met en garde contre une situation catastrophique à Gaza)

L’energia elettrica che Israele è tenuta a fornire a Gaza è stata ridotta a tre ore al giorno. I quasi due milioni di abitanti vivono dunque per 12-16 ore al giorno d’inverno senza luce né riscaldamento alcuno, in case dove tutto è inzuppato e freddo, materassi e coperte e abiti pesanti. Parecchie famiglie sono rimaste bloccate nella case con l’acqua gelida e fetida per giorni, senza cibo nè riscaldamento, per via dei pianterreni completamente allagati di acqua gelida e lurida; finché i pochi bulldozer disponibili e qualche barca, non le hanno recuperate.

«È un terribile squallore, e loro non hanno l’infrastruttura per affrontare l’inondazione», dice Fikr Shalltot, direttore del Medical Aid for Palestine (MAP). Non solo le abitazioni allagate, ma in tutti gli edifici di Gaza, dice il dottore, la pioggia è entrata dai tetti che perdono per mancanza di manutenzione, e che la gente non può aggiustare perché Israele non lascia passare materiali di costruzione, nemmeno un rotolo di carta catramata, un chilo di stucco o di cemento.

«Anche nel mio appartamento è tutto bagnato, e il generatore dell’edificio non funziona», dice Fikr, «le famiglie passano il tempo a spazzar fuori l’acqua e cercando di asciugare le loro case, i tappeti, i materassi...». Sabato scorso, un giovanotto di 22 anni è morto asfissiato dal fumo da lui stesso provocato: aveva acceso un fuoco in casa sperando di riscaldarla e asciugare le pareti stillanti. Altri sono morti per materiale caduto dagli edifici malandati e colpiti da piogge incessanti e di violenza inaudita. Un amico ha mandato un tweet al dottore del MAP, all’alba: «Dormire è letteralmente impossibile nel freddo di quest’inverno. Tutto è buio e bagnato attorno a me».

Le organizzazioni internazionali di soccorso si aspettano lo scoppio di qualche epidemia dall’acqua infetta. Già in condizioni normali sarebbe difficile riprendersi da un simile disastro; ma, come dice Chris Gunness dell’UNRWA, «una comunità che ha subito il più lungo embargo della storia, il cui sistema di sanità pubblica è stato distrutto, e il rischio di malattie è già presente, bisogna che queste restrizioni che sono opera dell’uomo siano tolte, per poter affrontare la calamità naturale».

Un appello al senso di umanità sionista? È una contraddizione in termini. Lo dice un giornalista americano dal nome inequivocabile – Max Blumenthal, onore a lui – che ha scritto un libro dove denuncia e documenta esattamente questo: la crudeltà volontaria, inumana, dello stato ebraico. Il libro si Chiama Goliath: Life and Loathing in Greater Israel e mostra (scrive Blumenthal nella prefazione) gli ebrei israeliani «come realmente sono, in forma disadorna e non igienizzata, senza sentimentalismi nénostalgia». «Golia: vitas ed odio nel grande Israele», è effettivamente un reportage d’inchiesta. Ovviamente, la lobby lo sta sopprimendo, vietando ogni segnalazione sui media in tutto l’Occidente.

Cosa riporta, il reporter Blumenthal? Per esempio il fatto che, durante l’operazione Piombo Fuso (fine 2008-inizio 2009) dei soldati israeliani hanno ammazzato un bambino di 8 anni, di nome Ibrahim Awajah, ed hanno utilizzato il suo cadaverino per addestrarsi ad uccidere. E non è un fatto isolato di crudeltà: Max documenta decine di atrocità nauseanti avvenuti nel contesto e fuori del contesto della guerra a Gaza, e completamente taciute fino ad oggi.

Come l’intervista al dottor Izeldin, un medico palestinese laureato ad Harvard, specialista nel trattare l’infertilità delle coppie sterili, al ricordo di quando l’armata israeliana ha decapitato, a Gaza, le sue due figlie sotto bombardamenti che hanno fatto a pezzi centinaia di bambini. Il fatto è che il dottor Izeldin è conosciutissimo in Israele dove ha il permesso di lavorare in ospedale per la sua competenza eccezionale, e dove ha aiutato tante coppie di ebrei ad avere figli. Eccetera eccetera.

Ad ogni pagina, Blumenthal dimostra, sulla base di fatti da lui vissuti sul campo, la brutalità di quello che si pretende «l’unica democrazia del Medio Oriente». Illustra la crudeltà deliberata dissimulata dietro una «falsa coscienza» psicotica, in cui il boia di proclama la vittima eterna, l’orrendo gigante Golia dice di essere Davide. Ovviamente, molto del libro riguarda Gaza, il luogo dove l’inaudita crudeltà giudaica si esercita voluttuosamente: un milione e 800 mila palestinesi, la metà bambini, chiusi da anni in un campo di concentramento a sterminio lento – le razioni alimentari che vi entrano controllate dai carcerieri perché vi si attui «la cura dimagrante» – spiato giorno e notte senza interruzione da droni, occasionalmente usati per ammazzare questo e quello nel campo, incenerendo «sospetti» e «resistenti» e tutti quelli che in quel momento hanno la disgrazia di essere vicini ai bersagli.

L’operazione Piombo Fuso fu un’accelerazione del genocidio col fosforo, che noi abbiamo dimenticato.

Immagini dimenticate



Blumenthal rievoca il giubilo abietto degli israeliani che si davano il cambio sulle colline di Sderot per osservare i bombardieri che bruciavano e incenerivano, i fuochi d’artificio delle bombe al fosforo, erompendo in grida di gioia quando i bersagli esplodevano. Grida di gioia per un crimine contro l’umanità perpetrato sotto gli occhi dell’Occidente, sotto i nostri occhi, e che noi abbiamo negato di vedere.

Blumenthal racconta episodi rivelatori della mentalità reale che si è radicata negli ebrei di Israele. Come quello di Anastasia Michaeli, deputata del partito Israel Beitenu (estrema destra). Trovandosi in una commissione incaricata di rappresentare Israele in qualche cerimonia che sarebbe stata diffusa in Eurovisione, la Michaeli ha scartato un individuo ebreo perché, con i suoi capelli crespi e l’aria semitica, ha spiegato, , «sembra un arabo... ho una visione sionista, io». Insomma, il «tipo» fisico israeliano che questa sionista e il suo partito hanno in mente per esporlo in vetrina, coincide col biondo ed alto Ariano, lo stesso «tipo antropologico» del Nazismo. Guarda che coincidenza.

Per documentare che l’identificazione di Israele con l’ideologia nazista non è affatto una forzatura, Blumenthal cita ampiamente un filosofo ebreo stabilitosi in Palestina negli anni ’30, il professor Yeshayahu Leibowitz, che previde esattamente che quello che sarebbe diventata la «Grande Israele» dopo la vittoria dei Sei Giorni nel 1967:

«Gli arabi diverranno i lavoratori e gli ebrei saranno gli amministratori, ispettori, responsabili, poliziotti specialmente della polizia segreta. In uno stato che dirigerà 2 milioni di stranieri ostili la polizia segreta diverrà un obbligo, con tutto ciò che questo comporta in libertà di pensiero e d’espressione, di educazione, di istituzioni democratiche. La corruzione morale che prevale in ogni regime coloniale dominerà anche lo stato d’Israele. L’amministrazione dovrà sopprimere l’insurrezione araba da una parte, e dall’altra cooptare dei collaboratori arabi. L’armata israeliana, da armata del popolo, degenererà in esercito d’occupazione, e i suoi comandanti saranno dei governatori militari» come il Sudafrica dell’apartheid, avvertiva Leibowitz: «“Allora lo stato d’Israele non meriterà più di esistere né di essere preservato”».

Leibowitz scrisse queste righe avendo saputo che una donna palestinese, militante di un’organizzazione per la liberazione della Palestina, era stata arrestata e ammanettata mentre partoriva dai poliziotti israeliani: «Giudeo-Nazisti», li definì. È ancor peggio di così, oggi i sionisti non «amministrano» la razza inferiore, la stanno sterminando con mezzi come l’allagamento in inverno del Lager Gaza.

Blumenthal non esita a ripetere che, se esiste un regime nazista nel nostro tempo, è Israele: col suo «violento ed inumano meccanismo di engineering demografico, gli espropri senza fine, i muri... io rigetto la visione di Israele – dichiarata esplicitamente da Ehu Barak – come «una villa europea in mezzo alla giungla».

Ma quale democrazia, grida il giornalista: una democrazia con un vasto sistema di prigioni e carceri di «detenzione amministrativa» dove la razza superiore ammassa migliaia di palestinesi senza accusa formale (né dunque difesa legale), su base razziale; dove agli assediati di Gaza si fa passare cibo esattamente calcolato come appena sufficiente perché i prigionieri non muoiano di fame in massa, senza contare enormi campi di concentramento recentemente aperti per detenerci i rifugiati dall’Africa Nera che fuggono la fame e le guerre perché altrimenti alterano «il carattere ebraico» dello stato con il loro sangue impuro.

Una democrazia? Un regime di segregazione, sostenuto con entusiasmo odioso dalla maggioranza della popolazione ebraica, con città e strade riservate «ai soli ebrei» e centinaia di migliaia di palestinesi murati dietro e sotto la grande muraglia-ghetto di cui lo stato ebraico s’è circondato, muro elevato su terreni rubati ai palestinesi, ai quali viene vietata la libera circolazione, la costruzione o l’ampliamento delle loro abitazioni; quando tali abitazioni non vengono brutalmente e sbrigativamente demolite – come accade ogni giorno – nella quotidiana pulizia etnica dei beduini, per far posto alle cittadine «riservate ai soli giudei».

Con la paradossale aggiunta (che i nazisti non conobbero) dell’usurpazione di un’identità «semitica» da parte di gente che all’80% ha discendenti euro-orientali, di cui si servono per pretendere un diritto mitico e «religioso» al suolo che stanno rubando a semiti veri, e per spandere dovunque il terrorismo intellettuale ( e fisico) contro chi smaschera i loro atti criminali collettivamente commessi, e collettivamente approvati. Blumenthal documenta (e denuncia) il conformismo totalitario con cui gli ebrei sionisti si rendono disponibili a spandere, dovunque si rechino all’estero, la propaganda sionista, basata sul patriottismo razziale e il militarismo di cui nascondono la deliberata crudeltà – «complici volonterosi» del Reich giudaico.

Costoro stanno sentendo che la finzione si sgretola; proprio per questo accelerano il genocidio, non da ultimo aprendo gli sbarramenti per inondare Gaza nel gelido inverno, arrestando bambini palestinesi di 13 anni, premendo per il bombardamento dell’Iran. Sanno di avere poco tempo.

I nostri media tacciono, ma il boicottaggio silenzioso contro questa atrocità si amplia negli gli ambienti accademici occidentali, dove scienziati ed uomini di cultura sono ben consci della natura patologica e malvagia dello Stato ebraico, e rifiutano di invitare scienziati ebrei nei loro convegni, o partecipare a seminari scientifici israeliani.

Da pochi giorni l’American Studies Association, la più grossa ed antica associazione interdisciplinare americana, ha votato – in un congresso di 1252 partecipanti, il più grande mai tenuto – la sua partecipazione al boicottaggio. Persino molte ditte e organizzazioni studentesche aderiscono al boicottaggio. http://www.theasa.net/

Lo Stato ebraico teme moltissimo questo boicottaggio scientifico, e cerca in ogni modo di sopprimerlo e reprimerlo. Al punto che l’ex ambasciatore di Israele in Usa, Michael Oren, ha ordinato al governo americano di «imporre severe penalità, come la negazione di finanziamenti federali» a gli enti, università e centri di ricerca, che partecipano al boicottaggio. (Former Israeli ambassador calls for legislation to impose ‘penalties’ on promoters of academic boycott)

E invece, che cosa ha fatto l’Europa di Bruxelles?

Horizon 2020: EU per Sion


Antefatto: la UE ha lanciato il più grande programma scientifico europeo per la promozione dell’innovazione tecnologica. Si chiama «Horizon 2020», è un gigantesco investimento, senza precedenti in Eurolandia, 80 miliardi di euro in sette anni, di cui 15 nei prossimi due, per finanziare imprese e laboratori che fanno ricerche promettenti: un progetto da cui pioveranno scoperte, segreti industriali lucrosi, con ricadute di brevetti e miliardi in profitti. Ebbene: l’eurocrazia ha fatto partecipare Israele al ghiotto affare. Israele riceverà per le ricerche dei suoi laboratori almeno 6-7 miliardi di euro (insomma noi contribuenti paghiamo le ricerche dello stato criminale razzista),e potrà ovviamente non più spiare, ma apertamente osservare i dati della ricerca altrui, che sono ovviamente «aperti», ed approfittar ne in ogni modo.

Dunque, l’eurocrazia si muove in direzione opposta alla comunità scientifica più cosciente, e fa’ un’operazione di contrasto diretto al boicottaggio morale messo in atto dalla parte migliore dell’Occidente.

Ma non basta: occorre raccontare che la UE, per soccorrere Sion, si è rimangiata i suoi stessi «princìpi».

Bruxelles infatti ha stilato dei «principii» (guidelines) in base ai quali «possono beneficiare di sovvenzioni, premi, prestiti agevolati e garanzie finanziarie le istituzioni (ebraiche) solo se hanno sede in Israele nelle sue frontiere del 1967. (Une directive explosive de l’UE provoque un “tremblement de terre” diplomatique pour Israël)

Ma evidentemente Israele ha sparso troppi laboratori e aziende ebraiche nelle terre rubate, i Territori Occupati, Gerusalemme Est e il Golan; subito ha cominciato ad attivare la lobby in Europa, mentre moltiplicava arroganti ed assurde minacce. Per esempio, il ministero Difesa, Moshe Ya’alon, ad agosto, per rappresaglia, ha ordinato alle forze armate di cessare ogni cooperazione con i progetti dell’Unione europea in corso in Cisgiordania: cooperazione che non esiste, e che si limita a non vietare le opere di ricostruzione umanitaria che l’Europa paga coi soldi suoi (nostri). In pratica, l’ordine di Ya’alon ha reso impossibili le operazioni benefiche. Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri, ha ingiunto a Netanyahu di non firmare l’accordo Horizon alle condizioni europee - come se fossero loro a farci un favore - perché sarebbe equivalso a riconoscere per iscritto che i Territori non fanno parte di Israele (infatti, lì dovrebbe nascere lo staterello palestinese improbabile e futuro).

Ma naturalmente, il governo non aveva alcuna intenzione di rinunciare alla pioggia di milioni regalati dall’Europa e alle possibilità spionaggio «legale», di lucrare know-how e accaparrarsi idee avendo le porte aperte in questo programma che intende fondare la competitività globale europea. Né gli eurocrati hanno mai voluto veramente lasciar fuori Israele – il solo stato non europeo che hanno invitato a parte intera ad approfittare di Horizon. Così sono cominciate trattative semi-segrete, guidate dalla ben nota britannica Ashton da parte europea, e da Tzipi Livni da parte giudaica.

La trattativa è consistita nel trovare un fraseggio (wording), ossia le formule verbali da inserire nel documento d’intesa, che consenta alla Ue di violare i suoi cosiddetti «principii» fingendo di non ripudiarli. Nonostante la buona volontà delle due madame, non dev’essere stato facile, perché alla fine le due parti si sono «trovate d’accordo nel disaccordo», come riportano i media di lorsignori: in pratica, tutto pare risolto con una appendice che la Ashton attaccherà all’accordo e varrà per l’Europa, mentre la Livni attaccherà un’appendice ebraica all’appendice europide, dicendo che non è d’accordo con le clausole della suddetta appendice. (Horizon 2020 crisis || Israel and EU compromise on terms of joint initiative, following rift over settlement funding ban)

Che dire? Solo questo: se la Ashton avessero usato la stessa flessibilità e pregiudiziale benevolenza verso l’Ucraina, oggi Kiev sarebbe associata alla UE. Se Barroso e Rehn e Merkel avessero usato un decimo della stessa compiacenza e simpatia per la Grecia, il paese sarebbe salvo. Invece siamo felicemente condividendo le nostre ricerche dei nostri cervelli europei, con lo stato razzista criminale che sta accelerando il genocidio a Gaza.

E l’organo del nazi-sionismo, Jerusalem Post, giustamente esulta: l’Europa ci paga la ricerca-sviluppo! (A promising future for Israeli science)

Hollande reagisce...

Per fortuna il presidente Hollande ha preso una decisione al riguardo. Ricevendo gli esponenti del CRIF (Conseil représentatif des Juifs de France) , egli ha promesso di prendere misure punitive legali contro «gli umoristi antisemtiti patentati» che minacciano l’Agnello innocente. Lotterà, ha detto, «contro il sarcasmo di quelli che si pretendono umoristi e sono solo antisemiti patentati» – palese allusione a Dieudonné e alla sue «quenelle» – ma anche di sgominare le forze oscure della Rete che «nella tranquillità dell’anonimato dicono cose innominabili».

«Farla finita con Dieudonné», incita il Nouvel Observateur (ovviamente organo J) commentando la decisione di Hollande, e invitandolo ad estendere il giro di vite – letteralmente – «a Marine Le Pen , ad Alain Soral, ai simpatizzanti della Manifestazione per tutti (il milione di francesi che hanno manifestato contro la legalizzaizone delle nozze gay, ndr.) Beatrice Bourges e le Printemps Francais (organizzazine di protesta)», nonché tutti quelli che «effettuano la quenelle, la giustificano, la difendono, rifiutano di condannarla....in un piano oggettivamente antisemita». (Hollande défie les humoristes "antisémites patentés": peut-il en finir avec Dieudonné?)

Fare il gesto dell’ombrello in Francia è «oggettivamente antisemita», e sarà presto represso. È la democrazia noachica che avanza, con le sue libertà. La libertà di pensiero, di opinione, di associazione politica, sono «oggettivamente antisemite»; la libertà omosessuale, quella è approvata.

Presto, una quenelle finché siamo in tempo. Potrebbe essere l’ultima.




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