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Dal Messico, l’esempio dei Los Libres
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È accaduto il 6 gennaio scorso in Messico, nella cittadina Ayulta de los Libres, Stato di Guerrero, luogo di violenze ed angherie senza fine. Il sequestro di un piccolo esponente della comunità locale è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso: ottocento abitanti si sono armati di fucili da caccia e machete, hanno indossato passamontagna e organizzato posti di blocco, procedendo all’arresto di quaranta delinquenti. Una sfida inaudita contro la criminalità pericolosissima che spadroneggia da decenni arricchita dal narcotraffico, anni di umiliazioni e angherie subite, di paura e di rassegnazione, e di inadempienza dello Stato e inattività (o corruzione, o complicità) delle cosiddette forze dell’ordine, buone a taglieggiare gli onesti e pacifici, ma non i delinquenti.

Il fatto è che l’esempio è stato immediatamente seguito da altri comuni: 68 municipi in 13 Stati messicani si sono dotati di milizie civiche di auto-protezione. Per di più, nei dintorni di Ayulta de los Libres, una ventina di questi gruppi s’è confederata in una più ampia formazione coordinata, lo UPOEG – Uniòn de Pueblos Organizaciones del Estado de Guerrero – e l’autodifesa ha presto assunto un aspetto insurrezionale.

Il 28 marzo la UPOEG di Tierra Colorada, cittadina posta sulla principale camionabile che unisce Acapulco (da cui dista 60 chilometri) a Città del Messico, ha cominciato ad arrestare i dipendenti pubblici della città. La milizia, forte di 1500 cittadini armati, hanno rapidamente creato posti di blocco, fermando le auto in arrivo e partenza, e financo perquisito case private alla ricerca di delinquenti già ben noti alla cittadinanza. Sono seguiti gli arresti dell’ex sindaco, del capo della polizia locale, e di dodici poliziotti e funzionari. Accusati dalla cittadinanza di omicidio e complicità coni criminali. «Abbiamo assediato il municipio perché lì i malfattori operano in piena impunità alla luce del sole, sotto gli occhi delle cosiddette autorità», ha spiegato ai giornalisti un portavoce della milizia, Bruno Placido Valerio.

Lo UPOEG di Tierra Colorada è nato come pacifico movimento di protesta contro l’enorme rincaro delle bollette elettriche, pretese dal monopolio di Stato locale. Ma il 28 marzo il loro capo-protesta, Guadalupe Quinones Carabal, anni 28, è stato ammazzato da un poliziotto – su mandato, secondo loro, della feroce mafia locale, hanno di fatto preso il governo nelle loro mani. Opponendosi insieme all’orribile cartello criminale che commette assassinii, rapine, angherie ed abusi ai cittadini, e alle «autorità pubbliche» colluse, che invece di proteggere i cittadini partecipano al taglieggiamento. È la risposta di una cittadinanza alla disgregazione di tutti i poteri pubblici nella palude della corruzione e della inadempienza ai doveri primari, la protezione dei cittadini, e il loro disarmo – collusione – davanti ai cartelli della droga.

Nel villaggio di El Mezòn, 53 delinquenti arrestati dai blocchi stradali dei cittadini sono stati sottoposti a processo popolare; trovati colpevoli, l’UPOEG locale conta di adibirli a lavori forzati in catene, come manutenzione di strade e ponti lasciati dalle pubbliche autorità in condizioni di degrado. (Taking the Law Into Their Own Hands)

Naturalmente il mondo politico della capitale strilla che a Guerrero è in corso «una rivolta», che non si tollererà «l’insurrezione», e che lo UPOEG è un esercito di guerriglieri: non senza motivo, dato che lo stato di Guerrero è celebre per la sollevazione sanguinosa contro il corrotto dittatore Santa Ana (1854) e numerose successive insurrezioni per tutto il xx secolo, insomma una lunga pratica di associazioni civiche in armi. (Estado de Guerrero)

Stavolta però, nota Justin Raimondo (di Antiwar.com) cui devo la notizia, c’è una differenza fondamentale: «Invece di cercar di rovesciare il governo centrale, gli attivisti dello UPOEG lo stanno scavalcando, assumendosi in proprio la tenuta dell’ordine, o di un certo ordine, nelle comunità locali. È naturale che i politici considerino questa una minaccia» ...ancor peggiore della rivoluzione: sarebbe infatti la prova definitiva della loro inutilità, e dunque della mancanza dei motivi per le loro carriere e i loro costi, e per le tassazioni che impongono per i loro «servizi pubblici», ormai inesistenti. I famosi «costi della democrazia», i ben noti costi della politica.

Qualcosa che ci riguarda anche qui. Non voglio dire che quelli di Guerrero, i cittadini di Los Libres (che nomi evocativi!) siano sic et simpliciter un modello applicabile a noi italiani. Ma ci ricorda ed ammonisce qualcosa della politica e dei diritti civili, che abbiamo dimenticato: che essi vanno difesi col coraggio personale, persino fisico, e la capacità elementare di unirsi fra «vicini» per conquistarli. O riconquistarli.

Per i greci antichi, «libertà» aveva un senso esclusivo di libertà politica, consisteva nel partecipare alla vita pubblica, e aveva come presupposto la disposizione a difenderne le mura a prezzo della vita – ed era chiarissimo perché: se vinceva il nemico, ci vendeva come schiavi, noi, le nostre mogli e i nostri figli. Oggi, chiamiamo «libertà» i diritti individuali, anche i più balzani e privati (le nozze gay, i trapianti d’organo pagati dalla sanità). Le «libertà» nuove che crediamo di conquistare, ci vengono invece concesse largamente e volentieri da quegli stessi centri di potere che ci tolgono le libertà primarie, politiche e sociali, che davamo per acquisite: dal lavoro alla sanità pubblica alla scuola, tutto questo viene abbandonato, peggiorato dai governanti e «privatizzato», onde gli interessi capitalistici parassitari possano fornirci a pagamento gli stessi servizi. Siamo un popolo «pacifico». La nostra italiana passività verso la corruzione pubblica e il pubblico spreco, invitano da gran tempo i parassiti pubblici a depredarci sempre più: della ricchezza che «noi» produciamo e loro no, attraverso una tassazione inaudita, e di tutto ciò a cui credevamo di «aver diritto»: non parla chiaro, la più bella Costituzione del mondo?

Questi sfruttano, marciscono e si pagano la loro inutilità coi soldi nostri, ci tradiscono, ci consegnano a poteri che noi non abbiamo scelto, nè eletto nè conosciuto: l’Europa, la NATO, l’ONU, il WTO. Votiamo contro di loro, e non se ne vanno; stanno lì con ogni trucco. Dovevamo ribellarci già negli anni ’90 quando – come popolo – votammo nei referendum per il maggioritario, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, la responsabilità dei magistrati. Loro hanno rovesciato, con le loro «leggi», la volontà che noi come popolo avevamo espresso così limpidamente, e così legittimamente, col metodo previsto dalla Costituzione che è il referendum. Dal momento che non siamo insorti allora, i «politici» e i «pubblici parassiti» hanno preso coraggio e perso ogni ritegno, ed hanno arraffato ogni volta di più, abbandonato un po’ di più dei loro doveri, si sono aumentati sempre più gli stipendi senza corrispettivo nella loro utilità.

E non se ne vanno. Votiamo un movimento «nuovo», e non basta. Arriva il momento in cui per cacciare questi succhiasangue si devono prendere le armi, esporsi ai criminali mafiosi ben armati e senza scrupoli e a quelli pubblici che hanno in mano la forza preponderante dello stato, rischiare la propria vita insieme ai vicini parimenti sfruttati – l’esempio di Los Libres. Altra via non c’è.

La «libertà politica» è frutto del coraggio, posa in ultima analisi sul coraggio. Bisogna tornare al grado zero del «mestiere del cittadino», perchè il pericolo è estremo.

Non è solo che il capitalismo terminale sta minacciando la nostra stessa umanità, tutta e in ciascuno di noi. La verità è che esso non ha più bisogno della maggior parte di noi. A far funzionare «con efficienza» l’economia che tale capitalismo prefigura basta il 20% ; l’80% è superfluo.

Quando le centrali oligarchiche (eurocrazie, globalisti e varie bancocrazie) declamano «la fine dello stato-nazione», ciò che proclamano è la fine dello Stato che doveva educarci in massa come produttori-lavoratori, darci un carattere e dirittura morale in quanto soldati, curare la nostra salute, e proteggere le donne come fattrici di figli (1). Scuole, università, centri di ricerca pubblici, promozione delle menti migliori, caratteri alti posti come modello, esaltazione del sacrificio per la nazione, tutto questo «non serve più» al capitale, e costa troppo.

Quindi niente più scuole gratis, nè ospedali, nè trasporti pubblici a basso costo, nè «solidarietà sociale» pagata con le imposte: ciascuno per sè, ciascuno arraffi il suo paracadute d’oro, se può e il papà ricco gli consente di stare nei piani alti dell’eccellenza; altrimenti vada a passare le domeniche negli shoopping centers a fare i consumatori di cose dozzinali, con l’iPhone all’orecchio, pagato con mini-job da 400 euro mensili (la Germania, come sempre, s’è portata avanti) in un immenso precariato permanente, senza cultura nè istruzione, senza qualifiche e senza rispetto di sè.

È questa la nuova condizione sociale che ci preparano.

Prendo qui di peso dal libro di Roberto Renzetti «La fine della scuola, la società 20:80»,

«Al Fairmont Hotel di San Francisco, nel settembre 1995, si riunirono 500 persone, l’élite del mondo, il braintrust globale (Bush senior, Margaret Thatcher, G. Schultz, T. Turner, G. Rifkin, D. Packard, John Gage, Zbigniew Brzezinski, ...), sotto l’egida della Fondazione Gorbaciov, per “decidere delle prospettive del mondo nel nuovo millennio che porta ad una nuova civiltà”.
Tutti furono d’accordo nel prefigurare un modello di società in cui solo il 20% dei cittadini del mondo sarebbero stati necessari per mandarlo avanti. Il rimanente 80% sarebbe stata da considerarsi massa eccedente
(...)
La scuola così come è, tutti concordano, costa troppo ed è una spesa superflua per i fini che si vogliono conseguire. Occorre pensare una scuola che costi molto meno e che prepari dei cittadini a livello di buoni consumatori in questa società tecnologica. Intanto occorre iniziare a colpevolizzare questa massa: non si lavora abbastanza, si guadagna troppo, la produttività è bassa, le pensioni vengono erogate troppo presto, sono troppo elevate, si è malati per troppo tempo, troppo assenteismo, la maternità, viviamo al di sopra delle nostre possibilità…
Si prospettavano riforme selvagge ben anticipate da John Gage, dirigente di Sun Microsystem, «assumiamo i nostri operai con il computer, lavorano con il computer e li cacciamo con il computer!” e, naturalmente, progettando una società senza classe media, ci si poneva il problema di come farla accettare alla massa eccedente.
(...)
Fu Zbigniew Brzezinski che fornì una prima soluzione: tittytainment, una parola coniata a proposito che sta per tits = tetta (nel senso di dispensatrice di latte) e entertainment = gioco, il panem et circenses della Roma imperiale». (La fine della scuola: La società 20:80)


E Tittytainment abbiamo, 24 ore su 24: basta accendere la tv, o «viaggiare» sul web più frequentato. Tette, porno, ed «informazione d’intrattenimento», intese ad assopirci (tutto va bene, l’Europa ci protegge, la Nato ci difende, l’Onu ci garantisce i diritti umani...) e come prodromo di quel che davvero conta: i «consigli degli acquisti». Siamo schiavi, e paghiamo le tasse per la nostra schiavitù. Non avremo scuole, nè polizia, nè sanità se – individualmente – non siamo tanto ricchi da pagarcele.

È in questo senso che le milizie cittadine di Los Libres, Guerrero, hanno qualcosa da insegnarci. O sono il nostro futuro?




1
) Copio da Miguel Martinez, perché non potrei dirlo meglio: «..il collasso dello Stato-Nazione, mi sembra il dato più evidente di tutti (...) :. La conseguenza inevitabile, che stiamo vivendo tutti ormai da diversi decenni, è il tracollo lento ma sistematico del sistema Stato, che si riduce sempre di più ad alcune funzioni poliziesche (...) Ma è un fenomeno che viviamo tutti, e - ripeto - non solo in Italia: succede tanto nella piccola città degli Stati Uniti che non può più asfaltare le strade, come nel Comune di Firenze che non ha più i mezzi per gestire il verde pubblico, come nel comune inglese che chiude gli uffici di pianificazione urbana: non a caso, cito esempi periferici, perché il crollo avviene dalla periferia verso il centro. (...) Nel caso della scuola in particolare, si sovrappone il passaggio da un sistema di informazione in qualche modo controllabile dal centro, costruito con un processo di lenta accumulazione tipico del sistema scolastico, a un flusso simultaneo di immagini. (...) viviamo nel punto di convergenza di varie linee gigantesche di crisi: inquinamento, demografia, esaurimento delle risorse, complessità tecno-informatica, crescente inutilità del lavoro umano, necessità di espansione del sistema per sopravvivere, inevitabile gigantismo finanziario, ad esempio. (...) Dobbiamo capire che non basta appellarci alla Costituzione o alla legalità per avere una società migliore: siamo sull’orlo dell'abisso, con i tirannosauri alle spalle, e dobbiamo pensare soprattutto in termini di paracaduti».




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