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Euroservi verso gli USA, e di nascosto a Mosca...
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C’è un lato sempre più comico e tragico nei leader europei che hanno obbedito a Washington, comminando le dannosissime sanzioni alla Russia e facendosela nemica. Ricordiamo: la Bulgaria ha decretato l’azzeramento del gasdotto South Stream vietandone il passaggio sul suo territorio. Con una perdita per le casse statali stimata fra i 400 e i 600 milioni di euro per mancati diritti di transito. Il premier bulgaro Boyko Borisov – come gli ha consigliato Vladimir Putin – ha chiesto compensazioni a Bruxelles.

«Me l’ha fatto fare la UE!»

Il 3 dicembre, la portavoce della Commissione Europea, Anna-Kaisa Itkonen (un’altra baltica: comandano loro) ha risposto ufficialmente: «Non c’è fondamento legale per una compensazione», aggiungendo questa motivazione: «La Bulgaria è un Paese sovrano, prende da sé le decisioni su ciò che ritiene meglio per i suoi cittadini».

Impagabile risposta: di colpo la UE si inchina alla «sovranità» di uno Stato membro, quando deve evitare di pagare i danni. Ma a questo punto al Primo Ministro Borisov è davvero saltata la mosca al naso — irritazione probabilmente aumentata dal constatare che a guadagnarci sarà la Turchia, visto che non è membro della UE ed ha fatto lucrosi contratti, strappando a Putin grosse tariffe di transito. Invece di tacere, Borisov ha diramato alle agenzie un comunicato che dice: «La Bulgaria Paese sovrano?! La Bulgaria ha delegato tutti i diritti alla Commissione Europea sul progetto South Stream! Questo è un fatto, e adesso voglio che la Commissione risponda con un ‘sì’ o con un ‘no’ su questo argomento, perché Putin su una cosa ha ragione, oltre al ‘sì’ c’è anche il ‘no’, ma deve essere detto a tempo, con chiarezza».



Borisov ha ricordato che la Commissione Europea ha obbligato tutti i sei Paesi interessati al South Stream a negoziare «attraverso la Commissione» stessa: «Vi rendete conto che ero io ad esser preso di mira, non Orban (1) o qualcun altro? Ricordo a tutti che noi abbiamo firmato, che il nostro Parlamento ha ratificato un contratto e procedure che – l’abbiamo avvertito ripetutamente – avrebbero condotto a penalità. Oggi stesso voglio chiarimenti dai colleghi Tusk (il neocon polacco, ndr) e Schultz (il kapò della maggioranza europoide, ndr) se è considerata diversificazione il fatto che il gas passi o no dalla Turchia. E infine, ma non meno grave, danneggia la Bulgaria il fatto che sia circondata dalla pipeline Nabucco se ci fosse il Nabucco adesso non ci sarebbe alcun problema».

Non tutto è chiaro nelle frasi del Borisov, che fanno riferimento a clausole del contratto con Gazprom; è chiaro però che questo personaggio – molto filo-occidentale e filo-americano – è fuori dalla grazia di Dio. E se vuole, ha le carte per trascinare in giudizio la UE. Ha i documenti che provano che ha obbedito ai Commissari. Tutto è stato raccontato da un documentato e gongolante articolo del Wall Street Journal datato 3 giugno 2014: «EU Tells Bulgaria to Stop Work on Gazprom's South Stream Project», diceva il titolo, ossia: «La UE dice alla Bulgaria di fermare i lavori per il South Stream».

Il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, il cittadino del paradiso fiscale europoide, è volato a Sofia: «Le questioni South Stream non sono insormontabili e non accettiamo un ricatto della Bulgaria per relazioni sull'energia», un po’ minacciando e un po’ lasciando sperare che il South Stream si farà. Borisov è apparso rabbonito, forze ha ricevuto qualcosa sottobanco. Il suo atto di coraggio e di verità è durato dal 3 al 5 dicembre.

Lavrov: «Gli europei si lamentano con me»

Tutti gli altri leader europei non hanno nemmeno quel momento di verità (e di dignità). L’ha detto il Ministro degli Esteri russo, l’ironico Lavrov, rispondendo in conferenza stampa a un giornalista di Kiev che gli chiedeva se e quanto si sentisse isolato, povero russo demonizzato e attaccato da tutte le parti, durante il forum OSCE che s’è tenuto a Basilea. Ma no, ha risposto: i miei colleghi del blocco europeo hanno voluto a tutti i costi intrattenersi con me, tanto numerosi che mi hanno fatto perdere una parte importante del dibattito OSCE.

E di cosa hanno assolutamente tenuto a parlare con Lavrov, a quattr’occhi s’intende, i diplomatici e Ministri degli Esteri d’Europa? Ovviamente dell’Ucraina. Per lamentarsi del Governo di Kiev e delle norme che sta varando: la legge di «lustrazione» (assoluzione) dei dirigenti corrotti (ossia dei membri del Governo golpista e dei loro reggicoda), per esempio, è «terribile», gli hanno detto. La decisione con cui il Governo di Kiev ha amputato il Donbass e la sua popolazione dall’economia ucraina, cessando il pagamento di pensioni e stipendi pubblici in quella zona (una «punizione collettiva» secondo le leggi di Norimberga) è «demenziale, dannosa e inumana», gli hanno detto i responsabili europei. Insomma hanno voluto dire a Lavrov che loro sanno che il Governo di Kiev è un’orribile giunta criminale e senza freno. Ma a quattr’occhi, singolarmente. Perché «nel blocco» abbiamo accettato la linea «di non criticare» la giunta di Kiev. Per questo hanno fatto la fila a piangere sulla spalla di Lavrov, numerosi ma ciascun per sé, che gli altri non sentissero...

«Ho chiesto ai colleghi», ha detto Lavrov, «se avessero reso note queste loro critiche e osservazioni alle autorità di Kiev, nei loro contatti diretti con quelle», almeno. «Ho ricevuto risposte inarticolate».

Risposte inarticolate. Che Lavrov si è permesso gentilmente di interpretare come dei no. No, gli europei non hanno reso note le loro critiche nemmeno alla giunta farabutta di Kiev, come «blocco» sono tenuti ad approvarla in blocco nei loro atti criminali, come ordinato da Washington. Ma si confidano volentieri con Lavrov, l’hanno scelto come confessore delle loro sofferenze; di quanto soffrano di dover obbedire a quegli ordini, che se potessero sarebbero con Mosca, sanno che ha ragione, e quelli là sono dei pazzi delinquenti...

Lavrov sta praticando da settimane ormai questa «diplomazia della verità». Riferisce in conferenza stampa quello che la diplomazia europoide gli confida di nascosto («resti fra noi»), mettendone in luce l’abiezione morale, la viltà e la nullità politica, umana, intellettuale.

Hollande da Putin. Ma senza dirlo

Francois Hollande, noto titano morale, detto La Pera, è andato in Russia... No, pardon, mi correggo: la sua destinazione è stata il Kazakstan. Si è dovuto far fotografare col presidente-dittatore Nazarbayev nel costume regalatogli dallo stesso astuto Nazarbayev (anche questa è guerra), il che ha fatto esclamare ai francesi: «Sembra Borat!», e scendere la sua popolarità di altri punti verso lo zero assoluto, quando l’azoto si ghiaccia. Poi, sulla via del ritorno, un casuale scalo tecnico all’aeroporto di Vnukovo, Mosca: e un incontro con Vlad Putin, che casualmente era lì. Una chiacchierata di un’ora. A tu per tu. Anche se – come dirà il comunicato dall’Eliseo, poi – La Pera s’era consultato con la Merkel: posso avere questo incontro? E aveva avuto il permesso. Un titano della grandeur.



L’incontro, sia chiaro, è avvenuto «su richiesta del presidente francese» (la diplomazia-verità di Mosca), e si sarà parlato delle due navi Mistral che Mosca ha ordinato e pagato, e che Hollande non consegna per obbedire all’ordine americano di imporre sanzioni contro il Diabolico Nemico di ogni Demokràtia. Deve aver pur promesso la consegna, Monsier le Président La Poire. Cosa? Non si sa, per ora.

C’è tutto un tramare segreto nei corridoi dei servetti europei, europoidi ed eurocratici, per limitare il più possibile i danni che le sanzioni producono nell’economia europea oltre che a quella russa: naturalmente di nascosto, al disotto del livello «politico», ed al disotto del livello di dignità minima.

Nel suo blog, Nuke the Wales ne dà qualche esempio. Ha spulciato il «regolamento UE N 1290/2014, emanato il 4 dicembre e contente «le linee guida per le sanzioni» contro Mosca, e scoperto che per esempio l’embargo riguarda sì le tecnologie petrolifere che devono vietare alla Russia prospezioni e produzione, ma «in acque di profondità superiore ai 150 metri»: ciò esclude il Caspio, che è un mare bassissimo. Quanto alle prospezioni oltre il Circolo Polare, sono vietate. E per forza: lì opera la EXXON, la quale si è esentata dalle sanzioni perché ha firmato i contratti prima di agosto.

E non basta: l’articolo 5 della direttiva europoide, paragrafo 3 («il divieto non si applica...) dice che le banche europee possono continuare a fornire i finanziamenti attraverso le banche russe (eccetto quattro) quando il credito serve all’import-export di beni e servizi non finanziari. E comunque, « in caso di “emergenza” possono essere finanziate le controllate di banche russe aventi sede in Europa malgrado le sanzioni». Insomma un furbesco e vigliacco tentativo di allentare le sanzioni sperando che Washington non se ne accorga.

Herman Van Rompuy, adesso che non conta più nulla, s’è lanciato nella temeraria asserzione seguente: per l’Ucraina, la soluzione migliore è quella «federale», ossia con il Donbass autonomo (2). Un’idea che se l’avesse detta quando contava qualcosa, avrebbe evitato tre anni di atrocità, distruzioni, miseria, stermini agli ucraini, e miliardi di costi all’Europa.

Angela lesbica? Mica sarete omofobi


La sola a restare dura è la Cancelliera: le sanzioni contro Putin devono durare ed anzi farsi più pesanti. La vice-presidente del partito della Sinistra germanica, la parlamentare Sahar Wagenknecht, l’ha invitata pubblicamente a «smettere di giocare col fuoco nell’interesse di Washington» sostenendo la giunta di Kiev, e pensare invece all’interesse tedesco.

Molti sospettano che la durezza sia dovuta a un dossier che la NSA avrebbe sventolato sotto il naso di Angela: la sua relazione lesbica con una attrice francese di serie B, indicata dai servizi come «Z». Sia concesso dissentire. Anzitutto, questo è un segreto di Pulcinella: già la moglie dell’ex Cancelliere Schroeder, Doris Schroeder Kopf, ha detto apertamente in un’occasione: «La vita privata di Angela Merkel non corrisponde al format della gran parte delle donne». Il punto è che la nuova direttiva globale di promozione dell’omosessualismo rende la minaccia di uno scandalo sessuale una cartuccia bagnata. Eh sì, Angela Merkel è sposata a Joachim Sauer, dal quale la prima moglie ha divorziato per averlo trovato a letto con un maschietto: e allora? Ecco una coppia-modello, uno splendido matrimonio LGBT.

E una cosa si può dire a favore del sistema americano: sì, tortura legalmente prigionieri detenuti senza accusa, organizza attentati false flag in cui uccide migliaia di suoi cittadini, invade Paesi innocenti, riduce alla fame popoli interi, gioca sporco in tutti i campi... ma non cadrà mai nel peccato di omofobia. Sulla correttezza politica della CIA e NSA, della Nuland e di McCain, potete contare. Ad occhi chiusi.

USA, grande ripresa: delle mense dei poveri

Avrete letto sui media mainstream della ripresa americana: oltre 300 mila posti di nuovi posti di lavoro creati, mentre in Europa si langue, grazie all’espansione monetaria della FED ed al liberismo senza inceppi legali, che cura i suoi propri mali.

Tutto vero, naturalmente. Nello Stato del Michigan le banche alimentari per gli studenti sono salite da 4 (nel 2008) a 121 quest’anno. In Kentucky una di queste organizzazioni caritative, la God’s Pantry Food Bank («Dispensa di Dio», un ente presente in 50 Stati) fornisce pasti a 190 mila persone, in grande aumento. Nell’insieme, 1 kentuckiano su 7 oggi fa conto sulle banche del cibo per sfamarsi. Una spiegazione speciale richiede il soccorso alimentare destinato agli studenti universitari: il rincaro delle rette, delle spese di alloggio (molti sono fuori sede) la diminuzione delle opportunità di fare quei lavoretti precari che in America erano tradizionalmente coperti da studenti, fa sì che a molti di loro non resti molto per mangiare. C’è chi spera di cavarsela con una ventina di dollari a settimana, e cade in denutrizione. La stazione televisiva di comunità del Kentucky, WKYT, ci ha dedicato un’inchiesta, restando stupefatta dalla vastità enorme del problema.

Vi dicono, naturalmente, che il liberismo americano è riuscito a ridurre la disoccupazione al 5,8%. Questa è il tasso ufficiale nazionale. La CNBC ha dimostrato con un’inchiesta apposita che, calcolando come si fa in Europa oltre ai diso5ccupati i sottoccupati e che sono disposti a lavorare anche se non cercano più, il tasso reale è 13,9.

Il sistema (Wall Street più neocon) frena la rivolta sociale, che cova, con la militarizzazione e la violenza razziale sistematica delle polizie, in verità la creazione di uno Stato di polizia ferreo dove tutto è vietato e dove le minime infrazioni sono punite come delitti. Eric Garner, il negro di 43 anni, 6 figli (e 160 chili) che l’agente della NYPD Daniel Pantaleo ha gettato a terra con una presa al collo che l’ha strangolato, è stato affrontato dai poliziotti nella strada di Tompksinville, sobborgo di Staten Island, mentre stava vendendo sigarette sciolte ai passanti. Tratte da un pacchetto senza il bollino della tassa locale, dunque di contrabbando.

Sigarette sciolte: la dice lunga sulle condizioni economiche del povero Garner e dei passanti del sobborgo, e sulla ripresa americana.

Per il sospetto che Garner vendesse sigarette sciolte, agenti in borghese lo hanno arrestato, gettato sul marciapiede, schiacciato al suolo mentre il poliziotto Pantaleo gli stringeva il collo. L’ultimo grido di Garner, «I can’t breath», non riesco a respirare, non a caso sta diventando lo slogan delle manifestazioni in corso: quegli americani che non sono nel fortunato 1%, non vengono lasciati respirare.

Ma voglio concludere con una buona notizia americana, che mi pare sia sfuggita ai media nostrani.

La banca di Stato ha reso più di Goldman Sachs

La banca è quella del North Dakota – Bank of North Dakota – l’unica banca pubblica superstite nella liberissima America. Amministrata con leggendaria oculatezza ed onestà del Governo locale e dai suoi esperti, ha salvato ancora una volta l’economia locale, mentre altri Stati affondavano nella recessione provocata dai subprime di Wall Street nel 2008. L’ha fatto come sempre prestando denaro dei depositanti e contribuenti per infrastrutture giudicate essenziali (dalle strade alle case popolari, dagli ospedali agli alberghi) proprio negli anni in cui il sistema bancario privato tagliava i prestiti agli imprenditori del luogo, applicando un’azione anti-ciclica. Adesso, avendo finanziato l’estrazione di gas da scisti nell’area di Bakken che s’è rivelata ricchissima (il Nord Dakota è diventato secondo per l’estrazione di greggio, dopo il Texas), la banca di Stato s’è vista cadere dal cielo una pioggia d’oro, soprattutto in forma di introiti fiscali (la Bank fa da tesoreria unica dello Stato, da cui riceve il gettito tributario). E secondo Standard & Poor’s, il suo «return on equity», misura di profittabilità, è attualmente al 18,56%: un 70% superiore a quello delle più abili banche speculative, come Goldman Sachs e JP Morgan.

Ma la ragione del successo della Bank of North Dakota non starebbe nel colpo di fortuna dello shale oil, come hanno preferito osservare i media soggetti al Wall Street. Ma la vera ragione è che i profitti della banca, invece di essere messi in conti esteri e paradisi fiscali da dove ricavare interessi più alti, sono per statuto reinvestiti nell’economia locale. I costi sono bassi, non avendo la Bank da pagare super-manager finanziari con gli stipendi milionari, i bonus e le commissioni esorbitanti delle grandi banche d’affari. Non ha filiali e non ha Bancomat, essendo di fatto una finanziaria di medio-credito; i suoi costi di indebitamento sono bassi perché dispone del Tesoro pubblico, e non ha da pagare l’assicurazione sui depositi (fino a 100 dollari), perché è lo Stato che garantisce i depositi. Soprattutto, investe su imprese e imprenditori che conosce bene e singolarmente; investe in settori che le banche commerciali trascurano (le case rurali ad esempio) e lo fa spesso in partnership con piccole banche locali di tipo cooperativo.

Il modello funziona. Ma non paga i super-manager, gestori di fondi e geni della speculazione finanziaria creativa. Forse è per questo che non viene esteso.




1) Frase rivelatrice: a Bruxelles devono aver spiegato a quattr’occhi a Borisov tutti gli sforzi dell’eurocrazia per stroncare il Governo di Victor Orban, troppo popolare fra gli ungheresi e troppo fiero per piegarsi ai «valori dell’Occidente». Ovviamente, anche queste trame eurocratiche contro uno Stato membro sono dettate dal servilismo verso Washington. Sono vistosi i ripetuti tentativi americani di provocare una piazza Maidan a Budapest, la Nuland vuole una nuova Ucraina. Il senatore John McCain ha da poco definito Orban «un dittatore neofascista». Da novembre, lo Stato Ungherese ha stroncato la speculazione delle banche straniere, che avevano legato gli ungheresi a contrarre mutui in valuta estera — ciò che ha prodotto, per l’indebolimento del fiorino, a rincari enormi, impagabili, degli interessi. No, tutti i mutui vanno ri-denominati in fiorini, la moneta nazionale. Da quel giorno, Orban è ancora più neofascista, e l’America sente più urgente portare la demokratia ai magiari.
2) Come contribuenti europei vi farà piacere sapere che pagherete questo personaggio – nullo e che non avete votato – ancora 650 mila euro nei prossimi tre anni: è l’«indennità di transizione» che deve accompagnare il reinserimento dei poveri grandi commissari UE nel duro ritorno alla vita comune, dopo gli anni dorati di Bruxelles. Van Rompuy, come presidente della Commissione, ha percepito 25 mila euro lordi al mese (il 138% del trattamento di base dei più alti funzionari eurocrati), a cui si aggiungevano un’indennità di rappresentanza di 1400 euro lordi mensili, e una indennità di residenza di 3800 euro mensili (lordi, però). Adesso, da ex-presidente, riceverà l’indennità di transizione, ossia: 9700 euro netti al mese per tre anni. Allo spirare di questi, il primo gennaio 2017, avrà la normale pensione di ex presidente, che ammonta alla miseria di 4750 euro mensili netti. Per fortuna, Van Rompuy potrà cumularli con i trattamenti pensionistici belgi che già oggi riceve come ex Primo Ministro e parlamentare del Belgio, il che dovrebbe metterlo al riparo dall’indigenza...



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