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Per la BCE, i disoccupati non sono un problema. Sono la soluzione
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Perché mentono? «L’unione bancaria? Un risultato storico», esala il ministro Saccomanni. Perché, se sa benissimo che non c’è dietro nulla? Enrico Letta dice che il Pil crescerà dell’1% e sa di mentire, dice di aver fatto riforme che non ha fatto, loda il «patto di stabilità» criticato da tutti gli osservatori, abbandona la finanza pubblica alle voglie di tutte le lobbies (da De Benedetti ai malavitosi delle slot machines) e fa il tutto d’uno pezzo; mente appena apre bocca, mente su tutto. (Letta fa il gradasso e s’inventa il taglio delle tasse nel 2014)

Ma all’estero è lo stesso: «Avanzamento maggiore», hanno definito in Francia il buco nell’acqua della cosiddetta unione bancaria. Persino la Merkel è andata a Parigi a vantare l’unione bancaria (che lei ha liquidato) «per fare avanzare l’Europa». Perché mentono così platealmente?

Forse la risposta si trova in parole che Benoit Coeuré – il membro francese del direttorio della Banca Centrale Europea – ha detto durante un selezionato panel di investitori, non aperto al pubblico, il 12 dicembre. Una breve frase, citata in un rapido rapporto della Deutsche Bank, molto laconico.

«Deflation in the South is part of the adjustment and is not in itself an issue», ha detto Coeuré. Letteralmente significa: «La deflazione nei Paesi meridionali (i PIIGs) è parte della soluzione e non in sé un problema». Ma il senso più completo, è: «La disoccupazione di massa nei Paesi del Sud d’Europa non rappresenta un problema, al contrario è il mezzo scelto dalla BCE per stroncare i differenziali d’inflazione». La riduzione tragica della massa monetaria, la terribile deflazione che ha contratto tragicamente tutto il credito, è voluto, e artificialmente sostenuto dalla Banca Centrale.

Più volte, e con toni sempre più allarmati, un grande giornalista economico come Ambrose Evans-Pritchard ha segnalato sul Telegraph la drastica riduzione di massa monetaria M3, additandone i sinistri esiti: oltre la sofferenza di milioni di disoccupati in più, il fatto che se i Paesi periferici e indebitati come l’Italia subiscono la deflazione, il loro debito pubblico aumenta invece che diminuire per il cosiddetto «effetto-denominator», in quanto il Pil essendo calante, il peso del debito cresce su una base che si riduce. È esattamente quel che è avvenuto in Italia, dove le «cure di austerità» di Monti, Letta & Compari hanno fatto crescere il debito dal 119 al 133% del Pil; e avviene anche in Grecia, Portogallo e Spagna. (Europe repeating all the errors of Japan as deflation draws closer)

La domanda era: possibile che i banchieri centrali europei non si accorgano che ottengono l’effetto contrario di quello che consigliano e predicano? Domanda ingenua: lo fanno apposta, come ha rivelato Coeuré.

Perché? Perché contano che, con milioni di disoccupati in più, i salari caleranno in tutto il Sud fino a trovare il livello di competitività con la Germania, e più in generale a livellare la diversa inflazione che c’è tra i Paesi del Nord e il Club Med.

Un altro modo di descrivere i differenziali d’inflazione è: con l’euro, la Germania opera con una moneta svalutata rispetto al marco e quindi si avvantaggi (ha fatto una svalutazione competitiva di fatto), mentre l’Italia è costretta a usare una moneta troppo «forte» rispetto alla lira e, non potendo svalutare, deperisce fino all’estinzione. Ovviamente Berlino sostiene di aver esercitato la sua «virtù» producendo meno inflazione interna, perché la sua economia si è sviluppata negli ultimi anni più sulle esportazioni (di merci e capitali) che non sui consumi interni (che sono quelli che poi generano più inflazione). Per una spiegazione chiara ed ulteriore, si veda qui.

Fatto è che, dal 2000 ad oggi, l’inflazione in Italia è di 14 punti più che in Germania. È come se un chilo di pane, che nel 1999 costava 1 uro sia qui che da loro, oggi costasse 1,25 in Germania e 1,39 in Italia.

La strada scelta dai banchieri è: mettiamo i popoli del Sud alla disoccupazione di massa – allora, per fame, accetteranno salari del 30 o 40% inferiori a quelli tedeschi, o anche di più se necessario – 500 euro al mese poniamo – e l’inflazione sarà equilibrata in tutta l’area, perché in Italia i panettiere, se vorrà vendere il pane all’occupato a 500 euro, dovrà far calare i prezzi. L’ordine monetario regnerà di nuovo.

Dunque la BCE ci costringe a quel che si chiama «svalutazione interna»: se un Paese non può svalutare la moneta, deve svalutare i lavoratori e deprezzarli, abbassandone i salari. Nel calcolo che i prezzi li seguiranno nel calo. È la stessa strategia che usò il Cancelliere Bruening nella Germania degli anni ’30: affamare i lavoratori per ottenere il calo dei prezzi.

La fallacia del loro ragionamento dovrebbe essere evidente: quando il 30 o più per cento della popolazione non trova occupazione per mancanza di domanda di lavoro, e la metà della gioventù non trova nemmeno lavoro in nero, è la qualità della forza-lavoro che si degrada; le competenze spariscono o emigrano; la desertificazione industriale propaga la desertificazione dei saperi tecnici, i luoghi dove essi si apprendono, e insedia l’incultura industriale e l’ignoranza produttiva dei «non studio né lavoro», che da noi sono già 3 milioni. Siamo già al sesto anno di recessione non curata, e già abbiamo visto la sparizione di un 25% del tessuto produttivo, come se in guerra ci avessero distrutto con le bombe un quarto delle fabbriche. E quanto dovrebbe durare ancora la cura?

Lo disse a mezza bocca il tedesco Weidmann della Bundesbank l’anno scorso: la crisi sarà lunga, 10 anni come minimo. Ancora dieci anni come minimo: dieci anni di perdita di posti di lavoro e di tessuto e di capacità produttive, mentre beninteso dovremo continuare a sottoporci alla torchia fiscale necessaria per servire il debito pubblico – debito pubblico che comunque aumenterà meccanicamente, per il fatto che il nostro Pil cala e cala – quindi con altri disoccupati, altri giovani senza prospettiva alcuna, e vie così. Ma loro, non hanno alcuna fretta. I loro stipendi non sono in pericolo, non dovranno mai, loro contentarsi di riduzioni del 40%. Loro sono i banchieri. Gente che nemmeno ha mai visto una fabbrica e non sa come funziona l’economia reale, sa che il lavoro umano è abbondante e dunque deprezzato in tutto il globo, per loro «economia» è finanza, è astrazione.

Così, la BCE ha ridotto negli ultimi 12 mesi l’aggregato monetario M3 a 1,4,%, mentre dovrebbe alzarlo a 4,5% per mantenere l’inflazione al 2 per cento che si è data come mandato. Avrebbe come mandato, la BCE, anche una certa occupazione... ma questa parte del Trattato europeo lorsignori non la leggono. E il Parlamento europoide si guarda bene dall’esigerne l’osservanza.

Non hanno fretta, e l’ha ben fatto capire Mario Draghi rispondendo a giornalisti preoccupati della crisi dell’euro-zona (al Sud), dei debiti, delle banche, del credit crunch. Niente paura, ha detto Draghi sicuro di sé: la BCE è pronta ad agire «Se necessario».

«The level of preparedness is pretty high on all (policy options)» , il nostro livello di preparazione a ogni eventualità è alquanto elevato.

Alquanto.

Poi, con la stessa serafica arroganza, a chi gli chiedeva precisazioni: «Which instruments would we deploy against which contingency? We haven’t really done any reflection on that»

«Quale strumenti utilizzeremmo contro quali eventualità? Non è che ci abbiamo veramente riflettuto». Prego, prendetevi tutto il tempo che volete, la zona euro è in recessione da soli sei anni , cinque o sei popoli stanno scendendo nella fossa, non c’è fretta, mica brucia la casa...

Ci vuole una memoria di ferro per ricordare che il 3 settembre 1992 il cancelliere tedesco che allora si chiamava Helmut Schmidt dichiarava in tv: «Il paese può sopportare meglio il 5% d’inflazione piuttosto che il 5% di disoccupazione». Tempi passati. Oggi, guidano i tecnocrati non eletti e, se si tratta di appianare i differenziali d’inflazione, sono capacissimi di esigere da Spagna e Italia l’introduzione della schiavitù. In Grecia già si è cominciato: offrono lavori in albergo senza paga, per solo vitto e alloggio.

Come vengono prese le decisioni dal comitato direttivo della BCE. Come mai l’ideologia germanica punitiva domina? Nel Comitato vale il principio «Uno Stato, un voto». In teoria. Ma Draghi, nella conferenza stampa del 5 dicembre, ha ammesso con arrogante sufficienza che nel comitato «non si vota spesso», ossia (data la lingua edulcorata in vigore, non si vota mai). È una violazione specifica del Trattato europeo: ma né un giornalista né un politico né tantomeno un governo sono insorti. Dunque non si sa come vengono prese le decisioni, e questa violazione dura da 14 anni. Ciò fa capire come mai (sempre nel silenzio dei media e dei governi) la BCE è l’ultima banca centrale dell’Occidente e Giappone che si rifiuta di pubblicare le minute delle discussioni del suo Comitato. Fa capire come mai il rappresentante della Bundesbank non rischi mai d’essere messo in minoranza; è un crony-monetarism, una gestione monetaria aum-aum, «per collusione» . Si aggiunga che, non avendo traccia storica delle decisioni, non sarà mai possibile valutare la perizia o palese incapacità di lorsignori a cui abbiamo dato in mano la moneta; anzi, quel che è forse peggio, non saranno in grado di apprendere dai loro errori. Ma che importa? «Non ci abbiamo veramente pensato», come dice Draghi con sufficienza e quando sei in quelle poltrone, non c’è più bisogno di pensare.

È forse spingere un po’ troppo oltre il concetto di «indipendenza» della Banca Centrale Europea dal potere politico, che ve ne pare? In compenso, sono Draghi e i compari del Comitato a violare platealmente l’autonomia della politica. Nel 2012, proprio mentre sganciava il secondo LTRO ossia il regalo di centinaia di miliardi all’1% alle banche, Draghi disse al Wall Street Journal: «Il modello sociale europeo è morto». Sarà vero, ma un qualunque governo europoide avrebbe dovuto replicargli: non s’impicci di cose su cui non ha mandato d’impicciarsi. Ovviamente, dato questo silenzio, la cosca BCE non ha avuto più freni. Draghi ha lodato il patto di stabilità come mezzo con cui i governi europei cominciano a «liberarsi della sovranità nazionale». Trichet non aveva detto di meno, teorizzando il diritto della BCE di porre veti alle decisioni di governi. Poi si è passati alla pratica, nel gioco facile di eliminare il politico più ridicolo e screditato, tale Berlusconi, con il trucco dello spread. Un colpo di Stato accompagnato dalla famosa lettera di Draghi in cui si raccomandava al governo italiano «una riforma costituzionale per indurire la legislazione fiscale». Ma come? La Costituzione più bella del mondo, quella che i politici e i parlamentari non devono azzardarsi a toccare, viene cambiata da banchieri che non si sa cosa decidono fra loro, in discussioni segrete? Qualcuno doveva protestare. Invece non è accaduto...

Solo recentemente Draghi ha fatto sapere che anche la Spagna aveva ricevuto la lettera-ultimatum tagliata sulla sua misura. Madrid ha cambiato la Costituzione spagnola sul lavoro nel settembre 2011, contro i sindacati che chiedevano un referendum. Su richiesta di un avvocato spagnolo, il Mediatore Europea ha ingiunto di vedere il testo della lettera. Il Mediatore Europeo (ombdusman) è – come strombazza il sito ufficiale – «una carica istituzionale europea che consente a chi la riveste di ergersi a difensore civico della Comunità europea e agisce in completa indipendenza da ogni potere»; attualmente questa splendida, onnipotente figura di difensore civico è incarnata da un irlandese di nome O’Reilly. Ebbene, la BCE ha negato al Mediatore Europeo la visione del documento, con la motivazione che «la sua divulgazione porterebbe pregiudizio all’interesse pubblico per quel che riguarda la politica economica e monetaria dell’Unione o di uno stato membro» (devono avere un modulo prestampato per respingere le richieste del genere da parte di screanzati).

Il Mediatore viene eletto alla sua onnipotenza dal Parlamento europeo. Il che spiega come mai i banchieri centrali, tutte le volte che si degnano di farsi intervistare, dichiarano che non sono affatto preoccupati dalle elezioni europee del 2014 né dalla marea «populista» che spaventa tanto i media, e che riempirà quei banchi.

A differenza – poniamo – del parlamento svedese che nomina i decisori della sua banca centrale Riksbank, il parlamento europeo non ha alcuna voce in capitolo nella nomina dei membri della BCE. A differenza del Congresso Usa, il Parlamento europeo non ha alcun potere di emendamento delle decisioni della BCE. Il detto Parlamento europeo, del resto, è troppo occupato a combattere le emissioni di CO2, ad approvare mozioni contro la pena di morte (in Usa), a emanare direttive contro l’omofobia galoppante nei paesi membri, per mettersi a litigare co la cosca BCE.

E pensare che il Parlamento potrebbe almeno chiedere alla BCE di aumentare il suo obiettivo d’inflazione – quel 2% che tanto male ha fatto ed oggi è strangola il Sud – perché questo 2% non è iscritto nei Trattati, è un target arbitrario. E la BCE avrebbe l’obbligo di obbedire: in teoria. Ma lorsignori sono tranquilli, la marea incombente di grillini all’Europarlamento non li allarma: han fatto i conti e visto che i populisti non bastano a contrarre la solida maggioranza di servi del potere che andrà al parlamento, e non riusciranno a formare un blocco temibile perché sono divisi e ancor più si divideranno.

Dunque, il nostro futuro è la «svalutazione interna»: la svalutazione dei salari. Ma, con più precisione, si deve dire: svalutazione dei salari che non sanno difendersi.

Si dà il caso, infatti, che già oggi i salari italiani nel privato sono inferiori a quelli tedeschi. Il salario dell’operaio Fiat è ben più basso dell’operaio VW. Salari inferiori del 3°%. Come mai, nonostante ciò, il lavoratore italiano resta meno produttivo e meno competitivo? Sapete tutti che cosa pesa sul suo salario: il parassitismo politico e burocratico. Il costo di questo parassitismo, a lungo negato o sminuito, sta a poco a poco rivelandosi nella sua vera, gigantesca ed odiosa misura.

23 miliardi di euro l’anno è il costo della «politica» in senso lato, ossia la cifra che oltre un milione di stipendiati screma dai contribuenti, e in ultima analisi dai lavoratori e produttori che quei soldi li guadagnano davvero, sul mercato, magari internazionale. (Costi della politica 23 miliardi, mentre l'Italia muore di tasse)

12 miliardi l’anno spende l’apparato pubblico per affitti da privati uffici ad uso pubblico, che potrebbe sistemare invece nel suo enorme patrimonio immobiliare: come abbiamo saputo da qualche giorno a proposito dei quattro immobili nel centro di Roma che la Camera ha affittato da 15 anni, per usarli come uffici dei parlamentari, da una società privata, senza gara e senza diritto di recesso, arricchendo all’infinito il relativo palazzinaro-proprietario, mentre con quel che ha sborsato, lo stato avrebbe potuto comprarli. Lo sappiamo per lo scandalo degli ultimi giorni: un emendamento del M5S che consentiva almeno il recesso dallo sconveniente contratto d’affitto, è stato cancellato da una manina targata PD – che si conferma così la rappresentanza politica di qualunque parassitismo pubblico. (Gli affitti intoccabili dei palazzi del potere Il Senato cancella il recesso a tempo di record)

È chiaro che qui si devono e possono operare tagli, anche perché sono facili da fare, in quanto non inciderebbero in carne viva ma nel grasso (cola): non dovrebbe essere impossibile sforbiciare fra i 144 mila tra 144mila tra parlamentari, ministri, amministratori locali di cui 1.041 parlamentari nazionali ed europei, ministri e sottosegretari; 1.270 presidenti, assessori e consiglieri regionali; né sfoltire i 545 mila che hanno «consulenze e incarichi», i 324 mila stipendiati del cosiddetto apparato politico (portaborse, collaboratori gruppi parlamentari e consiliari, segreterie partiti, collegi elettorali), gli oltre 24mila consiglieri di amministrazione delle società pubbliche; oltre 45mila pseudo-occupati negli organi di controllo; 39mila stipendiati di supporto degli uffici politici (gabinetti degli organi esecutivi nazionali e locali, segreterie di ministri, sindaci, presidenti di Regioni e Province, assessorati).

Nei settori privati si sforbicia, si riduce il personale, si licenzia, si chiude; o per non far fallire aziende, i lavoratori privati accettano riduzioni dolorose della busta-paga: il 15% e più, secondo i casi. Nel settore pubblico, tagli degli emolumenti sarebbero semplicemente doverosi, anche perché – come s’è scoperto, finalmente – i dirigenti pubblici nostrani sono molto più numerosi dei loro pari grado inglesi, e non solo: prendono anche molto di più. Quanto? Dal 50 all’80% in più.

Vediamo per esempio il Ministero della Salute. Il direttore del dipartimento italiano ha uno stipendio di 293.000 euro, il 45% più delpermanent secretary britannico. La media dei quattordici direttori generali italiani è di 232.000 euro, quella dei cinque director general britannici di 164.000 euro, una differenza del 40%. E il Ministero dell’Economia? I quattro direttori generali in Italia guadagnano in media 289.000 euro, il 90% più dei quattro director general. Gli altri 57 dirigenti di prima fascia italiani guadagnano in media 176.000 euro, il 60% più dei 17 director britannici. E così via: se volete godere, leggete qui. http://www.lavoce.info/quei-dirigenti-ministeriali-cosi-numerosi-e-iperpagati/

Ma a questi strapagati pubblici parassiti, non dimentichiamo di aggiungere le centinaia di migliaia di dipendenti pubblici magari meno, ma non meno odiosamente privilegiati: come tutti quelli del trasporto pubblico scesi in sciopero perché «il nostro contratto è fermo da cinque anni»: vogliono l’aumento, indipendentemente dal fatto che l’economia va’ male e i contribuenti che pagano i loro stipendi non hanno avuto aumenti, e spesso hanno perso il lavoro. Non prenderanno tanto, ma prendono soldi sicuri e più alti dei pari-livello anche del 35%. I guidatori di autobus di Genova hanno fatto quattro giorni di sciopero non solo per strappare l’aumento, ma anche perché gli sembra troppo lavorare per 6 ore e mezzo al giorno.

Tutto il resto dei lavoratori si affanna, accetta decurtazioni del potere d’acquisto; tutte le imprese private riducono le spese, fanno economie, limano le minime inefficienze, i benefit, qualunque cosa. In questo frangente terribile, il Consiglio Superiore della Magistratura – la cosca di autogoverno dei giudici, la cui «autonomia» si spinge fino all’auto-emolumento – accrescerà le proprie spese nel 2014 del 34%. L’emolumento dei componenti (complessivamente 1,6 milioni), sale in un anno del 20%; le spese per la previdenza integrativa, l'assicurazione sanitaria e la formazione dei dipendenti sono destinate a crescere del 48%, passando da 885.000 a 1,31 milioni. I «Compensi per incarichi speciali» passano da 474.000 a 700.000 euro (+48%). Per la manutenzione e messa in sicurezza dei lussuosi locali nel 2013 sono stati spesi 816.000 euro, cifra che, secondo le previsioni, nel 2014 arriverà a 1,3 milioni nel 2014, crescendo del 59%; per sostituire «arredi d’ufficio», lo stanziamento del CSM passa da 70 mila del 2013 a 295 mila nel 2014: un aumento del 179%. (Sacrifici per tutti tranne che per il Csm)

Come tutto l’alto settore pubblico, il consiglio Superiore della Magistratura è un’isola di Bengodi in un mare di ristrettezze e miseria (1).

È il protervo blocco sociale che sa difendere la propria busta paga; e che se l’accaparra scremando una quota della ricchezza nazionale prodotta che non solo è eccessiva in termini assoluti, ma diventa relativamente sempre maggiore, in quanto la ricchezza nazionale cala; sempre più ingiusta, sempre più indebita. Di fatto, è la classe che deruba della giusta mercede gli operai produttivi, che effettivamente guadagnano gli euro sempre più rari esportando, competendo sui mercati. La «svalutazione» che costoro subiscono sul loro lavoro non riesce a rilanciare l’economia nazionale, perché è appesantita dai «trasferimenti» che deve pagare ai settori parassitari, al pubblico sfruttatore collettivo.

Questo è il problema dell’Italia. Che ovviamente, lorsignori non vogliono vedere, né che vediamo noi. Per questo mentono e mentono, seduti sulla loro indebita quota della ricchezza da loro non prodotta.





1) Da Libero: «La cosa bella di Michele Vietti, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, è che a intortarti non ci prova nemmeno. I vertici degli altri organi costituzionali e degli enti pubblici si riempiono la bocca con la spending review, poi è un miracolo se gli aumenti delle loro spese restano contenuti nei limiti del tasso d'inflazione. Nell'organo di autogoverno dei magistrati simili ipocrisie non attecchiscono. Il Csm ha affrontato l'argomento una volta sola, nel luglio 2012, per dire che i tagli preventivati dal ministero per l'intero comparto della Giustizia avrebbero messo a rischio le indagini su materie come terrorismo, traffico di droga e criminalità organizzata. Filosofia che il Csm difende con indubbia coerenza, tanto da estenderla al proprio bilancio interno, che pure nulla ha a che vedere con la qualità delle inchieste giudiziarie. Il bilancio di previsione 2014 del Csm, del quale Libero ha preso visione, sembra giungere da quel tempo lontano e felice nel quale alle pubbliche amministrazioni bastava elencare le proprie esigenze, senza porsi il problema di contenere il budget; anzi, arrotondando ogni voce per eccesso. Il ministro del Tesoro provvedeva poi a staccare l'assegno, senza battere ciglio. Del resto, se qualcuno ha inventato le tasse e i contribuenti, un motivo ci sarà. Così, per il prossimo anno, il Csm ha già messo in conto spese per la bellezza di 43.877.547 euro. E siccome il 2013 sta per chiudersi con uscite complessive pari a 32.717.028 euro, significa che nel 2014 l'organismo guidato da Vietti prevede di spendere il 34%in più di quanto ha fatto negli ultimi dodici mesi. In un momento in cui tutti stringono la cinghia, conforta sapere che c'è chi non deve fare i conti con simili preoccupazioni. Raffrontato con il budget stanziato inizialmente per il 2013, che ammontava a 41.650.216 euro, l'incremento è del 5,3%: oltre il triplo del tasso d'inflazione stimato dal governo, pari all'1,5%. Nella relazione illustrativa alla previsione di spesa, firmata dal segretario generale Carlo Visconti, si leggono cose controcorrente in una fase come quella attuale. Già alla prima voce, quella dell'«Assegno Componenti », si prevede un esborso di 1.600.000 euro, superiore del 20% a quello del 2013. (...) viaggiano parecchio, i componenti del Csm. E prevedono di farlo sempre di più. Soprattutto Vietti, che è già stato in missione in mezzo mondo, inclusi Stati Uniti, Argentina, Russia, Francia, Iraq e Afghanistan. E viaggiare costa. All'inizio del 2013 la voce «Rimborso spese attività estero componenti» era stata finanziata con 45.000 euro. Rivelatisi insufficienti, tanto che a fine anno la spesa è stata di 95.000 euro. Per evitare simili sgradevoli correzioni, la dotazione del 2014 è stata portata a 130.000 euro (+37%), con la speranza che stavolta bastino. Questione che interessa anche i magistrati segretari: il loro rimborso spese, legato soprattutto all'attività fuori confine, è previsto che salga da 34.000 a 110.000 euro, con un balzo del 224%. (...)




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