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ZOG-USA: tentativi di liberazione?
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Sono da segnalare dei timidi tentativi della nuova amministrazione americana di divincolarsi dalla condizione di ZOG (Zionist-occupied government), e più precisamente di non assoggettare la propria politica estera a quella di Sion. Vediamo i fatti.

QUELL’ODIATO FREEMAN - Così si chiama («Uomo libero») il personaggio che Obama ha nominato come presidente del National Intelligence Council, ossia al posto - politicamente decisivo - che fornisce alla Casa Bianca la sintesi delle valutazioni dei numerosi servizi d’intelligence americani.

Charles (Chas) Freeman, che affianca come aggiunto il direttore della National Intelligence Dennis C. Blair, è stato ambasciatore in Arabia Saudita, parla correntemente il cinese, è addirittura famoso per la sua libertà di spirito e acutezza di giudizio come analista strategico.

Un esempio di tale libertà lo fornisce su Reuters uno scandalizzato Bernd Debusmann (indovinate di quale piccolo popolo): che accusa Freeman di aver pronunciato, nel 2007, i seguenti propositi: «La brutale oppressione dei palestinesi da parte degli occupanti israeliani non mostra segno di acquietarsi... Israele non fa più nemmeno finta di cercare una pace coi palestinesi... l’identificazione americana con Israele è diventata totale».

Non stupisce che contro Freeman la lobby abbia scatenato una campagna frenetica di diffamazioni e veri e propri insulti.

«Lo hanno chiamato ‘burattino dei sauditi’, ‘Chas of Arabia’, pagato dai sauditi, ‘l’amico dei cinesi e il nemico di Israele’», scrive Arnaud De Borchgrave, ex direttore del Washington Times (con forti agganci nell’intelligence ed esponente della «vecchia destra» USA): ciò perchè «Freeman ritiene che gli interessi strategici di USA e di Israele non sono necessariamente tutt’uno: un peccato che a Washington non viene perdonato» (1).

De Borchgrave sottolinea che la nomina di Freeman «è stata tenuta segreta, cosa rara a Washington, fino all’annuncio dell’ammiraglio Blair». Il che segnala da una parte la natura di «colpo di mano» della nomina, e insieme la debolezza, di cui Obama è cosciente, del governo in confronto alla lobby.

Contro il troppo libero Freeman sono scesi in campo i pezzi da novanta di ZOL (Zionis Occupant’s Lobby), come Gabriel Schienfeld, docente a Princeton, redattore-capo della rivista ebraica Commentary ed autore di un saggio il cui titolo dice tutto: «The New Antisemitism». Schoenfeld, neocon dichiarato, non si spinge a dare a Freeman dell’antisemita - non ancora. Si limita a segnalare con scandalo che Freeman abbia lavorato con il Middle East Policy Council, un think-tank «che riceve denaro dalla famiglia reale saudita»; e che questo istituto - orrore, orrore - ha pubblicato il saggio di Walt e Mearsheimer, «The Israeli lobby and US Foreign Policy», che invece, secondo la lobby, andava bruciato in piazza.

zog_1.jpgNon a caso il professor Stephen Walt, uno degli autori del libro proibito, è sceso apertamente in campo per difendere la nomina di Freeman, puntando anche il dito contro le manovre lobbystiche contro di lui: «La campagna anti-Freeman non ha solo lo scopo di farlo revocare. Ne ha un altro. L’attacco a Freeman è inteso a dissuadere altri nella comunità della politica estera di parlare di questi temi. Freeman è troppo acuto, troppo alto in grado e troppo ben qualificato per poter essere bloccato; ma ci sono tanti più giovani, desiderosi di far carriera nel settore della politica estera, e a questi va ricordato che le loro carriere sono a rischio se osano dire ad alta voce quel che pensano».

Infatti, Freeman non è nemmeno il primo che Obama ha scelto nonostante (o appunto per) le loro idee molto vicine a quelle di Walt Mearsheimer: un’altra è Samantha Power, ex docente di Harvard, oggi elevata dalla nuova amministrazione al Consiglio di Sicurezza Nazionale; proprio il luogo dove si delineano le direttive della politica estera, e si definiscono le priorità e le «sfide» dell’impero americano nel mondo.

De Borchgrave commenta: «Fortunatamente per Freeman, la sua funzione non è soggetta alla conferma del Senato. Altrimenti sarebbe stato liquidato ad un segnale dell’American Israel Public Affairs Committee».

E’ notorio che la lobby tiene in pugno il Congresso e terrorizza i senatori, ben consci per esperienza che la minima critica ad Israele che uscisse dalla loro bocca segnerebbe la fine della loro carriera politica. Ma anche qui, il clima sta cambiando.

TRE SENATORI A GAZA - «In un solo mese, tre membri del Congresso hanno visitato Gaza, per la prima volta dal 2003», strilla con raccapriccio il Jerusalem Post (2). E non si sono limitati ad osservare le rovine provocate da Sion (già questo un atto di coraggio), ma «hanno fatto commenti chiaramente critici verso Israele, ed hanno anche organizzato un incontro con membri del Congresso per riferire quello che hanno visto, cercando di spingere per un cambiamento delle politiche americane».

I tre audaci sono John Kerry (presidente della Commissione esteri del Senato), Keith Ellison e Brian Baird. Tutti e tre democratici, il che segnala una deliberata presa di posizione del partito di maggioranza.

I senatori in visita «hanno detto che vogliono vedere riaperti i valichi tra Israele e la Striscia di Gaza, e una riconsiderazione dei modi con cui l’America sostiene Israele», si allarma il Jerusalem Post di Murdoch; ora che «la sinistra assume più potere in America (...) si aprono spazi maggiori per prospettive differenti nei confronti di Israele, per iniziative che non sono originate dalle lobby israeliane di maggioranza».

Dice proprio così, il giornale ebraico: «pro-Israel lobby».  Ed elenca con il debito allarme altre iniziative che mostrano una certa indipendenza del congressisti.

La senatrice Dianne Feinstein, democratica di California (ed ebrea, vale la pena di notarlo) ha scritto una lettera a Hillary Clinton per esortarla a tener duro nel suo impegno per la pace e la mediazione in Palestina prima del suo viaggio in Israele, e ciò - ha scritto la Feinstein - per mostrare «l’importanza della tenacia della leadership americana».

zog_2.jpgGary Ackerman, un altro congressista ebreo votato dagli ebrei di New York-Long Island, nella sua veste della sottocommissione Medio Oriente della camera, ha criticato aspramente Israele fin dal suo discorso inaugurale: «Prendiamo Hamas», ha detto, «un’organizzazione terroristica... sono il nemico, e nessuno (in Occidente) deve parlare ad Hamas se non accetta le condizioni del Quartetto: riconoscere Israele, ripudiare la violenza e accettare gli accordi dell’Autorità Palestinese con Israele. Peccato che Israele parli con Hamas da anni, attraverso l’Egitto, e anche direttamente con i prigionieri di Hamas nelle galere israeliane».

Insomma: vietano a «noi» di parlare, mentre «loro» parlano. E’ ancora una volta, la tesi di Walt e Mearsheimer. Solo un ebreo come Ackerman può osare di esprimersi in questi termini. Ma il suo è comunque un atto audace (visti chi sono i suoi elettori); e se parla così, è perchè ha l’appoggio di almeno una parte della comunità ebraico-americana.

«Questi ebrei che odiano se stessi sono pochi, per fortuna», confida al Jerusalem Post Morris Amitay, già direttore esecutivo dell’AIPAC, l’ala della lobby che terrorizza i senatori. Ma Doug Bloomfield, già direttore legislativo dello stesso AIPAC, nota che, «gli USA vedono Israele muovere all’estrema destra mentre gli americani vanno a sinistra» e promette per i sionisti e neocon una navigazione contro-vento.

HILLARY A SION - La nuova segretaria di Stato ha criticato la pianificata demolizione di 88 case palestinesi di Gerusalemme Est, che Israele spiana con la scusa di fare un parco - in realtà per perseguire la solita politica di pulizia etnica della «capitale indivisa di Sion». La demolizione è una violazione della roadmap, ha detto la Clinton, «e contraria agli obblighi» assunti da Israele nel processo di pace.

Sembra poco, ma sono otto anni che non si sentiva un ministro americano ricordare che Israele viola gli impegni che Israele prende (3).

Il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, ha insultato la Clinton: quel che dice è «aria fritta», adesso dobbiamo vedere dei ministri americani che s’impicciano dell’urbanistica della città... la solita tracotanza del padrone abituato ad ottenere obbedienza da ogni ZOG.



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Un altro atto di tracotanza, dai profili poco chiari, è avvenuto durante la visita della Clinton: Benjamin Netanyahu, durante un colloquio con Hillary, ha ordinato bruscamente all’ambasciatore israeliano in USA Sally Meridor, che era presente, di uscire dalla stanza. Ora, Netanyahu non è ancora capo del governo israeliano; Meridor, che è stato messo all’ambasciata da Kadima, per questo affronto ha annunciato le dimissioni. E’ possibile che anche il fronte interno giudaico cominci a mostrare qualche frattura di fronte al servo americano?

zog.jpgCerto, quelli elencati sono indizi. Obama resta sotto controllo del suo capo dello staff, Rahm Emanuel, figliodel terrorista dell’Irgun. Ed ha affidato il potente Office of Management and Budget (l’organo che spenderà i 900 miliardi di «stimolo») ad un ebreo, stretto confidente di Emanuel, che si chiama Richard Peter Orszag: a dire quanto sia qualificato economista questo personaggio, basta ricordare che è stato consigliere del ministero delle Finanze russo durante il saccheggio della Russia da parte degli «oligarchi» (mafiosi ebrei); è stato consigliere della Banca Centrale... di Islanda, che ha ridotto il Paese nordico alla rovina; è stato anche l’artefice, sotto la presidenza Clinton, del NAFTA, l’unione economica USA-Messico-Canada che ha deindustrializzato gli Stati Uniti.

Ma i segnali non sono da sottovalutare. la Casa Bianca ha un atteggiamento verso la Siria, e in parte verso l’Iran, diverso da quello di assoluta minacciosa chiusura del decennio Bush. Forse perchè ha più urgenti gatte da pelare nella crisi economica, vuole almeno ridurre le tensioni internazionali gratuite, fatte solo per obbedire a Sion. E forse, Obama comincia anche a vedere che una politica di rottura col passato rende di più, sul piano elettorale, della politica di continuità - che pur aveva provato nelle prime settimane.

La grande depressione detta le regole, ormai, più di Israele. Certo, la lobby sta affilando le armi, e già si vede negli articoli urticanti che i commentatori neocon scrivono contro Obama, il suo presunto «statalismo», il suo «sinistrismo»; ma tuttavia l’opinione pubblica mantiene per ora il suo favore al neo-presidente, al livello del 76% nei sondaggi.

Fatto sta che un nuovo clima è paventato dalla nota lobby, e le espressioni di paura si segnalano anche in scacchieri assai lontani da Washington. Il 3 marzo, all’università economica di Lille (Francia), tre alte personalità ebraiche europeiste hanno lanciato alte strida sul fatto che la crisi economica stia creando un clima meno favorevole alla Vittima Eterna.

Fabienne Keller, UMP, ex sindaco di Strasburgo, ha lamentato: «temo di vedere gli elettori ripiegarsi sui problemi nazionali». Jean François Kahn, candidato europeo per il MoDem (Movement Démocratique, un partito sintetico come il PD veltroniano), ha spiegato cosa si teme nell’ambiente: la rinascita degli «estremismi in Europa» come dopo la crisi del 1929: «Se non si sostituisce d’urgenza l’iniquità economica con l’umanesimo (sic), ci sarà un ritorno al suolo, al sangue, alla razza, alle tribù, agli integrismi religiosi. Persino in Scandinavia si attende una vittoria dell’estrema destra» (4). Daniel Cohn-Bendit ha rincarato: vede già il germe di questi «nazionalismi» nel rifiuto degli Stati membri della UE di pagare il conto per salvare i Paesi dell’Est.

Tre confessioni, in fondo: che dicono chi vuole l’Europa unita, chi ne vuole l’allargamento indefinito all’Est, e perché. Per diluire i sentimenti nazionali goym. Il rischio è che per la crisi  tentino, timidamente, di uscire dalla servitù di ZOG.




1) Arnaud de Borchgrave, «Intelligence Chairman Freeman Stirs Israeli Ire», Washington Times,
6 marzo 2009.
2) Hilary Leila Krieger, «US Affairs: Losing the lobby on the Hill?», Jerusalem Post, 4 marzo 2009.
3) Per confronto, si consideri che la UE ammette che Israele compie atti e demolizioni «illegali»; ma lo sussurra in un «documento confidenziale» (Rory McCarthy, «Israel annexing East Jerusalem, says EU», Guardian, 7 marzo 2009.
4) Jeffroy - Deffrennes, «Jean-François Kahn (MoDem) craint un «retour au sol, au sang, aux tribus, aux intégrismes», Le Monde, 4 marzo 2009.


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