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Quando l’obiezione è «scientifica», allora...
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«Caro direttore,

obiezioni scientifiche ad un suo articolo, peraltro molto interessante

Luca L.


“Già allora le cellule cancerose e quelle ‘normali’ non presentavano alcuna differenza sostanziale, alcuna ‘diversità’ che permettesse di aggredire chimicamente le prime e non le seconde”. (Maurizio Blondet)

Quasi sempre le cellule neoplastiche sono molto diverse dalle cellule non neoplastiche. Innanzi tutto tendono a proliferare indefinitamente, poi assumono forme spesso irregolari o, al contrario (come avviene per i tumori del sistema nervoso), perdono dendriti e assoni e assumono una forma indifferianzata; infine molte presentano aberrazioni cromosomiche evidenti e talvolta sono persino plurinucleate. A volte sono simili alle cellule normali ma esprimono (o perdono) recettori di membrana specifici, che le identificano in modo univoco. Farmaci che permettono di aggredire specificamente le cellule neoplastiche e non le altre sono molto difficili da produrre, non perché le cellule siano simili, ma perché le cellule neoplastiche sono molto resistenti e tendono ad evolvere con un meccanismo di tipo darwiniano (con santa pace di Blondet). Allego un articolo recente sull’argomento tratto da Nature. Comunque alcuni di questi farmaci esistono. Il più noto è l’Imatinib, commercializzato dalla Novartis con il nome di Glivec
».



Caro Luca,

riferisci alla persona che ha concepito l’obiezione «scientifica» quanto segue: ringrazio umilmente, ma mi era noto che le cellule cancerose si differenziano da quelle normali perchè «tendono a proliferare indefinitamente» (è appunto quello che fa il cancro). Mi è noto anche che possono manifestare al microscopio le forme più mostruose e strane aberrazioni della struttura. Quel che intendevo dire – devo ripeterlo – è che fino ad oggi non s’è scoperta una «differenza» decisiva, che consenta alla farmacologia di aggredire le cellule cancerose da quelle normali. L’obiettore scientifico mi cita invece, come prova che la Novartis ha scoperto tale differenza e il farmaco che la colpisce, l’Imatinib. Ma se legge bene le informazioni scientifiche (si trovano sul web), vede che l’Imatinib invece conferma il mio assunto. Infatti vi si dice che il «farmaco agisce bloccando tre enzimi» che sarebbero coinvolti nell’origine di pochi tumori in cui quegli enzimi sarebbero coinvolti (si tratta di due tipi di leucemie e un cancro gastrico stromatico).

Ma si tratta poi di enzimi specifici, cioè emessi esclusivamente dalle cellule neoplastiche, e non da quelle normali? Macchè: il preparato «agisce inibendo un gran numero di enzimi ad attività tirosin-chinasica» e «nel corpo sono presenti molti enzimi ad attività tirosin-chinasica», fra i quali c’è, nientemeno, che «il recettore dell’insulina». Dunque chi riceve il farmaco anticancro subisce la neutralizzazione anche di molti altri enzimi normalmente prodotti dalle cellule sane, e diventa pure insensibile all’insulina (ossia diabetico) Non è affatto un chemioterapico mirato. Naturalmente viene strombazzato come tale, una vera svolta dell’oncologia. Sono abbastanza vecchio da aver visto una quantità di questi squillanti annunci di vittoria, seguiti da imbarazzati silenzi e silenziose code tra le gambe. Ma speriamo che sia la volta buona.

Mi sia consentito dubitarne, dal momento che l’informazione scientifica sul web è affollata di notazioni cliniche perplesse sulla «resistenza all’Imatinib» che sviluppano i pazienti con imbarazzante frequenza, tale da rendere inefficace il farmaco. Ma già, è quella «resistenza» che l’obiettore scientifico ritiene provi «il meccanismo di tipo darwiniano» con cui «si evolvono» le cellule neoplastiche, naturalmente «con buona pace di Blondet». E mi passa il testo di Nature destinato ad illuminarmi sull’argomento. A leggere tale testo, però, si scopre che gli scientifici autori di esso chiamano «the inherently Darwinian character of cancer» la tendenza delle cellule cancerose, sotto la «pressione selettiva» di terapie farmacologiche e chemioterapiche, a «espandere varianti resistenti». Si tratta insomma dello stesso meccanismo per cui i microbi, da generazioni bombardati da antibiotici, sono diventati antibiotico-resistenti.

È un fenomeno che viene spesso esibito come conferma della «evoluzione darwiniana», ma si tratta di un equivoco, non so quanto in buona fede. Effettivamente, i microbi sotto antibiotici muoiono, diciamo nel 99% dei casi; ma alcuni sopravvivono perchè qualche variazione loro genetica pre-esistente li ha resi insensibili a quei veleni, e i sopravvissuti generano un lignaggio di loro simili che saranno tutti resistenti. Si tratta di «selezione», ma non di «evoluzione» tanto meno «darwiniana». I microbi non sono diventati qualche altro animale superiore; sono i microbi di prima, e la «qualità» che li rende antibiotico-resistenti non è un «miglioramento» del loro DNA; anzi il DNA di questi nuovi microbi generalmente «manca» di qualche elemento che i primi avevano. Similmente, la chemioterapia può uccidere il 99% delle cellule tumorali (molto meno in realtà…); ma ne sopravvvive l’1% – ossia resta sempre qualche centinaia di migliaia di cellule neoplastiche – che continua a proliferare. È il cancro di prima, non «più evoluto».

Si premuri di ricordare al suo amico scientifico-obiettore, caro Luca, che cosa afferma il darwinismo: per esempio che le balene sono «evolute» da un antico bovino terrestre che poi «scelse di nuovo la vita acquatica» («di nuovo» perchè l’antenato di quel bovino era, darwinianamente, un pesce – come del resto i progenitori di tutti noi). O per fare un altro esempio, che gli uccelli di oggi hanno come progenitori i dinosauri. O che l’uomo d’oggi discende da un antenato che ha avuto in comune con lo scimpanzè. Insomma, questo è il darwinismo: l’affermazione che in natura, sotto la pressione della selezione, avvengono salti evolutivi da una specie all’altra, e specificamente da forme di vita inferiori, a forme superiori.

La resistenza dei microbi agli antibiotici, o delle cellule cancerose ai farmaci, è come il diverso colore delle cornacchie in Italia e in India: sempre le solite cornacchie sono. E danno come figliolanza altre cornacchie. Tra l’altro, a portare alle conseguenze logiche il ragionamento scientifico del suo scientifico amico – che le cellule neoplastiche sono «molto resistenti (più delle cellule sane? Ndr) e tendono ad evolvere con un meccanismo di tipo darwiniano (con santa pace di Blondet)», il darwinismo vorrebbe che esse siano le trionfatrici assolute nella «lotta per l’esistenza». Contro le cellule sane e gli organismi pluricellulari organizzati (più «deboli»?). Allora, a voler essere darwinisti fino in fondo, si dovrebbe chiedersi come mai il mondo vivente non è tutto ridotto a cancro, proliferante e disorganizzato.

Vede dove si va a parare col darwinismo, con buona pace di Darwin. Purtroppo, si deve notare ancora una volta che le nozioni scientifiche più aggiornate non sono affatto sufficienti, quando si perde l’abitudine di applicare loro il ragionamento.



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