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Nuova idea: senza salari niente ripresa
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Povero Obama, alla fine fà un po’ pena. E’ lui che paga le colpe del decennio Bush jr., perchè invece di rovesciarle sugli autori  le ha sottoscritte. Dopo aver lasciato che Bernanke e Geithner regalassero 700 miliardi di dollari alle banche d’affari, ha promesso «tre anni di congelamento della spesa pubblica», e intanto annunciato 30 miliardi da dare alle banche locali, perchè facciano più prestiti alle piccole imprese.

Ha promesso un non precisato «prelievo» sulle grandi banche. Ha implorato il Congresso di non liquidare la sua riforma sanitaria mal riuscita. Ha promesso il diritto dei gay conclamati ad arruolarsi nelle forze armate (la sola riforma che ai banchieri non costa nulla); ha promesso, finalmente, di occuparsi  dei dieci  milioni di disoccupati (o 17, se si usano i metodi di calcolo europei) e di trovare loro un lavoro. Ma come? Lo vedremo.

Il suo discorso sullo stato dell’Unione è apparso – spiace molto dirlo – un discorso «da negro»: di una mente incapace di sintesi intellettuale.

Certo, conta il panico. Quello che ha colto tutti i parlamentari democratici dopo la storica perdita del seggio in Massachusetts, loro da 60 anni; con le elezioni in vista a novembre, è il terrore che si spande nel partito. Han cominciato a chiedere la testa di Bernanke, hanno cominciato a scandalizzarsi dei bonus dei banchieri, sono diventati tutti populisti... per poi riconfermare Bernanke.

Albert Edwards
   Obama e Paul Volcker
Dieci giorni prima, Obama s’è presentato a fianco di Paul Volcker – l’ottantenne consigliere che aveva messo da parte, perchè i banchieri lo detestano in quanto minaccia di riportare in forza la legge Glass Steagal, quella che separava le banche di credito dalle banche d’affari speculative – e ha minacciato di mettere dei limiti al gigantismo delle banche, nonchè vietar loro di eseguire operazioni di trading speculativo per conto proprio coi soldi dei depositanti; insomma, ha detto, farò qualcosa «nello spirito» della Glassa Steagal.

Notate: «nello spirito». Il che fa capire che sarà esclusa la lettera, ossia il semplice rimettere in vigore quella legge che ha funzionato dal 1933, e che solo dopo 10 anni da quando è stata eliminata nel 2000, ha prodotto l’attuale «nuovo 1929». E’ chiaro che quella accanto a Volcker è stata solo una photo–opportunity. Nei mesi scorsi, Obama aveva promesso di mettere un freno ai derivati, e non ha mantenuto la promessa. Ha promesso una riforma sanitaria all’europea per liberare il popolo dal giogo delle assicurazioni, ed ha finito per mandare avanti un progetto che è un regalo alle assicurazioni private, che ora hanno decine di milioni di clienti in più.

Non si capisce perchè oggi Obama dovrebbe ridurre a ragione i grandi banchieri. Non l’ha fatto quando era forte di un favore popolare plebiscitario e aveva la maggioranza assoluta al Congresso. E lo dovrebbe fare ora, col seggio del Massachusetts perduto, i sondaggi al pavimento, e coi parlamentari democratici spaventati dalle elezioni, che da sempre hanno i banchieri fra i loro massimi contributori, e ne hanno bisogno più che mai per pagarsi le spese elettorali?

Povero Obama. Più che un presidente alla Casa Bianca, sembra un «intern», uno di quegli studenti  che sono lì a fare qualche lavoretto temporaneo non pagato, giusto per vedere se il tipo di carriera gli interessa, e per farsi qualche conoscenza o contatto con persone importanti del ramo. Come un intern, non come un politico navigato, Obama sembra non avere nessuno dei poteri di ricatto sulle potenti lobby americane, che fecero «grandi» presidenti come Reagan o Nixon; sembra persino che non abbia i numeri di telefono giusti. Le lobby farmaceutiche, militari–industriali, bancarie, ebraiche, lo fanno ballare come un pupazzo; la sua capacità di manovrare e manipolare la politica americana pare ancora minore di quella della Levinsky, una «intern» che – come sappiamo –  esercitò  un certo «leverage» sul presidente, e determinò Clinton a bombardare l’Iraq per ammansire la nota lobby.

Ma forse è solo che non sa uscire dagli schemi di pensiero che egemonizzano l’economia USA (e perciò mondiale), e costringono a ripetere continuamente gli stessi errori, perchè è lo schema ad essere sbagliato. E’ la gabbia di ferro dell’ideologia – nel caso americano quella del capitalismo finanziario sfrenato – che condusse l’URSS al crollo.

Ma la crisi sta obbligando qualcuno a pensare fuori dagli schemi. Qualche economista noto e cattedratico sta elaborando (faticosamente) qualche idea proibita. Che si riducono ad una, nuovissima e inaudita: non ci sarà una ripresa sostenibile finchè i salari reali non aumentano.

Qualcuno giunge a interrogarsi sui benefici delle «privatizzazioni». Finirà  che un giorno scopriranno il dirigismo, l’economia sociale di mercato e il controllo sui capitali (speriamo di sì) e perfino (speriamo di no) la lotta di classe.

Albert Edwards
   Albert Edwards
Uno di questi è Albert Edwards, l’alto responsabile delle strategie della Société Génerale. Dice in un recente articolo: per troppo tempo abbiamo creduto che i profitti, di qualunque provenienza (siano da lavoro o da rendite non importa) vanno comunque ad accrescere l’attività economica e di conseguenza i posti di lavoro, sicchè tutto quel che serve è abbassare le tasse ai ricchi, ridurre il ruolo dello Stato, e lasciare libere da ogni freno le «forze del mercato». (Scandal: Albert Edwards Alleges Central Banks Were Complicit In Robbing The Middle Classes)

Sbagliato. Oggi abbiamo imparato che più si è ricchi, neno si spende, Più il volume del capitale finanziario speculativo (e fittizio) diventa gigante, più grande diventa la sua remunerazione e più forte il tributo privato che preleva dall’economia reale, fino a soffocarla.

Oggi siamo proprio a questo punto. Salari calanti da trent’anni in tutto l’Occidente per le masse, e un’accumulazione esponenziale per i pochissimi privilegiati. In USA, il 10% più ricchi della popolazione si accaparrano il 50% dei redditi prodotti, e lo 0,1% dei ricchissimi al vertice della piramide sociale se ne intasca un colossale 8%.

Il risultato? Una debolezza cronica della domanda per mancanza di potere d’acquisto delle masse. Alle quali, in compenso, viene offerto credito in modo crescente. E chi concede questi crediti? I privilegiati, quel 10% che intasca troppo e non sa più come spendere il suo denaro. I ricchissimi prestano sempre più soldi ai poveri, diventando sempre più ricchi con gli interessi che percepiscono sulle carte di credito «revolving», sui mutui subprime e sui prestiti al consumo, aggravando il problema. Perchè questi dei ricchi prestatori non sono più «investimenti» produttivi, sono la versione moderna del servaggio della gleba; il credito è diventato parassitario  dell’economia.

Occorre una più equa distribuzione del reddito tra «capitale» e lavoro, altrimenti la ripresa non ci sarà mai. Abbiamo chiamato «creazione di valore» i profitti derivanti dal rincaro degli immobili (gravati da mutui subprime) scambiandolo per un vero arricchimento della società. Bisogna tornare a trattare la grandi fortune per quel che sono: un diritto ingiustificabile di prelevare un’imposta privata e confiscatoria  sugli sforzi di tutti.

Inaudito: un economista e banchiere riscopre che è «la società» nel suo insieme che produce ricchezza reale, non «i privati» col capitale.

Michael Hudson
   Michael Hudson
Un altro che comincia a pensare fuori dagli schemi ideologici  è Michael Hudson, già analista di Wall Street, oggi «Distinguished Research Professor» all’università del Missouri, Kansas. (Myths of Recovery)

Attenzione a quando Obama e i suoi consiglieri ex Goldman Sachs parlano di «economia» e di come farla «riprendere». I lavoratori e contribuenti rischiano di intendere la parola come la intendono loro: l’economia reale, di produzione e di consumo: chiamiamola «Economia–1». Ma Obama e i suoi consiglieri credono che questa Economia–1 sia una conseguenza, e dunque dipenda, da Wall Street: l’Economia–2. Del resto, i massimi donatori di contributi elettorali ai politici sono i personaggi che vivono nella Economia–2. Detta anche FIRE, ossia «Finance, Insurance, Real Estate» (Finanza, assicurazioni, speculazione immobiliare).

E’ quel settore del 10% più ricco che presta i suoi risparmi al 90% più povero indebitandolo, dice anche Hudson. E come ha fatto i soldi quel 10%? Praticamente, intascando canoni, affitti e interessi, o con la speculazione finanziaria (capital gains) e passando il peso della tassazione dalle proprie spalle a quelle della Economia–1. E’ la versione moderna dell’opposizione sociale che Dickens descriveva nel 19mo secolo: allora erano i padroni contro i pigionanti, da cui estraevano affitti e canoni. Oggi, è la finanza contro i debitori.

La finanza comanda e «consiglia» la Casa Bianca. Per questo la risposta al collasso finanziario del 2008 è stata di rimborsare Wall Street per i suoi giochi d’azzardo andati a male sui derivati, le obbligazioni ‘garantite da debito’ (CDO) e i Credit Default Swaps (CDS), pretese «assicurazioni» contro i rischi di default di terze parti. A prezzo di un enorme aumento del debito pubblico.


Dietro questi interventi, c’è l’idea che la creazione di «nuova ricchezza» richieda la creazione di nuovo debito. L’idea dell’enorme liquidità che sale dal basso risucchiata dal sifone Wall Street, finirà per sgocciolare verso il basso con nuovi prestiti all’economia reale.

Ma questa ideologia è proprio quella che ci ha portato al disastro attuale, con 200 milioni di posti di lavoro perduti in USA ed in Europa. Da oggi, bisogna tornare  a concentrarsi sull’eccessivo indebitamento delle famiglie, delle imprese, delle città e degli Stati da parte della oligarchia finanziaria. Bisogna tornare a capire che il ruolo della spesa pubblica (coi suoi disavanzi stellari di bilancio) deve significare tassare i cittadini per spendere in azioni e infrastrutture che migliorino l’Economia –1, non per salvare le banche speculative, che hanno poco a che vedere con l’economia reale.

Perchè? Perchè Wall Street e in generale FIRE sono, sotto forme fantasiosamente innovative, i «rentiers» descritti da Dickens: i proprietari di case che riscuotevano gli affitti, o i proprietari di strade che scremavano pedaggi, o i proprietari terrieri che strizzavano i contadini con canoni esosi.  Come quella anche l’Economia FIRE vive di «rendite». I cosiddetti «capital gains» della speculazione e di Wall Street non vengono da investimenti nell’industria, ma dai rincari del settore immobiliare gonfiati dal credito e dalle oscilalzioni azionarie. Insomma sono introiti che entrano nelle loro tasche senza i corrispondenti costi di produzione. La definizione stessa della rendita.

E qui, vale la pena di citare Hudson testualmente:

«Le banche hanno prestato sempre più per acquistare a questi rentiers il diritto di estrarre interessi, e sempre meno per promuovere la formazione del capitale industriale (macchinari, competenze, eccetera). La cosiddetta creazione di ricchezza nel settore FIRE è consistita di fatto in una cosa facile: nel privatizzare il settore pubblico e allestire caselli e biglietterie, per far pagare pedaggi per l’accesso a beni e servizi di necessità elementare, come assicurazioni sanitarie, proprietà della casa, diritti telefonici e TV–cavo ed altri mezzi di comunicazione, medicine brevettate, acqua ed elettricità (autostrade, possiamo aggiungere noi italiani, gli unici a pagarle per percorrerle), ed altre pubbliche utilità».

Insomma i monopoli pubblici (monopolii «naturali», perchè senza concorrenza: non si possono fare due autostrade o due ferrovie parallele in competizione) sono stati passati ai privati che sono diventati esattori di pedaggi, canoni ed affitti. Senza rischio alcuno, e senza nessun investimento produttivo. Dunque senza alcun contributo all’aumento della ricchezza reale. E’ un gioco a somma zero: i guadagni di una parte (Wall Street di solito) sono una perdita dell’altra.

Avete capito che cosa ha scoperto Hudson? L’esistenza dei monopoli naturali che devono essere per forza pubblici: un’idea nuovissima già nota al pur liberista Luigi Einaudi. Ma almeno, in USA, qualcuno comincia dirlo di nuovo (1).

«La credenza più pericolosa di Obama è il mito che l’economia abbia bisogno del settore  finanziario per risollevarla fornendo credito. Ma i primi a non crederci sono i banchieri, tant’è vero che hanno intascato i 13 trilioni di  dollari dei «salvataggi» per pagarsi i bonus, comprare altre banche, o  investire il denaro preso in prestito dalla FED a tasso zero all’estero, in altre valute che si apprezzano sul dollaro!»

Non usano quelle montagne di soldi per prestare a famiglie, imprese e Comuni e Stati, perchè questi sono già tanto indebitati, che devono usare praticamente tutti i loro introiti correnti per pagare gli interessi alle banche e ai possessori di titoli. «I pagamenti dedicati al servizio del debito non sono più disponibili per spendere in beni e servizi. Questo è il motivo per cui le vendite cadono, i negozi chiudono, e la manodopera continua ad essere tagliata. L’economia reale USA è nel pieno di una deflazione del debito».

E qui arriva la frase eretica, proibita dal pensiero unico: «I posti di lavoro non possono aumentare (come ha promesso Obama) se i consumatori non hanno più soldi in tasca da spendere. E la domanda dei consumatori non può rinascere senza ridurre il peso del debito» da cui sono gravati. E’ proprio ciò che «le banche rifiutano, rifiutando di scalare dai loro libri contabili i mutui e gli altri crediti concessi, in modo che riflettano la diminuita capacità di pagare da parte dei debitori. Non vogliono perderci loro. Sicchè hanno chiesto al governo di prestare ai nuovi compratori di case abbastanza credito da ri–gonfiare i prezzi degli immobili d’abitazione». Sussidi ai compratori di prima casa sono infatti stati decisi, e sono fatti passare come «aiuto alla classe media». Ma a spese dei contribuenti, e ancora una volta, a beneficio delle banche.

E adesso, Obama promette un congelamento della spesa pubblica triennale, perchè i banchieri, i loro economisti–ideologi e i loro parlamentari (da loro pagati) strillano che la spesa pubblica per i pubblici servizi è «inflazionista», con il che intendono che minaccia di far crescere i salari. E questo è «male» per i rentier della FIRE economy. Invece, accrescere la spesa pubblica in disavanzi mostruosi per pagare Wall Street nella vaga speranza che questo credito sarà prestato e farà gonfiare di nuovo i prezzi degli «attivi» finanziari o immobiliari, questo è «buono».

Sicchè Obama continuerà a cantare sullo spartito che Wall Street gli ha fornito, anche se sempre più economisti lo pregano di buttarlo via. Non ha tolto Bernanke dalla FED, tanto per cominciare. Quindi, per «creare posti di lavoro», continuerà la politica del denaro creato dal nulla e prestato a tasso zero – ai banchieri, o in sussidi diretti per creare una domanda artificiale, ossia non dovuta  alla generazione di redditi reali, di reali aumenti dei salari produttivi.

A questo punto, Bernanke «the Helicopter» diventa un vero pericolo pubblico. Perchè succede un fenomeno strano: nonostante i tassi zero, le imprese sane, quelle che un giorno potrebbero aumentare i salari, non s’indebitano (a che scopo, dato che il mercato per i loro beni si restringe?), mentre si indebitano i subprime di ogni genere, gli insolventi con le carte di credito. E  le piccole imprese si lamentano che le banche non vogliono far loro prestiti. I tassi zero piacciono ai governi che si sono indebitati mostruosamente, e ora trovano meno costoso emettere i Buoni del Tesoro.

Ma la verità è che l’economia reale ne soffre. Il colossale settore finanziario malato ha smesso da gran tempo di essere un ausiliario dell’economia reale (fornendo mezzi di pagamento a credito) per diventarne il padrone: un padrone che vive di rendite estratte da qualunque cosa viene prodotta dall’economia reale, e usa queste risorse che ha strappato a chi lavora per andare a giocarle al Casino Wall Street.

Esempio: le banche USA hanno riserve in eccesso di 1 trilione a dicembre 2009, mentre avevano riserve vuote un anni prima. «Già questo fatto rivela che i tassi a zero scoraggiano il prestito», dicono i due economisti Hossein Askari (docente alla George Washington University) e Noureddine Krichene, economista della UCLA a Los Angeles. (Obama's unending jobs nightmare)

E non c’è niente di strano. «Mettiamo che il governo fissi il prezzo del riso a quasi zero, 5 centesimi al chilo; allora il riso sparirà dal mercato, e i consumatori lamenteranno la penuria di riso, proprio come oggi le piccole imprese lamentano la scarsità del credito. E’ che il capitale scompare a quei tassi d’interesse, come il riso scomparirebbe al prezzo imposto di 5 cents. E’ la legge del mercato, ragazzi: vale anche per i soldi.

Profetizzano i due economisti: «Gli interessi zero e l’abbondante liquidità renderanno trascurabile  il costo del capitale operativo (working capital) per  le imprese, sicchè le incoraggeranno a ridurre le quantità prodotte, riempire i magazzini, ed aumentare i prezzi. Gli interessi–zero scoraggiano i risparmi, aumentano i consumi, e quindi eroderanno ulteriori investimenti per la crescita economica. Infatti il settore privato continua a licenziare, mentre i prezzi di azioni e di materie prime continuano a crescere, per pura inflazione. Interessi zero e abbondante liquidità finiscono in speculazione, e  profitti speculativi costituiscono oggi appropriazione gratuita di ricchezza reale:  chi li guadagna porta via ricchezza reale a spese dei lavoratori e dei cittadini a reddito fisso; assorbono i risparmi reali e diminuiscono la capacità d’investimento» (2).

Ma siccome Obama mantiene i banchieri al comando, la «soluzione» adottata sarà quella prescritta dall’ideologia della finanza speculativa: mantenere un’alta disoccupazione strutturale è «bene» perchè tiene a bada l’inflazione. Fu l’idea che governò la repubblica di Weimar. Con gli effetti che sappiamo.

E’ un mito distruttivo, dice l’economista cino–americano Henry C. Lyu. E dà ad Obama il consiglio contrario: usi quel che resta dei pacchetti di stimolo e salvataggio delle banche per un Programma di Pieno Impiego che finanzi «lavori costruttivi come insegnanti, infermieri, badanti qualificati  di vecchi e di bambini, poliziotti, artisti (!) parasanitari, inventori, ricercatori (...).  Al salario medio di 42 mila dollari annui, si possono finanziare 6,5 milioni di posti di lavoro al costo di 270 miliardi di dollari l’anno. Una briciola rispetto ai 2 mila miliardi spesi in salvataggi inefficaci della finanza. Lo scopo da tenere a mente è di accrescere la domanda, la quale assorbirà la sovraccapacità mondiale dovuta ai bassi salari». E’ nè più nè meno che la proposta del dirigismo di Stato. (Volcker - time for real change)

Sono gli inizi di un «nuovo» pensiero economico (applicato in Europa dagli anni ‘30), e – come sempre – vengono dall’America, perchè in Europa non si osa pensare senza l’approvazione americana. Non ci resta che sperare ancora una volta negli americani pensanti; se il «nuovo pensiero» si afferma lì, diventerà materia d’insegnamento anche alla Bocconi.




1) Questa coscienza non è albeggiata ancora nei nostri «economisti–liberisti–bocconiani». I Giavazzi & C. – per non dire i padri della patria come Ciampi – continuano a ripetere il Verbo americano di ieri: le privatizzazioni sono bene per l’economia, perchè introducono la «competizione» e riducono i centri di spesa pubblica. In realtà, con le privatizzazioni i nostri sedicenti «imprenditori privati» si sono sottratti alla competizione globale (troppo difficile) e sino diventati rentiers. E’ plateale il caso dei Benetton, che nel 2002 si sono presi Autostrade (ex IRI), facendosi prestare i soldi dalle banche per l’acquisto, e poi subito scaricando i loro debiti sulla società Autostrade (7 miliardi di euro), in modo da farli pagare a chi le usa. Nessun centesimo investito da lorsignori, rincari da monopolio a carico degli utenti, e naturalmente nemmeno un euro stanziato per investire nelle infrastrutture comprate. A quelle penseranno le «grandi opere», ossia ancora una volta contribuenti espropriati delle aziende IRI, da loro pagate e strapagate. Ovviamente non è il solo caso di imprenditore–rentier: abbiamo già parlato di De Benedetti, beneficiato da Ciampi della seconda concessione dei telefoni mobili (e nacque Omnitel), e da Amato con la cessione ad Omnitel (De Benedetti) della rete telefgonica delle FFSS. Con questa ulteriore privatizzazione, De Benedetti ha potuto vendere la Omnitel ai tedeschi Mannesman per 14 mila miliardi di vecchie lire, facendo un profitto pari a 20 volte le spese sostenute. (Il mio mascalzone è più pulito del tuo )
I nostri politicanti hanno anch’essi approfittato. Per esempio con le «privatizzazioni» dei servizi comunali, tipo tram, acqua e gas e luce, hanno ottenuto due scopi: si sono liberati da una responsabilità verso il pubblico e gli elettori, e inoltre, rendendo le vecchie municipalizzate SpA, in cui il massimo azionista è però il Comune (o la Regione o il Tesoro), possono sottrare la gestione ai controlli della Corte dei Conti. Le assunzioni e la scelta dei fornitori non avviene più per concorso nè gara d’appalto; lorsignori possono assumere il figlio dell’amico e il parlamentare trombato, e dare gli appalti alla Camorra o a Ligresti «per licitazione privata», senza più rischiare la galera. Se poi le aziende ex–municipalizzate fanno profitti, i dividendi se li dividono tra «privati». Se perdono, niente male, paga l’azionista di maggioranza, Comune, Regione o Tesoro (ossia noi contribuenti): perchè mica vorrete che i cittadini rimangano senz’acqua potabile o senza gas. Queste aziende privatizzate, strano, non possono fallire: allora cessano di applicare il diritto privato. Sicchè c’è da sperare che la nuova ideologia prenda piede in USA; allora, forse, anche Giavazzi e Ciampi, Padoa Schioppa e gli altri Venerati Maestri del liberismo cominceranno a ripetere il Nuovo Verbo Americano. Pensare da sè, non osano.
2) Il capo della Banca Centrale cinese Zhou Min, a Davos, ha denunciato i flussi di capitali roventi, presi a prestito a tasso zero in USA, che si stanno investendo in massa nei mercati emergenti del Sud–est asiatico, dove gli interessi sono più alti. A ciò si riduce la «libera circolazione dei capitali» promossa dal globalismo terminale. Appena il flusso di questi capitali si rovescerà, ha messo in guardia Zhou, si innescherà una implosione come nel 1997–98, quando intere economie asiatiche (Thailandia, Indonesia) crollarono sotto il peso dei debiti eccessivi e dei rialzi dei tassi d’interesse.



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