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Patetikòi Italiòtes
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Oggi solo notizie che avete già letto. Ma che meritano qualche commento più articolato di quelli che vi danno i media. La prima:

«Tsipras, sii il nostro duce!».

Dai giornali: «Alexis Tsipras è in Italia: sarà sostenuto da una lista civica per le elezioni europee». La lista civica è fatta di megalòi italiòtes. Italiòtes intellettuali di grido, radical-chic, gauche-caviar, chiamateli come volete, ma impressionano. Si schierano a fianco di Tsipras: Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Marco Revelli, Barbara Spinelli, Guido Viale e Luciano Gallino (me’ cojoni, come si esclama alla Garbatella). Il meglio della sinistra intelligente. La più intervistata.

E perché si schierano a fianco di Tsipras questi nostri pensatori? Perché Tsipras, leader del partito greco Syriza, si è candidato alla presidenza della Commissione Europea. E la lista civica italiota lo sostiene in questa campagna; raccoglierà voti per lui. Il campione è stato presentato dai suddetti al Teatro Valle Occupato (il Teatro valle è infatti Okkupato perché vuole soldi pubblici), ha il robusto sostegno del Manifesto e l’entusiastico appoggio di Rifondazione Comunista.

Inevitabile un moto di compassione per il Candidato ellenico: con chi ti sei messo, Alexis! Con la compagnia di giro dei Desfigados più derelitti, frazionisti, fratricidi ed inconcludenti: li abbiamo già visti nelle loro successive recite: nelle vesti di Girotondini, poi di «Popolo Viola», e da ultimo a ingrossare (si fa per dire) le fila di «Rivoluzione Civile»: informati presso il loro candidato, tale Ingroia, come è finita.

Ma no, leggendo bene, si scopre il contrario: sono i Desfigados senza voti ad aggrapparsi a Tsipras, perché «il suo partito è oggi il primo nei sondaggi in Grecia: 31%», percentuali che, loro, non hanno mai sognato nemmeno con l’aiuto dell’acido lisergico, noto allucinogeno. Siriza ha il 31, sì. Ma, appunto, in Grecia. Ora, che ottenga in sede europea i voti per diventare presidente della Commissione, è alquanto improbabile. Eppure, è la speranza della «sinistra intelligente».

Ci si limita, asetticamente a notare questo: l’Italia, che ha il quintuplo degli abitanti della Grecia, e il decuplo del suo Pil, che ha ancora una temibile potenza industriale, è a tal punto un nano politico, da non saper esprimere una figura sua, che sia presentabile in Europa. Che l’Italia non riesca ad esprimere una leadership, e che i suoi intellettuali «migliori» (secondo il tg3) debbano guardare non solo fuori dai confini, ma al più piccolo e disastrato dei Paesi marginali, vorrà dire qualcosa? Magari si poteva aspirare a radunare in una politica unitaria gli altri Paesi torturati dalla UE: siamo più grossi di Spagna, Portogallo e Grecia. Ma chi proponiamo loro come euro-duce? Guardate le nostre classi dirigenti – di centro, destra e sinistra – e piangete. Non abbiamo nessuno. Nessuno che non sia un pagliaccio, uno screditato, un dilettante, una caricatura dell’italiote, comunque un impresentabile.

Sono tentato di fare tanti auguri a Tsipras — è sempre meglio di Ingroia o della Boldrini, posso dirlo ad occhi chiusi. O della Carfagna o della Gelmini. Il fatto che sia «fortemente collocato a sinistra» non mi preoccupa, perché è il programma di Napolitano: «Europa sì ma niente austerità». Sotto la sinistra, ci siamo già da anni noi italiani. A detta della intelligentissima Barbara Spinelli, la lista civica pro-Tsipras è «Per un’altra Europa ma non fuori dall’Europa. Dunque cambiare l’Europa in modo radicale ma restandoci dentro. Cambiarla dicendo ‘no’ all’austerità...»

È lo stesso, denso e preciso programma che Bersani, la buonanima, espresse con significative parole che non lasciavano dubbi: «L’Europa OK, ma non così». Non così, ma cosà: come vedete, al contrario delle destre, la Sinistra le idee le ha. Tenerci nell’euro, ma «non così». Fine dell’austerità – parte essenziale del programma – comporta, alla fin fine, indurre il popolo tedesco a cacciare i soldi, a miliardi per noi cicale. Un tentativo affine al cavar sangue dalle rape. Ma tu provaci, Tsipraa: la sinistra intelligente, il Manifesto, Rifondazione Comunista sono con te!

Draghi ai ceppi

Mario Draghi pareva il solo italiano di successo. Nel 2012, dichiarò che era pronto a «fare tutto ciò che sarà necessario» per salvare l’euro, e «vi assicuro che sarà abbastanza». Poi aveva lanciato l’OMT, l’acquisto a man bassa da parte della BCE di titoli dei paesi europei in difficoltà, per far abbassare i tassi con cui tali paesi s’indebitano. Cosa – sia chiaro – assolutamente vietata dallo statuto della BCE. Del resto, l’OMT non è mai stato realmente messo in atto, il suo maggior pregio consistendo nell’effetto-annuncio.

Ma adesso la Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe, che risponde alla semplice denominazione di Bundesverfassungsgericht — ha deferito Draghi alla Corte Europea di Giustizia: perché esamini, detto tribunale, se l’OMT non sia illegale, come la Corte tedesca «tende» a ritenere.

S’intende, è tutta una finta. Che l’OMT sia illegale contrario agli statuti, è di palmare evidenza e non ha bisogno di dimostrazione. Che la Corte Europea deciderà a favore dell’innocenza di Draghi, è altrettanto certo. Ma la Bundesverfassungsgericht ha voluto far vedere ancora una volta chi comanda. Anche se Tsipras diventasse a furor di sinistre intelligenti, il presidente della Commissione, non si sogni Draghi di dare la stura alla stampante, a nome della «fine dell’austerità».

La verità è che Draghi è stato progressivamente messo ai ceppi da Berlino. Appena è riuscita a formare il suo terzo governo, Merkel ha sostituito dentro il direttorio della BCE il componente tedesco, Jorg Asmussen, con Sabine Lautenschläger, vicepresidente fino a ieri della Bundesbank, e – soprattutto – un falco inflessibile in rigore monetario. Asmussen aveva finito per addolcirsi un po’...

E infatti, il consiglio della BCE non ha consentito a Draghi di abbassare ulteriormente i tassi, dato il pericolo di deflazione, quella che ha prodotto il decennio perduto di recessione in Giappone. Anzi, Draghi ha dovuto – mentendo e sapendo di mentire – negare che esista un pericolo di deflazione in Europa. «E’ la stessa retorica giapponese: anche la Bank of Japan continuò a negare che stava entrando in deflazione, lasciando innestarsi le forze deflazioniste nel sistema economico», ha detto al Telegraph Lars Christensen, analista della Danske Bank.

Draghi ha dovuto dire quanto segue: al tempo in cui in Giappone si innescò la deflazione – irreversibile – nel «paniere» giapponese che calcola l’inflazione, c’era il 60% dei generi e prodotti il cui prezzo calava. In Europa, nell’analogo «paniere» , i prezzi calanti sono solo il 20% per l’eurozona, il 22 per Italia e Spagna, il 30% per la Francia — ma già il 49% per il Portogallo, 69 per Cipro e 85 per la Grecia: dunque questi Paesi sono già ora in deflazione conclamata, irreversibile, e la Grecia non può nemmeno sognare di risollevarsi diventando in qualche modo solvibile. In deflazione, il suo (e nostro) debito pubblico diventa più pesante, insopportabile — fino al default obbligato, in un mare di disoccupati. C’è quasi da sospettare che Berlino «voglia» arrivare a questo, con conseguente spaccatura dell’euro — solo, dandone la colpa alle «cicale».

Naturalmente si potrebbe, anzi dovrebbe opporre ai germanici che proprio loro costringono la BCE a violare i suoi statuti. Non è scritto in tali statuti che la Banca Centrale Europea deve mantenere un’inflazione attorno al 2%? Ebbene: l’inflazione «core» è già allo 0,60 (se non vi si contano le tasse tragicamente aumentate nei paesi del Sud), la massa monetaria M3 si contrae a ritmo accelerato – 1% negli ultimi tre mesi – mentre la BCE dovrebbe assicurarne una crescita del 4,5%

Già. Ma per opporsi ai tedeschi, occorrerebbe una figura di leader indiscusso, di carattere e di riconosciuta competenza, capace di riunire attorno a sé i governi dei Paesi-vittima, e dare battaglia. Ci vedete Tsipras? Auguri. Renzi?

Mario Draghi – anche ammesso ma non concesso – che fosse pronto a una simile parte... è stato prontamente deferito davanti alla Corte di Giustizia. Si sa, non è nulla di grave, sarà prosciolto; ma è un po’ come Berlusconi che governava con i giudici sul collo. Magari è anche un contrappasso, ma c’è poco da ridere.

Patétikòi Italiòtes.

Befera s’è accorto della globalizzazione?


Scappano dall’Italia non solo i leggendari «giovani» d’alto livello scientifico e culturale, che qui non trovano da guadagnarsi da vivere. Hanno lasciato il Paese, nel 2012, 68 mila italiani benestanti (erano stati 50 mila l’anno prima) alla ricerca di un fisco più umano. In 6500 sono andati a Panama dove la massima aliquota fiscale sul reddito è del 30% (e non del 43 come da noi), 4 mila in Svizzera (per «la prevedibilità delle leggi», dicono), persino 16 mila e passa alle Canarie, che sono Spagna, ma dove – a causa della lontananza dalla madrepatria – vigono agevolazioni fiscali e Iva ridotta.

E poi: avrete notato la quantità crescente di auto di lusso con targa della Bulgaria. Forse che i loro ricchi vengono qui, come i nostri ricchi se ne vanno? No. Come certo saprete, l’Iva bulgara è una frazione della nostra: e su una Mercedes, Audi o BMW di grossa cilindrata, sono 4-6 mila euro di risparmio. Inoltre costa meno l’assicurazione, e le multe non vi arrivano.

Anzi, riprendo da un blog, lanciamoci nei sogni proibiti: «Perché non farsi una Cajenne?». Istruzioni per l’uso: Prendete i documenti della vostra supercar e inviateli in Germania, solo i documenti, la vettura può restare nel vs garage, un intermediario la comprerà immatricolandola nel suo Paese, a questo punto vi verranno inviate le nuove targhe e comincerete una nuova vita. Niente autovelox, nessun verbale per il vs accesso nelle ztl senza permesso, niente superbollo; risparmiate anche sull’assicurazione, in quanto le polizze tedesche costano meno. Tutto qui? E no, la cosa più allettante è che con questo stratagemma si sfugge al redditometro (Qualche mente geniale ha pensato bene di inserire, tra gli 80 indicatori, il noleggio da società italiane, dimenticandosi di quelle straniere, che così non sono tenute a comunicare al fisco nessun dato). Non avete un macchinone, in quanto il vs commercialista da tempo vi ha consigliato di disfarvene, giusto per non dare nell’occhio? Meglio ancora, non avete che l’imbarazzo della scelta, Germania oppure paesi dell’est Europa, un bel contratto a lungo termine è il gioco è fatto».

Titoli a caso: «Marchionne: sede legale in Gran Bretagna», per pagare meno tasse sui dividendi della nuova azienda nata da Chrysler e fiat, la FCA. Yahoo Italia trasferirà la sede fiscale a Dublino. Ferrari: voci di trasferimento in Olanda. Vodafone di de Benedetti fa’ i soldi in Italia, ma è una società delle Antille Olandesi. Loropiana, Bulgari, Gucci, Valentino, Pomellato, Bottega Veneta ed altre 400 industrie del cosiddetto Made in Italy sono finite in mani estere: laddove i regimi fiscali non sono concepiti per stroncare l’attività economica.

Ora, la domanda rispettosa va rivolta a Befera dottor Attilio: perché si sa che è lui (o i suoi uffici) con altri altissimi tecnici (tipo Mastrapasqua) a scrivere le leggi tributarie per i parlamentari, e per il governo. I deputati e senatori italiani non sono in grado, non ci capiscono, e sono in tutt’altre faccende affaccendati. Quando il Governo – Monti o Letta, poco importa – è a corto (lo è sempre), chiama Befera e lo implora: «Dottò, inventami una tassa nuova! Facciamo pagare gli evasori! I ricchi, quelli veri!».

Si è reso conto, Befera dottor Attilio, che attorno all’Italia esistono altri Paesi, con regimi fiscali tutti diversi e per lo più molto migliori? E che, essendo l’Italia entrata (per volontà dei suoi politici) nella «globalizzazione, deve lasciare uscire liberamente i capitali, nella speranza che ne entrino liberamente, attratti dal nostro splendido sistema-Paese? S’è reso conto, esimio dottore, che le aziende possono spostarsi nel mondo dove il lavoro costa meno ed è aggravato da meno oneri? Fosse pure in Polonia e Bulgaria, ma persino in Spagna?

Sembra di no. Già una volta, suggerì a Mario Monti (er tecnico...) di bastonare fiscalmente gli yacht che entravano nei nostri porti turistici: ed ha fatto la fortuna di porticcioli di Slovenia, Croazia e Montenegro, e ad affondato la nostra cantieristica da diporto. Con l’Iva aggravata c’è ricascato: vede in giro le tante auto targate BG? No, non è Bergamo...

Befera governa il fisco come se l’Italia fosse ancora il Paese isolato dall’autarchia e dalle inique sanzioni. C’è il mercato mondiale, Befera, ne prenda gentilmente atto. Non capisco: forse ha vinto «o’ concuorso» in tempi tanto lontani. Tempi i cui l’Europa unita prometteva che, con l’euro, si sarebbe avverata la «convergenza fiscale». Tutti i Paesi europei avrebbero finito per unificare i tributi e le norme di bilancio, così, tanto per far piacere a noi.

Mi pregio informarla, dottor Attilio Befera, che la convergenza non è avvenuta. Che il bel sogno non s’è avverato. Sicché adesso, secondo la Banca Mondiale, ecco qual è il peso delle tasse che gravano sulle imprese:

Italy

68,6%

France

65,8%

Germany

48,2%

Poland

42,3%

Holland

40,5%

United Kingdom

37,3%

Ireland

26,5%


Tassazione del profitto delle imprese

 


Capisce da lei, caro dottore, che le aziende se possono, da qui se ne vanno. Che i benestanti, se possono, emigrano. Finisce che qui se ne vanno tutti.

Sono successe tante cose, dopo che lei ha vinto o’concuorso. Mi rendo conto che è disabituato, in Italia non occorre coltivare cervello e sapere per guadagnare 600 mila euro annui nel pubblico impiego; anzi è positivamente controindicato. Dovrebbe tornare a studiare un po’. Già che c’è, le consiglio di prendere conoscenza di un fenomeno che lei pare ignorare, come i nostri politici (ma non è colpa loro, sono fatti così). Cerchi «Curva di Laffer». Basta la voce su Wikipedia.





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