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Attentato a Putin. Mandanti, i soliti sospetti
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Ovviamente, i media americani ed europei si sono provati a ridicolizzare la notizia, o a gettare il sospetto: l’attentato sventato a Vladimir Putin, alla vigilia delle votazioni presidenziali, fa troppo comodo a lui stesso (così ad esempio l’Independent), la notizia è probabilmente esagerata. (All too convenient for Mr Putin)

Eppure basta mettere in fila le notizie rese pubbliche per vedere chiaro.

Adam Osmayev
  Adam Osmayev
La cellula di attentatori, cecena, è stata smantellata ad Odessa dalla polizia ucraina, non russa. La TV ucraina ha mostrato le immagini di Adam Osmayev, uno degli attentatori, duramente malmenato, mentre ammette: «Il nostro scopo era di andare a Mosca ad ammazzare il primo ministro Putin... dopo le elezioni presidenziali».

Questo Osmayev è un ceceno. Ma appartiene ad una famiglia cecena «eminente», «vive da molti anni a Londra», dove si è laureato «in una prestigiosa università britannica». Come spiega il britannico Daily Mail: l’uomo ha «forti legami britannici. Addirittura forti. (Bloodied face of Putin 'assassin': Chechen rebel with British links captured after 'plotting to kill Russian premier')

E da Londra, dove vive in dorata latitanza, il miliardario ed ex-oligarca sovietico Boris Berezovsky alza la voce. Una minaccia seria, dato l’uomo: «Putin farà la fine di Gheddafi». (Exile Russian oligarch Berezovsky: Putin will end up like Ghadafi)

Boris Berezovsky
  Boris Berezovsky
Berezovsky lo dice ad Haaretz, perchè è uno dei tanti ebrei che si sono impadroniti dei patrimoni russi durante il crollo dell’Unione Sovietica, anche se preferisce abitare a Londra dove ci si diverte e si traffica di più a livello globale (ha fatto affari anche con Neil Bush, il figlio minore di George Bush senior). In Russia è perseguito per riciclaggio, frode e tentato colpo di Stato: tentativo da lui stesso dichiarato al Guardian il 13 aprile 2007: «Dobbiamo usare la forza per cambiare questo regime. Non è possibile cambiarlo senza la forza». Ha ammesso di lavorare «ormai da sei anni per distruggere l’immagine positiva di Putin» coltivata, secondo lui, da certo media occidentali.

Berezovsky ha trafficato coi signori della guerra ceceni fin da quando era vice-presidente del Consiglio di Sicurezza Nazionale del premier Boris Eltsin (era un intimo di Tatiana, la figlia di Eltsin, esponente della «famiglia»). Berezovsky voleva il posto che invece Putin ha occupato, e non gliel’ha mai perdonata.

Paul Klebnikov
  Paul Klebnikov
«Potere, politica, omicidi. Boris Berezovsky può dar lezioni ai tizi della Sicilia», scrisse di lui su Forbes-Russia Paul Klebnikov, giornalista russo-americano (argomento che poi fu sviluppato in un libro: Godfather of Russia: Boris Berezovsky and the looting of Russia, ossia: Berezovsky il Padrino e il saccheggio della Russia). Berezovsky querelò Klebnikov... a Londra, benchè il giornale con l’articolo presunto diffamatorio fosse, ed è, un periodico russo ancorchè in inglese. I tribunali inglesi diedero ragione a Berezovsky. Il 9 luglio 2004, Paul Klebnikov fu ammazzato in una strada di Mosca da individui su un’auto, nove revolverate. Ma nessuno dica che il mandante poteva essere Berezovsky: vi querela e vince. Anche questo assassinio fu messo in conto alla «cricca Putin», come quello della giornalista Politkovskaia, e del povero spione Litvinenko, una scartina del giro Berezovsky a Londra, ucciso con il metallo radiattivo.

Berezovsky provvede alla propria sicurezza circondandosi di guardie del corpo cecene, estratte dalla crema della criminalità cecena. Ma non dite che è un gangster, i tribunali britannici lo proteggono dalle diffamazioni.

I suoi ottimi rapporti con i circoli che contano a Londra datano da molti anni. Almeno dal ‘96 – lui era ancora vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Nazionale eltsiniano – quando, grazie ai suoi contatti nella criminalità cecena, fece liberare una sessantina di ostaggi, fra cui due inglesi, che fece riportare in patria sul suo aereo privato; in stretta collaborazione con l’ambasciatore britannico Sir Andrew Wood. I patrioti ceceni avevano preso l’abitudine di fare sequestri di persona, spesso giornalisti occidentali, per finanziarsi coi riscatti.

Anni dopo, alla Rossyskkaya Gazeta, il leader ceceno Ramzam Kadirov (quello insediato e pagato da Putin al governo ceceno) spiegò che era stato lo stesso Berezovsky a suggerire la presa di ostaggi a due caporioni ceceni (Shamil Basayev e Salman Raduyev), come metodo di finanziamento. I due avevano chiesto fondi a Berezovsky, ma secondo Kadirov,

«egli (nella sua posizione) non poteva dare direttamente soldi ai guerriglieri, così inventò questo meccanismo. In mia presenza, Berezovsky disse a Raduyev e Basayev: ‘Rapite della gente e io pagherò i riscatti per liberarli. Io guadagnerò in buona pubblicità, e voi avrete i soldi’. Così, ha pagato milioni di dollari a Basayev».

Rossyskkaya Gazeta
  Rossyskkaya Gazeta
Secondo Kadirov, è stato sempre Berezovsky ad ordinare l’assassinio della giornalista Anna Politkovskaya, che rivelava troppo dei rapporti fra criminalità e politica in Cecenia. Kadirov può benissimo mentire, non sarebbe il più grave dei suoi delitti. Ma il quadro che dà, è più che plausibile.

Oggi, le altolocate amicizie occidentali del latitante d’oro possono anche avergli chiesto di mobilitare i suoi ceceni specialisti in terrore per il nobile scopo di eliminare un così ragguardevole nemico della democrazia, che il suo popolo si appresta a rieleggere di nuovo presidente. Magari, con qualcosa di più spiccio delle rivoluzioni colorate finanziate dalle note ONG, visto che manca una settimana alle elezioni.

L’ultimo atto sgradevole di Putin è aver impedito i passi per l’intervento umanitatio in Siria, con il veto al Consiglio di Sicurezza ONU, a cui si è aggiunto il veto di Pechino. Aspramente redarguito da Hilary Clinton, ha inviato armi e navi da guerra al regime di Damasco, facendo chiaramente capire che un attacco occidentale avrebbe avuto a che fare con la Russia. I cinesi si sono parimenti affiancati al siriano Assad, in modo sorprendente; il portavoce degli Esteri ha definito i rimproveri della Clinton «totalmente inaccettabili», e l’organo ufficiale del Partito ha chiamato l’atteggiamento americano «super-arrogante». (A Chinese vision begins to emerge)

Sulla Siria, fra Russia e Cina si è saldata un’alleanza che pare piuttosto solida. Mosca e Pechino valutano che Assad abbia ancora con sè la maggioranza della popolazione, e hanno chiesto all’Occidente di lasciargli il tempo per le riforme promesse, cessando di armare ed incitare i loro ribelli preferiti ad Homs. Richiesta inascoltata.

Anzi, pare Washington si prepari a decretare il blocco dello spazio aereo siriano, anche senza autorizzazione ONU. Un atto di guerra che ricorda molto da vicino la «no-fly zone» imposta sull’Iraq di Saddam, e poi sulla Libia di Gheddafi. Premonizioni delle invasioni seguenti. ('US to announce aerial blockade on Syria')

La Siria non ha il petrolio, ma è diventata una piattaforma essenziale per far giungere il greggio nel Mediterraneo, senza passare per le vie d’acqua, oggi tutte in pericolo di blocco per la destabilizzazione del MedioOriente in corso, e per le auspicate destabilizzazioni future. L’attacco all’Iran, che gli israeliani tanto vogliono, bloccherebbe immediatamente lo stretto di Hormuz. Il Canale di Suez, dopo la vittoria degli integralisti islamici in Egitto, non è più un transito sicuro. Il Mar Rosso è infestato dai pirati somali.

Un oleodotto che attraversasse la Siria portando il greggio iracheno al Mediterraneo sarebbe la soluzione al problema. Naturalmente, una Siria dopo la vittoria della democrazia sul modello libico, ridotta a fazioni etniche aizzate l’una contro l’altra, e soprattutto una Siria da cui sia stata sloggiata la flotta russa che stazione nel porto di Tartous.

Il progetto del nuovo oleodotto nella nuova Siria democratizzata piace ai sauditi e alla Turchia: il che spiegherebbe la posizione anti-Assad di Ankara.

Gli americani hanno mostrato di considerare gli assassini mirati una legittima arma di «regime change». Possono aver mobilitato la cellula cecena, tramite il loro amico ebreo di Londra? Nikolai Svanidze, un serio analista russo che è membro della Camera Pubblica di Russia (un organismo di analisi e di supervisione del governo), ha fatto notare l’astuzia del calcolo dei terroristi – o dei loro mandanti – che contavano di assassinare Putin «dopo» la sua elezione a presidente.

«Se lassassinio avesse luogo dopo le elezioni, come progettavano, i risultati sarebbero stati cancellati e nuove elezioni sarebbero state varate sotto lattuale presidente Dmitri Medvedev. Se lassassinio fosse avvenuto dopo linsediamento (di Putin), tutte le leve del potere sarebbero state concentrate nelle mani del primo ministro, attualmente Medvedev».

Durante la presidenza Medvedev, Mosca ha fatto molti favori a Washington: consentito il passaggio sul suo territorio di rifornimenti per le truppe in Afghanistan, sospeso la vendita dei super-missili anti-aerei all’Iran, accettato di far entrare il suo Paese sotto la World Trade Organization. Con Putin nella stessa poltrona, il cambiamento di politica estera è certo. L’ha annunciato lui stesso in una analisi scritta pubblicata lunedì:

«La Russia è trattata con rispetto solo quando è forte e sta salda sui due piedi... Il solo modo di assicurare la sicurezza globale è farlo insieme alla Russia, non tentando di marginalizzarla, indebolirla sul piano geopolitico, o minare il suo potenziale difensivo».

È una posizione che ha una robusta consonanza nell’opinione pubblica russa, e soprattutto nei generali. Siccome una volta eletto Vladimir Putin resterà – con la sua politica estera qui delineata – fino al 2018, un attentato alla sua vita può essere tentatore.

Svanidze ha sottolineato, come tutti i commentatori in Russia, l’effetto tremendamente destabilizzante di un attentato del genere per la nazione e lo Stato russo.

«È naturale che i terroristi ceceni siano sospettati di legami con Turchia e Arabia Saudita», ha aggiunto, «ma non possiamo escludere che gli organizzatori dell’attentato siano da cercare in USA». (‘Attempt on Putin could fan anti-Americanism’)



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