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Israele: quasi umani. Ma non troppo
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Ricevo questa mail: «Alla radio Rai parlano di Palestina. In studio Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche, e una giovane arabetta raccattata (probabilmente terrorizzata all’idea di essere cacciata dall'Italia per una parola di troppo). Il discorso finisce sui terribili tunnel palestinesi contenenti autentici arsenali (non sulle bombe al fosforo, quelle a frammentazione ecc.).

Sì, ho sentito anch’io, e mi sono rallegrato per Gattegna: è molto migliorato rispetto a Piombo Fuso, oggi è più umano. In questi giorni una quantità di ebrei vengono intervistati sulle stragi che Israele sta commettendo a Gaza, e tutti appaiono molto migliorati. Spargono persino qualche lacrima sui palestinesi e sul loro triste destino. Sembrano umani.

Applicano il manuale. Il manuale ha il titolo di «The Israel project’s 2009 Global Language Dictionary », ed è stato elaborato da Frank Luntz, stratega politico repubblicano ebreo americano, proprio per insegnare agli ebrei ad evitare gli errori di comunicazione in cui cadono, ohimé, troppo facilmente ogni volta che Israele ripete lo sterminio dei palestinesi e loro sono intervistati in tv o radio. Come dice il nome, è un vero e proprio «dizionario globale» delle parole ed espressioni da usare, e di quelle da fuggire.



È un volumetto di 112 pagine, e su ciascuna pagina vi è stampigliato: «Not for distribution or publication» («Non distribuire – Non pubblicare»). Anche se appena uscì, il manualetto è stato divulgato da Newsweek Online. Era tuttavia il 2009, e la gente dimentica sùbito. Perciò Patrick Cockburn ha fatto bene a ricordarlo su L’Independent.

Il primo capitolo, per esempio, consiglia:

«Mostrate che voi volete la pace sia per gli israeliani SIA per i palestinesi, e in particolare, un miglior futuro per ogni bambino. È essenziale che iniziate la conversazione mostrando empatia per ENTRAMBE le parti, per prima cosa».

«Le persone convincibili non ascolteranno ciò che avete da dire se non dopo che sapranno quanto siete sensibili».

E suggerisce di cominciare, per esempio, un dibattito tv, emettendo una frase «di comprovata efficacia», come questa:

«Israele è impegnata per un futuro migliore per ciascuno – Israeliani e palestinesi ugualmente. Israele vuole che il dolore e la sofferenza cessino, ed è impegnata a lavorare coi palestinesi verso una soluzione diplomatica pacifica in cui entrambe le parti possano avere un miglior fururo... Che questo sia un tempo di speranza per israeliani e palestinesi».

Un altro esordio «efficacissimo» suggerito è questo: «Ci tengo specialmente a tendere le mani a tutte le madri palestinesi che hanno perduto i loro figli. Nessun genitore dovrebbe trovarsi a seppellire i propri figli».

«Usate l’umiltà». Ad esempio: «Lo so che cercando di difendere i propri figli e cittadini dai terroristi, Israele ha accidentalmente colpito innocenti. Lo so, e mi addolora. Ma cosa può fare Israele per difendersi? Se l’America avesse ceduto terra in cambio di pace, e quella terra fosse usata per lanciare razzi all’America, cosa farebbero gli americani? Israele è attaccata con migliaia di razzi dai terroristi di Gaza appoggiati dall’Iran...».

Quando si è interrogati sulle uccisioni di civili, il manuale suggerisce uno «approccio in cinque passi».

Step 1: simpatia: «Ogni vita umana è preziosa. So che la perdita di un palestinese innocente è esattamente tragico come la perdita di una vita israeliana».

Step 2: ammissione. «Ammettiamo che Israele non riesce sempre a scongiurare perdite civili...»

Step 3: sforzo: «Ci impegniamo continuamente per fare ogni cosa in nostro potere onde prevenire perdite di civili».

Step 4: Esempi: «Lasciate che vi spieghi come le nostre forze armate sono addestrate, motivate ed operino per assicurare che i civili palestinesi restino sani e salvi»

Step 5: voltate la frittata (turn tables): «È una grande tragedia che Hamas-sostenuto-dall’Iran, spari razzi contro i nostri civili mentre si nasconde dietro i propri. Questa è la causa di tragiche morti da ENTRAMBE le parti. Cosa fareste voi in questa situazione?».

Tutte le volte che capita di nominare Hamas, mai dimenticar di aggiungere «terrorista»: «Hamas-terrorista» e «Hamas-sostenuto-dall’Iran». Se salta fuori l’argomento della miseria in cui l’assedio giudaico da sette anni tiene i palestinesi di Gaza, si consiglia di portarlo sul tema di «isolare Hamas-sostenuto-dall’Iran che è l’ostacolo alla pace». Viene consigliata persino una frase di Netahyahu: «È tempo che qualcuno domandi ad Hamas: cosa avete fatto per dare prosperità alla vostra gente?». Supremo esempio di chutzpah.

Si insegna come rigirare argomenti delicati, per esempio: le frontiere di Israele. «Gli americani sono d’accordo che Israele ha diritto a frontiere sicure. Ma definire con precisione queste frontiere non porta a niente. Bisogna evitare di parlare di frontiere in termini di pre- o post-1967, perché serve solo a ricodare agli interlocutori la storia militare di Israele: e ciò pouò nuocere, speci fra gente di sinistra. Il sostegno di Israele a frontiere sicure cade da 89% a meno del 60% se voi accennare al 1967».

Altro argomento difficile: i milioni di palestinesi cacciati dalle loro case nel 1948 e anni seguenti dal terrorismo israeliano. Il dottor Luntz consiglia di misurare bene le parole: «Il diritto al ritorno è un tema di comunicazione delicato perché molto nel linguaggio israeliano somiglia alle frasi dei segregazionisti (bianchi anti-neri) e dei difensori dell’apartheid negli anni ’80». Già, chissà per qual mistero, gli israeliani possono dare la falsa impressione di essere dei razzisti bianchi.

Allora come rivoltare la frittata quando viene fuori il «diritto al ritorno» dei palestinesi a casa propria? Il manuale suggerisce di qualificarlo con la parola «pretesa». Gli americani non amano le persone che «pretendono», che «esigono».

«Bisogna dunque dire: i palestinesi non si accontentano del loro proprio Stato. Adesso pretendono dei territori all’interno di Israele». Se proprio si viene messi alle strette, per esempio se qualche interlocutore ha il coraggio di mostrare come mai i palestinesi «non si accontentano del loro Stato» esibendo una mappa come questa,



allora bisogna dire che il «diritto al ritorno» potrà essere r isolto nel quadro di un trattato di pace definitivo «ad un certo momento dell’avvenire».

È così che quando parlano in qualche tv o radio per orecchie di goym, i nostri ebrei sembrano quasi umani. Apprendiamo anche che esiste un modo di dire israeliano che somiglia molto al detto napoletano «Chiagni e fotti». Yorim ve bochim. Solo che alla lettera significa: «Spara e piangi».

Divertente le illustrazioni con cui il sito francese Le Grand Soir ha adornato l’articolo di Cockburn: per la serie «Quasi Umani»:



«Buongiorno, io sono un portavoce di Tsahal e vorrei parlarevi della nostra politica umanitaria. Avete un minuto da dedicarmi? – Quasi umani, da far paura».



«Buongiorno, io rappresento il governo israeliano e i piacerebbe parlarvi del nostro nuovo piano di pace in Medio Oriente. Avete un minuto da dedicarmi?»

Naturalmente c’è poi il modo in cui parlano fra loro. Molto più umano.

«Lasciate vincere Tsahal», «Lasciate che Tsahal finisca il lavoro», è lo slogan che i cittadini della sola democrazia del Medio Oriente, in questi giorni, scrivono sui muri con le bombolette, cantano in coro durante le manifestazioni, ripetono insaziabilmente sui loro blogs e social media in ebraico; e Tsahal esegue, sparando su scuole che sapeva benissimo essere rifuio di sfollati. «Tsahal finisce il lavoro», ossia stermina; non dimenticando di distruggere l’unica centrale elettrica di Gaza en passant.

C’è l’eroico soldatino israeliano David Ovadia, del Genio, che posa su Instagram con la sua carabina di precisione e si vanta: «Ho ammazzato13 bambini, vafanc musulmani, all’inferno troie...».



Ci sono i giovinotti che l’altra sera, in piazza Rabin a Tel Aviv, hanno festeggiato il bombardamento della scuola Onu a Gaza, con la strage conseguente, cantando flici: Domani a Gaza niente scuola/ Non ci sono più scolari/ Gaza è un cimitero, olé». Vedere il video per credere:



C’è la deputata Ayelet Shaked, parlamentare del partito ebraico religioso HaBayit HaYehudi, che ha spiegato: «Tutte le madri palestinesi devono essere uccise perché generano piccoli serpenti». Aggiungendo: «Devono morire, le loro case devono essere distrutte in modo tale che non possano più albergare terroristi». Le madri arabe «sono tutte nemiche, e il loro sangue dovrebbe essere sulle nostre mani. E lo stesso vale per le madri di terroristi morti».

Il partito della signorina si definisce giustamente «religioso»: difatti riecheggia la spiritualità dell’indimenticabile gran rabbino Ovadia Yossef, che è stato capo della terza formazione politiica della Knesset, il partito Shas: «Il Signore deve infliggere agli arabi gli atti che commettono, far marcire il loro seme, farli sparire dal mondo. È vietato essere magnanimi con loro. Bisogna annichilirli coi missili: sono dei demoni». Ovviamente non è che la pia esecuzione degli ordini che YHVH ha dato loro nella Torah, Numeri 33: «Il Signore disse a Mosè nelle steppe di Moab presso il Giordano di Gerico:51 «Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando avrete passato il Giordano e sarete entrati nel paese di Canaan,52 caccerete dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro immagini, distruggerete tutte le loro statue di metallo fuso e distruggerete tutte le loro alture.53 Prenderete possesso del paese e in esso vi stabilirete, perché io vi ho dato il paese in proprietà. (...) Se non cacciate dinanzi a voi gli abitanti del paese, quelli di loro che vi avrete lasciati saranno per voi come spine negli occhi e pungoli nei fianchi e vi faranno tribolare nel paese che abiterete.56 Allora io tratterò voi come mi ero proposto di trattare loro».

C’è, o ci sarebbe poi, padre Livio Fanzaga: nella sua Radio Maria, è stato il solo che (nella rassegna stampa di giovedì 31 luglio, mattina) ha giustificato la strage nella scuola dell’Onu con queste parole: «Vedete, Hamas fa il gioco sporco», perché, come gli dice il glorioso Tsahal, avevano messo dei missili vicino alla scuola Onu. Ma questo non è un ebreo, quindi non conta.

E adesso una piccola appendice:

Soldati americani morti in Ucraina

Come sapete, Washington, tutti i Paesi europei e tutti i loro media, accusano Vladimir Putin di aiutare con armi ed uomini i ribelli del Donetsk (senza mai dare una prova), ossia di compiere atti di guerra contro «un paese sovrano».

Randy Allen Key
  Randy Allen Key
Ebbene: c’è invece la prova che «istruttori» americani, appartenenti alle forze armate USA, combattono alla testa delle truppe del Governo di Kiev. La prova è dovuta al fatto che il 29 luglio, le foze di autodifesa del Donbass hanno attaccato una colonna di armati di Kiev, uccidendo tre istruttori che sono risultati ufficiali americani; e ne hanno ferito uno che è un pezzo grosso: il Generale Maggiore Randy Allen Key. Lungi dall’essere un «consigliere», era lui che dirigeva l’operazione punitiva contro la gente del Donbass. Probabilmente il comandante del reparto di Ranger, 180 membri, il cui invio in Ucraina era stato rivelato da Washington Times il 22 luglio:«Since the Ukrainian army crumbles soon Ukraine will be sent to a group of American advisers who strategize suppression of pro-Putin separatists and determine what material investments and other assistance required for this suppression».

Dei 180 Rangers, in una settimana, ne sono già stato uccisi dieci, l’ultimo (per ora) a Mariopol.

Domanda agli europei che hanno adottato le note sanzioni contro la Russia: sarebbe il caso di applicare le stesse sanzioni contro gli USA, dato che è contrario al diritto internazionale mandare truppe comandate da Generali in un Paese sovrano per partecipare ad una guerra civile.

Ma no, cosa si va a pensare.  Il presidente Poroshenko, parlando alla CNN il 21 luglio, ha detto che il suo Paese aspira a diventare «MNNA» (che sta per Major Non-NATO Ally, importante alleato non-NATO): lo status di una dozzina di Paesi dal Giappone alle Filippine, e che comporta che sono gratificati di basi e truppe americane di stanza sul loro territorio. Evidentemente si stanno bruciando le tappe, e l’Ucraina è già il primo Stato-satellite americano alle frontiere della Russia. In cambio, ha detto Poroshenko, «l’Ucraina potrà usare la leadership e l’assistenza americana nei nostri sforzi per troncare a corruzione, rianimare le nostre istituzioni finanziarie, riformare la nostra politica energetica e il nostro settore agricolo. In più, abbiamo bisogno del gas naturale Usa per non essere sotto ricatto di Mosca»... insomma ha steso il cappello, spera che gli americani davvero prendano a carico il cui Paese che sta collassando, mentre la guerra costa troppo (i militari si sono fatti stanziare altri 791 milioni di dollari per stroncare i ribelli, su un bilancio già in deficit per 2,5 miliardi). Obama ha promesso: «Siamo nella stessa barca», ha detto a Poroshenko. La barca di Obama non è esattamente in buone acque, essendo stato messo sotto querela dal Congresso per abuso del potere esecutivo.

Le acque potrebbero peggiorare, se è vero quel che rivela l’Independent:

Patto segreto fra Putin e Merkel?

I due sarebbero pronti ad uscire con uno scambio stupefacente da proporre a Kiev: scambiare la sovranità sulla Crimea ed ottenere in cambio garanzie per le forniture energetiche e i rapporti commerciali con Mosca. Questa otterrebbe la stabilizzazione dei confini ucraini (Kiev non chiederebbe di entrare nella NATO) e l’Ucraina un vero miglioramento economico garantito d Berlino. L’Independent parla di nuovo Patto Ribbentrop-Molotov... Si apprende che le trattative erano in corso da tempo, ma hanno subìto una battuta d’arresto dopo l’abbattimento del volo MH17. Al punto che qualche complottista potrebbe pensare che la catastrofe sia stata provocata proprio per far fallire le trattative. Ma queste sono solo rimandate, perché Angela e Vladimir si parlano fitto, in tedesco, e la NSA non sembra essere in grado di intercettare le loro conversazioni.

L’attività destabilizzatrice del Dipartimento di Stato rischia di subire una battuta d’arresto all’Est. Per fortuna c’è il massacro di Gaza da continuare: gli USA hanno appena ri-approvvigionato Sion di munizioni, specie proiettili d’artiglieria da 40 e 120 mm, perché Israele ne ha consumati troppi nei giorni scorsi nei suoi crimini di guerra. Come sempre generosa nelle stragi di palestinesi, è rimasta a corto. Ed ora, può attingere alle riserve WRSA-I, che sta per War Reserves Stock Allies-Israel, arsenali che il Pentagono ha accumulato in Israele. Così la sola democrazia bla bla può mobilitare altri 16 mila riservisti, portando il numero complessivo delle sue forze a 86 mila uomini; avrà gli obici per seppellire di nuovo Gaza sotto altre macerie, centrare nuovamente scuole ed ambulanze.

Interessante e commovente il saluto che Susan Rice, la consigliera per la sicurezza nazionale di Obama, ha inviato ai leader ebraici così duramente provati nello sforzo sterminare piangendo: «Oggi è il primo giorno di Av, il mese in cui gli ebrei ricordano la distruzione del primo e del secondo Tempio. È per ricordare che il popolo ebraico è sopravvissuto a nemici più forti che Hamas. Siete stati provati dalla tragedia e dal tempo, dalla storia e dall’odio. Ma ogni volta , am yisrael chai: il popolo ebraico vive».

Ormai l’amministrazione noachide parla ebraico.




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