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Modesta proposta: dichiarare lo stato di guerra. E corte marziale
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Confesso che di Norberto Achille, il presidente delle Ferrovie Nord, non avevo mai sentito parlare. Evidentemente non ha mai dato notizia di sé per qualche bel successo nella gestione dell’ente (una SpA posseduta al 57% dalla Regione Lombardia), fino a qualche giorno fa. Quando si è saputo che: «Norberto Achille avrebbe utilizzato impropriamente la cassa della società, con acquisti e spese per 600 mila euro. Fra queste spese brillano: abbonamento pay tv, pasti al ristorante, capi d’abbigliamento e scommesse sportive», più «uso improprio di auto aziendali»; auto noleggiate dalle Nord a 220000 euro, che lui passava (secondo l’accusa) a moglie e figli. Ai quali – al cuor non si comanda – avrebbe anche ceduto «schede telefoniche intestate alla società», utilizzate oltre i 100 mila euro, se ho ben capito.

Dal Fatto Quotidiano: «In un mese, la carta aziendale ha pagato 300 euro a un paio di siti di gioco online, www.Bwin.it e www.pokervenice.com. Inoltre risultano spese anomale per circa 10 mila euro tra abbigliamento, cinema e tv (Sky e altro), informatica e carburante. Spesa anomala perché per l’auto aziendale Achille dispone già della carta carburante. Ci sono nella lista i migliori ristoranti di Milano, da Chatulle a La Pobbia, da Bice a I 4 Mori. Frequenti i viaggi in Calabria (dove Achille aveva avuto un incarico dall’Anas per il collaudo della statale Ionica, finito nel mirino della Procura della Corte dei Conti); qualche strisciata a Mosca dove ha sede la banca Kmb nel cui board troviamo Achille. Abbondano le spese a Forte dei Marmi dove Achille ha una villa. C’è anche una puntata a Venezia. Harry’s Bar e Hotel Grand Canal». Accollati alle Ferrovie anche: «due dipinti di scuola napoletana e una natività lombarda del 16° secolo per 17 mila euro. Una puntatina in agosto nel «famoso locale Twiga a Marina di Pietrasanta, proprietà di Flavio Briatore»: 900 euro. Altri 3.749 euro sono andati fra “film pornografici acquistati su Sky” e scommesse sportive online.

Ammirevole l’entità delle multe che L’Achille ha accollato all’azienda: fino a 74 mila euro, fra cui una in Svizzera di 1000 – mille euro – «per eccesso di velocità»: andava nella Confederazione ripetutamente sfrecciando davanti ai gendarmi? Lo faceva apposta? Forse per entrare finalmente, da anonimo qual era, nel mito: il pie’ veloce Achille. Forse perché si annoiava.

Succede, quando la tua vita è una festa perpetua.

Ecco il problema che modestamente mi par di avere identificato nelle nostre categorie pubbliche: non si sono accorte che la festa, per gli altri, è finita da un pezzo. Che gli altri italiani, quelli che pagano loro gli stipendioni e i video-porno, le multe e le autoblù, vivono un’altra realtà, completamente diversa: se lorsignori vivono la festa, questi lo stato di guerra.

Lorsignori, non si sentono nella stessa barca dei loro concittadini che arrancano, sotto le raffiche della tassazione e si ingegnano a vivere con la disoccupazione al 13%, che scendono in numero crescente sotto il livello di povertà: da 11 milioni del 2010, a 15 milioni oggi.

Lo dimostra con limpida, persino commovente chiarezza, l’appassionata difesa che Achille Occhetto, l’ex segretario del PCI, ha fatto del suo vitalizio da parlamentare: «Guardate il mio reddito. Non ho altre entrate. Se mi fosse tolto il vitalizio di cosa vivrei? E di cosa vivrebbe la mia famiglia? Sono pronto a restituirli, ma – specifica Occhetto – vi assumete voi la responsabilità del fatto che finirei in povertà. Con questo mantengo anche i miei due figli che sono disoccupati, perché non ho mai approfittato del mio ruolo per trovare loro un posto. Andando avanti, la differenza aumenterà. Dovrei morire così siete contenti».

Viene un impulso di solidarietà verso il degno segretario; noi siamo fatti così, vogliamo salvarlo dalla mendicità. Però il vitalizio che a fatica mantiene l’Occhetto a un pelo dalla povertà, ammonta a 5860 euro mensili. Siccome lo prende dal 2006 quando ha lasciato il Parlamento in cui ha accumulato emolumenti per un ventennio, noi comuni mortali pensiamo: ma almeno si sarà messo qualcosa da parte. Noi, infatti, facciamo così: se guadagniamo benino, risparmiamo per i tempi duri.

Occhetto no, non è fatto così. Non ha messo via niente. «La Costituzione – protesta mitemente il quasi-mendico – vieta di rendere retroattive le norme. Io adesso come farei? Se le regole fossero state diverse, avrei accantonato dei soldi e mi sarei fatto un’altra pensione». Protesta giustissima, ci affrettiamo a commentare, che lo unisce spiritualmente agli esodati: anche loro vittime di regole cambiate di colpo sotto il loro sedere. Anche loro si sarebbero fatti un’altra pensione, se avessero saputo che nel loro futuro c’era la Fornero.

Una differenza tra loro ed Occhetto però resta: la moglie Aureliana Alberici, anche lei ex parlamentare, percepisce un vitalizio di 3791 euro mensili. In quella famiglia quasi indigente entrano ogni mese 9.651 di soldi pubblici, ossia da noi pagati. E non vi bastano, poverini? Occhetto risponde: «In una famiglia ci sono tante spese e tante situazioni che non potete conoscere. Quei soldi mi servono per vivere e mantenere i miei familiari. È tutto secondo la legge... Dovrei morire così siete contenti».

No, no, compagno Occhetto, non commetta il gesto irreparabile. Come non esserle vicino? Però:

Ho un amico separato, malato di mieloma, disoccupato da tre anni, che deve pagare gli assegni a moglie e figlio (che abita nella ex casa sua con l’amante) e non riesce a vendere una sua proprietà immobiliare, che lo sta strangolando con le tasse. Ho un altro amico cui è stata tolta la pensione d’invalidità perché l’Inps lo ha giudicato guarito (da cancro del sangue...), ed a 51 anni gli hanno detto di cercarsi un lavoro. Ho un altro amico, separato anche lui con obbligo di mantenimento del figlio, che ha accettato un taglio dello stipendio del 15%, come tutti gli altri colleghi – e adesso paga persino lui il gasolio dell’auto aziendale (una Ford), che gli serve per cercare clienti – per scongiurare la chiusura della ditta.

Dunque sì: «In una famiglia ci sono tante spese e tante situazioni che non potete conoscere»: gli amici di cui sopra possono ben sottoscrivere la sua frase, compagno Occhetto. Ma vivete in due Italie diverse. Se riaprisse ogni tanto il suo Marx, si ricorderebbe che il filosofo avvertì: «Il modo di esistenza crea la coscienza» di classe. Uno può spergiurare di essere «di sinistra» quanto vuole; ma quando prende quasi 10 mila euro mensili di soldi pubblici, non potrà fare a meno di imitare Maria Antonietta: «Niente più brioches? Volete ridurmi a mangiare pane?» Pane, orrore.

Gli italiani produttori, strangolati dall’euro, dalla torchia fiscale più rapace del mondo, dalla UE e dalla competizione globale, vivono in un panorama di macerie – il 25% del Pil è crollato, altrettante imprese produttive sono distrutte, come fossero bombardate, oppure sono saccheggiate dai finanzieri o conquistate dallo straniero – e lorsignori vedono l’Italia con gli edifici in piedi e i fumaioli fumanti, prospera e felice come negli anni del miracolo economico. Noi, l’austerità; loro, vogliono i soldi di prima, anzi di più.

Nel 2013, un tentativo di prelievo straordinario del 5-10% sulle pensioni da 9/150 mila euro, fu affondata come incostituzionale della Corte dei Conti, decisione costata 80 milioni di euro a noialtri. La Corte Costituzionale è potente, insuperabile muro di difesa dei «diritti acquisiti» da lorsignori, mentre si falcidiano i «diritti acquisiti» nostri. Ha protetto gli emolumenti enormi della magistratura costosa, settaria e inefficiente, dichiarando che ogni taglio di stipendio annullava la «autonomia» e offuscava la serenità dei giudicanti. Secondo molti, è per quel tentativo (del resto respinto) che la Corte ha il dente avvelenato con Renzi, e che per questo (dicono i maligni) avrebbe «interpretato» la legge Fornero, in modo da obbligare il governo Renzi gli arretrati tolti dalla Fornero, creandogli un immane problema. Se fosse vero, sarebbe sabotaggio e danno allo Stato (1).

Questo atteggiamento scende per li rami e inzuppa l’animo di tutti i lavoratori pubblici. Tutti, adesso, armati fino ai denti a difendere i loro privilegi, appena si prospetta di tagliarglieli un po’, di risparmiare sui loro vizi. E con molto successo. I vigili urbani di Roma si assentano all’80% per Capodanno? Con falsi certificati medici per giunta, in modo da rubare la paga? Ricordate con quanta arroganza hanno contrattaccato, preteso di aver ragione, strillato alla persecuzione, all’attentato alla libertà sindacale!

Gli italiani produttivi hanno accettato decurtazioni delle paghe per tenere aperte le aziende, e i pubblici dipendenti dei trasporti che cosa fanno? Scendono in sciopero perché vogliono l’aumento: «Il nostro contratto è fermo da sei anni». Ma quello degli altri, cari, è non già fermo, ma in arretramento! E una quantità di italiani, non ha nessun contratto, nessuno stipendio, ma solo la partita Iva.

E che dire della ripugnante canea inscenata dalla casta degli insegnanti, vera piaga e palla al piede dello sviluppo culturale del Paese, che non vogliono essere giudicati e selezionati? E parliamo delle pensioni? Poco più di mille euro mensili quelle dei privati, 1770 quelli degli statali.

Due Italie. Una cosciente di essere nel mezzo di una guerra – la guerra dell’austerità, della deindustrializzazione, delle invasioni di bocche affamate dal mare, a cui è stata esposta senza difesa – e l’altra: l’Italia che vuole gli aumenti indipendentemente dagli introiti fiscali, che vuole gli emolumenti, che vuole i benefit come prima, e sgavazzare con le feste di sempre.

Che l’Italia impoverita abbia piena coscienza che «siamo in guerra», l’ha suggerito un fatto ultimo: appunto l’imposizione al Governo dalla Corte Costituzionale di restituire i soldi ai pensionati, che la Fornero gli aveva bloccato. Mentre tutti i partiti e partitanti – dalla Lega al 5 Stelle – hanno strillato che il Governo deve restituire tutto, svenarsi con 18 e 20 miliardi, sono proprio i pensionati medi a scrivere ai giornali e sui blog: no, la mia pensione mi basta, qui soldi dateli ai pensionati minimi che non ce la fanno. Gente con 1300 euro mensili che dice: date quel che mi dovete chi ne ha 600, 700.

Questa è più che solidarietà civile. È l’oro alla patria delle mogli e delle mamme che, lontane dal fronte dove muoiono i figli, cambiano la loro vera per una di ferro. È la fraternità che nasce nelle trincee, sotto le bombe. Dove il ferito lieve sacrifica il suo pacchetto di pronto soccorso per bendare il camerata con le budella fuoriuscite, anche se non sa nemmeno come si chiama. Dove – siccome il rancio non arriva, le retrovie non rispondono – e allora si divide la razione di fichi secchi, di grappa, e si fa a metà dell’ultima sigaretta acciaccata e mezza vuota. Dove nella notte illuminata dalle esplosioni e dai bengala, anche Ungaretti si commosse alla voce che diceva: «Chi che reggimento siete, fratelli?».

Fratelli


Mettiamo a confronto gli esimi, strapagati giudici della Corte Costituzionale. Quelli da 30 mila euro al mese, che hanno decretato l’intoccabilità delle pensioni retributive anche se la collettività deve svenarsi per pagarle. Come già sapete, questi giuristi altissimi, supremi, di routine «eleggono presidente il proprio membro più anziano, il più prossimo al pensionamento», regalandogli così il «diritto» alla pensione presidenziale con i benefici connessi ed annessi, una differenza – mi par di ricordare – di 100 mila euro in più l’anno. A spese di quelli che si dividono la cicca in trincea, che stano svenandosi per pagare le tasse su immobili che non possono più permettersi, che accettano riduzioni del salario per non far chiudere la ditta, bombardata dalla competizione globale... Così, «Flick è stato presidente per soli 3 mesi; Zagrebelsky 7 mesi; Onida 4 mesi; De Servio 4 mesi», e sono andati in pensione da presidenti. Sicché l’anno scorso per erogare 31 pensioni (22 giudici emeriti e 9 vedove), la Consulta ci sono voluti oltre 5 milioni e mezzo: una media da 180 mila euro l’una».

Ma quello che non sapevo nemmeno io è questo: che questa pratica continuamente messa in atto dai giudici supremi è in contrasto con l’articolo 135 della costituzione, che recita: «La Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il Presidente, che rimane in carica PER UN TRIENNIO, ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall’ufficio di giudice».

Ora, come si può risanare un Paese dove i primi a violare – o a fregarsene – della Costituzione sono i Giudici Costituzionali? Chi può rettificarli, sottoporli a verifica? Eventualmente punirli? Non c’è istanza superiore a cui fare appello contro di loro.

A parte una cosa: la guerra. Da qui la mia modesta proposta: dichiarare lo stato di guerra. Del resto, è esattamente la situazione in cui siamo nella realtà, solo che non è instaurata come istituzione (quale la guerra è). Dichiarare che quello presente è lo stato di guerra, è essenziale per rendere tutti non solo coscienti del pericolo estremo che corre la repubblica, ma anche consapevoli che si esige da loro estremo sacrificio, fino alla vittoria finale. Che quello che i ricchi di Stato prendono, è rubato a quelli che stanno nelle trincee sotto il fuoco della recessione e dell’austerità. Che fare feste e farsi pagare video-porno, passare carte di credito ai figlioli, accumulare pensioni milionarie, è sabotare lo sforzo dei combattenti di prima linea — quelli che producono, che esportano, che cercano di vincere la competizione globale nonostante tutti i pesi, quelli che subiscono l’austerità.

Il vantaggio dello stato di guerra è evidente, perché comporta la Legge Marziale. La magistratura ordinaria viene sovrastata da tribunali di guerra. I danni alle classi pubbliche per ripicca politica, divengono giudicabili come alto tradimento a livelli superiori; ai livelli medio-bassi, quello degli scioperanti scioperati pubblici, come disfattismo, diserzione, impedimento ed ostacolo alla difesa della nazione, forse anche intelligenza col nemico. In guerra, pensare solo ai propri egoistici interessi individuali a danno degli altri, è un reato gravissimo e punibile con la morte; emolumenti e benefici vari, come «profitti di guerra», verranno sequestrati. I reati pubblici più comuni, come corruzione e malversazione, peculato e truffa, saranno interpretabili come attività di sabotaggio dello sforzo bellico supremo, lesione dello Stato e della sua capacità di agire come soggetto sovrano, attentato alla sua integrità territoriale e alla sua indipendenza politica. I processi sarebbero spicci, la pena dei traditori la fucilazione (alla schiena), ai sabotatori in linea che scioperano, ossia rifiutano di trasportare i lavoratori produttivi (fratelli combattenti), si può applicare la decimazione.

Sì, lo so bene, i tempi non sono maturi. Ma lasciatemi sognare. È solo una modesta proposta. Ma è anche la sola riforma che può raddrizzare le nostre sorti collettive.





1) Come nota ormai anche Dagospia, «Il cuore della macchina statale è profondamente ostile» a Matteo Renzi per i suoi (vani) tentativi di ridurre gli sprechi e di metterli sotto controllo, «e appena può si mette di traverso per farlo inciampare. Magistrati, questori, ambasciatori, Banca Intesa eccetera sono tutti contro Renzi e lo aspettano al varco». Esempio: «La sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni, divulgata il 30 aprile senza che per un mese e venti giorni Renzi ne fosse informato, la dice lunga sull’isolamento del premier rispetto a certi poteri costituiti come le alte magistrature. Nemmeno Giuliano Amato, giudice costituzionale e mandarino di prima categoria [quello che riceve 45 mila euro mensili], ha fatto un fiato con Palazzo Chigi. Così lo schiaffo è arrivato in piena faccia con tanti saluti al «tesoretto» e ai progetti di mance elettorali in vista delle Regionali. Gli ambasciatori [sono], piuttosto nervosi per i tagli alle indennità. Nell’avvocatura dello Stato, tra i consiglieri di Stato e in generale tra tutti i grand commis c’è una sorda avversione per il primo presidente del Consiglio che ha scelto di non avvalersi dei «professionisti delle leggi», ma di privilegiare il Giglio magico»... I tre milioni di insegnanti esibiscono senza remore un v ero e proprio odio. Ora, ricordo, Renzi è un governante pessimo. Il punto è che tutti gli altri che aspirano al suo posto sono persino peggiori di lui.



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