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Erdogan dittatore ottomano, e di nuovo amico di Sion
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Ricordate la Mavi Marmara? La nave turca affittata da gruppi di solidarietà con la gente assediata di Gaza, che fu assaltata da commandos israeliani con ferocia inaudita, in acque internazionali: trucidarono nove passeggeri, tutti turchi. Da quel giorno – 31 maggio 2010 – il capo del governo turco Recep Tayyip Erdogan suscitò l’ammirazione di chiunque ami i valori della civiltà rompendo la cooperazione con lo Stato ebraico pirata, con il quale era già ai ferri corti avendo condannato, con asprezza e coraggio, il massacro di Piombo Fuso.

Bene, tutto dimenticato. Il 4 dicembre scorso a Bruxelles, nell’incontro fra i governi membri della NATO, la Turchia ha ripreso la cooperazione militare con Israele, definito ormai «terzo partner della NATO». Le pressioni degli alleati sono state fortissime, come rivela esultante Debka File (sito vicino ai servizi giudaici): il segretario generale dell’Alleanza, Anders Fogh Rasmussen, ha accusato Ankara di creare «una mancanza di fiducia tra gli alleati» (sic); in quella riunione, si è anche deciso di dispiegare missili Patriot in Turchia a ridosso della Siria. Il che accontenta Erdogan, che notoriamente ha adesso un nuovo nemico, Damasco.

Sarebbe un regalo fatto da Obama a Netanyahu, il quale affronterà le elezioni il prossimo 22 gennaio e viene accusato dagli avversari interni di aver isolato il Paese sul piano internazionale. Secondo Debka, il presidente Obama sta veramente conducendo (nonostante le apparenze) una sua politica in Medio Oriente: vuole la cooperazione fra Turchia e Giuda «non solo per Israele, ma anche per sostenere il suo nascente blocco sunnita in Medio Oriente, con l’Egitto alla testa». Sempre secondo Debka, il piano si articola in quattro punti:

1. Netanyahu ha promesso di non turbare la campagna elettorale di Obama con un attacco unilaterale all’Iran fino al giorno dell’investitura di Obama stesso (il 21 gennaio, un giorno prima delle votazioni in Israele).

2. Netanyahu avrebbe consentito, bontà sua, a lasciar durare le trattative dirette e semi-segrete USA-Teheran, cominciate in Svizzera il 1° dicembre, fino al primo marzo; assicurando che se Teheran non cedeva sul suo programma nucleare, «l’opzione militare» diventava prioritaria per gli USA.

3. Obama si sarebbe impegnato in cambio a non far pressioni per la riapertura (?) di negoziati fra giudei e palestinesi nei tre mesi di campagna elettorale di Netanyahu.

4. «L’asse sunnita sul quale l’Amministrazione Obama ha lavorato dall’operazione israeliana su Gaza, a novembre» avrebbe come «partner» privilegiati l’Egitto, la Turchia, il Katar e la Giordania. Tamir Padro, capo del Mossad, e Fidan Hakan, il direttore dei servizi turchi, hanno preparato il terreno a questa riconciliazione nei mesi passati. La Turchia avrebbe così preso il suo posto di peso nell’asse sunnita.


Fidan Hakan
  Fidan Hakan
Non si deve prendere per oro colato (ma piuttosto piombo fuso) tutto quel che dice Debka, agenzia di disinformazione almeno quanto di informazione. Ma non è possibile non notare che l’asse sunnita – inizialmente un’invenzione della monarchia saudita wahabita e dei suoi satelliti del Golfo, grandi sponsor dei «ribelli» criminali in Siria – ha per le rispettive dittature lo scopo di neutralizzare o sviare le «primavere arabe», nella misura in cui mettono in pericolo i loro regimi. Fra questi va contato Mohammed Morsi, nuovo presidente-dittatore del Cairo in nome dei Fratelli Musulmani: è evidente che una volta al potere i Fratelli Musulmani hanno messo la sordina alla retorica anti-israeliana. Morsi stesso ha scritto una lettera, rivelata da giornali locali, a Shimon Peres, il presidente di Sion, in cui professava la sua amicizia. È interesse dei Fratelli Musulmani, ora che si sono spartiti la torta coi gallonati egiziani, e Morsi si è fatto approvare dalle masse di fellah una costituzione che lo incorona faraone, sviare la rabbia popolare per la libertà tradita verso gli sciiti, e i cristiani perché no? Del resto, i Fratelli Musulmani sono fortemente presenti nella direzione della cosiddetta «Armata di Liberazione Siriana» (ASL); e i capi militari dell’ASL hanno incontrato a più riprese in Giordania ufficiali israeliani, per coordinare le azioni contro il regime di Assad in Siria. I «ribelli» avrebbero accettato il compito di proteggere le alture del Golan occupate da Sion in caso di sconfinamento della guerra per intervento degli occidentali e della Turchia.

Ismail Hakki Karadayi
  Ismail Hakki Karadayi
Il che ci riporta ad Erdogan e ai suoi ultimi comportamenti: fra i quali vanno segnalati arresti a raffica. L’ultimo, e il pezzo più grosso che ha mandato in galera, è il generale Ismail Hakki Karadayi, già capo di Stato Maggiore dell’armata: perché gli arresti avvengono nel quadro della reazione contro Ergenekon, l’occulta organizzazione di funzionari kemalisti e militari laicissimi (una Gladio Dunmeh) che avrebbe complottato per rovesciare il partito KP, detto islamista moderato, di Erdogan che aveva vinto le elezioni, e instaurare la solita dittatura militare alla Ataturk. Tutto vero probabilmente: ma il fatto è che l’inchiesta contro Ergenekon è stata lanciata nel 2008, e gli arresti sono da allora aumentati anziché calare.

Attualmente, ben 100 giornalisti sono incarcerati, insieme a 240 ufficiali superiori e a 3.500 politici, per lo più attivisti curdi. Un record mondiale, secondo il Comitato Internazionale di Solidarietà coi giornalisti imprigionati. Le accuse vanno dalla violazione di segreti di Stato alla partecipazione a organizzazioni illegali o clandestine intese a rovesciare il governo Erdogan.

Soner Yalcin
  Soner Yalcin
Uno dei giornalisti, di nome Soner Yalcin, che scrive per il portale d’informazione Oda TV, molto critico del governo, s’è fatto 682 giorni di prigione in attesa di processo (sembra di essere in Italia...); ora in attesa del suddetto processo, gli è stato ritirato il passaporto e deve firmare presso il tribunale ogni settimana. Al giornalista Mustafa Babakay va ancora peggio: sta trascorrendo in prigione il suo terzo anno di carcerazione preventiva, senza che gli sia stata elevata alcuna accusa formale.

Un terzo giornalista, Ahmet Sik, dopo un anno di galera preventiva, ha dichiarato: «Sì, ci sono circa cento giornalisti incarcerati, ma la libertà d’espressione non è solo un problema per i giornalisti; attualmente 600 studenti universitari sono dietro le sbarre, e 5 mila persone arrestate nel quadro del processo al KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan). Ridurre i giornalisti al silenzio è ridurre al silenzio il popolo».

Anche M K Bhadrakumar, ex ambasciatore indiano ad Ankara ed oggi autorevole analista di Asia Times, benché simpatizzante di Erdogan, oggi si allarma della sua metamorfosi. Un uomo che è stato molto prudente durante il suo primo termine, accreditando l’immagine dell’islamista «moderato» e pluralista, da quando nel 2011 ha vinto nuovamente le elezioni con il 52% dei voti, mostra uno spirito vendicativo e una intolleranza verso il dissenso che lo accomuna, in qualche modo, a Mohamed Morsi, il nuovo capo egiziano dei Fratelli Musulmani. Erdogan sta plasmando una nuova costituzione che trasformerà la Turchia in una repubblica presidenziale; e si ripresenterà alle elezioni nel 2014, con la nuova costituzione. Non c’è dubbio che vincerà, non essendoci altra personalità che possa sfidarlo. Oltretutto, diverrà presidente restando capo del suo partito AKP: il che significa che sceglierà i parlamentari da far eleggere, i quali dipenderanno tutti dal suo volere. (Turkey’s Erdogan shows his iron fist)

«I turchi più riflessivi sono allarmati di questo aspetto dittatoriale nella personalità di Erdogan», conclude Bhadrakumar. Non ci si può che associare a questa preoccupazione. E delusione.


Mohammed Morsi


Non ci resta che ricordare che l’emergere di questo tipo di personalità è tipico dei tempi ultimi, come li previde il Vishnu Purana (1): «I capi (di quest’epoca) che regneranno sulla terra, come creature violente si impadroniranno dei beni dei loro sudditi. Limitati nella potenza, i più sorgeranno e precipiteranno rapidamente. Breve sarà la loro vita, insaziabili i loro desideri, e saranno spietati (...). I capi, invece di proteggere i sudditi, li spoglieranno e sotto pretesti fiscali ruberanno le proprietà della casta dei vaisha (la borghesia, diremmo oggi)... Chi distribuirà più denaro dominerà gli uomini e la discendenza (la nobiltà) cesserà di essere titolo di preminenza».

Questa eversione del potere dipende, per i Purana, dall’allontanarsi dei capi dalla fonte spirituale dell’autorità, per appoggiarsi alla nuda forza. La «religiosità» di Erdogan e di Morsi è evidentemente di una bassa lega. Ma c’è di peggio. Il rovesciamento della «religiosità» a potenziamento magico della forza bruta.

Proprio in questi giorni il corpo del Genio USA sta costruendo presso Tel Aviv un immenso rifugio sotterraneo per i comandi israeliani e i loro armamenti. Invulnerabile anche ad un attacco diretto di una bomba atomica da 30 megatoni, il rifugio è arredato da una ditta d’architettura ebraica che cura i particolari secondo i dettami del rabbinato. In particolare, ha scritto il Washington Post,

«Ogni porta o varco, eccetto i wc e le docce, dovranno essere munite di un astuccio di cuoio grezzo che avrà dentro una pergamena su cui sarà scritta con inchiostro indelebile un’autorizzazione fatta da scribi secondo la legge giudaica. Sarà scritto in askenazi e sefardi, ma non un misto delle due forme. Queste mezuzah dovranno essere verificate dal computer di una organizzazione incaricata del loro controllo, e il loro e il loro grafismo controllato da un addetto munito dell’autorizzazione del rabbinato. Tutte le mezuzah della costruzione dovranno essere fissate da un rabbino della base, non da un membro dell’impresa di costruzione...».


Martin Van Creveld
  Martin Van Creveld
La mezuzah è un talismano magico-talmudico, e la pergamena all’interno è il passo biblico dell’unicità di Dio (il famoso Shemà Ysrael). Sicché anche i «varchi» di uscita dei missili nucleari intercontinentali di Sion avranno il loro talismano che invoca il potere di Dio come portafortuna... Quei missili che, come rivelò nel 2003 Martin Van Creveld, docente all’università ebraica di Gerusalemme, sono puntati «sulla maggior parte delle capitali europee. Abbiamo la capacità di distruggere il mondo con noi. E vi posso assicurare che ciò accadrà prima che Israele scompaia».





1) Nella traduzione inglese di H. H. Wilson, citati da Julius Evola in Rivolta contro il mondo moderno. I Purana, testi di commento e narrazione sacra dei testi «rivelati» o meglio «visti» (i Veda), sono intesi come «spiegazioni supplementari dei Veda intese per differenti specie di uomini». Non tutti gli uomini sono uguali. Ci sono uomini che son guidati dal modo della bontà, altri che sono sotto le passioni (l’anima irascibile, direbbe Platone, ndr) ed altri che sono soggetti al modo dell’ignoranza. Perciò i Purana sono divisi in modo che ogni classe di uomini possa avvantaggiarsene e gradualmente riguadagnare la loro posizione (spirituale) perduta, onde uscire dalla dura lotta per l’esistenza (Śrīmad-Bhāgavatam, 1.2.4). Il Vishnu Purana è inteso specificamente per la prima casta, in cui prevale la modalità che tende verso l’alto, sattva (verità-purezza).



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