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Aggravamento in Ucraina. E l’enigma Merkel
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Prima di tutto la notizia. Che indica un peggioramento strategico per l’Europa che servilmente «isola» la Russia.

Mosca vende S-400 a Pechino

Basati sugli S-300, questi sistemi d’arma (S-400 Triumf) sono progettati per la difesa aerea a lungo raggio, specificamente per «distruggere aerei AWACS (sistemi radar di allarme e controllo su aerei), bombardieri strategici armati di missili da crociera, missili balistici tattici, di teatro e a gettata intermedia, aerei da ricognizione armati e no, ed ogni altra minaccia in atmosfera, nonostante qualunque ambiente di contromisura elettronica»: in breve, chi li possiede in numero sufficiente azzera la superiorità aerea dell’avversario.

È uno «Strategic Game Changer», un’arma che «cambia il gioco a livello strategico», nota Russia Insider, sottolineando che fino ad oggi la Russia è stata restìa a trasferire questo sistema d’armi – il più avanzato nel suo stesso arsenale – alla Cina. L’Arabia Saudita ha a lungo corteggiato Mosca per avere gli S-400, invano. La Turchia li voleva ed ha dovuto rinunciarvi per la pressione della NATO. Adesso la Cina ne compra ‘almeno’ 15 ‘battaglioni’ per 3 miliardi di dollari; le consegne cominceranno dal 2016 perché, ha spiegato il Ministero russo della Difesa, sono le forze armate russe a dover essere servite per prime. Questa fornitura in contemporanea configura praticamente, secondo gli osservatori, più che una collaborazione fra Mosca e Pechino, un’integrazione di fatto della difesa aerea fra le due potenze.

Contro le sanzioni, voci autorevoli

Sulla stupidità dell’ostinazione con cui l’Europa si ostina a farsi sempre più nemica la Russia, si alzano sempre più numerose voci, e da parti insospettabili di essere filo-Putin. Persino Sarkozy, l’uomo che ha riportato la Francia sotto la NATO (ossia sotto gli USA), ha dichiarato che Parigi deve onorare il contratto con Mosca consegnando le porta-elicotteri Mistral. «Trovo inaccettabile che il contratto sia stato congelato immediatamente prima del vertice della NATO su richiesta del presidente degli Stati Uniti, – ha dichiarato Sarkozy. La Francia deve decidere da sola quello che deve fare, non in base ai desideri di soggetti stranieri».

Ancora più inatteso il cambiamento di posizione del Financial Times, la Bibbia del globalismo anglo-imperiale: «È tempo che l’Occidente e l’Ucraina offrano un negoziato a Putin. L’Ucraina non ce la farà mai con una Russia ostile ai confini», titolava il 23 novembre un importante articolo a firma John Thornhill. In nome del «realismo», il suddetto columnistconsiglia di rinunciare alla vittoria completa «idealmente desiderabile».

Ancor più incisivo un lungo e ponderoso articolo di Der Spiegel, fino a qualche giorno prima alla testa dell’accanimento anti-Putin, che è giunto ad accusare di aver fatto abbattere l’aereo della Malaysia. Adesso, il 24 novembre, il giornale tedesco ha evocato le responsabilità della UE e della Germania in specie nell’infiammare la crisi ucraina con false promesse e improvvise, irrazionali durezze. Nel 2013 Bruxelles offrì al presidente ucraino (allora Yanukovitch) di rompere i legami economici con la Russia e passare come associata nella UE, al modesto costo di 3 miliardi di dollari. Un’analisi dell’Accademia delle Scienze ucraina calcolò invece il costo in 160 miliardi, ossia 50 volte di più che la UE aveva stimato. Il presidente chiese aiuti finanziari all’Europa, che glieli negò: poteva farseli dare dal Fondo Monetario (che imponeva le sue ricette, il 40% di rincaro del gas e il 25% di svalutazione della hrvinia); prendere o lasciare, altrimenti... Yanukovych, come sappiamo, lasciò, giusto per essere cacciato dalla folla di Maidan Square, dai cecchini e dagli attivisti pagati dalla Victoria Nuland, giù giù fino alla guerra civile attuale in cui noi europei siamo stati a tener bordone ai folli estremismi e nazionalismi di Kiev. In questo gioco, la diplomazie germanica e la Merkel in particolare – dice lo Spiegel – hanno agito da pasticcioni poco intelligenti: non hanno capito cosa diceva Yanukovich, non hanno compreso la realtà ucraina, e – peggio – l’importanza essenziale che l’Ucraina ha per la Russia. Da qui l’orribile pasticcio, che va riconosciuto offrendo una via d’uscita a Putin, senza costringerlo a perdere la faccia — cosa che non farà.

Tutto ciò, si noti, in un articolone da 7 mila parole – quasi la relazione di un think tank – dal titolo «Summit of Failure: How the EU Lost Russia over Ukraine» scritto a ben sei mani dal team degli esperti analisti internazionali di Spiegel capeggiati da Christiane Hoffmann, la maggior esperta del periodico sulla Russia. Dunque un pezzo «pensato», «di peso» in molti sensi, che non echeggia solo i desideri dei molti e ponderosi interessi che in Germania «capiscono Putin», ma interviene con potenza nel dibattito che in questo momento si agita in Germania. Attorno ad una domanda:

Perché Angela è così ostile a Putin?

Perché sì, la posizione della Cancelliera sulla crisi ucraina è cambiata totalmente. Dopo aver cercato ed offerto per mesi un accomodamento ed una mediazione, ha mutato rotta di 180 gradi. È avvenuto al G-20 di Brisbane in Australia, dove in un breve rovente discorso Angela ha evocato «l’arrogante fede nella superiorità militare» che nel 1914 portò potenze europee (la Germania...) in quella guerra orribile; ebbene, «dopo gli orrori di due guerre mondiali» la Russia considera uno dei suoi vicini, l’Ucraina, «come parte della sua sfera d’influenza». Ragion per cui «l’Unione Europea – ha detto impegnando tutti noi – farà ogni sforzo per giungere ad una soluzione diplomatica «applicando sanzioni alla Russia della portata necessaria e fintanto che servirà», ossia fino a quando Putin non capitolerà perdendo la faccia.

Insomma un voltafaccia geometrico che è stato paragonato dagli osservatori tedeschi all’abbandono della Ostpolitik risalente a Willi Brandt. E questo, quando anche Sigmar Gabriel, vice-cancelliere socialdemocratico, che poco prima appoggiava le sanzioni anti-russe, dichiarava che più dure sanzioni «servirebbero solo ad aggravare la situazione», e criticava apertamente «il tintinnare di sciabole della NATO ai confini russi».

Perché la Merkel è diventata così inflessibile di colpo, e da sola – con tutto il peso della Germania – bloccando il riavvicinamento alla Russia consigliato da tante autorevoli sedi? Mettendo in pericolo il suo Governo (che è un Governo di coalizione) dove i socialdemocratici prendono sempre più apertamente le distanze dalla linea dura anti-Putin (e si parla di un disaccordo della Merkel con il suo Ministro degli Esteri, il socialdemocratico Steinmeier). «La tesi secondo cui gli USA dispongono di un mezzo di pressione personale e diretto sulla Cancelliera non è da giudicare ipotetica e campata in aria», recita il sito Dedefensa: qualche documento recuperato negli archivi della Stasi? O qualche frase uscita dalla bocca di Angela e registrata dalle intercettazioni della NSA sul telefonino della Cancelliera?... Al qual proposito si dovrà notare che dopo essersi rumorosamente indignata degli ascolti americani, Angela s’è improvvisamente disposta a perdonare il delitto del grande alleato, e a dirigere il suo sdegno su Putin e il suo espansionismo, aggressività, fino a paragonarlo ad Hitler: è la narrativa iperbolica e pericolosissima Made in Washington.

Fatto sta che lei trascina tutti noi in una china molto pericolosa. Non solo per l’economia, ma per la pace.

Il poker di Poroshenko. Col morto.

Pochi giorni fa il presidente ucraino Poroshenko ha fatto chiudere tutti i servizi pubblici ucraini nella zona del Donbass: scuole, ospedali, servizi amministrativi sono interrotti, ma soprattutto non sono più pagati pensioni e stipendi pubblici nelle zone controllate dai ribelli, e i conti in banca delle persone nella zona che non è più sotto il controllo di Kiev. Dunque ha abbandonato quel territorio e quella popolazione, non li riconosce più come propri.

Si tratta di una punizione collettiva contro la popolazione del Donbass, sia che sostenga o no i ribelli, che porterà ad una catastrofe umanitaria imminente, con l’aiuto del generale Inverno. Persino il Commissario eurocratico per i diritti umani Nils Muiznieks (un lettone) ha belato una preghiera: «È essenziale – ha bramito – che Kiev continui a comunicare con quelle popolazioni e dica loro: siete nostri cittadini e faremo quello che possiamo per proteggere i vostri diritti...».

La mossa di Kiev ha uno scopo: spingere Mosca ad intervenire direttamente, prendendo a carico quella popolazione per salvarla dalla fame e dal freddo: di fatto con l’annessione delle due «repubbliche» di Donetsk e Lugansk, la cui volontà di ritorno alla Russia Putin ha sempre accortamente evitato di accogliere.

Ma se la Russia riconosce il Donbass e lo integra per salvare dal genocidio per fame gli abitanti, la crisi ucraina da guerra civile interna si tramuta in crisi internazionale: l’auspicata «aggressione» del «nuovo Hitler» che giustifica la condanna della ‘comunità internazionale’ ed eventualmente una risposta bellica.

Poroshenko ha detto di non temere una guerra mondiale; non è una vanteria, ha bisogno di trascinare nel conflitto gli occidentali anche per risolvere la sua posizione all’interno. I caporioni neo-nazi delle milizie di Kiev hanno preconizzato che ha i giorni contati. Il Primo Ministro Yatseniuk, il preferito del Dipartimento di Stato USA e del Fondo Monetario, gli sta sfilando la presa sul potere esecutivo: contro questo rischio, Poroshenko ha fatto alla Rada la stupefacente proposta di nominare tre o quattro Ministri stranieri (Finanze, Lotta alla Corruzione, Infrastrutture ed Energia oltre la carica di vice-Primo Ministro), con la scusa di avere personalità estranee alle cosche, fazioni rivali e malversazioni ucraine. Ministri americani no – sarebbe troppo evidente chi tira i fili – ma su figure baltiche e soprattutto georgiani: ci sono tutti gli ex Ministri del deposto Shaakashvili (quello che tentò la guerra contro Putin) liberi per il nuovo lavoro. Per la poltrona dell’anticorruzione si fa il nome di Zurab Adeishvili, ex Ministro della Giustizia in Georgia, oggi perseguito nel suo stesso Paese per abuso di potere e fabbricazione di processi penali quando era Ministro... Ma l’importante è che siano amici dell’Occidente, e del tipo più avventurista.

L’assunzione di stranieri fidati a governare l’intrattabile caos ucraino, e l’armamento americano fornito a Kiev, preluderebbe ad azioni militari per «riprendersi la Crimea» da parte di Poroshenko. Ovviamente la comunità internazionale l’appoggerà, avendo dichiarato l’annessione della Crimea da parte di Mosca come illegale e criminale, e la Crimea come «territorio occupato» (anche se gli abitanti hanno scelto per referendum di essere occupati); se Mosca risponde e le sue forze armate per difendere la Crimea dovranno passare per l’Ucraina e sarà la «aggressione» tanto attesa dalla suddetta comunità occidentale e tanto necessaria alla cosca o giunta kievita, che non sa altrimenti come sopravvivere.

E come se le manovre e il caos non bastassero, ci sono le mire della Polonia in caso di uno smembramento dell’Ucraina. Il Ministro Radoslav Sikorski (un altro fidato strumento dei neocon USA) ha dichiarato che Mosca avrebbe offerto a Varsavia di annettersi un pezzo di Ucraina... una palese menzogna. Si ritiene che Varsavia la metta in circolazione come vendetta per non essere stata invitata ai colloqui, tenutisi a Milano, che avevano come scopo la ripresa del transito del gas russo. Colloqui a quattro – Germania, Francia, Russia e Ucraina – che hanno mandato su tutte le furie i polacchi. «Discutere del futuro dell’Ucraina senza la Polonia», ha detto il Ministro degli Esteri polacco Grzegorz Shetina, «è come discutere della Libia senza l’Italia o la Francia». Rivelando così le sue mire e la sua aspirazione neocoloniale sulla parte occidentale dell’Ucraina — del resto, negli attuali confini uno Stato artificiale, allargato da Stalin e da Kruscev.

Sulla Siria, bombardamenti «ambigui»


Questa l’ha detta il Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius: contro Daesh (IS) in Siria, «occorrono ciò che chiamerei dei bombardamenti ambigui, che facciano arretrare Bashar al-Assad», ossia le forze armate del regime siriano, «in modo da creare delle zone di sicurezza a Nord della Siria, dove la popolazione siriana possa svilupparsi in pace». Colpi ambigui è ben trovato: colpire Assad e fingendo di colpire Daesh. Creando «safe zones», zone di sicurezza — che è molto diverso dalle «zone di congelamento del conflitto» (freeze zones) auspicate dal nostro Staffan De Mistura, ed accettate da Mosca e da Assad. Nelle ultime ore, Obama ha accolto la richiesta di Erdogan posta come condizione per far entrare la Turchia anche nella guerra a Daesh (che la Turchia arma, coccola e arricchisce comprandone il greggio): stabilire una «no-fly zone» sulla Siria. Esattamente ciò che auspicava Fabius. La misura è mirata ad impedire ai quattro vecchi caccia di Assad di colpire gli islamisti di Daesh: erano troppo efficaci e non abbastanza ambigui.

È una sfida diretta a Mosca, protettrice del regime, e una minaccia di escalation irreversibile. Magari qualche batteria di S-400 diverrà necessaria anche lì.



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