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Sotto l’Impero del gretto bottegaio
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Da noi è passato come una notiziola di colore il rimpasto di Parigi. Il 25 agosto François Hollande ha sbattuto fuori dal Governo (Governo Valls, socialista) il Ministro dell’economia Arnaud Montebourg. La colpa di Montebourg, sinistra socialista, era di aver fatto dichiarazioni contrarie alla politica di austerità: «se ci allineiamo all’ortodossia estremista della destra tedesca, finisce che il popolo francese, anche se ha votato per la sinistra, in realtà ha votato per adottare il programma tedesco di destra». Montebourg ha invitato ad «alzare la voce», a «tracciare una linea» a Bruxelles e a Berlino.

Per questo Hollande non ha più voluto Montebourg nel Governo: il programma della Francia è l’austerità che Hollande ha adottato sotto pressione alemanna all’inizio dell’anno, anche se ha perpetuato ed aggravato la crisi economica francese e fatti precipitare il favore al Governo ed al presidente Hollande Le Petit. «Montebourg sacrificato alla Germania», ha titolato Le Figaro.

Per questo intellettuali come Emmanuel Todd hanno parlato di «servitù volontaria» della Francia alla Germania, e cominciato a mettere a fuoco il problema della ingombrante egemonia tedesca, anzi di un’Unione Europea che si trasforma sotto i nostri occhi in una sorta di «Impero germanico», in «una democrazia Herrenvolk dove la libertà di parola e la democrazia sono riservate al popolo dominante, attorno al quale cresce una gerarchia di popolazioni più o meno dominate, il cui voto non ha più alcuna importanza».

Siccome nessun osservatore italiano ha sollevato il tema, ed anzi alcuni credono che si esageri a parlare di Impero tedesco sulla UE, elenco gli indizi che suggeriscono questa trasformazione in atto. Mi baso in parte sulle analisi di Jan Quetremer, il giornalista di Libération che è di casa a Bruxelles coprendo per il giornale le cose dell’Unione.

La presidenza a Jean-Claude Juncker è stata assegnata per dura volontà della Merkel, contro Londra e senza nemmeno discutere la proposta francese alternativa (Michel Barnier, commissario europeo per il mercato interno e i servizi). La scelta egemonica è stata confermata dall’elevazione di Donald Tusk (il premier polacco) a presidente del Consiglio europeo e di Alessandra Mogherini agli Esteri.

Anche se il giornalista francese riconosce che non possono far peggio (a meno che non usino tutta la loro fantasia) del trio Barroso-Van Rompuy-Asthon che rimpiazzano, il trio nuovo porta «indubbiamente» la firma della Cancelliera.

Donald Tusk è un ammiratore della Thatcher; da filo-americano che era è passato su posizioni più indipendenti, e più vicine a quelle di Angela; il fatto che non parli francese ma tedesco (e russo) e che il suo Paese sia fuori dall’euro (e perciò prospero...) mentre dovrà presiedere i consigli dell’euro-zona, è definito «per lo meno curioso». Parigi gli avrebbe preferito la prima ministra socialdemocratica danese, Helle Thorning-Schmidt, ma ha dovuto piegarsi alla volontà della cancelliera, la quale ha voluto «uno che venga dai nuovi Stati membri dell’Est», la zona di egemonia tedesca in fieri.

Juncker, il presidente della Commissione, è «stato educato ad essere pro-Germania» per sua stessa ammissione; è stato un protetto di Helmuth Kohl, ed ha il petto coperto di decorazioni tributategli dal Foverno federale: la Croce Federale al Merito con Stelle e Fasce (sic) ottenuta nel 1988, e soprattutto la Gran Croce dell’ordine del Merito che è stata Angela Merkel ad appuntargli sulla giacca nel novembre 2013 per tutti i servizi resi alla nazione alemanna nel consesso eurocratico. Per di più, Juncker ha «spontaneamente» scelto come capo del suo gabinetto un tedesco, Martin Selmayr, che viene dai vertici della multinazionale Bertelsmann AG. Nella UE Selmayr è stato, prima, capo di gabinetto della commissaria per la Giustizia, la lussemburghese Viviane Reding: per tutti gli eurocrati, «il vero commissario» era lui; per i giornalisti, la Reding era «la ventriloqua» di Selmayr.

Quanto alla Mogherini, rappresenta la scelta migliore per Berlino, una volta visto che era obbligatorio dare il posto ad un esponente della sinistra (se così vogliamo chiamarla) europea, e non poteva essere germanica. Per avere il posto, fra l’altro, la Mogherini (o il Governo Renzi) ha dovuto accettare che fosse un tedesco a succedere al francese Pierre Vimont come segretario per il Servizio Europea per l’Azione Esterna: sotto questo nome orwelliano si cela il vero nucleo di potere, in teoria dipendente dalla Mogherini, il Servizio gestisce il corpo diplomatico europeo, e dispone una centrale d’intelligence e di sicurezza (SitCen) da cui dipendono le decisioni cruciali quando uno Stato di crisi richiede reazioni rapide; è il Servizio che ha il potere su importanti dossier, come i rapporti con la Russia e l’Iran. La candidata più probabile per la carica è Helga Schmid, antica e sperimentata diplomatica del Ministero degli esteri tedesco, oggi vice-segretaria del Servizio stesso. È probabile che l’inesperta Mogherini diventi la sua «ventriloqua»? Vedremo.

La quantità di tedeschi in posizioni-chiave nella UE è diventata spropositata, senza precedenti. Uwe Corsepius, già capo della sezione europea della Cancelleria federale, è oggi Segretario Generale del Consiglio dell’Unione Europea a Bruxelles (un apparato, sia detto en passant, con 2500 impiegati). Klaus Welle è il Segretario Generale del Parlamento Europeo, il funzionario di più alto livello di questo organo, un onnipotente dietro le quinte a cui Juncker deve molto. Klaus Regling è il capo del fondo (colossale ) chiamato Meccanismo di Stabilità Europeo (ESM). Werner Hoyer è presidente della Banca Europea d’Investimento, e prima è stato segretario del Ministero degli Esteri tedesco (nel 1998-9 e poi ancora dal 2009 al 2011): dunque i cordoni della borsa europoide sono in mano a questi due alti funzionari germanici, perfettamente interni al Governo di Berlino e dedicati ai progetti ed obbiettivi tedeschi in politica estera.

Dimentichiamo qualcuno? Ah sì, il presidente del Parlamento europeo, il celebre Martin Schulz. E dei 7 gruppi parlamentari, quelli sotto guida tedesca sono 3: il Parrito Popolare guidato da Manfred Weber (CSU), i Verdi (Rebecca Harms), e la Sinistra unita con Gabi Zimmer (Die Linke). Se vi sembra poco, pensate che con Schulz sono quattro su sette i leader tedeschi nel Parlamento europoide, dunque sono loro a controllare il processo legislativo e le iniziative parlamentari.

Aveva ragione il periodico tedesco Internationale Politik, che già nel 2011 preconizzava che Angela Merkel sarebbe diventata la Evropa Kanzlerin, la Cancelliera della UE. È una funzione che Angela sta cominciando ad esercitare sempre più apertamente e senza infingimenti: è lei che detta le linee-guida, lei che nomina i funzionari ai vertici dell’Unione e detta loro le politiche, senza consultarsi con i capi di Governo minori.

Quatremer nota che Angela ha annunciato d’autorità che il capo dell’Eurogruppo, l’anno prossimo, dovrà essere Luis de Guindos: uno spagnolo (ha diretto la filiale iberica della Lehman Brothers, fino a quando è fallita) preferito all’attuale capo dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, perché ha adottato in pieno la linea dura dell’austerità dogmatica secondo il modello tedesco. Si è opposta con tutta la brutalità possibile alla nomina del francese Pierre Moscovici a Commissario UE per gli Affari Monetari: lo considera una falla sulla liscia e perfettamente chiusa corazza dell’ideologia austeritaria. Ma al povero servo Hollande qualcosa doveva pur concedere. Tanto ha già dato a disposizione a Juncker di mettere Moscovici sotto tutela, affibbiandogli – com’è nei poteri di Juncker – un vicepresidente agli Affari Economici e Monetari: quasi di certo sarà il finlandese Jyrki Katainen, l’attuale commissario sotto Barroso, distintosi – si ricorderà – per aver detto ad Atene di mettere all’asta il Partenone invece di chiedere aiuti alla UE: un esempio inarrivabile di grettezza bottegaia, una garanzia per la Cancelliera.

La mappa

Sarebbe ora di svegliarsi dall’illusione che nella UE esista un’uguaglianza giuridica tra gli Stati membri e viga qualche forma di democrazia. La realtà è ben chiarita da questa mappa di Emmanuel Todd:



Vi si vede che attorno alla Germania esiste un «spazio tedesco diretto», una corona di Paesi le cui economie sono assolutamente interconnesse e dipendenti dalla Germania: dall’Olanda alla Cecoslovacchia, dall’Austria con Cekia (Skoda ossia Volkswagen) Croazia e Slovenia (singolarmente, parti dell’ex Impero absburgico) costituiscono uno spazio informale che dà alla Repubblica Federale un peso molto superiore ai suoi 82 milioni di abitanti. La Francia vi si è aggregata non più come partner ma come «serva volontaria». È una zona di 130 milioni di abitanti: «Siamo già sulle misure di un Giappone o di una Russia»; un blocco potente «che mantiene sottomessa l’Europa meridionale, divenuta una zona dominata all’interno stesso del sistema europeo», scrive Todd. La prova si è avuta recentemente con la crisi ucraina: a guidare la politica europoide contro Mosca sono stati i «satelliti russofobi» da poco entrati nella UE e sotto l’ala economica di Berlino, mentre l’antica amicizia con Mosca e la volontà di rappacificazione espressa flebilmente dai vecchi membri UE (fondatori) del Sud, come l’Italia, non hanno alcun peso.

Fra l’altro, nota Todd, tutti gli oleodotti e gasdotti che partono dalla Russia e fornire energia all’Europa fanno capo in Germania; un mezzo di controllo anche dei Paesi del Sud (cioè noi), da cui Putin ci voleva far uscire con il South Stream in costruzione.

Per anni l’ideologia UE ci ha assicurato: la Banca Centrale Europea è «indipendente» dai politici, non prende consigli né suggerimenti dai Governi. A fine agosto la Merkel ha telefonato a Draghi per «chiedergli spiegazioni» sulle frasi da lui pronunciate a Jackson Hole, che lasciavano intendere un allentamento della stretta monetaria: eccovela, la bella indipendenza della Banca Centrale. Ogni giorno qualche tedesco s’impanca a giudicare, irridere, criticare ferocemente l’italiano, trattandolo come un lacchè: ieri il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, oggi Horst Seehofer, presidente del partito CSU e Primo Ministro della Baviera («Draghi compra carta straccia!»). In pratica siamo soggetti non solo al Cancelliere, ma al governatore di una regione tedesca. E noi siamo incapaci di reagire, ci teniamo i rabbuffi e le frustate tedesche senza belato.

Che cosa aveva detto Draghi alla riunione dei banchieri centrali in USA? Ha accennato appena ad «una composizione delle politiche di bilancio più favorevoli alla crescita»: tanto basta a far infuriare i capi tedeschi. L’elettorato tedesco, ci spiegano i giornali, non vuol sentire parlare di rilassamento delle costruzioni di bilancio né delle politiche monetarie, è convinto che gli italiani vivano al disopra dei loro mezzi... è un altro modo di dire che, in Europa, conta solo un elettorato – quello tedesco – e le sue paturnie moralistiche e furbe tirchierie sono sovrane. Non si può nemmeno parlare di un’attenuazione della forza dell’euro...

«L’introduzione dell’euro ha creato un sistema d’instabilità, dove gli Stati deboli diventano più deboli, e i forti più forti: ciò che è fatale», ha preconizzato l’economista Nobel Joseph Stiglitz : la linea d’austerità imposta dalla Germania mentre l’Europa meridionale è in deflazione, «fa rischiare anni di depressione da far impallidire i decenni perduti del Giappone». Stiglitz lo ha detto proprio in Germania, all’annuale Incontro dei Nobel che si tiene a Lindau. E mica è stato il solo. Berlino «persegue una linea completamente sbagliata, l’austerità affonda l’Europa nella depressione», ha detto Eric Maskin (Nobel in Economia 2007). «Finché resta l’euro, non posso immaginare una ripresa nell’eurozona»: così James Mirrlees (Nobel 1996): «C’è chi dice la caduta dell’euro rovinerebbe il sistema bancario e avrebbe costi insostenibili; dimenticano di calcolare il costo della disoccupazione». Peter Diamond (Nobel 2010): «La gioventù italiana e spagnola soffrirà per decenni a causa delle disoccupazione strutturale». E Christopher Sims, Nobel 2011: «Se fossi il consigliere politico di Grecia, Portogallo o Spagna, consiglierei a questi stati di elaborare piani di emergenza per uscire dall’unione monetaria».

Ce lo dicono tutti, insomma: sottraetevi al giogo dall’Impero tedesco, o fate la fine dei topi.




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