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Cosa farà la Bonino agli Esteri
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Il Council on Foreign Relations Europe è il più contento per la nomina di Emma Bonino al ministero degli esteri. E ne ha motivo: la Bonino è membro del suo direttivo. Ecco come ha salutato l’ascesa al potere del suo alto esponente:

«Dopo mesi di cattive notizie dall’Italia, finalmente una buona: Emma Bonino, europeista impegnata e da anni dinamica forza della politica UE, è stata fatta ministra degli esteri del paese. Sembra proprio che l’Italia emerga come un membro chiave e credibile dell’Unione Europea. All’Italia farà bene avere una statista di tale esperienza ed energia. Come ex Commissaria europea, ex parlamentare europea, e ministra per l’Europa e il commercio (sotto Prodi, ndr) la sua conoscenza del sistema europeo sarà di grande aiuto al Paese nel tempo di crisi. Ma quel che più conta, la politica estera europea riceverà una sferzata dalla posizione nel Consiglio degli Affari (europei, ndr) Esteri di una persona con visione, principi e determinazione».

Ho tradotto liberamente «sferzata»; l’espressione originale è «shot in the arm»: la Bonino è accolta come una iniezione di cocaina in vena all’eurocrazia sonnolenta e incagliata, si rallegra il ECFR. Ma che cosa è l’European Council on Foreign Relations? È l’emanazione europoide dello storico Council on Foreign Relations fondato dai Rockefeller, e che in USA, fin dagli anni Venti, ha «suggerito» la politica estera alla Casa Bianca nell’interesse del grande business, fornendo al bisogno anche i segretari di Stato, ossia i ministri degli esteri, da Kissinger a Brzezinski. La filiale europea del Council è riuscita nella stessa pratica, mettendo la Bonino nel governo italiano. Come il padre americano, il ECFR europeo è una lobby intellettuale e centrale di direttive politiche in tutta Europa: ha i suoi tentacoli (pardon, sedi) nelle sei delle maggiori capitali europee: Londra, Parigi, Roma, Berlino, Madrid e Sofia.

Tutto ciò costa, come si può capire. Chi paga? Sostanzialmente la Soros Foundation, il think tank Open Society, insomma il noto speculatore ebreo e miliardario George Soros, con cui la Emma si confrica da almeno un ventennio. Perché i due hanno le stesse idee: denatalità globale con l’aborto, espansione della «democrazia» tramite rivoluzioni colorate, primavere arabe e se non basta interventi armati (la Bonino non è una pacifista), e «diritti umani» intesi come diritto all’aborto, all’eutanasia e alla droga libera. Non a caso Emma Bonino appare nel consiglio direttivo anche del «Democracy Coalition Project», che è una entità che si è autonominata controllatrice e sorvegliante dei progressi della «democrazia» nei Paesi odiosi al Capitale (dalla Russia alla Siria; la Libia ormai è guadagnata alla democrazia) e che gode dello status di Organizzazione non-governativa elargito dall’ONU, il che le permette di impicciarsi di come governano governi sovrani. E il Coalition Project è una emanazione dello Open Society Institute, insomma sempre di George Soros. Ciò dà anche un’idea della fitta rete di relazioni, intrecci e sostegni reciproci creati e tessuti da questi promotori del nuovo ordine mondiale: sembrano tantissimi, proliferano in think tanks, fondazioni e centrali «intellettuali» innumerevoli e «spontanee», e invece sono i soliti tre gatti. Ma uno degli effetti dell’apparire tanti (moltiplicandosi in ONG e fondazioni) è, tra l’altro, di poter captare finanziamenti immensi, per tre gatti.

Tre gatti ma potenti e influenti che si conoscono tutti da anni e fanno le cose insieme. George Soros, per dire, si è iscritto al Partito radicale. Al Council on Foreign Relations Europe partecipano anche Giuliano Amato e Marta Dassù (quella dell’Aspen Italia) e Massimo D’Alema in qualità di presidente della Fondazione Italiani Europei. Nel direttivo, a fianco della Bonino, ritroviamo il tedesco (J) Joshka Fischer e Solana che è stato Alto rappresentante della politica estera europoide, europoide, carica in cui gli è succeduta lady Catherine Ashton, la «ministra degli esteri» eurocratica. Non è un caso se lady Ashton ha detto che «non vede l’ora di collaborare con Emma»: è del giro, dei tre gatti che s’intrecciano, che contano, e che prendono soldi pubblici come fossero centomila. Emma del resto, come si sa, è anche nel Bilderberg. Come lo è Enrico Letta, dal 1995. E Gianni Letta incontra il nipote Enrico nell’Aspen Italia. Intrecci, intrecci trasversali. A quel livello di élites, «destra» e «sinistra» non contano; sono un oppio per i popoli da dominare con la democrazia.

Sicché non c’è da meravigliarsi se il primo ad avallare il governo Letta, votandogli la fiducia, non è stato il parlamento italiota. È stato John Kerry, il Segretario di Stato americano e Bilderbergeriano: «Letta è un amico fidato degli Stati Uniti, che ha mostrato un fermo impegno nella nostra partnership atlantica»: un endorsement a tutto tondo. La Bonino è una ancor più vecchia amica, avendo seguito in USA, in anni ormai lontani ma sempre rinfrescati, dei «corsi di leadership» organizzati da qualcuna di quelle fondazioni «culturali» americane tipo Heritage o Endowment for Democracy che poi, senza dover troppo grattare, risultano filiazioni della CIA, Dipartimento di Stato o del complesso militare-industriale (ma c’è realmente qualche differenza?) create come facciate col solito scopo: «espandere the democracy», il malthusianesimo, l’europeismo bancario (vecchio progetto della Lazard dei Meyer e dei Weill, e delle banche che distribuirono i soldi del Piano Marshall, scegliendosi gli amici da favorire far crescere) e garantire la «fedeltà atlantica» ossia l’adesione eterna alla NATO degli Stati europei e delle loro clientele. Per questo è nato il Bilderberg negli anni ’50: tenerci legati alla Nato. E Letta nipote, come la ex mammana con la pompa di bicicletta, sono lì per assicurare il mandato.

E mica si nascondono; non più. Letta Enrico ha scritto un libro che dice già tutto dal titolo: «Euro sì. Morire per Maastricht», pubblicato da Laterza, storica editrice massonica. La recensione autorizzata recita: «La strategia argomentativa di Letta presenta l’unione monetaria come il primo approdo di un coerente percorso verso l’unità, durato un quarantennio. L’originalità del percorso - prima l’economia, poi la politica - non comporta rischi secondo l’autore. Riflette piuttosto un’acquisita “simbiosi” di politica ed economia, di cui i parametri di Maastricht sono un’espressione sostanzialmente corretta e che ha già dato buona prova di sé nel risanamento economico degli ultimi anni. Il processo non va interrotto, ma semmai completato, anche attraverso un maggiore e più consapevole contributo italiano».

Il libro è del ’97: Letta non aveva capito che Maastricht è una delle cause primarie della crisi che stava per piombarci addosso, anzi attribuiva al trattato «il risanamento economico degli ultimi anni». Sic. Una cecità così, non ha altra spiegazione che l’ideologia. La stessa di Mario Monti, suo fratello in Bilderberg e Trilateral, che confessò di «non aver visto venire il grande crack americano del 2008». In ogni caso, Letta ci promette: morirete per Maastricht.

Ed Emma Bonino? Non c’è bisogno di dirlo.

È una ultra-atlantista, ha sempre approvato le invasioni americane in Medio Oriente come in Kossovo, messo su tribunali speciali internazionali per crimini di guerra (mai quelli USA), condotto missioni tipo «Carta afghana per i diritti femminili» e «Stop FMG» (mutilazioni genitali femminili), innumerevoli iniziative «umanitarie» e «interventi umanitari», no al foulard islamico, portare la civiltà occidentale avanzata dove non la vogliono, promuovere genocidi denatalisti vari.

È stata a lungo al Cairo dove ha imparato l’arabo, probabilmente allo scopo di prepararsi a qualche carica ONU o europea, o americana, a cui sperava di essere chiamata per gestire «i diritti umani» nelle zone guadagnate alla «democrazia» dalle primavere arabe promosse dai famosi think tank; progetto che s’è dovuto rimandare per alcuni effetti imprevisti (o troppo previsti) delle suddette primavere. È, ovvio, ferocemente anti-Putin, ed ha partecipato a tutte le campagne internazionali di diffamazione contro Mosca. Testimonia del suo frenetico attivismo la sua biografia autorizzata, scritta da lei stessa.

Ci terrà nella NATO ad ogni costo: moriremo atlantici.

È ultra-europeista. Tanto ultra, da volere, imperiosamente, «Stati Uniti d’Europa Subito!», come suona il titolo di una sua intervista di tempo fa. Lamenta:

«Col Manifesto di Ventotene del 1941 (Altiero Spinelli ed Erensto Rossi) il sogno dell’unità federale dell’Europa diventa concreta lotta politica. Dopo cinquant’anni, la Comunità Europea è bloccata nel suo sviluppo politico dall’assenza di veri organi sovranazionali. Dopo anni di fallimenti delle iniziative governative o diplomatiche è necessario affidare al Parlamento europeo il mandato di redigere la carta costituzionale. L’evoluzione della Comunità in federazione, anche mutando la composizione geografica del loro attuale territorio, la creazione di nuove federazioni, non solo in Europa, ma anche in Asia, Africa, America Latina, è uno dei compiti prioritari del Partito Radicale. (Il Partito Nuovo, n.3, Agosto 1991)».

È della Emma il vecchio sogno massonico, l’illuministico spregio per le culture, lingue, le storie, le diversità antropologiche e spirituali e la voglia di omologarle ed omogeneizzarle in un unico insieme burocratico indistinto «anche mutando la composizione geografica del suo attuale territorio» col tiralinee. Vecchio imperialismo razionalista, sempre giovane nel partito radicale.

È ultra-israeliana, stra-sionista. Laicista ed anti-clericale in patria contro il potere dei preti, non ha mai elevato la minima critica «radicale» e illuminista al dominio settario dei fanatici hassidici sul governo ex-laico di Israele. Degli ebrei approva tutto, anche i cernecchi e filatteri e Torah; figurarsi le bombe al fosforo su Gaza e le stragi dei civili nella zona assediata. È tanto israeliana, da premere perché Israele sia fatta entrare nella Unione Europea, anzi negli Stati Uniti d’Europa imminenti e sperati. «Perché Israele deve entrare nell’UE» l’ha spiegato in un articolo apparso su Aspenia (ma va’...!) nel 2007. La mammana transpartito-transnazionale, laica talmudica e libertaria, vi evoca «il generale entusiasmo» generato da un Consiglio europeo del 1994, dove (non senza una forte spinta di massoneria transnazionale e radicali transpartito) «si riconosceva la necessità di accordare ad Israele uno status speciale», seguito rapidamente, nel ’95, dalla firma dell’accordo (di cui i sudditi europei non sono stati informati) che ha fatto del solo Stato razziale rimasto al mondo un «associato» all’Unione: ossia con tutti i vantaggi, e nessuno dei pesi connessi alla membership. Purtroppo, deplora la Bonino, si è avuto «il contenzioso sui prodotti esportati (da Sion) nell’UE a partire dai Territori occupati. Israele sosteneva che tali beni dovessero godere dell’accesso privilegiato al mercato europeo dal momento che erano prodotti all’interno del suo territorio doganale; mentre l’Unione sosteneva che i Territori non appartenessero legalmente a Israele e che quindi i loro prodotti non potessero beneficiare del trattamento previsto dall’accordo del 1995».

Capito? Esportare come se fossero Made in Europa beni e merci prodotte nelle terre dove dovrebbe sorgere lo staterello palestinese e che sono sotto il tallone giudaico è appunto uno dei privilegi taciti, ma lucrosi, di cui Sion gode in Eurocràzia. Ma alla Bonino non basta: vuole che Israele entri in Europa a pieno titolo, portandosi dietro tutto il suo corredo: bombe atomiche (a noi vietate) comprese, razzismo, fanatismo, stato di guerra inclusi, e crimini contro l’umanità connessi. Ah, e senza dimenticare le «mutilazioni genitali maschili» praticate a scopo religioso in quel civile Paese, spesso a morsi, dai rabbini a ciò addetti.

«Sta ad Israele, prima di tutto, chiarire la propria posizione, dire se è disposta a condividere parte della propria sovranità così come già oggi fanno 27 Paesi europei», dice Emma. Ma Israele non ci pensa nemmeno, a cedere la propria sovranità: mica sono goym, loro. Tuttavia la nostra ministra degli Esteri non demorde: «L’idea di portare Israele nell’UE ha quasi vent’anni e spero non abbia bisogno di altri venti prima che diventi da “provocazione” in realtà». A ciò dedicherà il suo nuovo ministero, con tutti i fondi (notevoli, anche occulti) e i poteri ragguardevoli messi a disposizione della Farnesina.

Per attuare questi suoi progetti, la Bonino non ha esitato ad usare i partiti italiani come veicoli, succhiando da loro – come un parassita – i voti che l’opinione pubblica ha sempre negato alla setta radicale di Pannella. Turandosi il naso, nel ’94 si è degnata di lasciarsi candidare nella Forza Italia fondata da Berlusconi, Dell’Utri, Previti & C., e col centrodestra berlusconiano è rimasta alleata, fra alti e bassi, fino al 2006; è stato il Cavalier Bunga Bunga, non dimentichiamolo, a proiettarla nel suo alto cursus honorum eurocratico, nominandola come Commissaria. Nel ’99 B. addirittura la sponsorizzò per farla andare al Quirinale, dove ora è Napolitano.

Dal 1994 al 2006: a quella data, Emma cambia cavallo. Passa al centrosinistra. Perché nel maggio 2006 viene nominata Ministro per gli Affari europei nel Governo Prodi. In occasione delle elezioni politiche ad aprile 2008 si candida e viene eletta al Senato come capolista del Partito Democratico nella circoscrizione Piemonte. dopo, si pone come aspirante governatrice del Lazio, sempre coi PD, contro la Polverini. Insomma, la Emma, grazie alle forze dei partiti altrui, ha ricoperto le più svariate cariche: deputata, senatrice, europarlamentare, commissario europeo, vicepresidente del Senato, ministro per gli Affari europei nel governo Prodi.

Nel frattempo ha modo di condurre campagne anti-clericali, da tipica attivista radicale transnazionale, ossia all’ascolto delle logge Trilateral-Bilderberg e Soros. Iniziative per cancellare l’8 per mille, per far pagare l’Imu alle parrocchie, referendum per il trapianto di embrioni (eufemisticamente detto «norme in materia di procreazione medicalmente assistita»), campagna contro la Chiesa considerata colpevole di opporsi alla «sperimentazione sulle cellule staminali che darebbero speranza-alle persone- con-gravi- patologie», ossia alla manipolazione di feti umani, allevati per essere poi usati come pezzi di ricambio. Il tutto con manifestazioni «spontanee» davanti a san Pietro e cartelli boniniani che suonano: «No Taliban No Vatican», in posa per le foto da far avere alle centrali ordinanti.

Perché, nonostante la grancassa mediatica sulla popolarità della Emma, vera Talebana del progetto massonico, non è che le sue iniziative siano mai state un successo di folla. Il referendum del 2005 sul trapianto di feti, in cui i radicali e i massoni «di destra» (Del Pennino, Alfredo Biondi, partito repubblicano) erano riusciti a trascinare tutti i rossi – dai Democratici di Sinistra a Rifondazione Comunista – non ha nemmeno raggiunto il quorum: ad essere «di massa» furono le astensioni, con gran delusione degli ex partiti di massa. Ragion per cui, da allora, il PD ha tenuto un po’ a distanza Bonino e Pannella, cercando di non farsi coinvolgere nelle loro avventure, di esito così rovinoso. Non potendo più parassitare i partiti grossi, i radicali si sono ridotti alla loro misura naturale, che è quella della pulce; Pannella ha persino tentato di allearsi con Storace nella vaga speranza di superare lo sbarramento, e s’è ridotto a corteggiare invano il Movimento 5 Stelle, sperando di saltare come la pulce nel pelo del nuovo grosso cane della scena politica. Alle ultime elezioni, la lista che Pannella ha voluto cervelloticamente chiamare «Amnistia Giustizia e Libertà», e in cui era candidata la Bonino, ha preso lo 0,19%.

Il partito radicale è praticamente sparito, ed è forse quel che Pannella inconsciamente vuole: come è tipico di decrepiti malvagi ed atei, che vicini alla morte non sopportano che le loro creature gli sopravvivano. Morto Pannella con le sue auguste ed occulte coperture, era a rischio anche il finanziamento pubblico (soldi nostri) di 10 milioni annui a Radio Radicale, l’ultima ridotta; spenta quella, non c’era altro. La radio «è», ormai, tutto il Partito.

Enrico Letta, riesumando una Bonino senza elettorato, ha fatto il miracolo di garantire la sopravvivenza della setta di punta del laicismo. Evidentemente nei piani alti e transnazionali si ritiene ancora necessaria la funzione della setta come eterna promotrice di «trasgressioni» e «provocazioni» estreme, che poi le maggioranze politiche sono pronte ad accettare, con le dovute «moderazioni», protestando che «ce lo chiede l’opinione pubblica». È avvenuto per il divorzio, è avvenuto per l’aborto; evidentemente, si «deve» ancora realizzare l’eutanasia, la liberalizzazione delle droghe, le leggi contro la cosiddetta «omofobia», onde completare il totalitarismo della dissoluzione progettato ab initio. Le ulteriori provocazioni avranno la voce del potente e ben finanziato ministro degli Esteri; voce «autorevolissima» ovviamente, e promessa a destini ancora più alti negli Stati Uniti d’Europa futuri.

E il bello è che il salvataggio dalla nullità e dal fallimento della antica mammana pannelliana, l’ha operato una compagine che i grandi giornalisti (come Paolo Mieli, anche lui «autorevole») si sono accordati a chiamare «democristiano» se non «cattolico», notando che Letta, Alfano, Franceschini, Lupi, ed altri neo-ministri erano «giovani dc» nel ’91, poi sparsisi tra «destra» e «sinistra», cosiddette. Già. Ma se sono democristiani, lo sono della scuola di Beniaino Andreatta, il laicissimo tecnocrate che tenacemente operò a deconfessionalizzare la DC, per mutarla in un partito «europeo» anodino e amministratore. Anche in questo obbediva a un Progetto che possiamo indovinare formulato in luogo «illuminatissimo e regolarissimo», come si dice del Tempio massonico. Ne abbiamo già parlato. Ci basti qui riportare che Beniamino Andreatta (1928-2007), fu il gran regista delle svendite dei colossi industriali nazionali.

«Fra i suoi principali insegnamenti – rievoca un testo che abbiamo sottomano – la ricetta dello spezzatino. Lo spezzatino di colossi industriali nazionali, come l’IRI, che ora Letta vuole applicare a Finmeccanica, ENI eccetera. Andreatta nel 1992 annunciò che per rientrare dal debito pubblico occorreva “ridurre il reddito delle famiglie italiane di almeno 5milioni di lire”».

Andreatta, secondo alcune fonti, sarebbe stato presente sul panfilo Britannia il 2 giugno 1992 nella presunta trattativa segreta fra oligarchi angloamericani (dicesi anche: l’ubiquitaria Goldman Sachs) e membri della classe dirigente italiana per la privatizzazione e la svendita del patrimonio industriale italiano. Esistono fonti che suggeriscono che Andreatta avesse come obiettivo la svendita integrale di tutte le quote statali di tutti i patrimoni pubblici. Andreatta, in qualità di neo-ministro degli esteri, accolse subito entusiasticamente la proposta britannica di mandare gli eserciti in Bosnia (Come difendere l’industria nazionale dalla speculazione e dalle svendite indiscriminate).

È chiaro che Emma Bonino è perfettamente omogenea a questo tipo di «democristiani». Forse almeno Maurizio Lupi avrà dovuto turarsi il naso? Lo si dice ciellino. Avrà espresso una minima obiezione alla cessione di un così importante ministero alla ex procuratrice di aborti? Basti ricordare che Maurizio Lupi è quel tipo di cattolico, che ha fatto il padrino di battesimo di Magdi ex-Cristiano Allam, creatura a suo tempo selezionata da Stefano Folli («autorevole» e laicissimo giornalista del Corriere) e garantì per il convertito presso l’ingenuo Benedetto XVI, inducendolo a celebrare il battesimo in eurovisione.

Con cattolici così, che bisogno c’è di massoni?



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