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Auto-intossicati dalla complessità
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Vedo che molti, anche competenti, sospettano un complotto dietro l’attacco speculativo al debito italiano e all’euro. Le ragioni e gli indizi non mancano (1). Ma le teorie cospirazioniste mi paiono superflue, di fronte alla limpida spiegazione fornita giorni fa da Andrew Bosomworth, gestore del colossale fondo Pacific Investment Management, dunque esponente primario dei mercati:

« LItalia non può permettersi di pagare i tassi dinteresse che sta pagando oggi. Il suo debito risulta insostenibile se proiettiamo nel futuro questi tassi dinteresse, sicchè è necessario che qualcosa cambi – o la politica, o un diverso atteggiamento dei mercati».

Bosomworth allude alla famosa crescita, che manca; di fatto, calcola che l’Italia non guadagna abbastanza per servire il debito in futuro. La crescita del debito e del suo costo supera la crescita del PIL; anche se cresce (o crescesse) poco, basta che la forbice tra le due crescite (del debito e dell’economia reale) sia positiva, e si giungerà inevitabilmente alla conclusione che, presto o tardi, il Paese debitore dovrà spendere oltre il 100% del PIL per pagare gli interessi. Una inevitabilità matematica. E una matematica impossibilità. (Andrew Bosomworth News)

Insomma , i mercati (i creditori) hanno raggiunto la coscienza che il debito, su cui hanno così largamente investito, non sarà pagato. Da qui il panico.

Si noti, il gestore di cui sopra ha fatto questa dichiarazione prima degli attacchi ai BTP decennali, che ne ha fatto alzare il rendimento (e dunque il costo per noi) oltre il 6%: rialzo che avvicina il momento del default, dato che ogni punto in più d’interessi rispetto al Bund tedesco aumenta di 3 miliardi di euro il costo del servizio. E questo non vale solo per l’Italia, Paese col governo che sappiamo, e con le colpe e i parassiti della spesa pubblica che sappiamo. Vale anche, e soprattutto, per gli Stati Uniti.

Di colpo, nei mercati è albeggiata l’idea che anche l’economia USA non cresce abbastanza per far fronte al debito crescente. Ecco perchè i mercati non sono stati contenti della decisione americana (faticosamente raggiunta tra le due ali del Congresso) di aumentare il tetto del debito attuando, contestualmente, 2,4 trilioni di debiti di costi pubblici.

I tagli non bastano più ai mercati. Vogliono, esigono i tagli sì, ma anche – contemporeaneamente – misure per la crescita. Ma anche questa è una impossibilità matematica: austerità e crescita non si possono avere insieme.

Peggio, come fa notare Evans Pritchard, le economie occidentali, incalzate dall’umor nero dei mercati, hanno dovuto tagliare le spese pubbliche tutte nello stesso tempo. Sicchè le economie reali stringeranno la cinghia tutte insieme: il PIL greco si ridurrrà del 16 % in tre anni ed è un caso mostruoso, ma il PIL USA che si ridurrà del 2% l’anno prossimo, di per sé conta per molte Grecie. Misure simili, e simili riduzioni del PIL, sarano prese da Italia e Spagna, come le ha già prese l’Irlanda; il governo inglese taglia l’1,7% del PIL quest’anno e altrettanto l’anno prossimo; la Francia e persino la Germania si preparano a tagli simili. Ciò significa meno salari dappertutto, e meno consumi; dunque austerità. E allora dove si trovano i consumatori che compreranno le nostre merci, aiutandoci ad uscire dalla crisi? Forse in Cina?

A parte che la Cina non importa il nostro tipo di merci ma le esporta, a Pechino, gettare acqua sulla sua bolla immobiliare surriscaldata, ha aumentato il costo del denaro, il che significa che anche là il PIL non crescerà come prima. Allora andiamo ad esportare su Marte?, si domanda un analista inglese. E parecchi ormai prospettano un ripetersi dell’errore fatale che aggravò la Grande Depressione degli anni ‘30: allora i Paesi gareggiarono tutti insieme in svalutazioni competitive, oggi gareggiano all’unisono a ridurre i consumi interni nella speranza di destinare più al servizio del debito. Il risultato è lo stesso, il collasso terminale di tutte le attività economiche in tutto il mondo. (The West's horrible fiscal choice)

Ciò implica che il debito non sarà pagato, o non sarà pagato integralmente. Data l’impossibilità matematica – che induce i mercati a non prestarci più, se non ad alto prezzo per compensare quel che chiamano il rischio aumentato (il che mette l’Italia con un problema aggiuntivo di liquidità) – tanto vale pensare (senza dirlo) a ripudiare il debito. Perchè è ben diverso fare fallimento perchè i creditori non comprano più i nostri BOT, altra cosa è il ripudio sovrano. Perchè in questo secondo caso, il sovrano decide a chi pagare e a chi no. Per esempio, ai piccoli detentori italiani dei suoi BOT, e non agli stranieri. Alle nostre banche e non alle loro. Oppure: niente ai detentori di titoli di debito di vecchia data (il grosso del nostro debito è stato fatto negli anni ‘70-‘90) perchè hanno già avuto ripagato molte volte il loro investimento, salvando invece chi compra i BOT nuovi.

Per gli italiani sarebbe un periodo di dura tensione della cinghia: solo metà della spesa pubblica è coperta dalle tasse, il resto lo facciamo a prestito – e in questo resto ci sono le auto blu e la caste, ma anche la spesa sanitaria, le pensioni e un sistema scolastico fra i peggiori del mondo, che continua tuttavia a stabilizzare precari (cioè ad assumerli a contratto indeterminato).

Il governo non potrà più vivere a credito almeno per qualche anno, perchè i mercati non faranno più credito. Il governo dovrà contrattare coi cittadini quali servizi pubblici essi vogliono, chiarendo che ogni servizio sarà finanziato esclusivamente con le entrate correnti, cioè le tasse, e che gli altri non saranno finanziati perchè non c’è credito.

Diventeremo tutti più responsabili, si spera. In compenso, l’economia e i giovani saranno liberati dalla palla al piede dei 90 mila miliardi annui che devono pagare in tasse per servire il debito; la moneta (se sarà ancora l’euro) sarà svalutata per essere la moneta di uno Stato o di più Stati (Spagna, Grecia, Portogallo...) che hanno ripudiato i debiti, e saremo più competitivi.

In ogni caso, se non si ripudia il debito occorrerà comunque che lo Stato smetta di farsi prestare tutti i soldi di oggi, che si metta in posizione per ridurre il suo debito riscattandolo (con avanzi primari). Sono insomma ancora sacrifici, ma fatti per mostrare ai creditori che lo Stato può far fronte ai suoi obblighi, il che è matematicamente impossibile, per quanto vengano strizzati i cittadini. E i banchieri – o la memoria storica degli usurai – lo sa bene.

È già accaduto tante volte, gli usurai indebitano i popoli e scremano da essi i risultati del loro lavoro, fino a quando per forza maggiore il debito non viene più pagato. È accaduto più volte nella storia, gli Stati Uniti hanno mancato spesso di far fronte ai loro obblighi, sia presso i prestatori esteri, sia presso i cittadini – a cominciare dal 1790. Ovviamente, la speculazione o usura lo sa, e cerca solo di ritardare ciò che sa inevitabile. Approfittando dell’occasione per mettere le mani a prezzi stracciati su beni e attivi economici che oggi il panico dei mercati quota al disotto del loro valore: con le cosiddette privatizzazioni, o con scalate (le nostre banche e imprese quotate sono ormai facilmente scalabili). (Fearing (Another) U.S. Debt Default)

Negli anni ‘30, presero il potere in Europa alcuni governi che, costretti dalla crisi americana a salvare le banche, le salvarono sì, ma espropriando gli azionisti-banchieri, talora a calci (nazionalizzazioni senza indennizzo). E stamparono moneta non per darla alle banche – come hanno fatto ora la Federal Reserve e i governi europei – ma per darla alle imprese e all’economia reale.

Tali governi soffrono oggi di una ben precisa damnatio memoriae. Fatto straordinario, oggi è un britannico – Richard Murphy, commentator economic del Guardian – ad invocare «Stati coraggiosi» che «mettano sotto controllo la finanza ferale» (Feral si dice di un animale domestico tornato allo stato selvaggio) quella che ha trionfato negli ultimi trent’anni «ottenendo che la quota di salari sul PIL scendesse dal 58% negli anni 80 al 53% oggi», per estrarre denaro che «ha accaparrato e tiene come ricchezza improduttiva, spesso allestero, in forme liquide o quasi-liquide come azioni, derivati, fondi speculativi», con ciò contribuendo all’attuale situazione di «investimenti insufficienti, salari stagnanti e super-indebitamento delle famiglie che non riuscivano ad arrivare a fine mese».

L’inglese invoca oggi statisti coraggiosi che « riapproprino alla gente comune quei fondi che, come i Fondi Pensione, la finanza ferale sè presa”; che avviino sì un bel «Quantitative easing» (stampare moneta) «per spenderla nelleconomia e non semplicemente regalarla alle banche» com’è avvenuto oggi; e persino che «forzino le banche a depositare i loro soldi in titoli di depositi del Tesoro, come accadde in Gran Bretagna nella Seconda Guerra Mondiale, in modo che tali risorse siano sottratte alleconomia ferale e rese disponibili per il bene pubblico in questi tempi di crisi nazionale e internazionale».

D’accordo, il Guardian è un giornale alquanto di sinistra. E la memoria storica è così smemorata, che può tacere che le misure consigliate furono quelle prese da destre europee a cui è stato usurpato persino il nome, visto che oggi è destra il liberismo sfrenato e privatizzatore. Quel che Murphy propone – nazionalizzazioni (il contrario delle privatizzazioni dei Fondi Pensione tanto raccomandati dall’ideologia) creazione di moneta per i pagamenti fra industrie, draconiano divieto della libera circolazione dei capitali, controllo del governo sulla finanza – hanno una identificabile somiglianza storica con lo Stato sociale autoritario degli anni ‘30, in Germania, Italia, Spagna, Portogallo, Ungheria, eccetera. (Are we heading for a second global financial crisis?)

Naturalmente, ma nessuno degli inediti suggerimenti del Guardian sarà nemmeno discusso. Non solo perchè il sistema usurario e ferale ha procurato di rendersi più forte e più grosso degli Stati sovrani, e dunque più minaccioso. Nè solo perchè ha procurato di ingabbiarci tutti in mega-sistemi sub-sovrani come la UE, dov’è la finanza, non i popoli, ad essere ascoltata in ginocchio. E nemmeno perchè ha instaurata una demokratura con i migliori statisti che i soldi possono comprare secondo i desideri dei banchieri, ossia al servizio dei creditori. Bisogna aggiungere che l’usura non sarebbe diventata la belva inselvatichita che ci sta divorando se la sua offerta di indebitarci non ci avesse trovati desiderosi – come società e come famiglie, come popoli – di indebitarci allegramente, sia per avere servizi sociali che non ci possiamo permettere, sia persino per andare in vacanza alle Maldive o per comprare l’auto che i nostri guadagni reali non ci consentono, o il mirabolante I-Pod o l’ultimo laptop o il maxi TV a cristalli liquidi... oggetti costosi nessuno dei quali è prodotto più da nostre fabbriche. Fateci caso: tutto ciò che desideriamo come consumatori, e che compriamo appena appare sul mercato, è Made in Asia. Noi non sappiamo più costruirli. È un segno in più del fatto che l’attuale crisi ci coglie, collettivamente, colpevoli di non aver saputo mantenere la civiltà. E quello che fa parlare il sito Dedefensa non più di Grande Crisi, sul modello di quella degli anni ‘30, ma invece di Crisi di Civiltà. Una civiltà divenuta da tempo contro-civiltà: un disordine ineguale e crudele, con lo smantellamento di tutte le strutture civilizzatrici, assolutamente destrutturante.

Per questo non credo che l’attuale crisi sia in qualche modo voluta, progettata e teleguidata da poteri forti internazionali. Certo, esistono centri di complotto che producono i loro false-flag, le loro sovversioni e strategie della tensione. Ma pensare che una centrale rettiliana conduca l’insieme, è persino troppo bello. Almeno, vorrebbe dire che qualcuno è al volante, e che sa cosa sta facendo.

Temo che la realtà sia, se possibile, ancora più spaventosa: i poteri forti dell’altro ieri hanno creato dei sistemi globali dove il tecnologico, l’umano, il biologico e le reti si intrecciano così inestricabilmente, e complessi a tal punto, che non sono più controllabili, nè i loro moti sono più prevedibili dalla ragione umana. Sotto questo aspetto, la crisi attuale può essere vista – la definizione è del filosofo Jean-Paul Baquiast – come «lauto-intossicazione dei sistemi per la loro stessa complessità». (Introduction à la lecture de l'ouvrage d'Alain Cardon «Un modèle constructible de système psychique»)

Gli esempi si fanno sempre più frequenti nei reattori disastrati di Fukushima (ma la cosa vale per tutte le centrali nucleari) « nessuno scienziato o tecnico» può dire come evolve la degradazione nei nuclei dei reattori, nè come si potrà contenere la contaminazione del sito, del mare e magari dell’intero Giappone settentrionale: si tratta di un problema di una complessità inimmaginabile, in cui entrano troppi fattori, alcuni dei quali non-osservabili, per permettere la modellizzazione e poi la gestione da parte di esseri umani. Si pensa di mandare dei robot a controllare la tenuta delle canalizzazioni, anche nelle altre centrali. Ma i robot non introdurranno la loro quota aggiuntiva di complessificazione?

L’auto-intossicazione per complessità eccessiva si nota paurosamente nel settore bellico: lo F-35, l’aereo da battaglia che doveva superare tutti gli altri, è stato tanto sovraccaricato di esigenze tecniche e funzionali, che non riesce a vedere la luce, mentre il suo prezzo sale ad altezze siderali, e minaccia di trascinare nell’abisso il costruttore Lockhed Martin e poi il Pentagono. Droni, satelliti-spia, AWACS, bombe e missili intelligenti, per giunta in rete di tutta la NATO, non riescono a schiacciare i combattenti di Gheddafi.

Non pentito, il Pentagono ha lanciato un concorso per lo sviluppo di un sistema chiamato « Soldier Centric Imaging via Computational Cameras», o SCENICC: consistente in un insieme di micro-telecamere piazzate sull’elmetto del soldato, capaci di dargi una visione a 360 gradi, in 3D, con zoom e visione stereoscopica... il sistema sarà gestito da una unità centrale intelligente, capace di memorizzare istruzioni o le immagini di scene anteriori. Questa unità sarà connessa ad una arma individuale di alta potenza, capacer di «acquisire gli obbiettivi, seguire la traiettoria dei proiettili e valutarne limpatto».

S’intende che il tutto non dovrà pesare più di 700 grammi... ciò che fa paura non è che un simile sistema possa essere costruito, ma che un giorno venga piazzato sulla testa del soldato americano-tipo che ho visto in Afghanistan o qua e là nel mondo: uno che ha lasciato la scuola alle elementari, un immigrato peruviano semi-alfabetizzato in attesa di carta verde, quando non (ne ho visto coi miei occhi uno, un mitragliere di coda in un elicottero Chinook) un subnormale clinico con stampato nella fisionomia un lieve ma inequivocabile mongolismo. Arruolano anche quelli.

Lo SCENICC in testa al povero americano senza istruzione nè cervello può essere una buona metafora per il sistema più complesso di tutti, il sistema finanziario globale impostoci dal liberismo.

Da un ventennio e più le Borse mondiali sono collegate in rete, in modo che i detentori di capitali fluidi – liberati da ogni controllo e restrizione statuale – possano, come vogliono fortemente, giocare 24 ore su 24; quando si chiude Tokio, Wall Street è aperta, Londra sta per aprire e così Francoforte. Chi compra e chi vende in questo teatro mondiale sono sempre meno operatori umani, ma grandi organismi finanziari, che si sono dotati non tanto di trader in carne ed ossa, ma di computer con software sofisticatissimi. Sono gli algoritmi che conducono le transazioni ad alta frequenza (ormai il 70% del trading a Wall Street) dando automaticamente migliaia di ordini di vendita o acquisto al secondo. Oppure sono gli algoritmi che cercano, spulciando i dati del casinò globale, gli investimenti momentaneamente trascurati dagli altri.

Il sistema di profitti finanziari risulta così infinitamente più veloce e rapido di qualunque cervello umano, ma anche infinitamente imprevedibile e non-regolabile; tanto più che questi operatori robotici sono concepiti per sfiorare i margini della catastrofe (nel senso matematico del termine) perchè è su quei margini che si guadagna. I computer non dialogano tra loro, piuttosto influiscono l’uno sull’altro, in quanto ogni programma risponde in millisecondi agli ordini di un altro, che sta in un’altra parte del mondo. Migliaia di processi sono attivi reciprocamente (co-attivi) in ogni momento, determinando un quadro di complessità e imprevedibilità interconnessa che non è nemmeno lontanamente immaginabile.

Purtroppo, scrive Blaquiast, « per quanto molto intelligenti nei dettagli, i processi co-attivati non sono capaci di unintelligenza complessiva, che tenga conto per esempio di uno sviluppo economico equilibrato delle civiltà sul pianeta, delle risorse naturali insufficienti» eccetera. Allora, da un momento all’altro, essi provocano le catastrofi in senso non-matematico, come è probabilmente quella cominciata con il fallimento di Lehman nel 2008. E questo sistema lavora sulla testa dei politici, che dovrebbero trovare il coraggio di fermarlo in nome della civiltà.

Naturalmente il pensiero corre a Berlusconi e a Bossi (2), caricature estreme dell’incultura e irresponsabilità del politico europeo. Ma aggiungete pure al mucchio Angela Merkel e Sarkozy, il celebrato presidente Obama e la sua opposizione repubblicana al Congresso egemonizzata da fanatici, aggiungeteci i loro esperti, Bernanke, l’ineffabile Trichet, gli economisti Alesina e Giavazzi.

Vedete da voi se questi sono all’altezza dei tempi, oppure sono come il soldato subnormale fornito di elmetto SCENICC, telecamere a 360 gradi, 3D, zoom, tutto gestito da un computer che fa sparare anche l’arma individuale. Il problema è l’elmetto, ma soprattutto la testa che c’è sotto.




1) Secondo una teoria, la finanza anglo-americana sta demolendo l’euro perchè non diventi la moneta di riserva al posto del dollaro. Secondo un’altra, il governo USA ha intimato agli europei di non lasciar fallire la Grecia, perchè le grandi banche americane (e il colosso assicurativo AIG) hanno emesso CDS (ossia pretese assicurazioni sul default greco) e li hanno spacciati a chi, avendo titoli greci, voleva assicurarsi contro il rischio. Naturalmente nè le grandi banche nè la AIG hanno i mezzi per pagare gli indennizzi, se il default greco si realizza davvero; contrariamente alle vere assicurazioni, non sono tenute ad accantonare nulla per far fronte al sinistro. Ciò basterebbe, se esistesse ancora una cultura dello Stato e non regnasse invece la follia, a vietare in tutto il mondo lo spaccio di CDS, dichiarandone nullo il valore e il contratto.
2) Spero non sia sfuggita ai distratti l’inchiesta avviata a Brescia contro Monica Rizzi, membro influente del Cerchio Magico che controlla Bossi, e per questo eletta assessore alla Regione Lombardia. La Rizzi, già condannnata per millantata professione di psicologa, avrebbe svolto un’attività di dossieraggio contro possibili concorrenti (leghisti) alla elezione di Renzo Bossi, il Trota. Con la minaccia di rivelazioni su scappatelle extraconiugali o malversazioni, i concorreni o avversari sono stati convinti a ritirarsi. Lasciato così libero il campo, il Trota è stato eletto con 13 mila preferenze, e adesso, come consigliere, gode di 7 mila euro mensili. Le notizie piccanti sugli anti-Trota sarebbero state raccolte con l’aiuto di una maga, Adriana Sossi (autrice del volume La mia vita con gli spiriti) che è anche titolare di un’agenzia di poliziotti privati (agenzia Cagliostro). Non bastandole i due mestieri, la maga Sossi s’è fatta assumere alla Regione Lombardia dall’amica Rizzi, la falsa psicologa, come responsabile della rassegna-stampa. Questo è l’ambientino che circonda Bossi e lo influenza: cerchi magici, Trote parlanti magicamente elette, veggenti spiritiste, finte psicologhe, ricatti da piccola malavita per nepotismo straccione. Non poteva mancare, accanto al figlio Trota come organizzatore delle sue feste, Mario Merola detto il Merolone. E questa è la gente che ci dovrebbe guidare nella grande tempesta e nella epocale crisi di civiltà (Una maga per il Trota).


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