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Attacco premeditato
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Adesso la scusa caritatevole dei media è che il massacro israeliano sulle navi della pace sia stata «una sbavatura», un «errore»: magari a causa del cattivo addestramento dei commandos giudei (così Lucia Annunziata), magari perchè quei commandos erano arruolati fra i «coloni», i fanatici talmudici. Un errore politico, l’isolamento di Israele, eccetera.

Nessuno ha rilevato i successi che il regime di Netanyahu ha ottenuto con questo atto di criminalità internazionale. Anzitutto, esso si inserisce coerentemente nella linea (dettata già da Dayan): Israele ha fatto vedere al mondo che è «un cane idrofobo che è meglio non molestare». Si inserisce nella linea di Sharon, di mettere il mondo davanti a «fatti compiuti».

Soprattutto, con questa calcolata e deliberata «sbavatura», Netanyahu è riuscito a seppellire un’altra  volta i vaghi e malagevoli tentativi di portarlo ad un tavolo di negoziato coi palestinesi: il che avrebbe significato, in lontana prospettiva, una qualche anche minima concessione territoriale, il riconoscimento di un’area – no, non di indipendenza – di autonomia palestinese, in cui i giudei non avrebbero più dovuto compiere le loro angherie, espulsioni, occupazioni.

E’ questo che non solo Netanyahu, ma la «sinistra» israeliana non vogliono. Per non parlare del divieto talmudico di non cedere un centimetro della terra data da YHVH, già il solo fatto di riconoscere i palestinesi come interlocutori sarebbe come riconoscerli esseri umani, titolari di diritti elementari: ciò che è contrario alla «teologia» ebraica, per la quale tutti gli altri sono animali parlanti (e i palestinesi, «scarafaggi»).

Non era un’impresa facile. Non solo perchè le pressioni internazionali ad aprire il lager di Gaza, per quanto tenute a bada dalle lobbies ebraiche in Europa, si facevano insistenti. Il fatto è che la propaganda giudaica anche in queste ore ripetuta da miriadi di ebrei, israeliani e no, nei nostri media – ossia che «non si tratta con Hamas» perchè Hamas ha del suo programma «la distruzione di Israele» – è smentita dalle dichiarazioni rilasciate il 29 maggio da Khalid Mashaal, il leader di Hamas a Gaza: il suo movimento è pronto a riconoscere Israele e a smettere tutti gli atti di ostilità verso lo Stato ebraico, purchè Israele torni ai suoi «confini riconosciuti internazionalmente» e permetta la soluzione a due Stati.

Di questa dichiarazione – e non è nemmeno la prima, avendo i capi di Hamas piena coscienza della loro situazione di debolezza, e della crisi umanitaria che i giudei impongono alla popolazione – non hanno ovviamente parlato i media italiani nè europei, eppure è stata diramata dall’agenzia Bloomberg, che non è il megafono di Hamas. (Hamas Chief Says Resistance Stops at End of Israeli Occupation)

I nostri media ne hanno taciuto perchè sono stati istruiti a tacere. Israele non vuole la pace: nel 2002 ha già lasciato cadere senza riposta l’offerta dell’intera Lega Araba, secondo cui tutti gli Stati arabi avrebbero fatto pace con Israele e stabilito normali rapporti diplomatici, purchè lo Stato ebraico avesse accettato la risoluzione 242 dell’ONU e avesse consentito alla nascita di uno Stato palestinese. Era un’offerta molto più attraente di quella di Hamas, sia economicamente (l’aveva avanzata l’Arabia Saudita) sia politicamente, perchè avrebbe isolato Teheran, che sarebbe rimasto «l’ultimo nemico» di Sion, inviso anche ai capi musulmani sunniti. Eppure, nemmeno un cenno di ricevuta.

Per capire meglio il senso di onnipotenza che ha indotto gli israeliani a sfidare la cosiddetta «comunità internazionale», bisogna leggere l’articolo apparso su Ma’ariv il 27 maggio in ebraico.

Il titolo suonava: «Netanyahu: ho vinto io». Specificamente, Netanyahu vantava la sua vittoria sul presidente americano Obama che aveva costretto a ripiegare su tutta la linea. «Non abbiamo fatto concessioni sulle nostre linee, non ci ha costretto ad andare dove non volevamo».

Obama, assicurava Ma’ariv, non costringerà Israele a cessare l’espansione degli insediamenti (illegali), nè insisterà più sulla soluzione a due Stati. Il motivo, lo spiegava «una fonte anonima a Washington», che così si lagnava: «Le casse del Partito Democratico sono vuote. Molti membri democratici del Congresso e del Senato si sono lamentati che se continuano i dissapori con Israele, essi non riceveranno le donazioni dai giudei e rischiano di perdere le elezioni...».

Le elezioni in USA sono fissate per novembre 2012. Obama è già elettoralmente morto, e passerà alla storia minore come il negro che fu «one term president», presidente per soli 4 anni; ma i politici democratici vogliono sopravvivergli, e non possono senza i fondi ebraici, che l’AIPAC (American Israeli Political Commitee) distibuisce solo agli amici ferrei di Giuda. E’ la tragica e ridicola ammissione americana di essere un governo occupato dai fanatici di Sion. (Maariv: Netanyahu says Obama folded

E’ per questo che la Casa Bianca, dopo il massacro navale, ha emesso un conigliesco comunicato in cui «si rincresce delle perdite umane», come se quel che è avvenuto fosse un evento naturale. Ed  è per questo che, con la scusa del deliberato «incidente», Netanyahu che era già in USA, ha «rinunciato» ad incontrare Obama: il fatto è che l’ha piantato in asso, umiliando ancora una volta il presidente della supposta unica-superpotenza-rimasta, sapendo che lo lasciava nelle mani sicure della lobby ebraica americana, dagli artigli di ferro.

La tournée di Netanyahu era del resto cominciata a Parigi, dove aveva festeggiato con Sarko l’ammissione dello Stato ebraico nell’OCSE, primo Stato razzista ad essere ammesso nel consesso occidentale.

Si sarà notato come  i commentatori giornalistici, anche davanti al crimine internazionale, continuano a presumere che Israele sia uno Stato di diritto, benchè abbia aggreditro navi battenti bandiera turca, membro della NATO, in acque internazionali. E lo trattano di conseguenza (perbacco, è un membro dell’OCSE!),  al punto da prendere come informazioni rispettabili i dossier che – sui passeggeri delle navi insanguinate – gli ha passato il Mossad: erano proprio pacifisti umanitari?

Ma no, c’era monsignor Ilarion Capucci, vescovo melchita, quello che «anni fa» fu colto sul fatto mentre cercava di portare armi all’OLP di Arafat... Sorvolando sulla circostanza che di «anni fa» ne sono passati una quarantina, e che oggi Capucci è un vecchio novantenne. Ma ciò basta ai nostri media per insinuare che è un «terrorista» su una nave piena di «terroristi»: operazione in cui s’è distinto Maurizio Molinari, il neocon de La Stampa, che negli uffici di propaganda israeliani è di casa.

Il Mossad aveva le schedature di tutti i 480 passeggeri (fornite dai volonterosi sayanim di ogni Paese): i giornalisti le hanno voluttosamente compulsate: ecco la ONG turca che ha contatti con «il terrorismo islamico» (alias resistenza palestinese, e magari afghana), ecco i «pacifisti europei» che sono «amici di Hamas e di Hezbollah»... insomma, è stato giusto sparargli in acque internazionali. Hanno attaccato i commandos con «spranghe», del resto. La prossima volta che in Italia, le tifoserie e i manifestanti  in genere tireranno fuori le spranghe, i nostri agenti di PS sanno cosa fare: metodo israeliano, raffiche di UZI ad altezza d’uomo. E nessuno protesti.

Inutilmente Uri Avneri ha suggerito al presidente Obama di non cedere al ricatto, e – dato che ha un anno e più prima delle elezioni del 2012 – usi questa finestra di opportunità per «realizzare la sua speranza di pace e recuperare la posizione degli USA in Medio Oriente». (A Day in November)

Obama s’è precipitato a inaugurare la festa mai prima celebrata del Mese del Retaggio Ebreo-Americano, Jewish America Heritage Month, invitando 250 ospiti, tutti esponenti della lobby nella politica, nella finanza (soprattutto), nel giornalismo e nello spettacolo, ai quali ha spergiurato della «infrangibile amicizia» fra USA e Israele, in un discorso umiliante che si può leggere qui: Welcome to Obama’s Jewish America

Il regime può dunque rispondere con la solita arroganza alle «deplorazioni» e «condanne» verbali della comunità internazionale, e ridersi anche della rottura con la Turchia, ex «alleato»: del resto ci sono state manifestazioni di giubilo giudaico davanti all’ambasciata turca a Tel Aviv, segno che la strage è stata vista dagli ebrei come una vendetta.




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Dal punto di vista giudaico, infatti, la rottura s’era già consumata col successo diplomatico turco e brasiliano nel convincere Teheran ad un accordo sul suo materiale nucleare. Quell’accordo era un pericolo per Israele perchè – risolta la faccenda del nucleare iraniano – stava per venire in discussione la questione delle testate nucleari sioniste. Già i Paesi firmatari del Trattato di Non-Proliferazione avevano emanato una risoluzione che esigeva da Israele di dichiarare le sue bombe atomiche e di aprirsi alle ispezioni della AIEA. Con il deliberato massacro dei pacifisti, Netanyahu s’è liberato anche di  questo problema.

Anzi: dato l’atteggiamento americano ed europeo, Israele pare in grado di manovrare in modo che sia il governo turco ad essere «isolato» nella sua energica azione contro lo Stato-canaglia. E’ notevole che, conoscendo il servilismo degli occidentali, fin dalle prime ore la diplomazia turca, costituita una unità di crisi al ministero degli Esteri (Erdogan stava tornando in fretta dal Sudamerica), abbia preso contatto con i 32 governi dei Paesi da cui provenivano i passeggeri uccisi e sequestrati, per coinvolgere la loro responsabilità nella crisi. Non a caso, il governo tedesco ha rifiutato ogni appoggio ufficiale ai tre parlamentari germanici a bordo della flotta attaccata, Annette Groth, Inge Hoeger e Norman Paech, cercando invece di convincerli dietro le quinte a non imbarcarsi, a causa di non specificati «pericoli» (evidentemente, la Merkel sapeva quali).

Si può dunque immaginare il tremore delle cancellerie europee quando la Turchia, in quanto membro della NATO aggredito, s’è rivolta al Consiglio Atlantico: che fare se Ankara avesse qualificato l’aggressione alle sue navi mercantili come un atto di guerra, con ciò chiedendo il sostegno militare degli altri Stati in virtù dell’articolo 5 del Trattato fondatore dell’Alleanza?

Quando Erdogan ha parlato di «atto di pirateria», hanno tirato un sospiro di sollievo; ah, non è «atto di guerra», e allora...

Ankara ha promesso che altre navi con aiuti saranno dirette a Gaza, e questa volta con scorta della Marina Militare turca. La Turchia ricoprirà da questo mese (giugno) la presidenza temporanea del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e si aspetta almeno un’astensione da parte degli USA su una qualche decisione seria di condanna dello Stato criminale giudaico, invece del solito veto. Avrà da aspettare parecchio, temo.

 Allora la Turchia sarà  persa per la NATO, e diverrà «una nuova forza del Medio Oriente», come teme il Times. A meno che, s’intende, non sia già pronta una squadra di kidon per ammazzare Erdogan, o un colpo di Stato dei dunmeh gallonati, onde provocare un cambio di regime al modo israeliano: con l’assassinio.

Da ultimo: secondo fonti turche, i commandos israeliani autori dell’aggressione avevano una lista  dei passeggeri delle navi da eliminare. Una copia di questa lista, smarrita da un soldato israeliano,  sarebbe in mano ai servizi turchi. Se confermata, questa notizia rafforzerà l’evidenza che la strage è stata un atto deliberato, non una sbavatura. (Flotilla Massacre is a Reply to the Turkish-Iranian Relations)



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