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Blair anti-americano. O quasi.
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«Tony Blair: cooperare con Putin contro l’Islam radicale». D’accordo, il titolo del Daily Mail è esagerato, come accade ai tabloid sensazionalistici. Ma sensazionale lo è senza dubbio, l’intervento che l’ex primo ministro britannico ha dato al Bloomberg News il 24 aprile, specie se si tien conto che viene da lui. Da Tony Blair, colui che con fedeltà canina ha seguito l’America di Bush jr. nell’invasione di Afghanistan ed Iraq sotto falsi pretesti, non senza fornire alla cosca neocon che gestiva la Casa Bianca e il Pentagono false ed opportune informazioni sulle presunte armi di distruzione di massa di Saddam Hussein («Un mostro che minaccia il mondo», lo definì), ingannando lo stesso Parlamento britannico sul reale pericolo per trascinare il Regno Unito nelle guerre volute dai Cheney e dai Wolfowitz, Perle e Feith; una servilità così assoluta alla causa neocon – e una «amicizia» di ferro per Israele – da distruggere la sua propria reputazione, stroncarsi la carriera politica e rischiare persino l’incriminazione per crimini di guerra (volevano trascinarlo in tribunale Desmond Tutu, Harold Pinter ed Arundati Roj). Una serie di bassi servizi che gli hanno valso le dimissioni forzate, ma sono stati ricompensati da una nomina a «special envoy» del cosiddetto Quartetto per il Medio Oriente, superfluo organo internazionale che dovrebbe fare avanzare il processo di pace fra palestinesi e giudei — incarico esornativo ma lucroso, dato che gli consente di compiere giri internazionali di conferenze, per le quali Tony pretende 100 mila sterline a serata.

Ebbene, questo individuo, di punto in bianco, si è messo a dire ai poteri «ultra-forti» (di cui è stato la creatura coccolata e promossa) alcune crude verità: l’intervento occidentale per liberare la Libia da Gheddafi assassinandolo, è stata una catastrofe; il minacciato intervento in Siria per rovesciare Assad lo sarebbe stato ancor peggio; l’idea di cacciare dei dittatori laici s’è rivelata cattiva, «dato l’emergere distorcente di un Islam estremo così ostile alla modernità», da configurare «il più grosso pericolo alla sicurezza globale del 21° secolo», visto con quanta virulenza e velocità si diffonde in Africa ed Estremo Oriente. Non ha mancato di accusare le losche manovre saudite in questa virulenta espansione. «È assurdo – ha detto – che spendiamo miliardi di dollari in patti e armamenti per la difesa per proteggerci dalle conseguenze di una ideologia religiosa che viene promossa dalle scuole ed istituzioni di quegli stessi paesi con cui abbiamo tali intime relazioni di difesa e sicurezza».

«Per gli ultimi 40 o 50 anni – ha aggiunto – c’è stato un flusso continuo di finanziamenti, di proselitizzazione, di organizzazione e proclamazioni, generati dal Medio Oriente, che promuovono visioni religiose che sono pericolose tanto sono di veduta ristretta, piena di pregiudizi e di ignoranza. Purtroppo, noi [occidentali] siamo ciechi all’enorme impatto globale che questi insegnamenti stanno avendo. Anche nello stesso Medio Oriente i risultati sono stati orribili, mettendo le popolazioni di fronte alla scelta di un governo autoritario che però almeno è tollerante in fatto di religione, piuttosto che finire sotto una quasi-teocrazia intollerante... Nella regione è in corso una lotta titanica tra chi vuol aderire alla modernità politica, sociale ed economica, e coloro che invece vogliono creare una società esclusivista e di discriminazione religiosa, un potere che non accetta di competere in una spazio comune dove accetti altre visioni del mondo. Vogliono una società immobile, governata da dottrine religiose che sono in essenza immutabili... È questo il fattore distorcente. È questo che complica il processo di evoluzione politica, che rende così difficile per la democrazia mettere radici». (Tony Blair to warn West: Take sides against radical Islam)

L’Occidente, ha proseguito Blair, «è confuso dall’evidente fallimento dei cambi di regime che ha prodotto in Afghanistan ed Iraq»; quanto alla Libia, «è un caos che destabilizza i Paesi vicini». E che dire della Siria? L’opposizione che abbiamo appoggiato perché faccia il regime change, ha prodotto «un Paese in disintegrazione, milioni di profughi, un numero di morti che si avvicina a quello dell’Iraq, senza una conclusione in vista e con grosso rischio di destabilizzazione della regione». Insomma, la Siria «è un tale indescrivibile disastro, che oggi sarà meglio arrivare ad un accordo, ancorché ripugnante, che lasci il presidente Bashar al-Assad al potere».

Ecco: l’ha detto Tony Blair. La frase che non può essere pronunciata nelle Cancellerie occidentali – Assad è meglio degli islamisti – lui l’ha pronunciata. E non si è limitato a violare quel tabù. Secondo il Guardian, «Blair ha premuto l’Occidente, cieco volontario, a decidersi a prendere posizione – e se necessario fare causa comune con la Russia e la Cina nel G 20 per contrastare l’estremismo islamico, che è la causa di tutti i fallimenti degli interventi occidentali» per diffondere la democrazia, si suppone.

Resta il fatto che Blair ha avuto effettivamente il fegato di sventare l’incantamento della disinformazione su Assad, di denunciare la stupidità dell’appoggiare i tagliagole fanatici contro il dittatore modernizzante, di rompere il silenzio sui disastri prodotti in Libia dalla «espansione della democrazia», e – peggio – di dar ragione a Putin, nei giorni stessi in cui tutti i media del Sistema, le Cancellerie europee e il gran padrone americano lo stanno dipingendo come il Diavolo, il Nemico numero Uno, il malvagio espansionista che soffoca le aspirazioni del popolo ucraino alla libertà, alle cure di Barroso e della NATO.

Dato il profilo antropologico dell’ex premier britannico, c’è da sospettare che il suo inedito coraggio, questo rompere i tabù ed affrontare temi censurati, non sia affatto un libero colpo di testa di una mente indipendente. Che, insomma, sia stato «autorizzato». Si tratta di capire da chi.

Uno dei possibili suggeritori, o suscitatori del coraggio di Blair, potrebbe essere il nucleo vero ed appartato del potere imperiale britannico, poco visibile ma ancora potentissimo attorno ai conciliaboli informali dei Pari, al MI5 e alla Corona. In quei piani alti cresce l’allarme per la troppo numerosa componente islamica nel Paese, la cui gioventù si arruola nelle guerre per la Sharia e sta tornando in massa nel Kafiristan Britannico, col dente avvelenato contro gli infedeli, e l’addestramento nelle armi. Non a caso il Royal United Service Institute, emanazione della storica centrale «filosofica» dell’impero britannico – quel Royal Institute of International Affairs che gli insider chiamano familiarmente Chatham House – ha appena emanato uno studio sugli effetti (disastrosi) delle operazioni militari che il Regno Unito ha condotto per servire l’America nella «lotta contro il terrorismo globale»; e fra questi effetti, viene indicato questo: «Non c’è più alcun serio dubbio che il ruolo militare britannico in Iraq ha funzionato come canale per accrescere la radicalizzazione dei giovani musulmani nel Regno Unito». (UK military operations since cold war have cost £34bn, says study)

Un altro suggeritore che può aver messo a Blair in bocca le sue coraggiose denunce dei fallimenti occidentalisti, è assai meno prevedibile. E più ipotetico. Resta il fatto che un noto analista del giornale ebraico Haaretz, Anshel Pfeffer, ha così commentato: «La cosa affascinante nel discorso di Blair, è che avrebbe potuto essere un discorso di Netanyahu. Parola per parola. Hanno la stessa visione». (The fascinating thing about Blair's speech)

Eh sì: il «grande amico di Israele» Tony Blair potrebbe condividere – o dar voce – all’irritazione e all’allarme nel Governo israeliano per la sciagurata politica di Obama: troppi «regime change» nei Paesi circostanti, governati da vecchi dittatori che Sion conosceva e sapeva come trattare – dagli Assad ai Mubarak fino ai Gheddafi – che stanno dando origine a veleni islamisti virulenti, violenti e guerriglieri. Quanto al regime change in Ucraina, così accanitamente promosso dai circoli neocon nel Dipartimento di Stato, il Governo israeliano ha ostentatamente fatto capire che non è affar suo — Obama l’ha notato ed ha avuto la debolezza di esprimere dispetto a Netanyahu per il mancato appoggio nella demonizzazione di Vladimir Putin: ma Netanyahu se ne infischia (come al solito), e sembra che il Ministro degli Esteri sionista, il razzista Avigdor Liberman, penda più per le ragioni di Mosca che per quelle di Kiev: dopotutto, è un russofono, e in buoni rapporti personali con Putin.

I media ufficiosi americani hanno accolto l’uscita di Blair con rabbia e sorpresa fremente, come quelli sauditi; commentatori islamici hanno ricordato l’amicizia d Blair con il generale Al Sisi (l’eradicatore dei Fratelli Musulmani in Egitto), nutrita da «consulenze» ben pagate; sorprendentemente, gli è contro il Guardian (la «sinistra intelligente»): «Ipocrita, Blair sostiene i regimi più oppressivi della regione», e meno sorprendentemente, il Financial Times: dove il columnist Gideon Rachm (J) mostra «le falle del ragionamento» di Blair. Invece Dennis McShane, che è stato un Ministro di Blair (per l’Europa), equipara questo suo discorso a quello di Churchill a Fulton, nel 1947, che pose fine alla sottovalutazione anglo-americana del pericolo staliniano, e all’amicizia con Stalin coltivata nella guerra contro i fascismi, e inaugurò una politica opposta, la storica guerra fredda. Così oggi, Blair avrebbe illuminato la stupidità della politica occidentalista di semi-alleanza con il fanatismo islamico (che finge di combattere come «Al Qaeda»), e darebbe il segnale di un cambiamento epocale di quella politica.

Blair come Churchill? Stiamo a vedere...



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