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Sono stati i sauditi. Mosca risponde.
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«Sfortunatamente, alcuni combattenti hanno maneggiato questa armi in modo sbagliato, e provocato l’esplosione»: a parlare così è un capo ribelle nella zona di Ghouta – il quasi sobborgo di Damasco dove sono morti a centinaia per i gas – di cui i giornalisti hanno avuto solo l’iniziale del nome, «J».

«Non ci hanno detto che cosa erano queste armi né come usarle», dice una donna combattente, anche lei nota solo come «K», «non immaginavamo che fossero armi chimiche. Quando il principe Bandar dà certe armi alla gente, deve anche dar loro quelli che sanno come maneggiarle ed usarle». Al che, «J» interviene a mo’ di spiegazione: «I guerriglieri di Jabhat al-Nusra non cooperano con gli altri ribelli... non condividono informazioni segrete. Hanno solo utilizzato dei ribelli qualunque per far trasportare questo materiale».

Dà invece il suo nome Abu Abdel-Moneim, che abita a Ghouta ed è il padre di un ribelle anti-Assad. Uno dei suoi figli, racconta, è rimasto ucciso dentro un tunnel adoperato per immagazzinarci delle armi fornite da un militante saudita noto come Abu Ayesha, capo di un battaglione combattente. Il padre ha visto queste armi: alcune avevano aspetto tubolare, altre sembravano bombole per il gas molto grosse.

Ci si può credere o no. Ma i giornalisti che hanno condotto l’inchiesta sul posto, raccogliendo queste ed altre testimonianze, l’hanno firmata coi loro nomi veri: sono Dale Gavlak e Yahya Ababneh. Il primo è inviato in Medio Oriente per Associated Press, l’americana (e molto seria) National Public Radio e Mint Press News, il giornale online in cui ha pubblicato l’articolo; risiede ad Amman, Giordania, da vent’anni; ha un master in studi mediorientali dall’università di Chicago. L’altro, Yahya Ababneh, è un freelance giordano che ha coperto eventi in Libano e in Russia, in Arabia e in Libia, per varie testate giordane: Amman Net, Saraya News ed altre.

Potete crederci o no, ma questi due ci hanno messo la faccia. Sono andati – riportano – a Ghouta, ed hanno intervistato «dottori, abitanti del quartiere, combattenti ribelli e loro familiari». Da questi intervistati hanno ricavato la convinzione – e la scrivono – che «certi ribelli hanno ricevuto armi chimiche attraverso il capo dell’intelligence saudita, principe Bandar bin Sultan, ed erano responsabili di colpire col gas». Invece è accaduto un incidente. Apparentemente per imperizia. 1400 morti. (Syrians In Ghouta Claim Saudi-Supplied Rebels Behind Chemical Attack)

Il principe Bandar, è il pericoloso personaggio che qualche giorno prima – a luglio – aveva voluto un incontro con Vladimir Putin, e gli aveva fatto offerte da non potersi rifiutare: l’acquisto di armamenti russi per 15 miliardi, la promessa di non fare concorrenza all’export russo di gas e greggio in Europa, il mantenimento della base navale russa a in Siria anche con il cambio di regime... tutto, tutto purché Putin togliesse il suo appoggio ad Assad. L’incontro è stato a porte chiuse, ma parecchio è stato fatto uscire di quel colloquio, e sembra che l’indiscrezione sia dei russi. Ne ha dato conto come cosa certa un’altra firma credibile, Ambrose Evans-Pritchgard del Telegraph. (Saudis offer Russia secret oil deal if it drops Syria)

Adesso sappiamo che l’oscuro principe Bandar, a Putin, non ha fatto solo promesse di regali. Ha fatto anche minacce. Nel corso del colloquio, ha detto: «...Per esempio, io posso garantirle la protezione delle Olimpiadi Invernali nella città di Soci l’anno prossimo. I gruppi ceceni che minacciano la sicurezza dei giochi sono da noi controllati, e non si muoveranno in direzione del territorio siriano senza coordinarsi con noi. Questi gruppi non ci spaventano. Noi li usiamo contro il regime siriano ma non avranno alcun ruolo o influenza nel futuro politico della Siria».

Bandar ha dunque ammesso di controllare dei terroristi islamici operativi in Siria, e minacciato di lasciarli scatenare a fare stragi in occasione delle Olimpiadi invernali di Soci 2014. Un sinistro avvertimento per la memoria di Putin, in cui è stampato il ricordo delle sanguinose imprese dei ceceni: la presa d’ostaggi di 800 spettatori in un teatro di Mosca nell’autunno 2002, la tragedia della scuola di Beslan, nel Caucaso, in cui gli islamisti provocarono al morte di 186 bambini (la mano saudita era già lì?).

Il colloquio Putin-Bandar è stato «tempestoso», pieno di messe in guardia. Putin ha rigettato le offerte: «Siamo convinti che il regime siriano è quello che meglio parla a nome del popolo siriano, e non quei mangiatori di fegato», ha detto alludendo a quel video famigerato. Bandar, congedandosi, ha avvertito l’altro: «Non c’è scampo dall’opzione militare, perché è la sola scelta rimasta dato che l’accordo politico è finito in stallo. Crediamo che la conferenza Ginevra II [che Putin ha preparato con Washington sulla Siria, con molti sforzi) sarà molto difficile che si tenga, alla luce della violenta situazione».

La sua profezia, meglio minaccia, si è avverata. Siccome Putin non ha ceduto, l’opzione militare è in corso; precipitata da una esplosione di armi chimiche che ha fatto una strage, e di cui tutto l’Occidente incolpa Assad, mentre gli abitanti di Ghouta incolpano i sauditi. Il che fa pensare che il principe Bandar bin Sultan non solo gestisca i terroristi ceceni, non solo gestisca Al-Nusra, ma gestisca anche il presidente Barak H. Obama e possa indurlo a fare ciò che vuole. È il burattinaio anche di quel burattino.

I due giornalisti di Mintpress News arrivati a Ghouta, nel covo dei ribelli devastato dall’esplosione del gas, scrivono: «Più di una decina dei ribelli intervistati hanno riferito che i loro stipendi vengono dal governo saudita». Il che stupisce poco. Aggiungono che «i dottori che hanno trattato le vittime dell’attacco chimico hanno avvertito i reporter di stare attenti a porre domande su chi, esattamente, era responsabile del mortale attacco». Il che stupisce anche meno. Forse erano medici di Médécins Sans Frontières?

Ci si può credere o no. Ed è comprensibile lo scetticismo, dopotutto i due giornalisti non hanno altra prova che le loro interviste, le quali valgono quanto la certezza di Obama e Kerry che «è stato Assad».

Ma una conferma indiretta di questa versione della tragedia ci pare venga da un titolo di Voce della Russia, la radio semi-ufficiale: «L’attacco alla Siria è un attacco contro la Russia – dice un ufficiale militare libico». Il militare libico, di cui si dice che ha «diretta conoscenza del sistema missilistico americano», resta ovviamente anonimo. E forse nemmeno esiste. Quel che conta è che tale «fonte» dice che sì, «è vero che il principe Bandar controlla i gruppi terroristi in Siria, ceceni inclusi». E che sì, «è stato proprio Bandar a consegnare le armi chimiche, provenienti da Israele, agli insorti siriani». (L’attacco alla Siria è di fatto un attacco contro la Russia)

I servizi russi vogliono far sapere che sanno chi è il nemico, da che parte è venuto il colpo. E qui veniamo all’ultimo lancio di agenzia. L’agenzia di stampa è l’iraniana IRIB, che la riprende dall’agenzia siriana Dampress: dunque può essere una voce dell’illusione o della speranza della parte debole alla vigilia d’essere vittima. Ci si può credere oppure no. Ma in ogni caso, la notizia – se vera – è perfettamente coerente con il retroscena che abbiamo qui raccontato. La notizia è questa:

«Secondo le fonti siriane, se gli Stati Uniti attaccano militarmente la Siria, il presidente russo Putin è deciso a prendere a bersaglio l’Arabia Saudita (...) il capo del Cremlino è pronto a dare ai bombardieri russi l’ordine di bombardare l’Arabia Saudita (...)». E ne avrebbe avvertito Washington. (Terza Guerra Mondiale: la Russia rilancia...)

Se è vero, Putin fa sapere che colpirà non le navi americane, non Israele, ma lo Stato criminale e petrolifero che l’ha minacciato di scatenare contro la Russia i suoi terroristi, che paga ed arma, e che – dunque – s’è auto-confessato in stato di guerra con Mosca. L’Arabia Saudita non pensi di restar indenne dal conflitto che ha provocato e dalle trame che ha allacciato.

Si può credere o no. Ma solo pochi giorni fa, Vladimir Putin ha impegnato il suo prestigio, la sua faccia e la potenza russa in una promessa assoluta al presidente Assad:

«La Russia non permetterà che un solo missile o una sola bomba si abbattano sul territorio siriano. La Russia è e resta al fianco dello Stato siriano».



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