>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
TUTTI |0-9 |A |B |C |D |E |F |G |H |I |J |K |L |M |N |O |P |Q |R |S |T |U |V |W |X |Y |Z

Archivio Articoli FREE

Ankara: un altro schiaffo agli USA. Strategico
Stampa
  Text size
Il 22 marzo, mentre la NATO (o il suo Occidente) bombarda in Libia, il ministero turco della Difesa ha annunciato in modo ufficiale d’aver sospeso indefinitamente l’acquisto di cento F-35, i costosisissimi Joint Strike Fighters fabbricati dalla Lockhedd Martin che il Pentagono sta obbligando i suoi alleati, volenti o nolenti, a comprare: più servi comprano il dubbio caccia-bombardiere più per gli USA i costi si spalmano. E i costi del JFS sono lievitati negli anni fino all’assurdo: ai tempi di Prodi la (serva) Italia aveva accettato di comprarne 131 al prezzo di 50 milioni di euro a pezzo, oggi il prezzo è lievitato a 113, con stanziamenti aggiuntivi del governo italiano perchè il nostro Paese, con alcune delle sue aziende di punta, partecipa allo sviluppo dell’ F-35. La decisione turca di rinunciare a far la sua parte, farà aumentare ulteriormente il prezzo dell’aereo da battaglia più caro della storia.

Ma per Washington, il vero schiaffo sta nella motivazione che Ankara ha dato per il suo rifiuto: secondo un breve comunicato dell’Atlantic Council, la Turchia non compra più perchè «il Pentagono rifiuta di condividere i codici-fonte (source code) del software usato nellavionica progettata per laereo, così come i codici che possono essere usati esternamente (externally) per attivare gli apparecchi». (Countries look to delay F-35 purchases amid cost fears)

Qui le parole vanno soppesate e assaporate, per valutare l a natura strategica dello schiaffo turco al grande alleato. Persino gli inglesi si lamentano che gli USA non danno i codici-fonte, il che non è una novità (li danno solo ad Israele); ma lo fanno a bassa voce. Il ministro turco della Difesa Vecdi Gonul, invece, dichiara ufficialmente ed esplicitamente che gli USA possono manipolare dallesterno gli aerei turchi, trasformandoli in droni che agiscono indipendentemente dai comandi turchi: anche questo si sa, ma non si dice. Invece i turchi hanno detto in sedi ufficiali – come riporta la rivista delle ambasciate canadesi – che teme «che gli aerei possano essere volti contro la Turchia ove questa si trovi a combattere un alleato degli USA» (these code secrets could be turned against Turkey if they attacked a US ally).

Ricapitoliamo: la Turchia è da sempre la colonna della NATO (vi aderì dal 1952), il terzo esercito dell’alleanza atlantica, e per un settantennio il più fidato alleato degli USA in questa zona del mondo. Solo che adesso pensa di trovarsi, un giorno o l’altro, nella necessità o nell’opportunità di «combattere un alleato degli Stati Uniti», e non vuole che gli Stati Uniti si riservino la possibilità di paralizzare le sue squadriglie di caccia e bombardieri.

Vecdi Gonul
   Il ministro Vecdi Gonul
Come è chiaro, non si tratta per Washington di un intoppo tecnico, ma strategico. La Turchia di Erdogan ha alzato la sua voce indignata contro le stragi israeliane a Gaza; la sua avversione alla politica dello Stato ebraico s’è indurita e stabilizzata dopo l’aggressione piratesca subita dalla nave turca Mavi Marmara. Ankara, con il Brasile, ha qualche tempo fa convinto l’Iran di Ahmadinejad ad arrivare ad una decente soluzione della questione del nucleare iraniano: questo successo diplomatico essendo sgradito ad Israele e alla sua lobby in America, è stato gettato nei rifiuti dalla cosiddetta diplomazia americana. Da ultimo, l’opposizione e la contrarietà di Ankara all’aggressione franco-inglese e americana in Libia è stata esplicita, quanto indignata. Un’offesa per il grande Paese che (vale la pena di notarlo) cresce economicamente a ritmi superiori all’8% e si configura sempre più come una potenza regionale ambiziosa, memore del suo passato ottomano (che contempla fra l’altro il ruolo di protettore dei popoli musulmani), e rispettata come modello dalle opinioni pubbliche islamiche in effervescenza. (Turkey and the Libyan crisis: The response of a ‘rising power’)

Risultato: l’opposizione turca alla patologia politica israeliana ed americanista-occidentalista «diventa, da congiunturale, strutturale»: come dimostra la rinuncia all’F-35; è in via di elaborazione ad Ankara una dottrina militare che implica la possibilità di conflitti bellici in cui la Turchia non sarà a fianco degli Stati Uniti.

Si aggiunga l’altro grande Paese che ha voltato le spalle all’avventura occidentalista libica, la Gemania, che sta sempre più voltando le spalle anche alla UE, infischiandosene dei destini di Grecia, Portogallo e Spagna e rifutandone il salvataggio in nome della solidarietà europea, mentre Berlino persegue sempre più il suo destino manifesto danubiano-uralico; si aggiunga il fatto che un Paese con cui condividiamo la moneta comune (e che dunque dovrebbe far parte della nostra stessa patria burocratica), la Francia, sta colpendo gli interessi italiani; si indovina che quello a cui stiamo assistendo è lo sgretolamento dell’ordine egemonico dettato dagli Stati Vincitori della Seconda Guerra Mondiale.

La domanda è, però, se Washington subisca questo sfilacciamento come conseguenza del proprio declino, o se invece i suoi poteri forti lo favoriscano e lo accelerino deliberatamente, per instaurare un ordine nuovo senza Europa. E’ questa la tesi di un giornalista assai ben informato, Pepe Escobar. Gli indizi che allinea sono impressionanti. (There's no business like war business)

I media hanno lanciato qualche allarme sugli elementi di Al Qaeda che combatterebbero a fianco dei ribelli libici di Bengasi. La cosa è lungi dall’allarmare Washington, dove qualcuno ha tirato fuori volentieri il database (al qaeda) dei vecchi guerriglieri jihadisti armati dalla CIA contro l’URSS in Afghanistan. Quei bel tempi di collaborazione sembrano tornati. Uno dei leader dei ribelli, Abdel Hakim Al-Hasidi, ha ammesso di aver reclutato una trentina di jhadisti, che pochi anni fa combattevano in Chad.

Abdel Hakim Al-Hasidi
   Abdel Hakim Al-Hasidi
Vecchia e interessante storia: nel 2001 Le Monde Diplomatique raccontò della rivolta chadiana contro il dittatore locale, Hissene Habrè, una guerra civile istigata e sostenuta da Gheddafi. Infine Habrè fu detronizzato dal rivale Idriss Deby, sostenuto invece dai francesi. Deby lamentò che « Al Qaeda in Maghreb» aveva svuotato interi arsenali militari in Cirenaica; oggi la stessa Al Qaeda in Maghreb (AQM) è riapparsa a fianco dei ribelli libici. Il capo militare dei ribelli di Bengasi è tal Khalifa Hifter: già noto in Chad come colonnello dell’esercito di Gheddafi operante per buttar giù Habré (sostenuto dagli americani), poi catturato oppure disertore, e congiuntosi ai gruppi anti-Gheddafi. Fatto è che Hifter, dopo, ha abitato per parecchi anni in Virginia, dove ha guidato una Lybian National Army, un’organizzazione molto simile ai Contra del Nicaragua, che ha addestrato uomini in campi d’addestramento in USA.

In breve, il capo militare dei ribelli ha tutta l’aria di essere un operativo CIA mandato là a fare la Contra. Con alcuni dei veterani della vecchia cara Al Qaeda filo-americana, probabilmente recuperati per la nuova missione.

Quanto al governo provvisorio dei rivoltosi, o Interim Transitional National Council, s’è dato un ministro delle Finanze parimenti allevato e cresciuto negli Stati Uniti, l’economista Ali Tarhouni. E’ stato lui a rivelare che Londra ha consentito al governo dei ribelli di pescare nei fondi di Gheddafi impiegati alla City e congelati, per 1,1 miliardo di dollari; in aggiunta a linee di credito aperte loro da franco-anglo-americani sul conto del fondo sovrano libico. Il nuovo governo ancora non governa e già s’indebita con la City e Wall Street, aprendo al saccheggio della finanza globale il fondo sovrano: un classico, in fondo.

Secondo Escobar, infine, le avidità della coalizione si appuntano non solo sul petrolio libico, ma anche – e forse anche più – sull’acqua. Sotto il deserto libico (ed egiziano in parte), trattenuto da un immane lastrone di arenaria impermeabile, giace un enorme serbatoio fossile di acqua potabile (valutato pari all’acqua del Nilo scorrente per 2 secoli): di questo Acquifero Nubiano Gheddafi aveva avviato lo sfruttamento con un condotto di 4 mila chilometri sotto il deserto, che già alimenta Tripoli, Bengasi e gli abitati costieri: un progetto finanziato dalla Libia con 25 miliardi di dollari, senza il bisogno di indebitarsi con il Fondo Monetario e la Banca Mondiale: di tutti i crimini del beduino, certamente il più imperdonabile.

Ora, ci ricorda Pepe, in Francia regnano tre grandi multinazionali delle acque – Veolia ex Vivendi, Suez Ondeo (già Générale des Eaux) e Saur – che già oggi controllano il 40% del mercato delle acque dolci nel mondo. Queste tre entità sono le tre forze che stanno dietro i progetti di privatizzazione degli acquedotti pubblici in corso di completamento in Italia con la complicità dei politici nostrani, locali e nazionali; nulla di più certo che le tre multinazionali aspirino a mettere le mani sul gran lago sahariano, in vista di una più gigantesca privatizzazione che il nuovo governo libico, e forse il nuovo governo egiziano, non esiteranno a concedere: sarà il loro passaporto per l’ammissione al mondo liberista del nuovo e inedito ordine mondiale.

Ankara ha capito qual’è il gioco, e si prepara anche militarmente.

L’Italia no, ma non ci stupisce. Per secoli, è stata un’espressione geografica e un vuoto di potere governato da signorotti localisti, piccini ed ottusi che i regni vicini, francesi, spagnoli, absburgici, riempivano con l’occupazione diretta del territorio, spesso chiamati da qualche fazione italiana della nostra eterna guerra civile in odio al nemico interno.

Oggi, l’occupazione continua, ma sul piano economico: i francesi si sono comprati Bulgari, Edison, la Galbani, le acque comunali svendute, ed ora Parmalat, e pure il nostro oleodotto libico. E’ cambiato poi tanto, dopo 150 anni di celebratissima unità?



L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.   
 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità