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Trichet, lo strangolatore
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Imperturbabile nell’applicazione del protocollo dottrinale del banchiere centrale, Jean Claude Trichet, il capo della Banca Centrale Europea, ha rincarato i tassi d’interesse primari dello 0,25%. Il che significa il rincaro del denaro in tutta Europa. Per stroncare l’inflazione, dice.

Ora, l’inflazione in Europa (oltre il 2%) è determinata dal rincaro mondiale delle materie prime, anzitutto del petrolio; un fenomeno che non dipende dalle scelte della BCE, e che non cambierà con il rincaro dei tassi. In realtà, l’Europa versa piuttosto in un clima di deflazione, data la recessione e la disoccupazione di massa; solo la piena occupazione innesca la rincorsa tra salari e prezzi delle merci, che è il motore classico delle inflazioni; e con indici di disoccupazione giovanile del 30%, e la riduzione reale dei salari attraverso i meccanismo della precarizzazione, il rischio è perlomeno remoto.

Il confronto con gli USA è impressionante. Là, la ripresa economica, con una crescita del 3% nel 2010 e uguale nel 2011, è tutta ed esclusivamente dovuta agli oceani di denaro con cui la Federal Reserve ha inondato l’America; denaro a tasso praticamente zero, e Bernanke si guarda bene dal rialzare i tassi, sapendo che questo provocherebbe il secondo collaso (double dip) dell’economia. Al contrario Trichet, ad un’Europa dove la recessione è anche più forte e dura, e la ripresa assai incerta con la disoccupazione che non diminuisce, impone un rincaro del denaro.

Per lui, è un classico: Trichet è un serial killer monetarista. Già all’inizio degli anni ‘90 ha massacrato le economie dei Paesi europei non-germanici con tassi d’interesse elevatissimi, che hanno reso disoccupati centinaia di migliaia di italiani, francesi, spagnoli. Ripetè il delitto nel luglio 2008, in piena crisi finanziaria; mentre la Federal Reserve abbassava i suoi tassi di ben tre punti tondi, Trichet aumentava i tassi europei di uno 0,25%: anche allora per contrastare un’inflazione che vedeva solo lui, e che era anche allora prodotta dal rincaro delle materie prime, che se ne infischiano dei tassi della BCE.

Ciò ha provocato la recessione-depressione che ci opprime; ora, di nuovo Trichet corre a strangolare l’economia europea, che non si sta certo surriscaldando. Anzi.

L’effetto della sua mossa è infatti doppiamente rovinoso. Rende l’euro più forte (paradossale, la sopravvalutazione di una moneta che rischia la scomparsa), penalizzando le industrie europee esportatrici, che diventano meno competitive e quindi vedranno calare le loro quote di mercato... con ciò finendo per intensificare l’inflazione anzichè acquietarla. E conseguente riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, e rallentamento dell’economia generale.

L’altro effetto sarà lo strangolamento definitivo delle economie deboli e indebitate – Grecia, Portogallo, Irlanda anzitutto, poi Spagna, poi toccherà all’Italia.

Quando si dice che l’Europa ha salvato Grecia e Irlanda, e che ora sta salvando il Portogallo, tali salvataggi non sono quello che sembrano. Sono, in realtà, prestiti concessi a quei Paesi ad alti tassi d’interesse. Ora questi interessi aumenteranno grazie alla mossa di Trichet, e si può immaginare l’effetto sul debito greco, che è già il 140% del suo PIL, o su Portogallo e Spagna; o sul debito italiano, che è oltre il 120% del PIL. Di fatto, per questi Paesi, il servizio del debito (ossia la restituzione delle quote più interessi) diventa più gravoso. Fino all’insostenibilità, ossia avvicina i Paesi al default – il che significa che le agenzie di rating ne abbasseranno la credibilità, obbligandoli a pagare interessi ancora più alti... fino a quando non potranno più; e allora, nelle peste finiranno le banche creditrici, specie quelle del Paese-modello, la Germania, che sono strapiene di attivi di quei Paesi. (ECB Rate Hikes could Kill Greece, Ireland, Portugal, and even Spain!)

L’artificioso rafforzamento dell’euro prodotto dal rincaro dei tassi – Trichet non fa nulla per accrescere le esportazioni greche, spagnole e portoghesi, o gli introiti del loro turismo – li rende meno competitivi ancora; e fin dall’entrata in vigore dell’euro, mentre in Germania il costo del lavoro per unità è rimasto stabile (grazie all’austerità tedesca), il costo per Grecia, Spagna e Portogallo è cresciuto del 30%, quello di Italia e Francia poco meno; ora l’ulteriore rincaro chiude la porta ad una ripresa determinata da forti esportazioni.

Al contrario: « Se la BCE continua a stringere il freno monetario, la bancarotta (della Grecia) è inevitabile», ha detto all’Observer Danny Gabay, capo-analista dell’agenzia di analisi britannica Fathom.

E non basta: dopo Portogallo e Irlanda, anche la Spagna si avvicina al default. Madrid deve rifinanziare i suoi debiti per una quota pari al 5% del suo PIL quest’anno, e per il 9% l’anno prossimo; insomma deve convincere i prestatori a prestargli quel denaro. Quei Paesi (ed anche il nostro) si trovano nella condizione di coloro che hanno acceso un mutuo a tassi variabili; il rincaro del tasso primario fatto dalla BCE si ripercuote sugli interessi che devono pagare, e quindi sul rincaro del rateo del mutuo. Secondo i calcoli della Fathom, Madrid dovà affrontare un rincaro di due punti sugli interessi che paga, « che verrà più dallazione della BCE che dalla perdita di fiducia degli investitori», dice Gabay.

Secondo l’ortodossia trichettiana, quei Paesi devono cavarsela adottando forti dosi di austerità tedesca; la dottrina sostiene infatti che i deficit pubblici possono essere ridotti a forza di tagli alle spese pubbliche e aumenti della tasse, contemporaneamente ricuperando competività con l’abbassamento di costi e prezzi, essenzialmente di salari. In realtà, questa è la ricetta del disastro definitivo; tra l’altro il calo dei salari e dei prezzi, anche se fosse raggiunto, avrebbe come effetto di accrescere il valore reale del debito (pubblico e privato), aggravando la situazione debitoria di quei Paesi.

La sola strada rimasta ai Paesi non-tedeschi è recuperare competitività con la svalutazione: ossia uscendo dall’euro, che può restare come moneta comune e unità di conto, e tornare alle proprie monete nazionali. Contemporaneamente, beninteso, ripudiando il debito (almeno parzialmente; per l’Italia, si tratta di ripudiare quella parte del debito in mano a stranieri), per togliersi quel peso che ci impedisce il rilancio.

Naturalmente, questa soluzione non sarà scelta dai governanti attuali, tutti ferreamente decisi (a parole) a difendere l’euro; il che non significa che non avverrà; anzi, invece che avvenire in modo ordinato e concordato, avverrà nel disordine e nel caos. (Eurozone ship is on the course that was set for it: heading for the rocks)

La sola speranza è nel 2012, anno di elezioni in USA, Francia, Russia, e di possibili cambiamenti delle classi dirigenti anche in Germania e Italia. In Francia, è da segnalare il successo che nei sondaggi riscuote Marine Le Pen: la quale si fa ascoltare da un numero crescente di francesi di tutte le classi d’età e di ceto proprio denunciando che la sovranità nazionale è stata svenduta all’Europa, senza che l’Europa delle burocrazie sia stata capace di sostituirsi ad essa, rendendoci come popoli lo zimbello della globalizzazione e delle sue forze oligarchiche senza nazione.

Marine La Pen
   Marine Le Pen
«La reazione lepenista», ha scritto un commentatore molto ufficiale, Philippe Cohen, «è anzitutto una richiesta di potenza pubblica, defficacia e dindipendenza dello Stato, in un Paese in degrado economico. Marine Le Pen ha costruito la sua strategia su questi tre fallimenti della Politica... con una dimensione sociale nuova... Marine Le Pen seduce due volte più lavoratori che Sarkozy o Dominque Strauss Kahn!... del resto, quel che conta per loro è la disoccupazione, la delocalizazione, il potere dacquisto, i salari, lavvenire dei loro figli pauperizzati. Angosce per le quali non basta accusare il Front National di razzismo…». (La tentation Marine Le Pen ne séduit pas que les électeurs)



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